Nella serata di ieri, il gruppo palestinese di resistenza Hamas ha annunciato di aver accettato in parte la proposta del presidente statunitense Donald Trump di cessare le ostilità, impegnandosi a consegnare i prigionieri rimasti nella Striscia, tanto quelli vivi quanto quelli morti. Il movimento ha poi ribadito il proprio impegno a trasferire l’amministrazione della Striscia a un governo tecnico palestinese, basato sul consenso nazionale palestinese e con l’appoggio del mondo islamico. Per quanto riguarda il resto delle richieste del presidente Trump, il gruppo ha riferito che dovranno essere discusse nell’ambito di un più ampio quadro palestinese unificato del quale Hamas rappresenta solamente una parte. Trump ha immediatamente accolto la risposta del gruppo come positiva, dichiarando che Hamas sarebbe pronto a una «pace duratura» e intimando Israele di fermare ogni attacco contro la Striscia. I bombardamenti, tuttavia, sono proseguiti per tutta la notte.
Nella risposta, pubblicata dai media palestinesi vicini al gruppo, Hamas scrive che «in linea con il raggiungimento di un cessate il fuoco completo e il ritiro totale della Striscia di Gaza, Hamas annuncia la sua approvazione al rilascio di tutti i prigionieri israeliani, sia vivi che morti, nell’ambito dello scambio delineato nella proposta del presidente Trump, a condizione che siano garantite le condizioni necessarie sul campo per lo scambio. Hamas afferma la sua disponibilità ad avviare, attraverso i mediatori, negoziati immediati per discutere i dettagli di questo processo. Il movimento ribadisce inoltre il proprio accordo sul trasferimento dell’amministrazione della Striscia di Gaza a un’autorità palestinese composta da indipendenti(tecnocrati), basata sul consenso nazionale e sostenuta dal mondo arabo e islamico. Per quanto riguarda altre questioni contenute nella proposta del presidente Trump relative al futuro di Gaza e ai diritti inalienabili del popolo palestinese, queste sono legate a una posizione nazionale palestinese unitaria, fondata sulle leggi e sulle risoluzioni nazionali pertinenti, e saranno discusse nell’ambito di un quadro nazionale globale al quale Hamas parteciperà attivamente e responsabilmente».
«Questo è un grande giorno», ha commentato Trump in un videomessaggio diffuso dopo la risposta di Hamas, «probabilmente, per molti versi, uno senza precedenti». Il presidente ha ringraziato Egitto, Qatar e il resto degli Stati arabi che hanno contribuito ai negoziati, dichiarando che «siamo molto vicini a raggiungere la pace in Medioriente». Trump ha poi proceduto a intimare a Israele di «smettere immediatamente di bombardare Gaza», in modo da poter far evacuare gli ostaggi in maniera «rapida e sicura». «Al momento è troppo pericoloso farlo» riferisce Trump. Secondo alcuni media, che citano dichiarazioni di funzionari israeliani, la richiesta avrebbe «colto di sorpresa» il primo ministro israeliano Netanyahu, il quale avrebbe voluto lavorare a una risposta congiunta tra il proprio gabinetto e il governo americano in modo che le dichiarazioni di Hamas fossero interpretate come un rifiuto di giungere a un cessate il fuoco. Secondo quanto riportato da quotidiani palestinesi, nonostante la richiesta del presidente statunitense, gli attacchi israeliani non si sono fermati, con 21 persone massacrate nel corso di un unico attacco condotto questa mattina nel quartiere di Al Tuffah, zona est di Gaza City, e altre 15 ancora intrappolate sotto le macerie dei palazzi. I bombardamenti intensi non si sono fermati per tutta la notte, secondo quanto riferito dalla Difesa Civile di Gaza, anche se al momento, dichiarano media israeliani, l’esercito avrebbe ricevuto ordine di effettuare solamente «operazioni difensive».
Il piano di Trump per Gaza, presentato questa settimana, ruota sugli stessi punti chiave avanzati negli scorsi mesi: il cessate il fuoco e la completa smilitarizzazione della Striscia, oltre al rilascio completo di tutti gli ostaggi, la riapertura dei corridoi umanitari e l’istituzione di un organo di monitoraggio esterno, presieduto da Trump con il supporto dell’ex leader britannico Tony Blair. Questo si occuperebbe della supervisione del processo di disarmo, lasciando la gestione della Striscia a un «gruppo civile palestinese pacifico» e quella della sicurezza a Israele. Di fatto, Hamas ha apertamente accettato solamente due di questi punti, lasciando la discussione aperta sul resto delle richieste.
Nuovo stop ai voli all’aeroporto di Monaco il 4 ottobre 2025 per il rilevamento di due droni, con traffico aereo sospeso per la seconda notte consecutiva. Le operazioni sono riprese dalle 7 con un graduale aumento, ma la direzione dello scalo ha avvertito di ritardi e cancellazioni per tutta la giornata, invitando i passeggeri a consultare le compagnie aeree. Secondo i dati ufficiali, circa 6.500 viaggiatori sono stati coinvolti e molti hanno trascorso la notte nello scalo. Intanto, in Belgio, 15 droni sono stati segnalati presso la base militare di Elsenborn, dove è stata aperta un’inchiesta.
Un tribunale armeno ha condannato un arcivescovo a due anni di carcere accusandolo di avere incitato a un cambio di governo. L’arresto dell’arcivescovo Mikael Ajapahyan avviene sulla scia di un duro scontro tra il governo armeno di Nikol Pashinyan e la chiesa armena, accusata di tramare un colpo di Stato. Oltre ad Ajapahyan, figurano al momento in carcere diversi altri esponenti del clero tra cui un altro arcivescovo, Bagrat Galstanyan, che ha guidato le proteste di piazza contro Pashinyan lo scorso anno; Galstanyan si trova in questo momento sotto custodia cautelare e deve rispondere di accuse penali.
Continua la protesta dei cittadini francesi contro le politiche di austerità, dopo gli scioperi e le mobilitazioni che si erano già svolti il mese scorso con il movimento “Bloquons tout” (“Blocchiamo tutto”), in seguito alla caduta del governo di François Bayrou. Ieri migliaia di manifestanti sono scesi in piazza in oltre 200 città per esprimere il proprio dissenso contro i tagli alla spesa pubblica, per chiedere l’annullamento dell’innalzamento dell’età pensionabile e un aumento delle tasse sui redditi più alti. Secondo la CGT (Confederazione generale dei sindacati), hanno preso parte alle proteste circa 600.000 persone, mentre secondo il ministero dell’Interno, fino a mezzogiorno circa 85.000 persone avevano protestato in tutto il Paese, segnando un calo di oltre la metà rispetto alla partecipazione agli scioperi di settembre. «Dobbiamo porre fine una volta per tutte a tutti i sacrifici richiesti ai lavoratori e indicati nella proposta di bilancio», ha dichiarato a BFM TV Sophie Binet, segretaria generale della CGT.
Secondo il sindacato CGT, si sono svolte proteste in più di 240 località in tutta la Francia, tra cui Digione, Metz, Poitiers e Montpellier. Il ministro dell’Interno Bruno Retailleau ha dispiegato 76.000 agenti, di cui cinquemila a Parigi, avvertendo che «non saranno tollerati eccessi» e che i facinorosi saranno «immediatamente consegnati alla giustizia». A Bordeaux e Montpellier gli studenti hanno bloccato alcuni licei, mentre in alcune fabbriche si sono verificati scioperi: a Valenciennes i manifestanti hanno impedito l’accesso allo stabilimento Stellantis, mentre azioni di protesta hanno colpito anche Michelin e Thales. Anche la Tour Eiffel, monumento simbolo di Parigi, è rimasta chiusa, in quanto la società di gestione Sete ha votato a larga maggioranza per l’adesione allo sciopero.
Da parte sua, Sebastien Lecornu, quinto primo ministro di Macron in due anni, ha promesso un bilancio che garantisca maggiore «equità fiscale». Per ora restano però escluse alcune richieste chiave dei sindacati come una tassa sui grandi patrimoni e l’annullamento dell’innalzamento dell’età pensionabile. Proprio oggi Lecornu ha annunciato che non avrebbe usato l’articolo 49.3 della Costituzione per approvare il bilancio. Tale articolo consente la votazione di un testo senza votazione, ossia senza dibattito parlamentare ed è stato utilizzato per approvare tutti i bilanci dalla rielezione di Emmanuel Macron nel 2022. Poiché la base comune (blocco di destra e centro) non dispone della maggioranza nell’Assemblea, questa decisione del Primo Ministro aumenta di fatto il potere del Parlamento, secondo quanto riferito dal giornale francese Le Figaro.
Il nuovo governo francese si ritrova a dover affrontare, da una parte, il malcontento dei cittadini che chiedono la fine dell’austerità e, dall’altra, un Parlamento che concorda sulla necessità di ridurre il deficit di bilancio, ma non su come farlo. Nel 2024 il deficit di bilancio francese ha raggiunto il 5,8% del Pil (Prodotto interno lordo), vale a dire quasi il doppio del limite del 3% previsto dai parametri di Maastricht. Ciò significa che i francesi non si stanno ribellando solo contro i primi ministri del presidente Emmanuel Macron, ma contro gli stessi parametri europei e la sua impalcatura economico improntata all’austerità che non ha fatto altro che aumentare la povertà nelle nazioni europee.
Lo scorso 8 settembre, l’ex primo ministro François Bayrou, è stato sfiduciato dal parlamento proprio a causa del suo piano di bilancio lacrime e sangue, pensato per fare risparmiare alle casse statali quasi 44 miliardi di euro. È proprio l’austerità di Bayrou che ha innescato le ampie proteste verificatesi a settembre e che stanno proseguendo anche questo mese. La crisi in cui versa la politica francese evidenzia la distanza presente tra i vari governi che si sono succeduti negli ultimi anni durante “l’era Macron” e la popolazione, ma anche la profonda debolezza che attraversa la democrazia francese, in particolare, e in generale buona parte delle cosiddette democrazie liberali, subordinate ai poteri finanziari e ai diktat delle istituzioni comunitarie europee e, di conseguenza, incapaci di dare risposte concrete alle esigenze dei cittadini.
I militanti dell’organizzazione islamista Boko Haram hanno conquistato la città di Kirawa, nello Stato nigeriano del Borno, causando lo sfollamento di oltre 5.000 persone. Da quanto comunicano fonti locali, i miliziani avrebbero attaccato una caserma militare e palazzi politici e incendiato diverse abitazioni. I cittadini sfollati stanno fuggendo verso il Camerun. Lo Stato nigeriano del Borno è da tempo teatro di scontri tra i miliziani di Boko Haram e le forze regolari. Nell’ultimo anno, il gruppo ha lanciato sempre più incursioni, invadendo basi militari e comunità locali.
«Israeli Colony in Salento» è il nome di un progetto ideato dall’imprenditrice israeliana Orit Lev Marom, che starebbe cercando di mettere in atto attraverso la società immobiliare Coral 37, fondata appositamente «per aiutare gli investitori ad acquisire immobili di prim’ordine nella regione del Salento». Il progetto è descritto come «una visione per una comunità agricola e turistica autosufficiente dove le famiglie israeliane possono stabilire case, coltivare il proprio cibo e sviluppare strutture educative e sanitarie condivise». Insomma, la donna israeliana sarebbe promotrice di una vera e propria colonizzazione basata sull’acquisto di grandi appezzamenti di terreno con casolari e altri edifici.
Non molto tempo fa vi abbiamo raccontato del malessere che si sta diffondendo a Cipro per il grande aumento del numero degli israeliani che si stabiliscono sull’isola costruendo comunità chiuse e socialmente indipendenti con scuole, supermercati kosher e sinagoghe; il tutto mentre salgono continuamente le tensioni nella regione tra Israele e Turchia. A quanto pare il rischio di un simile fenomeno potrebbe ripetersi anche in Italia, precisamente in Salento, Puglia. Orit Lev Marom, imprenditrice israeliana che ammanta un passato lavorativo tra Cipro, Grecia, Portogallo, Spagna, Germania, Inghilterra e Stati Uniti, per tramite della società da lei co-fondata, Coral 37, sta promuovendo un progetto che sul sito è riportato alla voce «Pensiero visionario e progetti innovativi» e che prende il nome di «Israeli Colony in Salento». Tale progetto è definito«una visione per una comunità agricola e turistica autosufficiente dove le famiglie israeliane possono stabilire case, coltivare il proprio cibo e sviluppare strutture educative e sanitarie condivise». In altre parole una comunità chiusa, autonoma e autosufficiente, di cittadini israeliani su suolo italiano.
L’opportunità è ghiotta, come spiega l’imprenditrice israeliana sul sito di Coral 37: confrontati con quelli di molte altre mete in Occidente, o in Italia stessa, i prezzi salentini sono decisamente inferiori alla media, con possibilità di grande sviluppo economico. Una proprietà che propone l’imprenditrice, a pochi chilometri dal mare, è grande 84 ettari con opere murarie di 300 mq che possono essere aumentate fino 1.350 mq, anche suddivise in più edifici abitativi. Non viene riportato il costo dell’eventuale operazione di acquisto. Il Salento, come gran parte del Sud Italia, è una terra martoriata da decenni di politiche fallimentari; in più, subisce ancora le pesanti conseguenze della devastazione ecologica del caso Xylella e l’abbattimento di migliaia di olivi secolari. Tutto questo fa si che il valore dei terreni e degli edifici rimanga basso, lasciando questa regione esposta a progetti speculativi o, addirittura, come in questo caso, di colonizzazione.
Lev Marom dice di aver cambiato lavoro nel 2005 quando da insegnante di educazione speciale è passata nel settore dell’edilizia per essere, poco dopo, nominata CEO di Y. Yitzhakov Construction, ditta di costruzione israeliana con sede non lontano da Gerusalemme. Da quel momento sarebbe iniziata la sua avventura ventennale nel settore immobiliare in diversi Paesi. Poi due anni fa l’arrivo in Salento e l’innamoramento di una terra che dice di sentire familiare. E così l’idea colonizzatrice. Non appena la questione della colonia israeliana nel Salento è diventata nota, tutte le pagine sono state cancellate. Difficile al momento stabilire fino a che punto tale progetto sia attendibile e se ci sia qualcun altro che lavora con Lev Marom, come suggerirebbe il sito, il quale presenta l’imprenditrice israeliana come co-fondatrice di Coral 47.
Senz’altro una vicenda singolare che merita attenzione futura e monitoraggio. I cittadini del Salento, ma non solo, sono avvisati.
Dall’inizio dell’anno, l’Ente Nazionale di Protezione Animali ha seguito 3.441 procedimenti per abbandono, uccisione, traffico di cuccioli, combattimenti, corse clandestine e bracconaggio. Lo registra l’edizione 2025 del report di Enpa. Gli animali sequestrati e presi in carico sono stati 764, spesso ridotti pelle e ossa, feriti, picchiati o lasciati a morire di stenti. Lanciando la Giornata degli Animali di domani e dopodomani, 4 e 5 ottobre, la presidente Carla Rocchi ha denunciato il maltrattamento come crimine diffuso e invitato ogni cittadino a contribuire con segnalazioni tempestive.
Le coste italiane non stanno venendo risparmiate dalle manifestazioni. Uno degli obiettivi principali della manifestazione sono infatti i porti, e in generale i centri logistici, considerati il centro nevralgico del commercio con lo Stato di Israele. Nei mesi, i porti sono finiti al centro dell’attenzione per il transito di navi accusate di trasportare armi verso Israele. Nella giornata di oggi, sono stati bloccati i porti di Genova, Livorno, Salerno e Trieste, mentre in serata i manifestanti hanno bloccato l’hub logistico di Pioltello, alle porte di Milano. Invaso anche il terminal intermodale dell’interporto di Padova.
Ore 17.10 – CGIL: 2 milioni di persone
Arriva un primo bilancio delle partecipazioni di oggi. La CGIL ha rilasciato una nota in cui sostiene che oggi sarebbero scese in piazza 2 milioni di persone in tutta Italia in oltre 100 città, di cui 300.000 solo a Roma. “Secondo i dati pervenuti finora”, si legge nella nota, “l’adesione media nazionale allo sciopero generale si attesta intorno al 60%”.
Ore 16.57 – Trump dà un ultimatum ad Hamas
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha pubblicato un post sulla propria piattaforma social Truth in cui dà un ultimatum ad Hamas per accettare il proprio piano di pace. Trump ha detto che Hamas ha tempo fino alle 18 di domenica (le 12 italiane) per fornire la propria risposta, altrimenti “tutto l’inferno, come mai nessuno lo ha visto prima, sarà scatenato contro Hamas”.
La situazione a Gaza, intanto, si aggrava. Le aggressioni su Gaza City si stanno intensificando, e dall’alba di oggi Israele ha ucciso almeno 31 persone nella sola capitale. In totale, nella Striscia le IDF hanno ucciso almeno 49 persone.
Ore 16.35 – Padova: due persone fermate
Due persone sono state fermate di rientro al blocco dell’interporto di Padova e sono state portate in questura. I gruppi di attivisti stanno formando un presidio sotto la questura per chiederne il rilascio.
Ore 16.19 – Il punto della situazione: strade e stazioni
Tra i punti più colpiti, vi sono autostrade e tangenziali, centrali nel traffico delle merci. Oggi, circa 150mila manifestanti hanno invaso la tangenziale di Milano salendo dall’uscita di Lambrate, per poi dividersi in due blocchi: uno ha continuato in direzione Cascina Gobba, l’altro è tornato verso il centro. Anche a Brescia, Modena e Trento è stata bloccata la tangenziale. A Bologna i manifestanti hanno prima occupato la tangenziale e poi invaso l’autostrada. L’autostrada è stata bloccata anche a Pisa, dove i manifestanti sono poi riusciti a invadere l’aeroporto, bloccando i voli. A Venezia, invece, i manifestanti hanno occupato il Ponte della Libertà, che connette l’isola principale con la terraferma. Come le strade le stazioni: oggi i manifestanti hanno occupato i binari a Firenze, Genova, Massa e Treviso.
Ore 15.55 – Pisa: i manifestanti invadono l’aeroporto
Dopo avere percorso l’autostrada, i manifestanti del corteo pisano hanno raggiunto l’aeroporto Galileo Galilei. Qui sono riusciti a forzare il blocco delle forze dell’ordine e a invadere la pista e i piazzali dove si trovano gli aerei, sfilando con tamburi e bandiere I voli sono stati momentaneamente sospesi. Le prese di stazioni del trasporto pubblico continuano in tutta Italia. A Genova nel frattempo è stata occupata la stazione di Principe
Ore 15.34 – Flotilla: 4 italiani attivisti italiani sono stati rimpatriati
Il ministero degli Esteri israeliano ha rilasciato un post sul social X, ex Twitter, in cui annuncia che le operazioni per i rimpatri degli attivisti sono in corso, aggiungendo che 4 cittadini italiani sono già stati rimandati in patria.
Procedures are under way to wrap up the Hamas-Sumud provocation and to finalize the deportation of the participants in this sham.
Already 4 Italian citizens have been deported. The rest are in the process of being deported. Israel is keen to end this procedure as quickly as… pic.twitter.com/LeM1R25jTP
Ore 15.24 – Torino: i manifestanti vanno verso Leonardo
A Torino i manifestanti si sono diretti verso la sede di Leonardo, dove le forze dell’ordine hanno reindirizzando decine di camionette. Sulla via per lo stabilimento, le forze dell’ordine hanno lanciato lacrimogeni sui dimostranti, facendo disperdere parte del corteo. Altri, tuttavia, sono andati avanti compatti, e pare che siano riusciti a sfondare un cancello.
Leonardo è la principale azienda bellica italiana, tra le prime a finire sotto la lente delle manifestazioni per la Palestina a causa dei suoi rapporti con lo Stato di Israele. La multinazionale è infatti attiva in diversi progetti di scambio con lo Stato ebraico, uno dei quali rinnovato lo scorso aprile dal governo, ed è proprietaria di aziende di tecnologia bellica israeliana quali Rada Systems.
Ore 15.10 – Milano e Bologna: lacrimogeni sui manifestanti
I manifestanti di Milano si sono divisi a metà: un blocco è tornato verso il centro, mentre un altro ha proseguito sulla tangenziale in direzione Cascina Gobba ed è stato attaccato dalle forze dell’ordine con i lacrimogeni. In questo momento, tutte le uscite della tangenziale est della città sono state bloccate o risultano congestionate. Analoga situazione anche a Bologna, dove i manifestanti, dopo avere invaso la tangenziale hanno imboccato l’autostrada. Anche qui, come a Milano, il corteo è stato attaccato con le forze dell’ordine con i lacrimogeni.
Ore 14.59 – Il punto della situazione: il numero di partecipanti
L’estensione delle manifestazioni è vastissima. In generale, tutte le piazze stanno raccogliendo sull’ordine delle migliaia e delle decine di migliaia di persone. Complessivamente tra le sole Roma, Milano, Bologna e Torino, le prime stime parlano di un totale di un numero di persone tra le 600 e le 700mila. Tra Brescia, Firenze, Padova, Palermo, Treviso e Venezia si sarebbero invece radunate almeno 200mila persone. Contando anche i centri minori, il numero di manifestanti dovrebbe contare oltre un milione di partecipanti. Lo sciopero è infatti arrivato anche in centri che non si è soliti vedere associati alle manifestazioni. In queste ore sono state organizzate piazze anche ad Aosta, Cesena, Cosenza, Forlì, Massa, Modena e Pescara.
Ore 14.35 – Trieste, bloccati i varchi portuali
Il corteo triestino ha bloccato il Varco 4 del porto cittadino; una parte dei manifestanti si sono poi staccati dal presidio davanti, dirigendosi verso il Varco 1 e bloccando anche quello.
Ore 14.29 – Bologna e Trento: bloccata la tangenziale
Anche a Bologna i manifestanti hanno bloccato la tangenziale con una partecipazione stimata di circa 100.000 persone. La tangenziale è stata invasa anche a Trento.
Bologna bloccano la tangenziale – Foto del collettivo Chrono.
Ore 14.25 – Salerno, scontri al porto
A Salerno la manifestazione ha interessato la zona del porto, dove i manifestanti hanno cercato di forzare il bocco delle forze dell’ordine sul varco di Ponente. Ci sono stati scontri e cariche della polizia.
Ore 14.19 – Milano, il corteo invade la tangenziale
Il corteo di manifestanti a Milano è salito in tangenziale e ora si trova all’altezza dell’uscita di Lambrate. Secondo delle stime provvisorie, i partecipanti alla manifestazione meneghina sarebbero oltre 150.000.
I manifestanti sulla tangenziale a Milano.
Ore 13.54 – Torino, corteo verso le OGR, polizia lancia lacrimogeni
A Torino, il corteo di manifestanti si è diretto alle Officine Grandi Riparazioni per contestare la “Tech Week”, alla presenza di Ursula von der Leyen e Jeff Bezos, attraverso l’area che ospita campus e incubatori del Politecnico. I manifestanti hanno tentato di sfondare il blocco delle forze dell’ordine e lanciato fumogeni, ricevendo in risposta lacrimogeni. Un centinaio di persone si è staccato dal corteo principale cercando di superare la recinzione per raggiungere il Politecnico, ma le cariche di alleggerimento della polizia hanno disperso i dimostranti, che hanno iniziato a defluire.
Ore 13:24 – Padova, scontri a distanza tra attivisti e polizia
Momenti di tensione a Padova, dove sono in atto scontri a distanza tra manifestanti e forze dell’ordine. Gli attivisti hanno lanciato oggetti e fumogeni, i poliziotti hanno usato gli idranti e lacrimogeni contro la folla. Il corteo è indietreggiato e ora la distanza tra i due schieramenti è di meno di cento metri.
Ore 12:55 – Catania, occupata la stazione ferroviaria
A Catania, un cordone di persone si è staccato dal corteo principale ed è arrivato alla stazione allo scopo di occupare i binari. Nonostante il tentativo della polizia di impedire l’azione, dopo un breve scontro con le forze dell’ordine i manifestanti sono riusciti a invadere i binari, che sono attualmente occupati. Nel frattempo, sono state occupate anche tutte le strade adiacenti e il traffico è bloccato.
Ore 12:38 – Adesioni allo sciopero italiano anche a Madrid, Barcellona e Lisbona
Ad aderire allo sciopero generale per Gaza e in sostegno alla Flotilla è anche il personale di alcune istituzioni italiane all’estero. Le adesioni provengono da lavoratori e lavoratrici delle sedi di Madrid, Barcellona e Lisbona e sono coinvolti dipendenti dell’Ambasciata e dell’Istituto Italiano di Cultura di Madrid, della Scuola Statale Italiana, del Consolato Generale di Barcellona, oltre che dell’Ambasciata e dell’Istituto Italiano di Cultura di Lisbona.
Ore 12:06 – A Bologna scioperano anche i carcerati
Un particolare che rende l’idea di come lo sciopero odierno stia mobilitando ampie fasce della popolazione anche al di fuori dei lavoratori delle categorie solitamente interessate dalle proteste sindacali. Dal carcere della Dozza, Bologna, ci arriva l’immagine del volantino con il quale i detenuti che godono del permesso di lavoro come dipendenti della società Fare impresa in Dozza (FID) annunciano l’intenzione di rimanere in cella per protestare contro il genocidio in Palestina e il blocco della Global Sumud Flotilla: «Per noi lavorare è un atto di libertà. Nonostante ciò, rinunciamo a un giorno di libertà e al nostro stipendio», hanno scritto i carcerati.
Ore 11.52 – Proseguono le occupazioni di scuole e università
Continuano le occupazioni di scuole e università in tutto il Paese. Dopo le occupazioni della Facoltà di Lettere e del Rettorato, anche la Scuola Normale Superiore di Pisa è stata occupata dal movimento studentesco. Alta tensione anche a Roma, dove gli studenti di Cambiare Rotta hanno bloccato gli ingressi della facoltà di Lettere della Sapienza. Da ieri sono occupate anche la Statale di Milano e l’università di Torino.
Ore 11:25 – Oltre cento piazze mobilitate per lo sciopero, in decine di migliaia in corteo in tutta Italia
Oltre cento piazze in tutta Italia si stanno mobilitando da stamane per lo sciopero promosso dai sindacati in solidarietà al popolo palestinese e ai membri della Global Sumud Flotilla. Un’ondata di persone è scesa per le strade delle rispettive città, dalla Val d’Aosta fino alla Sicilia. A Milano, decine di migliaia di manifestanti sono partiti da Porta Venezia. A Roma, gli organizzatori puntano a sfondare le 100mila unità. A Palermo, sono circa 30mila le persone attualmente riunite in corteo, mentre a Napoli se ne contano oltre 15mila.
Lo sciopero generale a BolognaLo sciopero generale all’Aquila in AbruzzoLo sciopero generale a TorinoLo sciopero generale a PalermoLo sciopero generale a RomaLo sciopero generale a NapoliLo sciopero generale a Milano
Ore 10:46 – Venezia paralizzata dallo sciopero e dal corteo per Gaza
A Venezia lo sciopero indetto da Cgil e Cobas, unito alle manifestazioni a sostegno di Gaza e della Flotilla, ha paralizzato i collegamenti da e per il centro storico. Il corteo, partito da Campo Santa Margherita, è diretto a piazzale Roma, stamani completamente deserto. Alcuni attivisti sono saliti sul tetto del Garage comunale, esponendo uno striscione con la scritta “Free Gaza”. Gravi i disagi anche sul fronte ferroviario: dalle 10 sono state registrate cancellazioni della quasi totalità dei treni sia alla stazione di Venezia Santa Lucia sia a quella di Mestre.
Ore 10:30 – Salvini: “Landini paghi per lo sciopero, è illegittimo”
Il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, ospite a Mattino Cinque, ha definito l’odierno sciopero «illegittimo non perché non lo vuole Salvini, ma perché la Commissione tecnica di garanzia lo ha dichiarato tale», affermando che «chi oggi sciopera sa che va contro la legge e rischia sanzioni sia a livello personale che come organizzazioni sindacali». Il leader della Lega ha poi aggiunto: «Lo organizza Landini? Lo paghi Landini». Quanto alla scelta di non precettare lo sciopero, Salvini ha spiegato di averlo fatto «per dare una chance, un segnale di dialogo in un momento delicato e provare ad abbassare i toni e chiedere il rispetto del lavoro.
Ore 10:10 – Torino, bloccato centro distribuzione Amazon di Brandizzo, corteo verso le OGR
A Brandizzo, nel Torinese, attivisti pro Palestina e il sindacato Si Cobas hanno bloccato il centro di distribuzione Amazon, impedendo dalle 7.30 l’uscita dei furgoni destinati alle consegne. Nelle Officine grandi riparazioni, in occasione dell’Italian Tech Week, è previsto il talk con Jeff Bezos, fondatore di Amazon, con John Elkann e la presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen. Le OGR, presidiate dalle forze dell’ordine, sono obiettivo del corteo dei manifestati torinesi.
Ore 9:55 – Caos treni: ritardi e cancellazioni da Nord a Sud
Lo sciopero generale sta causato gravi disagi al trasporto pubblico in tutta Italia. A Napoli la Stazione Centrale registra ritardi e cancellazioni, la linea 1 della metro è ferma, bus e tram operano a servizio ridotto e molti treni Eav sono soppressi. A Milano Centrale i ritardi vanno da 20 minuti a oltre 5 ore, mentre a Garibaldi e Rogoredo si registrano cancellazioni e ritardi fino a tre ore. Anche a Roma Termini numerosi treni sono stati cancellati o ritardati fino a 80 minuti. Disagi previsti fino alle 21.
Ore 9:41 – Bloccato l’hub logistico ferroviario di Pioltello
I lavoratori e le lavoratrici in sciopero stanno bloccando Logtainer, l’hub logistico ferroviario di Pioltello (Milano), definito dai Giovani palestinesi Milano che si sono uniti alla protesta «uno dei principali snodi della logistica di guerra del nord Italia». Il polo, alle porte di Milano e collegato ai porti di Genova, La Spezia e Livorno, è infatti strategico per il transito di merci legate alla filiera bellica e commerciale dirette a Israele. Logtainer movimenta carichi per conto di Maersk, oggetto di una campagna di boicottaggio per il trasporto di armi verso Israele.
Ore 9:28 – Bloccato l’accesso al porto di Livorno
Dalle 6 del mattino un presidio di manifestanti pro-Pal, sostenuti da USB, ha bloccato completamente il traffico commerciale nella zona nord del porto di Livorno. L’azione, svolta davanti al varco Zara, ha causato lunghe code di Tir e mezzi pesanti intrappolati tra ponte Genova e via Leonardo da Vinci, paralizzando anche l’accesso dei passeggeri ai traghetti. I manifestanti hanno invaso le carreggiate, posizionato transenne e acceso fuochi per impedire il transito. La protesta ha generato tensioni, con camionisti e automobilisti bloccati che lamentano l’impossibilità di circolare in quell’area della città.
Ore 8:40 – I settori interessati
Lo sciopero del personale ferroviario è fino alle ore 21:00, garantiti alcuni treni a lunga percorrenza e quelli pendolari fino alle ore 9 e dalle 18 alle 21. Il trasporto pubblico locale – autobus, tram, metropolitane – sarà interessato dallo sciopero per tutta la giornata, fatte salve le fasce orarie di garanzia stabilite a livello locale.
Il trasporto aereo sciopera da mezzanotte e un minuto alle 24 nel rispetto delle fasce di garanzia dalle ore 7 alle ore 10 e dalle ore 18 alle ore 21 del personale di volo delle compagnie ad eccezione del personale comandato per i voli garantiti.
Lo sciopero riguarda tutti i settori, quindi possono esserci disservizi e disagi anche nella sanità (pur con le ampie garanzie di prosecuzione del lavoro che sono garantite in questo settore) e in ogni settore lavorativo pubblico e privato.
Ore 8:00
Nonostante il tentativo di sospensione da parte della Commissione di garanzia, che ieri aveva dichiarato illegittimo lo sciopero perché annunciato senza il necessario preavviso, i sindacati USB e CGIL hanno confermato l’astensione dal lavoro e le proteste per la giornata di oggi, 3 ottobre. Lo sciopero è stato indetto di urgenza dopo il blocco della Global Sumud Flotilla da parte di Israele.
Il sindacato di base USB ha chiamato «ogni lavoratore e lavoratrice, ogni cittadino e cittadina, ogni organizzazione democratica e solidale a bloccare tutto: produzione, logistica, trasporti, scuola, servizi, in segno di protesta contro il crimine di guerra commesso da Israele e contro la complicità dei governi occidentali, Italia compresa, che continuano a fornire armi e sostegno politico al regime sionista. Difendere la Global Sumud Flotilla significa difendere la libertà, la pace, la dignità del lavoro e dei popoli».
Il sindacato ha anche chiarato che nessun lavoratore rischia sanzioni o le «conseguenze» minacciate dal ministro Salvini. La legge sugli scioperi infatti prevede che in caso di sciopero illegittimo a rischiare sanzioni sia l’organizzazione sindacale, non i singoli lavoratori.
Il vertice informale di Copenaghen, pensato per rilanciare la coesione europea sul fronte della guerra in Ucraina, ha finito per mostrare una nuova serie di fratture interne. Se da un lato la maggioranza dei leader dei Ventisette ha ribadito l’appoggio incondizionato a Kiev, dall’altro le divergenze su temi cruciali restano profonde. La costruzione di un cosiddetto “muro anti-droni” ai confini orientali dell’Unione ha spaccato i governi: alcuni, come la Polonia e gli Stati baltici, spingono per un sistema coordinato di difesa aerea sul modello israeliano, finanziato con fondi comunitari; altri, più cauti, temono i costi e le implicazioni di una militarizzazione permanente delle frontiere. Ad alimentare il clima di tensione è intervenuto il Segretario generale della Nato Mark Rutte, dichiarando che «Siamo tutti in pericolo, i più avanzati missili russi potrebbero colpire Roma, Amsterdam o Londra a cinque volte la velocità del suono». La stessa questione dell’adesione dell’Ucraina all’Unione è esplosa con forza: il premier ungherese Viktor Orbán ha confermato il suo no netto, proponendo al massimo un accordo strategico che non comporti l’ingresso di Kiev come Stato membro a pieno titolo. Secondo l’articolo 49 del Trattato sull’Unione europea, ogni nuova adesione richiede l’approvazione unanime di tutti i membri. Secondo Orbán, la direzione intrapresa dai Ventisette è dannosa per l’Ungheria e per l’intera Unione europea e ha annunciato che il suo partito di governo lancerà una petizione contro quelli che ha definito «i piani di guerra dell’UE». Una posizione che mette in discussione l’immagine di unità che Bruxelles tenta di proiettare, mostrando al contrario un’Europa frammentata e incapace di parlare con una sola voce.
Il vertice ha rilanciato l’idea di un nuovo pacchetto di sostegno economico e militare, compreso il prestito da 50 miliardi da finanziare anche con gli asset russi congelati, misura che resta fortemente controversa sia sul piano giuridico sia politico. La risposta di Mosca non si è fatta attendere. Dal Club Valdai a Sochi, Vladimir Putin ha respinto le accuse di voler attaccare l’Europa, definendole propaganda utile solo a orientare l’opinione pubblica occidentale. «È impossibile credere» a queste voci, ha dichiarato, aggiungendo che nemmeno i governi europei lo ritengono possibile, ma preferiscono alimentare timori per giustificare politiche di militarizzazione. Con tono sarcastico ha invitato i leader dell’Unione a «rilassarsi e dormire tranquilli», ricordando che i veri nodi da affrontare sono la crisi migratoria e le difficoltà economiche. Al tempo stesso, ha ribadito che la Russia non può permettersi debolezze: il conflitto in Ucraina, ha sostenuto, ha trasformato le forze armate russe in un esercito tra i più pronti al mondo, capace di adattarsi e di resistere a quello che definisce «l’intero blocco NATO». Putin ha poi polemizzato con la Francia dopo il sequestro di una petroliera “Boracay”, abbordata dalle autorità francesi, sospettata di appartenere alla «flotta ombra» russa, parlando di un atto di «pirateria» e avvertendo che in mare il rischio di incidenti crescerà sensibilmente. Ha commentato anche le parole di Donald Trump, che aveva definito la Russia una «tigre di carta»: un’espressione ironica, secondo Putin, smentita dai fatti sul campo e dalle perdite inflitte a Kiev. Positivo il giudizio sull’attuale presidente americano, che a suo avviso mostra almeno disponibilità ad ascoltare Mosca. Sul fronte militare il leader del Cremlino ha lanciato un avvertimento agli Stati Uniti: l’eventuale invio di missili Tomahawk all’Ucraina, ha detto, non cambierebbe l’esito della guerra ma aprirebbe «una nuova fase di escalation».
Il nodo più sensibile resta però quello degli asset congelati. Mosca considera il loro utilizzo da parte dell’Unione europea una «rapina legalizzata» contraria al diritto internazionale e ha minacciato ritorsioni non necessariamente limitate al piano economico. In questo contesto, riprendendo indiscrezioni pubblicate da Bloomberg, diversi media occidentali hanno parlato di un decreto di Putin per confiscare beni stranieri in Russia. Il provvedimento effettivamente emanato il 30 settembre, il decreto presidenziale n. 693, prevede soltanto una procedura accelerata per la vendita di beni federali già di proprietà dello Stato, con perizie rapide e gestione affidata alla Banca statale Promsvyazbank. Nella premessa si richiama la necessità di difendere gli interessi nazionali di fronte alle azioni ostili di USA e UE, ma non vi è alcun riferimento a espropri di aziende o governi stranieri. Più che un atto di confisca, si tratta di un messaggio politico: Mosca intende rafforzare i propri strumenti interni per resistere a quella che definisce guerra economica e finanziaria dell’Occidente. Il quadro che emerge, alla luce del vertice di Copenaghen e della risposta da Sochi, è quello di una spirale di sfiducia reciproca. L’Unione europea, divisa al suo interno, cerca di mostrare coesione attorno a un sostegno a Kiev che però assume forme sempre più militarizzate di un “riarmo permanente”. La Russia, a sua volta, denuncia la deriva occidentale e, senza ricorrere ancora a confische dirette, mette in campo provvedimenti che rafforzano il controllo statale e preparano il terreno per possibili misure più dure. A rimanere sullo sfondo sono i cittadini europei: da una parte si trovano esposti ai rischi di una guerra entrata ormai nel linguaggio della politica interna, dall’altra vedono riaffiorare i fantasmi di un continente sempre più diviso e incapace di elaborare una via d’uscita che non sia l’ennesima escalation. Il vertice informale del Consiglio europeo avrebbe dovuto segnare una svolta di unità, ma ha mostrato fragilità e contraddizioni, oltre alla consueta isteria per la “minaccia russa”: mentre Bruxelles annuncia muri e miliardi per Kiev, Mosca si prepara a rispondere, lasciando intravedere scenari in cui la pace sembra allontanarsi sempre di più.
Un nuovo scandalo scuote Scotland Yard. Un’inchiesta della BBC ha messo in luce episodi gravi di razzismo, misoginia e abusi all’interno della Metropolitan Police di Londra: dalle affermazioni circa l’uso eccessivo della forza contro immigrati al disprezzo per le denunce di violenza sessuale, le registrazioni realizzate da un agente infiltrato del programma Panorama mostrano comportamenti che il capo della polizia, Sir Mark Rowley, ha definito “vergognosi, totalmente inaccettabili e contrari ai valori e agli standard” delle forze dell’ordine”. Otto agenti e un membro dello staff sono stati sospesi, altri due rimossi dai servizi operativi. Il primo ministro laburista Keir Starmer, pur non avendo ancora visionato le registrazioni, ha definito il reportage “scioccante” e ha chiesto “risposte dure”. Anche il sindaco di Londra e la ministra dell’Interno reclamano trasparenza e procedure rigide per accertare responsabilità.
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