sabato 22 Novembre 2025
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Afghanistan, gli Usa si stanno ritirando o stanno solo privatizzando la guerra?

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On patrol in North East Bamyian with Kiwi Team One, performing both mounted and dismounted patrols The NZ PRT Bamyan is tasked with maintaining security in Bamyan Province. It does this by conducting frequent presence patrols throughout the province. The PRT also supports the provincial and local government by providing advice and assistance to the Provincial Governor, the Afghan National Police and district sub-governors. Thirdly the NZ PRT identifies, prepares and provides project management for NZAID projects within the region. These are contracted to Afghan companies who hire local workers to assist with the completion of these projects. Thus each project provides new amenities, and also provides employment in the region.

Il 14 aprile scorso, il Presidente USA, Joe Biden, ha annunciato l’intenzione di porre fine alla guerra in Afghanistan, contro il parere dei generali, prevedendo il ritiro delle truppe statunitensi e delle forze NATO per l’11 settembre prossimo. Sono circa 3.000 le unità dell’esercito a stelle e strisce presenti nel paese mentre 8.000 sono quelle facenti parte del gruppo NATO. A ben vedere però, la verità è che gli Stati Uniti e la NATO lasceranno il campo ai servizi di intelligence e agli appaltatori privati di mercenari e corpi di sicurezza.

Le truppe che torneranno in patria sono infatti quelle ufficiali e regolari mentre sul campo di battaglia rimarranno circa 18.000 privati ingaggiati dagli appaltatori del Dipartimento della Difesa statunitense. Non è certamente la prima volta che vengo impiegati contractors in missioni militari statunitensi ma l’Afghanistan, come l’Iraq, risulta essere un esperimento radicale nel governo aziendale, come affermato da Naomi Klain in The Shock Doctrine: The Rise of Disaster Capitalism (2007), e nella gestione d’impresa della guerra, con pesanti commistioni tra politici e aziende appaltatrici. L’annuncio di Biden sembra dunque essere pura propaganda, visto che su suolo afgano rimarrà una «combinazione oscura di forze clandestine delle operazioni speciali, appaltatori del Pentagono e agenti segreti dell’intelligence», come riportato dallo stesso New York Times.

D’altronde, gli USA hanno speso miliardi di dollari in una guerra che dura da vent’anni e che certamente non ha migliorato le condizioni del paese, né in termini di diritti umani né sul fronte della lotta al terrorismo, e che anzi ha distrutto un paese favorendo la corruzione, il traffico di droga (oppio) e imponendo i propri interessi geostrategici ed economici – vista anche la scoperta da parte dello United States Geological Service di depositi minerari di ferro, rame, cobalto, oro e litio, per un valore di 1 trilione di dollari.

Per quanto riguarda la droga, è interessante sottolineare come l’Afghanistan sia divenuto il maggior produttore mondiale di oppio dopo l’invasione da parte statunitense. Nel 2001, con i Talebani al potere, il paese produceva solamente 74 tonnellate di oppio (che, oltre al suo consumo serve per produrre eroina e molti farmaci liberamente in vendita). Nel 2008, il paese è arrivato a produrre 9.000 tonnellate all’anno di oppio, divenendo il maggior produttore incontrastato a livello mondiale producendone il 93% del totale.

«Un processo di pace è ciò di cui il popolo afghano ha bisogno e merita dopo tanti decenni di sofferenze crudeli e inimmaginabili», ha affermato con voce critica Matthew Hoh, membro del Center for International Policy e membro della Eisenhower Media Initiative, facendo inoltre presente che gli USA rimangono sempre pronti ad attaccare attraverso droni o squadroni aerei d’attacco con equipaggio, di stanza sulle basi terrestri e sulle portaerei presenti nella regione, oltre che con missili da crociera su navi e sottomarini.

Insomma, dietro la propaganda della potenza mondiale, che non allenta veramente la tensione e il conflitto nell’intera area, c’è chi tra le numerosissime compagnie militari private si sfrega le mani pronto ad accaparrarsi il prossimo contratto milionario.

[di Michele Manfrin]

Sottomarino sparito in Indonesia: ossigeno sufficiente solo per 72h

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Il sottomarino KRI Nanggala 402 sparito nella giornata di ieri al largo di Bali, in Indonesia, non è ancora stato trovato e l’ossigeno a disposizione delle 53 persone a bordo è sufficiente solo per altre 72 ore. Per questo, la Marina indonesiana ha mobilitato un elicottero, sei navi da guerra e 400 persone. Inoltre, Singapore e Malaysia hanno inviato le loro navi ed anche gli Stati Uniti, l’Australia, la Germania e la Francia hanno offerto il loro aiuto.

Nuova Zelanda, le banche dovranno certificare l’impatto climatico degli investimenti

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Global climate change strike - No Planet B

La Nuova Zelanda ha in programma una legge per imporre al settore finanziario la divulgazione dei dati sull’impatto che le attività di business hanno su clima e ambiente. La proposta, già fatta a settembre 2020, è adesso parte del Financial Sector Amendment Bill, e vedrà a giorni la prima lettura in Parlamento. Una volta approvata, sarà obbligatorio non solo prevedere e dichiarare gli effetti degli investimenti, ma anche spiegare come si intende gestire i rischi connessi: soprattutto far fronte agli impegni che una vera tutela dell’ambiente impone. Le nuove disposizioni saranno attive dal 2023, e riguardano circa 200 entità finanziarie. In generale tutte quelle che posseggono o gestiscono capitali superiori a 1 miliardo in valuta neozelandese (circa 700 milioni di dollari), o che hanno un analogo premium income annuale. Si tratta delle più grandi banche, unioni di credito e società edili. Dei grandi gestori di investimento e delle società di assicurazione. Fino agli emittenti di debito e azioni registrati presso il New Zealand’s Exchange (NZX).

Far dichiarare i dati sull’impatto degli investimenti ha tre obbiettivi per il Governo laburista di Jacinda Arden. Innanzitutto la trasparenza: garantisce che nelle decisioni di business gli effetti dei cambiamenti climatici siano davvero considerati, a 360 gradi. Una banca, ad esempio, non dovrà solo monitorare e divulgare le conseguenze della propria attività. A legge approvata dovrà anche mettere in conto l’uso che viene fatto dei suoi prestiti. In secondo luogo la reputazione. Si vogliono aiutare investitori, banche e società di assicurazione a darsi un’immagine diversa: responsabile, lungimirante, davvero cosciente dei problemi connessi ai cambiamenti climatici. Il settore finanziario globale ha infatti collezionato diverse accuse di “greenwashing”: ovvero di fare solo propaganda, quando si tratta di tematiche ambientali. Un esempio recente è quella di Tariq Fancy, ex capo del settore Finanza Sostenibile presso Black Rock. Ha accusato Wall Street di ingannare il pubblico americano con poco più che narrazioni di marketing. Infine l’obbiettivo è raggiungere una miglior allocazione di capitale, coerente con un’economia sostenibile e a bassa emissione.

Con questa legge la Nuova Zelanda sarà il primo paese a porre le grandi banche di fronte alle proprie responsabilità ambientali. Perché dal loro operato concreto, al di là dei proclami green altisonanti, dipende l’esito positivo della lotta ai cambiamenti climatici. Come mostra un report di Rainforest Action Network, senza un minimo di controllo o regolazione, il settore finanziario globale continua a subordinare l’ambiente agli interessi di business. Dalla stipula degli Accordi di Parigi, le 60 banche più importanti del mondo hanno finanziato l’industria dei combustibili fossili con ben 3,8 mila miliardi di dollari. JP Morgan, per citarne una, dal 2016 ad oggi ha destinato 317 miliardi alle sole compagnie petrolifere. Senza considerare che il primo semestre 2020 è quello in cui si è registrato il più alto sostegno economico a fonti di energia non rinnovabile.

[di Andrea Giustini]

AstraZeneca: l’UE è pronta alle vie legali

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Politico EU riporta, basandosi su fonti diplomatiche, che Bruxelles è pronta ad andare per vie legali contro AstraZeneca. La Commissione europea ha sollevato la questione e la maggior parte dei Paesi ha dichiarato di essere favorevole a citare in giudizio la società per i tagli alle forniture. Per l’avvio della procedura si attende l’assenso ufficiale dei paesi entro una settimana.

Covid: il ministero della Salute ricorre al Consiglio di Stato contro le cure domiciliari

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Il ministero della Salute, guidato da Roberto Speranza, e l’Agenzia italiana del farmaco hanno presentato ricorso al Consiglio di Stato contro l’ordinanza con la quale il Tar del Lazio, il 4 marzo scorso, aveva stabilito che i medici nel trattamento dei pazienti positivi al coronavirus potessero «prescrivere i farmaci che essi ritengono più opportuni secondo scienza e coscienza» senza necessariamente attenersi ai protocolli Aifa che prevedono che le cure domiciliari si basino sulla somministrazione di paracetamolo e vigile attesa. Il ricorso, oltretutto, arriva a pochi giorni di distanza dal voto con cui il Senato, in modo quasi unanime (212 a favore, 2 astenuti, 2 contrari), ha chiesto al governo di approvare un protocollo unico nazionale per regolamentare e ampliare le cure domiciliari contro il Covid-19. Il ricorso va nella direzione esattamente contraria.

Un ricorso che «lascia senza parole» afferma in una nota il Comitato Cure Domiciliari Covid-19, ovvero l’associazione di medici che aveva presentato il ricorso in favore delle cure domiciliari che era stato accolto dal Tar. Sottolineando come il ricorso vada contro le fondamenta stesse delle cure domiciliari che necessitano «la libertà dei medici di fare riferimento alla propria esperienza e formazione per curare i pazienti in scienza e coscienza, con libertà prescrittiva dei farmaci ritenuti più efficaci e la necessità di agire tempestivamente, ovvero entro le prime 72 ore» differentemente da quanto era previsto dal protocollo Aifa basato su vigile attesa con Paracetamolo. Il Comitato chiede al ministro Speranza di fornire al più presto delucidazioni in merito al ricorso.

Non va dimenticato, inoltre, che la validità dei trattamenti domiciliari è ormai ampiamente dimostrata, non solo da diverse ricerche scientifiche, ma anche dall’esperienza di molti paesi esteri, che proprio attraverso migliori protocolli di cure domiciliari hanno ottenuto livelli di contagio e tassi di mortalità ben al di sotto di quelli italiani.

 

Clima: il 2020 l’anno più caldo in UE

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Il 2020 è stato l’anno più caldo nell’UE degli ultimi 5 anni, con almeno 0,4°C in più. Lo dice il rapporto annuale sul clima europeo di Copernicus. Da record soprattutto l’inverno con +3,4°C sulla media del periodo 1981-2010. Le concentrazioni di Co2 e metano sono in continuo aumento. A livello globale il 2020 è uno dei tre anni più caldi mai registrati.

Biden riconoscerà il genocidio armeno

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Il Presidente USA ha deciso che riconoscerà il genocidio armeno avvenuto durante la Prima Guerra mondiale per mano ottomana e che causò la morte di 1,5 milioni di persone. L’ufficializzazione dovrebbe arrivare sabato, giorno del 106/mo anniversario. La mossa di Biden è destinata ad alimentare le tensioni con la Turchia, un alleato NATO.

Indonesia: disperso sottomarino con 53 persone a bordo

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Il sottomarino KRI Nanggala 402 della marina indonesiana risulta disperso nelle acque a nord di Bali. È da questa mattina, infatti, che la marina ha perso i contatti con quest’ultimo: al suo interno vi sono 53 membri dell’equipaggio. Ma le ricerche continuano e l’Indonesia ha anche chiesto aiuto a Singapore e all’Australia per riuscire a trovarlo.

Le mascherine disperse nell’ambiente possono essere letali per la fauna selvatica

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Da più di un anno ormai, a causa della pandemia, utilizziamo in modo massiccio guanti protettivi in lattice e mascherine di ogni genere. Se da un lato queste protezioni obbligatorie possono contrastare il diffondersi del contagio da COVID-19, dall’altro, se non smaltite correttamente, è ormai provato che stanno provocando in tutto il mondo un aumento esponenziale dell’inquinamento rivelandosi particolarmente devastanti e spesso letali per la fauna selvatica.

Lo scorso anno si sono riversate in mare circa 1,56 miliardi di mascherine, come dimostrato dalle ricerche di OceansAsia, aumentando così i milioni di tonnellate di plastica che raggiungono gli oceani ogni anno. Pesci e tartarughe marine ingeriscono questi rifiuti o rimangono intrappolati nei guanti monouso. Uccelli impigliati nei lacci delle mascherine da cui non riescono a liberarsi, muoiono di fame. Pinguini e gabbiani sono deceduti a causa dell’ingestione di plastiche riconducibile ai rifiuti del Covid-19, ma anche animali domestici come cani e gatti, rischiano il soffocamento ingoiando dispositivi di protezione abbandonati per terra. Il problema è globale. Un gruppo di ricercatori dell’Università olandese di Leida, in collaborazione con i biologi del Naturalis Biodiversity Center, hanno riscontrato una situazione veramente drammatica, dove nessun luogo sul pianeta né qualsiasi specie animale viene risparmiata e che, con il tempo, l’evidente impatto dei rifiuti COVID-19 sarà sempre più devastante. Curiosamente guanti e mascherine si sono anche rivelati utili, almeno per alcuni uccelli che ne hanno fatto uso per costruire i loro nidi. Un’utilità non priva di rischi però, i nidi risultano più visibili e più facilmente individuabili dai predatori.

Secondo alcune statistiche, a livello globale vengono utilizzate mensilmente circa 129 miliardi di mascherine (ossia 3 milioni al minuto) e 65 miliardi di guanti usa e getta. Questo da la misura di quanto potrebbe aggravarsi il problema se non verranno rapidamente adottate dagli Stati drastiche misure per il corretto smaltimento di questi rifiuti e se non ci saranno comportamenti responsabili da parte di ogni singolo individuo. Un utile suggerimento per una corretta condotta personale viene dagli autori dello studio effettuato in Olanda che raccomandano, ove possibile, di passare a dispositivi riutilizzabili evitando così che si trasformino in trappole mortali per gli animali.

Per aumentare la consapevolezza delle persone e aiutarli a monitorare la situazione sul pericolo rappresentato dai rifiuti del Covid-19, il gruppo di ricerca del Naturalis Biodiversity Center ha lanciato un sito web, dove chiunque può  condividere le proprie osservazioni su animali che interagiscono con guanti e mascherine dispersi nell’ambiente, così da mantenere una mappa il più possibile aggiornata del fenomeno.

[di Federico Mels Colloredo]

Nigeria: uomini armati attaccano università e rapiscono studenti

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Uomini armati si sono infiltrati ieri sera nell’università di Greenfield, situata nello stato di Kaduna, in Nigeria. Un membro del personale è stato ucciso ed alcuni studenti, il cui numero non si conosce ancora, sono stati rapiti. Lo ha reso noto nella giornata di oggi il portavoce della polizia locale, Mohammed Jalige, il quale ha comunicato all’agenzia di stampa Afp che gli uomini delle forze dell’ordine sono attualmente alla ricerca dei responsabili e cercheranno di salvare le vittime.