venerdì 22 Agosto 2025
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Il governo impugna la legge siciliana che vuole medici che garantiscano il diritto all’aborto

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Il governo ha impugnato davanti alla Corte Costituzionale la legge siciliana che obbligava gli ospedali pubblici ad assumere medici non obiettori di coscienza per garantire il diritto all’aborto ai propri pazienti. La legge era stata approvata lo scorso giugno, e imponeva agli ospedali di indire concorsi per assumere medici non obiettori nonché di provvedere alla loro sostituzione nel caso in cui avessero deciso di diventare tali in un secondo momento. Secondo l’esecutivo, la norma violerebbe la competenza statale in materia di ordinamento civile, nonché «i principi di uguaglianza, di diritto di obiezione di coscienza, di parità di accesso agli uffici pubblici e in tema di pubblico concorso».

L’annuncio di impugnazione della legge siciliana da parte del governo è arrivato il 4 agosto. La legge siciliana prevede che i reparti di ostetricia e ginecologia degli ospedali della regione si dotino di aree dedicate alla pratica, laddove non siano già presenti; entro metà settembre, l’assessore regionale per la salute dovrebbe fornire indicazioni sul funzionamento e l’organizzazione di tali aree. La norma stabilisce infine che esse siano sempre dotate di personale non obiettore di coscienza, e che vengano istituiti concorsi appositi per la loro assunzione. Il governo ha contestato alla norma la violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, che stabilisce che lo Stato ha “legislazione esclusiva” in materia di “ordinamento civile”; contestati anche gli articoli 2, 3, 19, 21, 51, primo comma, e 97 della Costituzione. Secondo il governo, insomma, la legge siciliana minerebbe: “i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”; il principio di uguaglianza; il diritto di professare la propria fede religiosa; la libertà di opinione, e precisamente la libertà di esercitare il diritto di obiezione; la libertà di accesso agli uffici pubblici. Violerebbe, infine, il funzionamento dei concorsi pubblici. Secondo il governo, insomma, la legge fornirebbe una via di accesso privilegiato ai medici non obiettori.

Il diritto all’aborto in Italia è stato introdotto dalla legge 194 del 1978. Sebbene esso sia garantito, in Italia i medici obiettori di coscienza sono la maggioranza, e le strutture che offrono il servizio sono poche. I dati a disposizione sul tema sono ridotti: l’ultima relazione sull’attuazione della legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza (IVG) è stata pubblicata a fine 2023 con i dati definitivi del 2021. Essa riferisce che in quell’anno, in Italia, 335 sedi ospedaliere su 562 dotate di un reparto di ostetricia (o ginecologia) garantivano l’accesso all’aborto, pari al 59,6% del totale; sempre su scala nazionale, la relazione illustra inoltre che il numero di obiettori è pari al 63,4% dei ginecologi, al 40,5% degli anestetisti e al 32,8% del personale non medico. In Sicilia l’accesso al servizio è molto più complicato: dei 56 ospedali dotati di un reparto di ostetricia o ginecologia, solo la metà garantisce l’IVG. Il tasso di obiettori, invece, risulta essere dell’85% tra i ginecologi, del 69,8% tra gli anestetisti e del 71,5% tra il personale non medico.

Thailandia: 23 persone incriminate per il crollo di un grattacielo per il terremoto

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I procuratori thailandesi hanno incriminato 23 persone per il crollo di un grattacielo di Bangkok avvenuto durante il terremoto dello scorso marzo. L’edificio, alto 30 piani, era ancora in costruzione, e a causa del suo crollo sono morte 89 persone, prevalentemente lavoratori. Vista la rapidità con cui è collassato, sono state avviate delle indagini. Le persone incriminate sono accusate di avere violato le leggi sull’edilizia e di avere provocato la morte delle vittime. Il terremoto che ha colpito la Thailandia è scoppiato il 28 marzo con epicentro in Birmania. In totale sono morte oltre 3.000 persone.

Cortina ’26: il Governo stanzia oltre 300 milioni di euro per coprire i buchi di bilancio

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Con 156 voti favorevoli, 85 contrari e 6 astenuti, la Camera dei Deputati ha dato il via libera definitivo al Decreto Sport. Esso include diverse norme, prime fra tutte quelle rivolte a coprire i buchi di bilancio della Fondazione Milano-Cortina per le Olimpiadi invernali 2026. Il decreto-legge “Sport” stanzia infatti 328 milioni di euro alla istituzione di un nuovo Commissario per le Paralimpiadi, che avrebbe il compito di «subentrare nei rapporti giuridici della Fondazione». Una formulazione che appare come una scusa per scorporare parte dei costi, dal momento che le Paralimpiadi erano già presenti nel Comitato. Nel mentre, significativi ritardi sulla realizzazione di molte opere, numerosi problemi di bilancio e scandali – anche giudiziari – sulla mala gestione dei lavori complicano ulteriormente la situazione, aumentando i timori per la buona riuscita dei Giochi.

Con l’obiettivo dichiarato di «favorire l’inclusione sociale e abbattere le barriere sociali e culturali promuovendo la pratica sportiva delle persone con disabilità e i principi del movimento paralimpico», si legge all’art. 5 del decreto, «è nominato un Commissario straordinario quale soggetto responsabile del processo di indirizzo, coordinamento e attuazione delle attività e degli interventi necessari all’organizzazione e allo svolgimento dei XIV Giochi paralimpici invernali “Milano-Cortina 2026”». E proprio qua si incardina la lievitazione della spesa prevista per le Olimpiadi rispetto alle previsioni originali. A rivelarlo, mettendolo nero su bianco, è infatti la relazione tecnica pubblicata dalla Camera dei Deputati che accompagna il decreto, in cui si conferma l’assegnazione di quasi 400 milioni di euro a Fondazione Milano Cortina, proprio grazie alla creazione del commissario per le Paralimpiadi. A quest’ultimo il governo assegna 248 milioni di euro per «la tempestiva realizzazione degli interventi» e altri 79 milioni per «le esigenze di carattere logistico necessarie allo svolgimento delle competizioni sportive», portando la somma a 328 milioni. Inoltre, vengono veicolati 43 milioni per potenziare la sicurezza attorno alle sedi olimpiche, con l’esborso complessivo che sale a 371 milioni di euro.

Nel frattempo, i lavori per le Olimpiadi Milano-Cortina 2026 affrontano numerosi problemi, tra cui ritardi, difficoltà di bilancio e disastri naturali. Tra giugno e luglio, il bellunese è stato colpito da frane e smottamenti che hanno interessato la statale Alemagna, una delle strade principali su cui si dovrebbero realizzare opere per le Olimpiadi, sollevando molte preoccupazioni circa i rischi idrogeologici nell’area. I comitati locali avevano già avvisato nel 2021 sui pericoli legati alle opere olimpiche, ma senza riscontro, trovandosi anche a dover pagare risarcimenti. Nello specifico, gli smottamenti si sono verificati nei pressi di tre importanti progetti stradali a San Vito di Cadore, Valle di Cadore e Pieve di Cadore, che insieme ammontano a 250 milioni di euro. Inoltre, la società SIMICO ha in programma la costruzione di due varianti stradali, una a Longarone e una a Cortina, ma i lavori non sono nemmeno iniziati, con scadenze di completamento nel 2027 e 2028. Altri lavori legati alle Olimpiadi stanno accumulando ritardi. 21 progetti nel Veneto, di cui 8 non saranno completati prima dell’inizio dei Giochi. Ad esempio, la ristrutturazione dell’Arena di Verona per la cerimonia di apertura e chiusura delle Olimpiadi non sarà pronta prima di dicembre 2026, mentre la riqualificazione di Piazza Mercato e altre infrastrutture cruciali sono in forte ritardo.

A complicare ulteriormente la situazione, ci sono gli scandali e i concreti indicatori di mala gestione che hanno segnato l’organizzazione dei Giochi. Lo scorso aprile la Procura di Milano ha chiesto di archiviare l’inchiesta sulla Fondazione organizzatrice, in cui si ipotizzano reati di corruzione e turbativa d’asta, ma ha sollevato la questione di costituzionalità sul decreto del governo che, trasformandola in ente privato, avrebbe ostacolato intercettazioni e sequestri preventivi di un presunto profitto di reato di circa 4 milioni. Il tutto non considerando un buco milionario generato dalla Fondazione: in un contesto già segnato da deficit patrimoniali accumulati dalla Fondazione – oltre 107 milioni – la stima dei costi è infatti lievitata di ulteriori 180-270 milioni.

Azure: il cloud di Microsoft che permette a Israele di sorvegliare i palestinesi

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Microsoft fornisce da anni i propri servizi cloud all’intelligence israeliana, con l’obiettivo di consentire una sorveglianza di massa sulla popolazione palestinese. Non solo: i sistemi della Big Tech sarebbero stati utilizzati attivamente durante l’invasione israeliana di Gaza, per individuare con maggiore precisione i bersagli da colpire nei bombardamenti. L’azienda nega di essere stata coinvolta nelle operazioni militari, tuttavia i documenti interni suggeriscono non solo una piena consapevolezza, bensì anche la volontà della dirigenza di consolidare i rapporti con il Ministero della Difesa...

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USA-Russia: “Raggiunto accordo per incontro tra Trump e Putin”

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Donald Trump ha annunciato che la prossima settimana potrebbe incontrare il presidente russo Vladimir Putin, segnando il primo incontro tra un presidente statunitense e Putin dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. La Russia conferma che il vertice Putin-Trump potrebbe aver luogo la prossima settimana e che i preparativi sono in corso per bocca del rappresentante speciale del presidente russo per la cooperazione economica con i paesi stranieri, Kirill Dmitriev, e del consigliere del leader russo, Yuri Ushakov. Trump aveva già incontrato Putin cinque volte durante il suo primo mandato. L’ultima volta che Putin incontrò un presidente statunitense (in quel caso Joe Biden) fu nel giugno 2021.

Birmania: è morto l’ex presidente ad interim della giunta

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L’ex presidente ad interim della giunta militare birmana, Mynt Swe, è morto oggi all’età di 74 anni. Mynt Swe era diventato presidente dopo il colpo di Stato del 2021; è rimasto in carica fino al luglio del 2024, quando è dovuto dimettersi per motivi di salute. A lui era succeduto il generale Min Aung Hlaing, organizzatore del golpe e all’epoca già primo ministro. Dopo il colpo di Stato, nel Paese è scoppiata una guerra civile che vede contrapposte le forze golpiste e diversi gruppi ribelli etnici. Dall’inizio del conflitto, sono state uccise più di 5.000 persone e milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case.

È stato approvato in via definitiva il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina

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Il Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (CIPESS) ha dato il via libera al progetto definitivo del ponte sullo Stretto di Messina e Reggio Calabria. Approvato dunque il piano dal valore di 13,5 miliardi di dollari per la maxi-opera che intenderebbe essere il ponte a campata unica più lungo del mondo. Mancano però ancora una serie di passaggi fondamentali per l’ok definitivo al progetto, che dovrà ora passare alla Ragioneria dello Stato per poi andare tra le mani della Corte dei Conti. Nel frattempo, le associazioni ambientaliste manifestano l’intenzione di scatenare contro il progetto una pioggia di ricorsi. A ogni modo, il ministro dei Trasporti Matteo Salvini ha annunciato per l’ennesima volta la data di inizio dei lavori, che si sposta di volta in volta sempre un poco più avanti nel tempo: «Tra settembre e ottobre conto di partire con i cantieri, lavori ed espropri», ha dichiarato, affermando che il Ponte sarà «percorribile dal 2032».

Il governo ha celebrato con toni trionfalistici il via libera del CIPESS al progetto del Ponte sullo Stretto, che prevede una lunghezza complessiva di 3.660 metri, con una campata sospesa di 3.300 metri e torri di 400 metri alle basi. Nel comunicato pubblicato dal MIT, sono stati forniti numeri ambiziosi e assai difficili da verificare, come la capacità del ponte di ospitare fino a 6mila veicoli ogni ora e 200 treni al giorno. Peraltro, negli ultimi mesi Salvini ha più volte parlato della creazione di «120mila posti di lavoro»; in realtà si tratta di unità di lavoro annuo (ULA), che non corrispondono direttamente al numero di occupati: ciascuna ULA rappresenta infatti il lavoro svolto da una persona impiegata a tempo pieno per un anno intero. Secondo le stime della Società Stretto di Messina, la durata del cantiere del ponte sarà di almeno sette anni. Da queste tempistiche deriva il dato di «4.300 occupati medi» durante il periodo di costruzione, ottenuto dividendo le 30.000 ULA per sette.

L’esecutivo lo considera un’opera strategica per lo sviluppo del Meridione e dell’intero Paese, promettendo futuri benefici in termini di occupazione, mobilità, turismo e attrattività internazionale. In realtà, l’iter è ancora molto lungo e in ballo ci sono numerose criticità economiche, tecniche e burocratiche che potrebbero compromettere i tempi e la realizzazione dell’opera. Uno dei principali problemi riguarda i costi elevati di gestione e manutenzione, con il progetto che prevede 1,6 miliardi di euro necessari per la manutenzione straordinaria dal 2034 al 2060. Questo si aggiunge ai dubbi sulla sostenibilità economica dell’opera, che dovrebbe ripagarsi solo nel 2062. A complicare ulteriormente la situazione è l’iter autorizzativo, che deve ancora passare attraverso un’approvazione formale della Corte dei Conti. Questa potrebbe esprimere rilievi o, in scenari più estremi, bloccare il progetto. La mancanza di un progetto esecutivo definitivo, che sarà pronto solo tra circa 470 giorni, rappresenta un altro potenziale ostacolo: il progetto definitivo non ha ancora risolto tutte le problematiche emerse durante la valutazione ambientale, con 68 rilievi da sanare. Le indagini archeologiche, gli espropri e i contenziosi legali aggiungono ulteriori incertezze.

Le Associazioni Greenpeace, Lipu, Legambiente e WWF lanciano infatti ufficialmente il guanto di sfida al governo in una nota comune, giudicando la decisione del CIPESS «un vero e proprio azzardo», sia per motivi economici sia «per il quadro d’incertezza» del progetto. «Come si è sempre dato per scontato il parere della Commissione VIA, oggi si dà già per acquisito il parere della Corte dei Conti che, invece, ancora deve pronunciarsi – scrivono le associazioni -. Si tace sul fatto che la cosiddetta apertura dei cantieri sarà poco più che simbolica e riguarderà interventi preliminari sia perché il progetto esecutivo non è ancora stato redatto, sia perché la modifica di legge voluta dal governo per procedere ad una cantierizzazione a fasi spezzetterà il progetto esecutivo lasciando sino all’ultimo aperta l’incognita sui risultati sulle prove da fatica sulla tenuta dei cavi e sugli approfondimenti sismici prescritti dalla Commissione VIA». Le quattro organizzazioni annunciano che ricorreranno «in tutte le sedi affinché lo scempio non si compia e non si buttino via miliardi di euro in un’opera inutile, mentre il sistema del trasporto pubblico dell’intero Paese si trova in condizioni sempre più insostenibili».

Certo è che l'”annuncite” del ministro Salvini ha raggiunto, nell’ultimo biennio, livelli senza precedenti. Nel marzo del 2023, durante la trasmissione “Cinque minuti su Rai 1”, Salvini dichiarò che i lavori sarebbero iniziati «entro l’estate 2024», per poi ripeterlo due mesi dopo in occasione della conferenza stampa di presentazione del decreto che ha riattivato la Società Stretto di Messina, e poi a settembre, in seguito a un incontro del cda della società. A fine maggio 2024, Salvini aveva sbandierato l’obiettivo di «aprire i cantieri entro l’anno 2024». Nell’aprile di quest’anno Salvini ha annunciato che l’inizio della costruzione fosse distante solo «poche settimane». Lo scorso 19 maggio, il Ministro ha invece affermato che i cantieri sarebbero stati aperti entro l’estate. Ora, il sempre più aleatorio orizzonte temporale si è spostato all’autunno 2025. Nel mentre, Salvini ha ventilato la possibilità che il Ponte venga intitolato all’ex leader del centro-destra Silvio Berlusconi, che storicamente ne è stato lo sponsor più rappresentativo.

Il Libano ha ordinato il disarmo del movimento Hezbollah

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Il governo libanese ha deciso di disarmare Hezbollah. L’annuncio arriva dopo le ripetute pressioni degli USA, che hanno chiesto ai neoinsediati vertici del Paese di smantellare le capacità del gruppo per aprire la strada a una normalizzazione dei rapporti con Israele. A darlo è il primo ministro Nawaf Salam, il quale ha specificato che ora l’esercito ha tempo fino alla fine del mese per presentare un piano per l’approvazione definitiva della misura, che sarà implementata entro l’anno. Sin da prima dell’annuncio, il leader di Hezbollah, Naim Qassem, ha dichiarato che avrebbe disatteso eventuali ordini di disarmo, che a suo avviso servirebbero solo gli interessi di Israele: in un comunicato rilasciato dopo la decisione del premier ha definito la scelta dei vertici del Paese una «strategia arrendevole e un chiaro abbandono dei fondamenti della sovranità del Libano». Lo Stato ebraico, intanto, non cessa le attività militari nel Paese e continua ad avanzare nel sud del Libano, violando l’accordo di cessate il fuoco.

L’annuncio del governo libanese, ripreso dall’agenzia di stampa statale NNA, è arrivato martedì 5 agosto, a margine di un’attesa riunione di gabinetto che ha visto la partecipazione del governo libanese e del presidente Joseph Aoun. Il gabinetto, nello specifico, ha ordinato all’esercito di elaborare un piano per togliere le armi al movimento libanese, dando ai propri vertici militari un mese di tempo per la sua consegna; entro la fine dell’anno, invece, quello stesso piano dovrà essere applicato ed Hezbollah dovrà cedere le armi. Salam, da tempo oppositore di Hezbollah, ha motivato la propria scelta affermando che «è dovere dello Stato monopolizzare il possesso di armi». Vista l’influenza del movimento, però, le discussioni continueranno oggi, con una nuova riunione di gabinetto. La scelta del governo libanese è stata presa sulla base di un documento presentato dagli Stati Uniti tramite l’inviato speciale Tom Barrack, che propone una serie di passi da compiere per arrivare progressivamente a una normalizzazione dei rapporti con Israele, a siglare una pace tra i due Paesi e ad aprire il Libano agli investimenti.

Hezbollah si rifiuta tanto di disarmarsi, quanto di implementare il piano di Barrack: secondo Qassem e i vertici del movimento, cercare un accordo volto a disarmare definitivamente il movimento non sarebbe necessario, e non farebbe altro che minare la sovranità del Libano, rendendo il Paese vassallo degli interessi israeliani e statunitensi: «il memorandum di Barrack mira a spogliare il Libano della sua capacità militare, privandolo della resistenza e impedendo all’esercito libanese di possedere armi diverse da quelle di portata nazionale, che non influiscono in alcun modo su Israele. Non accettiamo alcun nuovo accordo diverso dal precedente tra lo Stato libanese e Israele, e consideriamo qualsiasi calendario proposto per l’attuazione sotto l’egida dell’aggressione israeliana inaccettabile». Effettivamente, fa notare il movimento, un cessate il fuoco tra Hezbollah e Israele esiste già e i suoi termini sono sempre stati rispettati da Hezbollah; a non farlo, piuttosto, è lo stesso Stato ebraico.

L’accordo, siglato a fine novembre 2024, prevede la cessazione totale delle ostilità e il ritiro di Hezbollah dal sud del Paese. Esso fissa il limite invalicabile per il movimento al fiume Litani, oltre il quale solo l’esercito e le forze internazionali possono entrare; neanche l’esercito israeliano, in teoria, potrebbe oltrepassare il confine. Nonostante l’accordo, Israele non ha mai cessato di bombardare il Libano e di far progredire le proprie forze terrestri sempre più a fondo nell’area meridionale del Paese. Dopo l’accordo di novembre, Israele ha violato i patti con cadenza quasi giornaliera. L’ultima violazione è stata registrata a fine luglio, quando Israele ha bombardato la valle della Bekaa, situata nell’area nord-orientale del Paese, e preso di mira la zona di Ghaziyeh, nel Libano meridionale, provocando un incendio in un magazzino.

Ghana, si schianta elicottero militare: tra i morti due ministri

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Un elicottero militare è precipitato mercoledì sera in Ghana, causando la morte di tutti i passeggeri a bordo, tra cui il ministro della Difesa Edward Omane Boamah, il ministro dell’Ambiente Ibrahim Murtala Muhammed e altri alti funzionari. L’incidente, uno dei peggiori disastri aerei del Paese negli ultimi dieci anni, è avvenuto durante un volo da Accra verso Obuasi, una zona mineraria. L’elicottero è uscito dai radar poco dopo aver sorvolato la regione di Ashtani, e il relitto è stato localizzato solo successivamente. Le cause dello schianto sono ancora sconosciute.

Brasile, l’ex presidente fa ricorso contro gli arresti domiciliari

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Gli avvocati dell’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro hanno presentato ricorso contro l’ordinanza di arresti domiciliari emessa nei suoi confronti. Bolsonaro è stato messo agli arresti con l’accusa avere violato degli ordini restrittivi che gli imponevano di non utilizzare le piattaforme social; gli avvocati contestato le accuse, e hanno chiesto che l’ordine di venga votato da un collegio più ampio di giudici della Corte Suprema. Bolsonaro è sotto processo con l’accusa di essere dietro ai moti di insurrezione scoppiati in occasione dell’insediamento del presidente Lula.