L’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha esaurito ogni via di ricorso: la sua condanna a 27 anni di carcere per il tentato colpo di Stato è ora definitiva. La Corte Suprema del Brasile ha disposto l’esecuzione della pena: Bolsonaro si trova in detenzione cautelare da sabato scorso, dopo che la polizia federale ha accertato un suo tentativo di liberarsi del braccialetto elettronico che monitorava i domiciliari concessi la scorsa estate. Anche gli ex ministri coinvolti nel complotto, Anderson Torres e Alexandre Ramagem, hanno visto confermate le loro condanne.
Gaza, Israele proroga il divieto di ingresso ai giornalisti
Israele ha deciso di prorogare ancora una volta il divieto di accesso per i giornalisti internazionali alla Striscia di Gaza. La decisione arriva dopo che la Corte Suprema israeliana ha rinviato a lunedì prossimo, 4 dicembre, la decisione sul permesso d’ingresso libero alla stampa. Da oltre un anno la Fpa, Foreign Press Association, che rappresenta circa 400 testate, ha presentato una petizione all’Alta corte di Gerusalemme per ottenere l’accesso indipendente dei media internazionali a Gaza. Di fatto, la Striscia resta ancora inaccessibile ai media indipendenti. L’unico accesso consentito resta quello “embedded”, cioè a giornalisti accompagnati dalle forze dell’IDF nelle zone di confine, una modalità che limita fortemente l’autonomia giornalistica.
La Camera approva il ddl femminicidio, è legge
La Camera dei Deputati ha approvato con consenso bipartisan il ddl femminicidio, che introduce l’omonimo reato nel codice penale. Il reato, introdotto con l’articolo 577-bis, prevede l’ergastolo per chi uccide una donna per discriminazione, odio o prevaricazione o mediante atti di controllo, possesso o dominio. Il provvedimento era già approvato dal Senato e diventerà legge.
Il governo Meloni ha tagliato drasticamente i fondi alle comunità energetiche
Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (Mase) ha ridotto i finanziamenti del Pnrr destinati alle Comunità energetiche rinnovabili da 2,2 miliardi a 795,5 milioni, con un taglio del 64%. È quanto ricostruito dal portale specializzato Punto CER, che lancia l’allarme in merito alle potenziali ripercussioni sull’intero settore strategico per la transizione energetica italiana. La mossa, annunciata il 21 novembre, mette infatti in grave difficoltà centinaia di aziende che avevano investito risorse, formato personale specializzato e costruito competenze specifiche basandosi sulle promesse governative.
La decisione è stata comunicata attraverso un post su LinkedIn del presidente del Gse, Paolo Arrigoni, che ha rilanciato il comunicato del Mase definendo «raggiunta e superata» la milestone degli 1.730 MW, essendo pervenute richieste per 1.759,7 MW pari a 772,5 milioni di euro. Una modalità di comunicazione che ha generato sconcerto tra gli operatori, come ha denunciato Giovanni Montagnani, presidente di Cer Vergante Rinnovabile: «A 10 giorni dalla scadenza del bando (30 novembre), non esce un decreto, ma un post su LinkedIn del Presidente del GSE che annuncia il taglio di 2/3 dei fondi. Le regole cambiano a partita finita, bruciando i business plan di migliaia di aziende».
La misura, nata per spingere la partecipazione di cittadini, enti locali e imprese alla transizione, è stata in molti casi il punto di riferimento per scelte industriali e occupazionali. Negli ultimi due anni aziende e studi tecnici hanno assunto personale, formato tecnici e costruito reparti dedicati alle CER partendo da un quadro normativo che, seppur complesso, appariva stabile. Il taglio improvviso mette ora a rischio piani industriali e posti di lavoro, trasformando investimenti strategici in costi sommersi. Il governo sostiene che si tratta di adeguamenti necessari per rispettare vincoli europei e parla di «fattori esogeni» che avrebbero giustificato la scelta; tuttavia il conto ricade su imprese e territori. Con 772,5 milioni di euro già richiesti (dato aggiornato a fine novembre) e una dotazione totale di 795,5 milioni, il margine per finanziare progetti già valutati è quasi inesistente.
Le conseguenze del taglio si estendono ben oltre gli aspetti finanziari. Il modello delle comunità energetiche, che mette i cittadini al centro della transizione energetica trasformandoli in protagonisti attivi, rischia infatti di vedere drasticamente ridotte le sue potenzialità di sviluppo. A complicare ulteriormente il quadro si aggiungono difficoltà operative concrete. Sono infatti state segnalate pratiche approvate già da febbraio che attendono ancora i pagamenti, apparentemente bloccate dall’assenza del portale necessario per erogare i fondi. Contemporaneamente, la scadenza di giugno per la realizzazione degli impianti rimane ferma, costringendo le imprese a lavorare in condizioni di forte pressione temporale. A questo si aggiungono i rischi per la sicurezza dei lavoratori: «La scadenza per i lavori resta ferrea: i mesi persi da loro per valutare le pratiche diventano tempo sottratto ai cantieri. Per stare nei tempi, gli installatori dovranno correre», ha evidenziato Montagnani.
In questo momento, le imprese si trovano dunque di fronte a scelte drammatiche: mantenere i team formati sperando in «eventuali integrazioni finanziarie future» – una speranza, appunto, non una certezza – oppure ridimensionare drasticamente l’organico, disperdendo competenze faticosamente acquisite. Il MASE rassicura che i progetti valutati positivamente ma non finanziabili «saranno comunque considerati idonei ai fini di eventuali scorrimenti», ma si tratta solo di una magra consolazione che non paga stipendi e non ammortizza investimenti.
Sudan: Medici Senza Frontiere ritira il personale da un ospedale
L’ONG Medici Senza Frontiere (MSF) ha dichiarato di avere ritirato il proprio personale da un ospedale della regione sudanese del Darfur. La decisione arriva dopo che un membro del personale è stato ucciso da un colpo di arma da fuoco, in un episodio in cui sono rimasti feriti altri 4 medici. MSF ha chiesto ai ribelli delle Forze di Supporto Rapido, che controllano la struttura, di garantire la sicurezza del proprio personale e dei pazienti.
Forlì, al posto del parco nasce la cittadella dell’aerospazio e della guerra
La Regione Emilia-Romagna da anni sta spingendo piccole e medie aziende a spostarsi verso il settore “aerospazio e difesa”, in una riconversione al contrario realizzata grazie alla collaborazione di Università e Confindustria. In questo contesto, è stato lanciato alla fine di ottobre il progetto ERIS (Emilia Romagna in Space), che vedrà sorgere nella città di Forlì il suo laboratorio e la sua unità produttiva. Il progetto (che conta su un ingente contributo di fondi statali) dovrebbe dedicarsi alla costruzione di antenne per uso civile, ma vede la partecipazione di aziende quali Leonardo e Thales Alenia, entrambe leader nel settore militare e di produzione di armi.
La Houston Italiana
Già nel maggio 2021 la Regione fece un accordo di collaborazione con l’Aeronautica militare su difesa e space economy. Nel 2022, in una intervista su rivista di settore, il prof Paolo Tortora direttore del Centro Interdipartimentale di Ricerca Industriale (CIRI Aerospazio) anticipava: «Non è un mistero che si siano già tenuti alcuni incontri tra questi colossi (Leonardo, Telespazio e Thales Alenia Space) e l’assessore regionale allo Sviluppo economico Vincenzo Colla. Non ne conosciamo ancora gli sviluppi, ma una cosa possiamo affermare con certezza: in regione, è proprio Forlì l’unica città dotata di quell’ecosistema di competenze, infrastrutture e capitale umano tale da renderla, potenzialmente, una vera e propria ‘‘Houston italiana’’».

Così nel 2024 è nato il consorzio aerospaziale Anser, con una quindicina di aziende dual use, supportato da Regione, Confindustria e Università di Bologna. Infine il 20 ottobre scorso è stato lanciato il progetto ERIS, che avrà il suo quartier generale proprio a Forlì, dove sorgerà un laboratorio e un’unità produttiva, “per lo studio di tecnologie e la successiva industrializzazione di antenne da installare sui satelliti”. Le aziende coinvolte sono Thales Alenia Space Italia, joint venture tra Thales 67% e Leonardo 33% e sette aziende locali (Bercella, Curti, Poggipolini, NPC, Nautilus, Nes, Next Tech). Il progetto, il cui costo ammonta a circa 25-35 milioni di euro, è stato presentato al ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo d’Urso per ottenere contributi pubblici da fondi di sviluppo. All’incontro erano presenti anche il vicepresidente della Regione Vincenzo Colla (PD), il sindaco di Forlì Gianluca Zattini e l’assessora Paola Casara (centrodestra), uniti da un entusiasmo bipartisan.
In attesa dei fondi pubblici, il Comune di Forlì si è portato avanti con i lavori. Il 14 ottobre, con una delibera votata all’unanimità in consiglio comunale, ha ceduto un terreno di 8.408 mq al costo di 53 mila euro alla fondazione Mercury (ente creato pochi mesi prima per sviluppare l’hub aerospaziale, i cui soci fondatori sono la Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì e lo stesso Comune di Forlì). Il terreno in questione si trova nel quartiere Ronco, vicino all’aeroporto, nei pressi del campus universitario (dipartimento ingegneria aerospaziale), della sede Enav, e sul retro del CIRI. Quella che diventerà la cittadella aerospaziale, è ora una zona verde, ricca di siepi, arbusti e alcuni grandi alberi. Secondo i documenti del Comune, questa sarebbe destinata a “zona rurale di distacco e mitigazione degli impatti ambientali di infrastrutture e attività’’. Presto il consiglio comunale sarà nuovamente chiamato ad approvare la variazione della destinazione d’uso del terreno, rendendo il boschetto edificabile.
Alcuni consiglieri del PD, durante il Consiglio comunale del 14 ottobre avevano addirittura auspicato un ulteriore “sviluppo urbanistico” anche sui terreni circostanti, per attirare lavoratori con le loro famiglie e il sindaco ha convenuto che quei terreni erano già vincolati al futuro sviluppo della cittadella.
Leonardo e Thales in prima linea

«Altro cemento su una città colpita pesantemente dalle alluvioni di questi anni, e che sta continuando senza sosta l’impermeabilizzazione del territorio» commenta amaramente un’attivista di Forlì Città Aperta. I consiglieri sarebbero stati rassicurati sulla destinazione unicamente civile delle antenne. L’Indipendente ha chiesto al professore Paolo Tortora, responsabile del progetto, se può davvero garantire l’utilizzo unicamente civile delle tecnologie sviluppate, anche in futuro, visto l’ampio coinvolgimento bellico delle aziende proponenti. Ad oggi il professore non ci ha ancora risposto.
Ma vediamo chi sono e cosa fanno le aziende coinvolte. Thales Alenia Space nel suo sito istituzionale si vanta di essere «prime contractor per numerosi sistemi di telecomunicazioni militari al servizio delle forze armate». Tra i loro clienti, oltre all’esercito italiano, figurano le forze armate di Egitto, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Paesi che si sono macchiati di violazioni di diritti umani e che potrebbero usare queste tecnologie per reprimere e controllare dissidenti. Nella relazione ministeriale sui traffici di armi relativa all’anno 2024, Thales Alenia Space compare come fornitore di servizi satellitari militari anche per la NATO.

Se poi andiamo a vedere chi sono i soci di Thales Alenia Space, il quadro è ancora più preoccupante: oltre all’italiana Leonardo, recentemente denunciata in sede civile e penale per complicità in genocidio da numerose associazioni, c’è il gruppo francese Thales, undicesimo produttore di armi globale e quarto in Europa. Progetta e produce antenne, radar, sensori, sistemi di comando per missili, droni, jet militari e vanta di una collaborazione di primo piano con Elbit Systems, Iai e Rafael Advanced System, i fornitori principali dell’esercito israeliano. Thales fornisce anche servizi di riconoscimento facciale e gestione dei dati biometrici sia a Frontex sia ad Israele, per le operazioni di border control in Cisgiordania.
Le imprese locali partner del progetto non sono meno attive in ambito bellico. Curti, azienda di Castel Bolognese, fornitore di Leonardo nel settore Helicopters e Defence Systems Business Unit (militare terrestre e navale), esporta ogni anno pezzi di obici semoventi (PZH2000) alle aziende tedesche Krauss-Maffei Wegmann e Rheinmetall, che hanno a loro volta destinato questi semoventi in Ucraina. Dal novembre 2023 Curti sta studiando e realizzando per il Ministero della Difesa, nell’ambito del progetto AMUS, un sistema di navigazione per droni militari in contesti geografici impervi, mediante “satelliti di opportunità”. Il progetto, tuttora in corso, è prettamente militare ed è coperto da massima segretezza.
Altro partner di Eris è la NPC azienda di Imola, con una sede produttiva a Faenza, controllata al 40% da Ecor, al 40% da Curti, al 20% da Nabore Benini, (presidente della NPC e vicepresidente di Curti). Anche questa azienda sta lavorando a progetti militari nel campo delle antenne satellitari: nel 2022 insieme a U-Avitalia Srl, all’Università di Roma Tor Vergata e all’Università di Roma La Sapienza si è aggiudicata un bando triennale nell’ambito del Piano Nazionale della Ricerca Militare, per la progettazione di nanosatelliti a uso militare (IDRA), utilizzati come disturbatori delle comunicazioni di un nemico.
Nell’ambito dell’accordo di cooperazione tra Italia e Israele (maggio 2021) NPC ha vinto insieme a Elbit Systems Ltd un finanziamento per un progetto segreto (HTCNS). Del progetto si conosce solo l’acronimo e nessun altro dettaglio. Intanto a marzo 2023 NPC e la veneta Vector Robotics Srl lanciano nel mercato un drone spia “per missioni di sorveglianza, controllo e intelligence”, chiamato “Guardian”. Nel 2024 si aggiudicano una fornitura dello stesso all’esercito italiano.

Poggipolini, altro partner di Eris, azienda di San Lazzaro (Bologna) specializzata in sistemi di fissaggio e di componenti meccaniche in titanio, dal 2010 ha quasi del tutto abbandonato la Formula 1 e si è lanciata nel business aerospazio e difesa, diventando fornitore di Leonardo Helicopters, Boeing, Airbus. Nel 2022 ha acquisito Aviomec (Mornago, Varese) e nel 2024 la Houston Precision Fasteners (Houston, Texas) diventando fornitore di giganti mondiali del calibro di Lockheed Martin, Bombardier Aerospace, Northrop Grumman. Esporta il 75% di ciò che produce, per lo più nel settore bellico. Poggipolini fa parte della supply chain per la realizzazione dei caccia F35 (progetto JSF) che possono trasportare bombe atomiche e che sono in uso anche all’esercito israeliano.
Poi c’è Bercella, azienda di Varano de’ Melegari (Parma), che esporta componenti per missili MBDA (il consorzio europeo di Leonardo, Airbus, Bae) e nel 2024 ha ottenuto autorizzazioni all’export verso la Francia di “opercoli” (punta del missile e tecnologie guida) per un valore di oltre 3 milioni di euro. Come dimostrano le inchieste giornalistiche del Guardian, il gruppo MBDA ha fornito componenti chiave per le bombe Gbu-39, impiegate da Israele nello sterminio a Gaza. Oltre alla punta dei missili, l’azienda è specializzata anche nella costruzione di antenne e radome (cupole protettive) in ambito militare e civile. Infine ci sono la NES di Bologna, la Tex Tech di Reggio Emilia e la Nautilus, quest’ultima co-fondata dal prof Paolo Tortora.
Le associazioni e i collettivi forlivesi sono pronti a mobilitarsi. «Non possiamo accettare un polo di Leonardo e Thales, aziende complici di crimini contro l’umanità, nel nostro territorio, non possiamo accettare aziende che sfrutteranno le invenzioni universitarie anche per scopi militari» ribadiscono gli attivisti del Collettivo Samara. «Crediamo nella mobilitazione popolare, dal basso, autorganizzata, per questo invitiamo studenti e studentesse, antimilitariste e antimilitaristi, il mondo del lavoro e tutte le persone che non vogliono restare in silenzio, ad opporsi al progetto». Il 28 novembre alle 9 si terrà una manifestazione di protesta, a partire da piazza della Vittoria a Forlì.









