sabato 22 Novembre 2025
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Genova: protesta dei ristoratori contro divieto di aprire locali al chiuso

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A Piazza De Ferrari, la principale piazza di Genova, i ristoratori del gruppo «ProtestaLigure» hanno posizionato tavolini e sedie per protestare contro la decisione del governo di non far riaprire i locali al chiuso. Nello specifico, sono stati allestiti una quindicina di tavoli ai quali si sono sedute alcune persone con l’ombrello aperto a causa della leggera pioggia. «Ad oggi ci troviamo con 5 milioni di vaccinati, tanti guariti e non si capisce perché non possiamo fare ciò che facevamo durante la seconda ondata. È una cosa assurda», ha affermato un manifestante.

Proteste contro il coprifuoco: in tutta Italia cittadini in strada dopo le 22

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In diverse città italiane i cittadini hanno protestato, tra la giornata di sabato e quella di domenica, contro il coprifuoco imposto dal governo alle ore 22:00. Le persone hanno manifestato il proprio dissenso violando tale misura: le proteste si sono infatti svolte proprio a partire dalle ore 22:00. A Firenze un sit-in intitolato «Scoprifuoco», indetto dai ristoratori di Tni Italia (Tutela Nazionale Imprese) si è svolto ieri sera in Piazza Signoria ed ha coinvolto più di 100 persone: 57 di queste, però, sono state identificate e denunciate dalla Digos per aver aderito ad una manifestazione non autorizzata e per aver violato le misure anti Covid. Anche a Piombino, altra città toscana, si è svolta la medesima protesta, con 200 persone che a partire dalle 22:00 hanno contestato l’imposizione del coprifuoco al grido di «Libertà, libertà». A Cesenatico, in Emilia-Romagna, sabato sera più di 400 cittadini hanno aderito ad un corteo pacifico contro la proroga del coprifuoco. Inoltre, sempre nella giornata di sabato, dopo le ore 22:00 a Trieste più di cento persone hanno partecipato alla «Fiaccolata per la libertà» ed hanno attraversato il centro cittadino per rivendicare, appunto, la loro libertà.

Dunque, sono sempre più gli italiani che contestano il coprifuoco, che sembra non essere fondato su reali evidenze scientifiche: ci sono vari studi che, in tal senso, hanno dimostrato come la possibilità di contrarre il Covid all’aria aperta sia estremamente bassa ed è probabilmente anche per questo che un numero crescente di cittadini si rifiuta di rispettarlo.

[di Raffaele De Luca]

Nigeria: attacco jihadista, morti almeno 31 soldati

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In Nigeria, almeno 31 soldati sono morti ieri nel nord-est del Paese in seguito ad una imboscata al loro convoglio effettuata da parte di jihadisti legati all’Isis. Lo hanno riferito due ufficiali nella giornata di oggi. Inoltre, secondo quanto affermato da un’autorità militare in condizione di anonimato, tra i soldati che hanno perso la vita ci sarebbe anche il loro comandante, un tenente colonnello.

Come Facebook e Google stanno comprando il giornalismo

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Da quando si è iniziato a leggere le notizie principalmente tramite i social media, il giornalismo ha subito un crollo repentino e uno sconvolgimento nel suo modello di business. I grandi tramiti, Google e Facebook, sono diventati dei partner obbligati per le testate giornalistiche. Senza di loro, quasi nessuno raggiungerebbe gli articoli. Questo cambiamento è stato particolarmente deleterio per i giornali locali, quelli meno conosciuti e, soprattutto, per i media “alternativi.” La tendenza è infatti all’accentramento. Tra il 2004 e il 2019, negli Stati Uniti un giornale su quattro ha chiuso i battenti.

Le testate hanno provato ripetutamente a farsi pagare per i contenuti e anche i governi hanno provato ad adottare politiche più severe, capaci di regolamentare almeno parzialmente un commercio così intangibile come quello delle notizie sui social media. Un caso esemplare è stato l’Australia. A fare le conquiste più significative però sono stati Google e Facebook.

L’iniziativa Facebook News, recentemente, ha contribuito al processo di concentrazione canalizzando enormi risorse finanziarie verso i soliti sospetti: New York Times, Washington Post, Wall Street Journal e pochi altri. Lo scopo è sovvenzionare le testate più importanti d’America. Facebook paga il New York Times più di 3 milioni di dollari l’anno per pubblicare i link dei loro articoli su Facebook News, un’entrata non indifferente nemmeno per il giornale più importante degli Stati Uniti. Come le altre testate coinvolte nell’iniziativa, il giornale si è di fatto ritrovato schiavo di questi finanziamenti: uscirne è molto complesso.

Questa iniziativa va inserita in un contesto più ampio: già dal 2018 i Big Tech hanno messo le mani sul giornalismo. Praticamente non c’è grande giornale negli Stati Uniti che non riceva dei finanziamenti dalla Silicon Valley. Nel 2020, si trattava di un investimento pari a ben 700 milioni di dollari. Tra i canali attraverso cui si esercita questo controllo: la Google News Initiative e il Facebook Journalism Project, ma anche iniziative di fact-checking. E non solo: finanziamenti per giovani giornalisti emergenti, borse di studio, offerte di stage e somme donate ai più importanti convegni di giornalismo in giro per il globo.

Iniziative come Facebook News, oltre a colpire i giornali piccoli o alternativi, ovviamente minano l’indipendenza dei percettori di questi finanziamenti. È una condizione di opacità, in cui di fatto le testate sono soggette alle decisioni e ai criteri imposi dai Big Tech. Un’altra conseguenza preoccupante è l’omogeneizzazione dell’offerta (mentre il giornalismo dovrebbe fornire più prospettive concorrenti). Sembrerebbe insomma che Facebook e Google stiano cercando di comprarsi i giornali e questo è in primo luogo un problema per la democrazia.

[di Anita Ishaq]

Ue: avviata azione legale contro AstraZeneca

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La Commissione Europea ha avviato, nella giornata di venerdì, un’azione legale nei confronti di AstraZeneca per conto dei 27 Stati Membri. Lo ha annunciato oggi un portavoce dell’esecutivo comunitario, il quale ha aggiunto che la procedura legale sia stata effettuata poiché l’azienda non è stata capace di fornire una strategia affidabile per la consegna dei vaccini. Inoltre, la decisione è stata presa anche perché non sono stati rispettati alcuni termini del contratto aventi ad oggetto proprio la consegna delle dosi.

Corte d’Appello: dalla polizia sassi e lacrimogeni ad altezza uomo sui No Tav

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La Corte d’Appello di Torino ha messo nero su bianco, in una sentenza, che le forze dell’ordine hanno compiuto diversi atti illeciti nei confronti del movimento No Tav in Val di Susa. L’occasione è stata la sentenza in merito ai fatti del 3 luglio 2011, arrivata nel gennaio scorso, di cui sono state rese note solo ora le motivazioni, all’interno delle quali viene descritto il modo in cui la polizia ha operato quel giorno, quando centomila No Tav manifestarono contro l’opera.

A pagina 164 e 165 della sentenza (i cui stralci sono consultabili sul sito notav.info) i magistrati scrivono: «è emerso incontrovertibilmente che alcuni appartenenti alle forze di polizia presenti nel teatro degli scontri, senza giustificazione alcuna, adottarono condotte contrarie non solo ai propri doveri e funzioni ma anche in alcuni casi altamente pericolose, scagliando anch’essi sassi nei confronti dei manifestanti che li bersagliavano ed esplodendo ordigni lacrimogeni con un’angolazione insufficiente, ovvero con lanci tesi invece che a parabola, idonei in quanto tali a produrre non l’effetto di dissuasione che è insito nell’utilizzo di tale strumento di contrasto, ma il pericolo che i bossoli contenenti gas lacrimogeno colpissero direttamente quali proiettili alcuni dei manifestanti».

Le azioni della polizia vengono definite nella sentenza «oggettivamente illegittime, o comunque esorbitanti, rispetto al corretto esercizio dell’autorità». Inoltre, a pagina 134 della sentenza, si fa riferimento ad un fatto ben preciso e chiaramente illegale: «alle 13:51 […] si sente distintamente un appartenente alle forze dell’ordine che incita il collega – evidentemente addetto allo sparo di artifici lacrimogeni – con le frasi “dai tiraglielo” “lo vedi il bastardo qua sotto? se riesci a centrarlo, prendi la mira quando esce”».

Quanto contenuto in questa sentenza è ancor più istruttivo in questi giorni, dopo i fatti del 17 aprile, quando Giovanna Saraceno, attivista No Tav, è rimasta gravemente ferita – con due emorragie cerebrali e fratture multiple al volto – proprio da un lacrimogeno che l’ha centrata in pieno viso. Una dinamica prontamente smentita dalla polizia, ma testimoniata da diversi presenti e avvalorata dai video diffusi da parte degli attivisti, nei quali si vedono chiaramente agenti di polizia sparare lacrimogeni ad altezza d’uomo.

Turchia: mandati di cattura per oltre 500 militari

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A quasi 5 anni dal fallito colpo di Stato, le procure di Istanbul e Smirne hanno emesso 532 mandati di cattura nei confronti di militari, 459 dei quali tuttora in servizio, sospettati di appartenere alla presunta rete golpista di Fethullah Gulen. Intanto si apre nel tribunale del carcere di Sincan, ad Ankara, il maxi-processo per “terrorismo” contro 108 politici curdi.

Usa, continua la lotta degli indigeni Lakota contro l’oleodotto

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Continua la controversia legata al Dakota Access Pipe Line (DAPL) poiché nonostante la decisione di un giudice federale – arrivata lo scorso anno – di sospendere il passaggio del greggio, l’impianto non si è mai veramente fermato. Il 23 aprile, la Corte d’Appello degli Stati Uniti del Distretto di Columbia ha rigettato la richiesta di appello avanzata da Energy Transfer – gestore di DAPL – riguardo la sentenza del giudice James Boasberg che, nel luglio dello scorso anno ne aveva sospeso l’attività. Per maggio è attesa la decisione finale riguardo la chiusura definitiva, o meno, dell’impianto.

Lo scorso anno, il giudice Boasberg – della Corte Distrettuale degli Stati Uniti del Circuito D.C. – ha scoperto che il Corpo degli Ingegneri, nel rilasciare le autorizzazioni necessarie per la costruzione dell’oleodotto, aveva violato il National Environmental Policy Act, ordinando così di redigere una nuova dichiarazione d’impatto ambientale (SIE) e sospendendo le operazioni in attesa del completamento della stessa. Nel frattempo, però, Energy Transfer non ha mai sospeso le proprie attività, come chiesto dal giudice, e il greggio ha continuato a scorrere – non senza incidenti – nelle condutture del DAPL. Lo scorso 9 aprile, tale attività illegale è stata addirittura avallata, con una decisione veramente controversa, dallo stesso Corpo degli Ingegneri che ha dato parere favorevole, in attesa della nuova SIE e della decisione finale, al proseguimento delle attività del DAPL, in piena violazione della sentenza del giudice Boasberg.

«Siamo seriamente preoccupati per il proseguimento del funzionamento di questo oleodotto, che rappresenta un rischio inaccettabile per la nostra nazione sovrana», ha detto il presidente Mike Faith della tribù di Standing Rock, in conseguenza alla decisione del Corpo degli Ingegneri, promettendo ancora dura battaglia.

L’enorme oleodotto che corre per quasi duemila chilometri dal North Dakota fino all’Illinois, completato nell’aprile 2017, fin da subito ha sollevato dure critiche e grandi proteste da parte delle popolazioni indigene per i problemi di tipo politico, sociale ed ecologico che tale infrastruttura pone in rilievo. Il DAPL, in violazione dei trattati, attraversa il territorio sovrano tribale del grande bacino idrico del fiume Missouri, nella riserva di Standing Rock, mettendo in serio pericolo le acque e le terre delle popolazioni native, calpestando i loro diritti e la loro sovranità.

[di Michele Manfrin]

Spesa militare globale sempre in aumento

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Il rapporto annuale dell’Istituto di ricerca internazionale per la pace di Stoccolma (Sipri) afferma che la  spesa militare globale ha continuato a salire nel 2020, nonostante la pandemia di Covid-19, sfiorando i 2.000 miliardi di dollari, a fronte di una diminuzione importante del Pil mondiale. Al primo posto, con il 39% delle spese globali, gli USA; seconda, con il 19%, la Cina.

Perù: uccisa missionaria italiana

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Nadia De Munari, 50 anni, originaria di Schio (Vicenza), è stata uccisa in Perù a colpi di ascia mentre dormiva. La missionaria laica italiana è stata portata in ospedale e sottoposta ad un intervenuto chirurgico d’urgenza risultato purtroppo inutile. La missionaria era responsabile nel centro “Mamma mia” di Nuevo Chimbote, realizzato da padre Ugo De Censi