La difesa aerea turca ha abbattuto un drone «fuori controllo» proveniente dal Mar Nero, dopo averlo individuato e tracciato nell’ambito delle procedure di routine. Il ministero della Difesa di Ankara ha riferito che, una volta identificata la minaccia, sono decollati caccia F-16 per prevenire conseguenze negative. Il velivolo è stato distrutto in una zona sicura, lontana da aree abitate. L’episodio avviene in un contesto di crescente tensione nel Mar Nero: il presidente Recep Tayyip Erdogan ha avvertito del rischio di una “zona di scontro” tra Russia e Ucraina, dopo attacchi a navi mercantili, inclusa una nave turca colpita vicino a Odessa.
I droni sviluppati per controllare Gaza ora sorvegliano le città americane
Un sistema di sorveglianza massiccio e onnipervasivo reso possibile attraverso droni di ultima generazione che monitorano cittadini, manifestazioni e qualunque movimento sospetto sorvolando le grandi città americane e caricando automaticamente milioni di immagini in un database di prove: non è uno scenario distopico futuristico, ma quanto accade già oggi negli Stati Uniti grazie all’impiego di droni dell’azienda Skydio, sperimentati per la prima volta a Gaza per il controllo e l’annientamento della popolazione palestinese. Poco dopo il 7 ottobre, infatti, l’azienda – allora ancora poco conosciuta – ha inviato oltre cento droni da ricognizione a Israele come mezzo di controllo della popolazione: Gaza è stata così usata come un laboratorio per sperimentare nuove tecnologie di sorveglianza di massa. Nel frattempo, Skydio è diventata un’azienda multimiliardaria e la più grande produttrice di droni negli Stati Uniti a scapito però della tanto sbandierata privacy e libertà dei cittadini statunitensi: un modello che potrebbe ben presto essere replicato in gran parte degli Stati occidentali.
Secondo un’inchiesta indipendente, l’utilizzo di droni Skydio è cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni: basti pensare che nel 2024 i contratti con le varie agenzie federali di sicurezza erano circa 320 a fronte dei mille del 2025. Tra le grandi città americane che si avvalgono di questa tecnologica compaiono Boston, Chicago, Philadelphia, San Diego, Cleveland e Jacksonville. I droni impiegati sono quadricotteri dotati di intelligenza artificiale (IA) che possono essere lanciati decine di volte al giorno per monitorare qualunque situazione nella maggior parte delle città degli Stati Uniti. Ufficialmente, questi strumenti dovrebbero essere impiegati per situazioni di emergenza e di pericolo: tuttavia, spesso il loro utilizzo oltrepassa questi contesti per spiare determinate categorie di cittadini o monitorare manifestazioni ostili al governo. Per esempio, di recente i droni sono stati utilizzati dai dipartimenti di polizia di varie città, tra cui New York, per raccogliere informazioni durante le proteste “No Kings” e sono stati utilizzati anche da Yale per spiare il campo di protesta contro il massacro dei palestinesi allestito dagli studenti dell’università l’anno scorso.
La rapida ascesa dell’utilizzo di droni da parte delle forze dell’ordine è stata possibile grazie a una modifica delle norme da parte della FAA (Federal Aviation Administration, Amministrazione Federale dell’Aviazione), l’agenzia governativa responsabile di regolare e sovrintendere ogni aspetto dell’aviazione civile. Mentre precedentemente i droni potevano essere utilizzati dalle forze di sicurezza solo se l’operatore li teneva a vista, ora sono possibili operazioni oltre la linea visiva, entro un miglio legale dal pilota remoto in comando senza la necessità di osservatori visivi e operazioni su persone e veicoli in movimento in determinate condizioni. Skydio ha definito la deroga rivoluzionaria: la modifica delle normative, infatti, ha dato il via ad una corsa all’acquisto di droni della società da parte delle forze di sicurezza statunitensi, lanciando quello che viene chiamato il programma “Drone As First Responder“. Così la polizia, prima ancora che agenti in carne e ossa, invia i droni per segnalazioni e per scopi investigativi più ampi.
A livello tecnico, il sistema di IA dei droni è basato su chip Nvidia e ne consente il funzionamento senza l’intervento umano. I droni sono dotati di telecamere termiche e possono operare in luoghi in cui il GPS non funziona, i cosiddetti “ambienti GPS-negati”. Inoltre, possono ricostruire edifici e altre infrastrutture in 3D e volano a oltre 48 chilometri orari. Una volta che i droni vengono lanciati, tutte le informazioni raccolte vengono salvate su una scheda SD interna e caricate automaticamente su un software configurato per le forze dell’ordine. Il produttore di questo software è Axon, uno dei principali finanziatori di Skydio e produttore di Taser e “armi non letali” utilizzate dai dipartimenti di polizia negli Stati Uniti e in tutte le nazioni occidentali.
È importante sottolineare anche i legami che Skydio intrattiene con lo Stato ebraico: l’azienda, infatti, ha una sede in Israele e collabora con DefenceSync, una società locale di droni militari che opera come intermediario tra i produttori di droni e le IDF (Israel Defence Forces). Ma i contatti dell’azienda con Israele non finiscono qui, perché il primo investitore di Skydio è stato, nel 2015, Andreessen Horowitz (a16z), società tecnologica di venture capital, i cui fondatori – Marc Andreessen e Ben Horowitz – sono entrambi noti sionisti. Recentemente l’azienda ha anche firmato un contratto per la fornitura di droni da ricognizione all’Esercito degli Stati Uniti, il che solleva interrogativi sul possibile utilizzo condiviso delle informazioni tra l’esercito statunitense e le agenzie di sicurezza interna tramite il sistema di gestione delle prove digitali Skydio-Axon.
Gaza si può considerare, dunque, come un laboratorio che ha spianato la strada alla sorveglianza di massa negli Stati Uniti, un grande occhio orwelliano che non dorme mai e che è in grado di raccogliere migliaia di immagini e di informazioni su cittadini liberi e incensurati, mostrando l’essenza di dominio e di controllo della tecnologia proprio in quella che è considerata la patria della democrazia e della libertà in tutto il mondo.
La Corte Penale Internazionale ha confermato il mandato di cattura contro Netanyahu
La Corte penale internazionale ha respinto il ricorso di Israele e ha confermato i mandati di cattura nei confronti del primo ministro Benjamin Netanyahu e dell’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, che sono stati emessi il 21 novembre 2024. La Camera d’Appello della CPI ha ritenuto infondate le richieste di Tel Aviv di sospendere l’inchiesta e di neutralizzare gli effetti giuridici delle accuse. Il procedimento riguarda crimini di guerra e crimini contro l’umanità legati all’offensiva israeliana contro Hamas dopo il 7 ottobre 2023. Le accuse della CPI comprendono anche l’uso della fame come strumento di guerra e attacchi deliberati contro la popolazione civile.
Inizialmente la CPI aveva emesso un mandato di arresto anche nei confronti del leader di Hamas Ibrahim al-Masri, ma lo ha successivamente ritirato in seguito a segnalazioni attendibili sulla sua morte. In risposta ai mandati di arresto contro Netanyahu e Gallant, il presidente USA Donald Trump ha imposto sanzioni alla CPI, congelando beni e risorse di suoi funzionari e complicando l’operatività della Corte, con alcune aziende che hanno bloccato servizi essenziali alla stessa CPI. La pronuncia dell’Aia di lunedì rappresenta un passaggio rilevante sul piano giuridico e diplomatico, con possibili ripercussioni nei rapporti tra Israele, i Paesi firmatari dello Statuto di Roma e la comunità internazionale. Secondo la Corte, l’indagine resta valida anche per gli eventi successivi all’inizio del conflitto e non può essere interrotta sulla base delle argomentazioni presentate dallo Stato israeliano. I giudici hanno stabilito che la Procura è legittimata a proseguire il lavoro investigativo, nonostante Israele non riconosca la giurisdizione della CPI. I mandati di cattura si fondano sull’ipotesi che alcune scelte militari e politiche abbiano avuto un impatto diretto sulla popolazione civile di Gaza, in particolare per quanto riguarda l’accesso a beni essenziali e la gestione delle operazioni belliche. Secondo le autorità sanitarie locali, i morti palestinesi sarebbero almeno 67.000, ma uno studio del Max Planck Institute for Demographic Research stima un bilancio fino a 110.000 vittime. La Corte ha inoltre chiarito che il principio di complementarità, invocato da Israele, non è sufficiente a giustificare la sospensione automatica dell’inchiesta in assenza di procedimenti nazionali equivalenti e verificabili.
Le reazioni ufficiali di Israele non si sono fatte attendere. Con un post su X, il Ministero degli Esteri israeliano ha rigettato con forza il quadro giuridico stabilito dalla Corte: lo stato ebraico, leggiamo nel comunicato, «respinge la decisione della Camera d’Appello della CPI, adottata per stretta maggioranza, che nega a Israele il diritto di ricevere un preavviso, come richiesto dal principio di complementarità, in particolare per uno Stato democratico con un sistema giudiziario indipendente e solido». Il governo di Tel Aviv parla di «politicizzazione della Corte» e di un «mancato rispetto dei diritti sovrani degli Stati non membri», bollando la sentenza come espressione di un processo che, a suo avviso, traveste la politica da diritto internazionale. Secondo Israele, la decisione rifletterebbe un’evidente mancanza di equilibrio e una visione distorta della realtà del conflitto, respingendo le accuse di crimini di guerra e riaffermando la legittimità delle sue azioni militari contro Hamas.
Nel più ampio teatro delle relazioni internazionali, la conferma della CPI rappresenta un punto di svolta potenzialmente epocale. È una sfida aperta a un ordine internazionale che da decenni fatica a imporre responsabilità per le violazioni più gravi e che ora si trova al centro di un confronto tra giustizia internazionale e sovranità statale. Mentre il conflitto israelo-palestinese prosegue con cicatrici indelebili per la popolazione di Gaza, la conferma del mandato di cattura contro Netanyahu e Gallant segna l’inizio di una nuova fase di dibattito sul ruolo delle corti internazionali nel perseguire la responsabilità per crimini di guerra, anche quando coinvolgono leader potenti, Stati intoccabili e alleanze complesse.
USA colpiscono tre imbarcazioni nel Pacifico: almeno 8 morti
Gli Stati Uniti hanno condotto nuovi attacchi nel Pacifico orientale contro tre imbarcazioni che, secondo l’intelligence militare, stavano transitando su rotte note del narcotraffico internazionale. Le operazioni, eseguite sotto il comando della Joint Task Force Southern Spear, hanno provocato la morte di almeno otto uomini. Le azioni rientrano in una più ampia campagna militare contro il traffico di droga via mare, che ha già visto decine di attacchi in acque internazionali su imbarcazioni sospettate di attività illecite.
Liberato Mohamed Shahin: l’imam chiuso in un CPR per aver definito il 7 ottobre “resistenza”
Mohamed Shahin, l’imam della moschea di via Saluzzo a Torino chiuso in un centro Centro di Permanenza e Rimpatrio (CPR) per aver affermato che gli attacchi di Hamas del 7 ottobre furono un atto di resistenza dovuto ad anni di occupazione, è stato liberato. La sua scarcerazione è stata disposta dalla Corte d’Appello, che ha riconsiderato la legittimità del provvedimento con cui il suo trattenimento era stato convalidato, evidenziando come le frasi incriminate fossero state archiviate già prima del suo arresto, lo scorso 24 novembre; sul decreto di espulsione, invece, dovrà esprimersi il TAR del Lazio.
La decisione della Corte d’Appello è arrivata oggi, 15 dicembre. Essa accoglie uno dei ricorsi presentati contro il trattenimento di Shahin nel CPR di Caltanissetta. Sul decreto di espulsione, visionato da L’Indipendente, si legge che l’imam costituirebbe «una minaccia concreta, attuale e sufficientemente grave alla sicurezza dello Stato», tanto che potrebbe «agevolare, in vario modo, organizzazioni o attività terroristiche anche internazionali». Il decreto porta diversi argomenti per sostenere la propria tesi; tra i principali: le frasi pronunciate in occasione della manifestazione del 9 ottobre; il fatto che su di lui penda una accusa per blocco stradale, in riferimento a una manifestazione dello scorso maggio; presunti legami con due persone poi arruolatisi in gruppi terroristici. Il provvedimento cita anche il ruolo di rilevanza che egli ricopre all’interno della comunità islamica, le sue iniziative di promozione di manifestazioni per la Palestina, il fatto che nel 2023 gli sia stata negata la cittadinanza, e sostiene che Shahin sarebbe portatore di una «ideologia fondamentalista e di chiara matrice antisemita», senza tuttavia spiegare per quale motivo.
Secondo la Corte d’Appello nessuna delle motivazioni giustificherebbe l’identificazione di Shahin come soggetto pericoloso per la sicurezza dello Stato: le frasi incriminate sono infatti già state archiviate lo scorso 10 ottobre, e decontestualizzate dall’intero discorso dell’imam; l’accusa di blocco stradale non basta per affermare che Shahin costituisca un pericolo, visto anche che l’uomo vive in Italia da vent’anni ed è «completamente incensurato»; i presunti contatti con persone indagate per terrorismo, invece, sono stati spiegati da Shahin nel corso della reclusione. Fairus Jama, l’avvocata di Shahin, ha spiegato a L’Indipendente che i fatti riguardo alle persone indagate per terrorismo risalgono a diversi anni fa e che, tra l’altro, Shahin non è accusato di avere avuto veri e propri «contatti» con essi, ma di essere stato «avvicinato». In uno dei due casi, a fare suonare il campanello di allarme sarebbe stato il mero fatto che il nome di Shahin sia uscito in una conversazione telefonica tra terzi. Sulla negazione della cittadinanza, Jama ci ha spiegato che è stato presentato ricorso, ma che deve ancora iniziare l’udienza.
Mohamed Shahin è stato prelevato sotto casa la mattina del 24 novembre, quando si è visto revocare il permesso di soggiorno e recapitare un decreto di espulsione. Dopo essere stato detenuto in un primo momento nel CPR di Torino, Shahin è stato trasportato in quello di Caltanissetta, a 1.600 chilometri dalla Mole, lontano da famiglia e avvocata. Nel suo Paese d’origine, l’Egitto, è considerato un dissidente per la sua aperta opposizione al regime di Al Sisi. A sollecitarne l’espulsione, nel corso di un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno Piantedosi, è stata la deputata di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli, che ha richiamato proprio quelle frasi su Hamas che erano già state archiviate un mese e mezzo prima. Il Viminale ne ha così ordinato l’espulsione e il trattenimento, e la Corte d’Appello ha in un primo momento convalidato quest’ultimo.
L’UE allarga le sanzioni alla Bielorussia
L’UE ha ampliato le sanzioni contro la Bielorussa, inserendo nella lista delle realtà sanzionate individui, entità e organismi che «traggono vantaggio, sono coinvolti o facilitano azioni o politiche attribuibili alla Repubblica di Bielorussia, che compromettono o minacciano la democrazia, lo Stato di diritto, la stabilità o la sicurezza nell’UE e nei suoi Stati membri». Il riferimento è alle accuse che la Lituania ha spesso lanciato nei confronti della Bielorussia di favorire il transito di palloni aerostatici all’interno del proprio spazio aereo per alimentare il contrabbando. Minsk ha sempre rigettato le accuse. L’UE sostiene di avere introdotto un nuovo criterio a tutela dei territori e delle infrastrutture degli Stati membri.
Boicotta TEVA: in Italia un fine settimana contro l’azienda del farmaco israeliana
Si è appena concluso il fine settimana di protesta indetto dalla rete BDS Italia (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni), che ha visto tre giorni di mobilitazioni in diverse città italiane per protestare contro Teva, la multinazionale del farmaco israeliana che è complice dell’occupazione illegale della Palestina. Le manifestazioni si sono svolte a Modena, Bergamo, Milano, Bologna, Fano, Porto Recanati, Lanciano, Bra, Napoli e Roma con azioni di volantinaggio, azioni lampo e presidi permanenti davanti a ospedali, farmacie e università per informare i cittadini. Teva è una delle più grandi aziende farmaceutiche al mondo, con un fatturato di oltre 16 miliardi di dollari, ed è la più grande azienda commerciale (e industriale) del mercato israeliano per patrimonio netto, utile netto, reddito operativo e valore di mercato. BDS Italia e l’organizzazione “Sanitari per Gaza” avevano già lanciato la campagna “Teva? No grazie!” per promuovere il boicottaggio dell’azienda specializzata nella produzione di farmaci generici ampiamente presenti anche in Italia, attivando raccolte firme contro la vendita dei prodotti dell’azienda e le azioni di volantinaggio.
Uno dei primi risultati concreti è stata la sospensione, da parte di diversi comuni italiani, degli accordi commerciali con l’azienda. Il risultato è stato che in alcuni comuni i farmaci da banco di aziende israeliane non sono più oggetto di promozione, mentre in altri è stata disposta l’interruzione di acquisti di farmaci, parafarmaci e cosmetici israeliani, fino a quando non sarà ripristinato il rispetto del diritto internazionale.
Dalla rete italiana fanno notare che: «In tutti i casi esposti un ruolo centrale viene assunto dall’esigenza del rispetto del Diritto Internazionale, richiamato da diverse giunte comunali». Ecco, ad esempio, come una consigliera del Comune di Castelnuovo risponde ai vari commenti di critica: «La mozione segue il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia del 19 luglio 2024. Non è ideologia, ma una responsabilità legale. Non si tratta di un’opinione, ma di un dovere istituzionale: non finanziare ciò che il diritto internazionale condanna».
Repubblica Democratica del Congo: ribelli catturano soldati burundesi
Il gruppo ribelle della Repubblica Democratica del Congo, M23 – secondo diversi rapporti sostenuto dal Ruanda – ha catturato centinaia di soldati burundesi. A dare la notizia è Patrick Busu Bwa Ngwi, governatore della provincia congolese del Sud Kivu nominato dall’M23 dopo averne strappato il controllo alle forze regolari. Il rapimento dei soldati del Burundi è avvenuto in occasione della cattura della città congolese di confine di Uvira, qualche giorno dopo la ratifica del cessate il fuoco tra RDC e Ruanda, avvenuta con la mediazione degli Stati Uniti. Gli USA hanno condannato le azioni dell’M23, sostenendo che costituiscano una violazione degli accordi, ma il Ruanda nega di fornire supporto al movimento ribelle.









