domenica 7 Dicembre 2025
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Bolsonaro: condanna definitiva a 27 anni per tentato golpe

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L’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha esaurito ogni via di ricorso: la sua condanna a 27 anni di carcere per il tentato colpo di Stato è ora definitiva. La Corte Suprema del Brasile ha disposto l’esecuzione della pena: Bolsonaro si trova in detenzione cautelare da sabato scorso, dopo che la polizia federale ha accertato un suo tentativo di liberarsi del braccialetto elettronico che monitorava i domiciliari concessi la scorsa estate. Anche gli ex ministri coinvolti nel complotto, Anderson Torres e Alexandre Ramagem, hanno visto confermate le loro condanne.

Gaza, Israele proroga il divieto di ingresso ai giornalisti

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Israele ha deciso di prorogare ancora una volta il divieto di accesso per i giornalisti internazionali alla Striscia di Gaza. La decisione arriva dopo che la Corte Suprema israeliana ha rinviato a lunedì prossimo, 4 dicembre, la decisione sul permesso d’ingresso libero alla stampa. Da oltre un anno la Fpa, Foreign Press Association, che rappresenta circa 400 testate, ha presentato una petizione all’Alta corte di Gerusalemme per ottenere l’accesso indipendente dei media internazionali a Gaza. Di fatto, la Striscia resta ancora inaccessibile ai media indipendenti. L’unico accesso consentito resta quello “embedded”, cioè a giornalisti accompagnati dalle forze dell’IDF nelle zone di confine, una modalità che limita fortemente l’autonomia giornalistica.

Torino: chiuso in un CPR per aver detto che il 7 ottobre è stato un atto di resistenza

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Mohamed Shahin, imam della moschea di via Saluzzo, a Torino, è stato oggetto di un decreto di espulsione e rinchiuso in un Centro di Permanenza e Rimpatrio (CPR) per aver affermato che gli attacchi di Hamas del 7 ottobre furono un atto di resistenza dovuto ad anni di occupazione e decine di guerre. A sollecitarne l’espulsione, nel corso di un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno Piantedosi, è stata la deputata di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli. Non appena trapelata la notizia, a Torino è iniziata una mobilitazione spontanea che fino a sera ha riempito le strade del centro e di San Salvario, quartiere dove ha sede la moschea di Shahin. I movimenti per la Palestina accusano il governo di aver colpito Shahin per essersi pubblicamente esposto e aver dato voce a un’idea condivisa dalle piazze che da due anni chiedono la fine della guerra.

«Il 7 ottobre è il risultato di un’occupazione di 80 anni, di 11 guerre che sono successe prima del 7 ottobre»: queste sarebbero le dichiarazioni incriminate, che hanno valso a Mohamed Shahin un decreto di espulsione. Queste posizioni sono state esposte apertamente nel corso di numerose manifestazioni e ribadite alla stampa durante un corteo del 9 ottobre scorso, durante il quale aveva aggiunto che gli attacchi di Hamas del 7 ottobre sono stati un tentativo, da parte dei palestinesi, di «svegliare il mondo perchè prestasse attenzione alla loro causa». Per questo, Shahin si è visto revocate il permesso di soggiorno e recapitare un decreto di espulsione. Dopo essere stato detenuto in un primo momento nel CPR di Torino, Shahin è stato trasportato in quello di Caltanissetta e da qui verrà rimandato nel suo Paese d’origine, l’Egitto. Il suo rimpatrio potrebbe comportare per lui la detenzione, se non anche la morte, dal momento che in patria è considerato un dissidente per la sua aperta opposizione al regime di Al Sisi. Recentemente, l’Italia ha inserito l’Egitto nella lista dei Paesi sicuri, nonostante nel Paese sia in vigore un regime violento e la stessa Corte di Giustizia UE si sia detta contraria a tale designazione.

L’arresto di Shahin ha sollevato un’immediata ondata di rabbia e solidarietà in città: l’uomo è infatti una figura centrale nell’ambito delle mobilitazioni per la Palestina, nonchè un riferimento per la comunità musulmana del quartiere di San Salvario. Da oltre vent’anni Shahin vive in Italia insieme alla moglie e ai figli. Subito dopo la notizia del suo arresto è nato il coordinamento Free Mohamed Shahin, che in un comunicato ha sottolineato come ciò che ha portato all’arresto dell’imam sia l’aver sostenuto una posizione condivisa dalle piazze per la Palestina. Il coordinamento ha accusato il governo di star tentando di creare divisioni e fermare «l’incredibile sollevazione mondiale per la Palestina». Per i movimenti, Shahin sarebbe stato preso di mira in quanto «ricattabile», in ragione del suo permesso di soggiorno. Nella serata di ieri, 25 novembre, decine di persone erano in piazza per chiedere la sua liberazione e sono previste mobilitazioni anche per oggi, alle ore 18, nei pressi delle prefetture.

Non è la prima volta che soggetti di origine araba e palestinese, anche di alto profilo, vengono perseguiti in Italia per via delle loro idee politiche dopo il 7 ottobre 2023. Solamente un anno fa, l’imam di Bologna Zulfiqar Khan era stato espulso dal Paese con un analogo decreto del ministro Piantedosi e rimandato in Pakistan, suo Paese d’origine, nonostante vivesse in Italia da trent’anni. Il suo decreto di espulsione, giunto a seguito della presa di posizione netta, da parte dell’imam, a favore della Palestina, citava una «propensione a posizioni radicali». Un mese fa, poi, il Comune di Milano aveva notificato al presidente dell’Associazione Palestinesi d’Italia, Mohamed Hannoun, un foglio di via dalla città, accusandolo di istigazione alla violenza. Nel corso di un corteo svoltosi il 18 ottobre scorso, infatti, Hannoun aveva così commentato le esecuzioni pubbliche che sarebbero state portate a termine da Hamas: «Tutte le rivoluzioni del mondo hanno le loro leggi. Chi uccide va ucciso, i collaborazionisti vanno uccisi. Oggi l’Occidente piange questi criminali, dicono che i palestinesi hanno ucciso poveri ragazzi. Ma chi lo dice che sono poveri ragazzi?». Vi è poi il caso di Ahmad Salem, profugo palestinese da sei mesi detenuto nel carcere di Rossano Calabro per aver promosso e appoggiato la mobilitazione contro il genocidio a Gaza. Vi è poi il caso dei tre palestinesi sotto processo a L’Aquila (Anan Yaeesh, Ali Irar e Mansour Doghmosh), accusati di associazione con finalità di terrorismo per aver, secondo le accuse formulate da Israele, finanziato la Brigata Tulkarem, un gruppo di autodifesa armato attivo nella resistenza contro Israele nella Cisgiordania occupata dall’esercito sionista dal 1967. Sul loro caso, verrà emessa una sentenza il 19 dicembre prossimo.

La scoperta di una nuova specie di squalo arricchisce la conoscenza della biodiversità marina

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squalo lanterna

Nelle profondità dell’oceano, a oltre 600 metri sotto il livello del mare, gli scienziati australiani hanno identificato una nuova specie di pesce bioluminescente: uno squalo lanterna, rilevato per la prima volta nelle acque del Gascoyne Marine Park, al largo della costa occidentale dell’Australia. È una scoperta che arricchisce la conoscenza di un mondo ancora in gran parte invisibile, dove la vita si è adattata in modi sorprendenti all’assenza di luce, alla pressione estrema e alle temperature costanti.
Sebbene si tratti di uno squalo, l’animale è in realtà di piccole dimensioni: il più gran...

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Nel 2025 quasi 1.700 esseri umani sono morti in mare per raggiungere l’Europa

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Sono almeno 1.697 le persone – uomini e donne, bambini e anziani – che sono morti nel Mediterraneo cercando di giungere alle coste europee nel solo 2025. I dati del Missing Migrants Projects (MMP), il progetto dell’OIM (Organizzazione Internazionale delle Migrazioni) che si occupa di tenere conto dei migranti morti o scomparsi nel mondo, traccia anche quest’anno la rotta di un fenomeno che, seppure in diminuzione rispetto allo scorso anno, rimane allarmante. Di queste persone si sa che 125 erano di sesso femminile, 545 di sesso maschile, 93 erano bambini. Per i restanti 1.027 l’identità è indeterminata. Il bacino mediterraneo si conferma così, ancora una volta, il luogo più mortale al mondo per i migranti in fuga dai propri Paesi d’origine.

In generale, la tendenza a livello globale è di una leggera diminuzione dei decessi, anche se va tenuto in conto che l’anno non è ancora concluso e che questi aumenteranno ancora priam della fine dell’anno. Nel solo 2025 sono 1.521 i morti lungo la tratta asiatica, cui si sommano gli 822 nell’Asia occidentale. Altri 973 sono morti in Africa, 89 all’interno dell’Europa (lungo il canale della Manica o ai confini di Polonia e Bielorussia), 384 in Sudamerica. All’interno del bacino mediterraneo, la rotta del Mediterraneo centrale si conferma come la più mortale al mondo, con 568 migranti morti solamente in questo tratto e altri 619 scomparsi. Dal 2014, ovvero da quando esiste il progetto MMP, delle 33.172 morti avvenute nel Mediterraneo, ben 25.772 si collocano nel tratto centrale.

Ad influire su questi numeri vi sono vari fattori, uno su tutti la criminalizzazione della migrazione e delle organizzazioni non governative impegnate nel salvataggio dei migranti da parte delle istituzioni europee e dei governi, quello italiano in primis. Con il decreto Flussi approvato all’inizio dell’anno dal governo Meloni, per esempio, il governo ha introdotto sanzioni più severe nei confronti delle imbarcazioni che operano in mare, disponendo fermi amministrativi più lunghi, multe più salate e confisca dei mezzi. Tutto questo ha conseguenze dirette sul numero di persone portate in salvo dai naufragi, oltre che dalle violenze delle guardie costiere che rastrellano le navi dei migranti nel Mediterraneo, quali quella libica e quella turca. Con entrambe i governi, l’UE e l’Italia hanno però stretto accordi e patti bilaterali, proprio per delegare a questi Paesi il controllo delle migrazioni e fermare i migranti prima ancora che questi partano. D’altronde, Libia e Tunisia sono i Paesi dai quali provengono la quasi totalità dei migranti che attraversano il Mediterraneo centrale. Il ruolo dei due Paesi e delle rispettive guardie costiere nelle opere di massacro, tortura e persecuzione dei migranti è noto ormai da tempo, confermato da inchieste giornalistiche, rapporti di ONG e report ufficiali. Realtà sulle quali Italia e UE hanno scelto di voltarsi dall’altra parte – come dimostra, d’altronde, il mancato arresto da parte di Roma del “torturatore” libico Almasri, poi arrestato dalle stesse autorità libiche proprio per i crimini commessi nei centri di detenzione per migranti. Proprio grazie al decreto flussi, tra l’altro, sarà impossibile conoscere l’entità dei finanziamenti che l’Italia erogherà alle autorità libiche per bloccare le partenze.

Le morti in mare solo una parte di quelle causate indirettamente dalle politiche europee e italiane, volte sempre più alla chiusura totale delle frontiere e alla loro esternalizzazione. Alarmphone, ONG impegnata nella segnalazione di situazioni critiche nel Mar Mediterraneo, riferisce come in Tunisia il razzismo delle istituzioni operi in modo sistematico e come i migranti riportati indietro dalle imbarcazioni della Guardia Costiera vengano poi deportati nel deserto e abbandonati, con l’effetto di andare incontro a morte certa. Una situazione analoga è stata descritta da molti migranti anche per quanto riguarda l’Algeria.

Eppure, come sempre capitato nel corso della storia, politiche più restrittive non fermano le migrazioni. Anzi, gli ultimi dati messi a disposizione dal ministero dell’Interno raccontano che, al 25 novembre 2025, il numero di migranti sbarcati sulle coste italiane era già superiore a quello del 2024 – 63.260 persone, contro le 60.845 dell’anno scorso. L’ennesima conferma che politiche restrittive aumentano le morti, ma non fermano le persone.

La Camera approva il ddl femminicidio, è legge

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La Camera dei Deputati ha approvato con consenso bipartisan il ddl femminicidio, che introduce l’omonimo reato nel codice penale. Il reato, introdotto con l’articolo 577-bis, prevede l’ergastolo per chi uccide una donna per discriminazione, odio o prevaricazione o mediante atti di controllo, possesso o dominio. Il provvedimento era già approvato dal Senato e diventerà legge.

Il governo Meloni ha tagliato drasticamente i fondi alle comunità energetiche

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Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (Mase) ha ridotto i finanziamenti del Pnrr destinati alle Comunità energetiche rinnovabili da 2,2 miliardi a 795,5 milioni, con un taglio del 64%. È quanto ricostruito dal portale specializzato Punto CER, che lancia l’allarme in merito alle potenziali ripercussioni sull’intero settore strategico per la transizione energetica italiana. La mossa, annunciata il 21 novembre, mette infatti in grave difficoltà centinaia di aziende che avevano investito risorse, formato personale specializzato e costruito competenze specifiche basandosi sulle promesse governative.

La decisione è stata comunicata attraverso un post su LinkedIn del presidente del Gse, Paolo Arrigoni, che ha rilanciato il comunicato del Mase definendo «raggiunta e superata» la milestone degli 1.730 MW, essendo pervenute richieste per 1.759,7 MW pari a 772,5 milioni di euro. Una modalità di comunicazione che ha generato sconcerto tra gli operatori, come ha denunciato Giovanni Montagnani, presidente di Cer Vergante Rinnovabile: «A 10 giorni dalla scadenza del bando (30 novembre), non esce un decreto, ma un post su LinkedIn del Presidente del GSE che annuncia il taglio di 2/3 dei fondi. Le regole cambiano a partita finita, bruciando i business plan di migliaia di aziende».

La misura, nata per spingere la partecipazione di cittadini, enti locali e imprese alla transizione, è stata in molti casi il punto di riferimento per scelte industriali e occupazionali. Negli ultimi due anni aziende e studi tecnici hanno assunto personale, formato tecnici e costruito reparti dedicati alle CER partendo da un quadro normativo che, seppur complesso, appariva stabile. Il taglio improvviso mette ora a rischio piani industriali e posti di lavoro, trasformando investimenti strategici in costi sommersi. Il governo sostiene che si tratta di adeguamenti necessari per rispettare vincoli europei e parla di «fattori esogeni» che avrebbero giustificato la scelta; tuttavia il conto ricade su imprese e territori. Con 772,5 milioni di euro già richiesti (dato aggiornato a fine novembre) e una dotazione totale di 795,5 milioni, il margine per finanziare progetti già valutati è quasi inesistente.

Le conseguenze del taglio si estendono ben oltre gli aspetti finanziari. Il modello delle comunità energetiche, che mette i cittadini al centro della transizione energetica trasformandoli in protagonisti attivi, rischia infatti di vedere drasticamente ridotte le sue potenzialità di sviluppo. A complicare ulteriormente il quadro si aggiungono difficoltà operative concrete. Sono infatti state segnalate pratiche approvate già da febbraio che attendono ancora i pagamenti, apparentemente bloccate dall’assenza del portale necessario per erogare i fondi. Contemporaneamente, la scadenza di giugno per la realizzazione degli impianti rimane ferma, costringendo le imprese a lavorare in condizioni di forte pressione temporale. A questo si aggiungono i rischi per la sicurezza dei lavoratori: «La scadenza per i lavori resta ferrea: i mesi persi da loro per valutare le pratiche diventano tempo sottratto ai cantieri. Per stare nei tempi, gli installatori dovranno correre», ha evidenziato Montagnani.

In questo momento, le imprese si trovano dunque di fronte a scelte drammatiche: mantenere i team formati sperando in «eventuali integrazioni finanziarie future» – una speranza, appunto, non una certezza – oppure ridimensionare drasticamente l’organico, disperdendo competenze faticosamente acquisite. Il MASE rassicura che i progetti valutati positivamente ma non finanziabili «saranno comunque considerati idonei ai fini di eventuali scorrimenti», ma si tratta solo di una magra consolazione che non paga stipendi e non ammortizza investimenti.

Sudan: Medici Senza Frontiere ritira il personale da un ospedale

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L’ONG Medici Senza Frontiere (MSF) ha dichiarato di avere ritirato il proprio personale da un ospedale della regione sudanese del Darfur. La decisione arriva dopo che un membro del personale è stato ucciso da un colpo di arma da fuoco, in un episodio in cui sono rimasti feriti altri 4 medici. MSF ha chiesto ai ribelli delle Forze di Supporto Rapido, che controllano la struttura, di garantire la sicurezza del proprio personale e dei pazienti.

Educare fuori dalla scuola: come funziona e cosa dice la legge

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educare scuola istruzione parentale

C’è chi vede la scuola come una delle più grandi conquiste democratiche: un diritto universale, libero e per tutti, pilastro del welfare e ascensore sociale. E c’è invece chi la interpreta come il luogo di omologazione, dove bambini e ragazzi vengono incanalati in schemi predefiniti, in vista del loro futuro ruolo di lavoratori produttivi. La seconda grande differenza sostanziale è quella che passa in genere tra chi pensa che l'educazione dei più piccoli debba essere una palestra di individualismo, per preparare i grandi di domani alle sfide quotidiane che il mondo di oggi ci presenta, o tra c...

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Forlì, al posto del parco nasce la cittadella dell’aerospazio e della guerra

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La Regione Emilia-Romagna da anni sta spingendo piccole e medie aziende a spostarsi verso il settore “aerospazio e difesa”, in una riconversione al contrario realizzata grazie alla collaborazione di Università e Confindustria. In questo contesto, è stato lanciato alla fine di ottobre il progetto ERIS (Emilia Romagna in Space), che vedrà sorgere nella città di Forlì il suo laboratorio e la sua unità produttiva. Il progetto (che conta su un ingente contributo di fondi statali) dovrebbe dedicarsi alla costruzione di antenne per uso civile, ma vede la partecipazione di aziende quali Leonardo e Thales Alenia, entrambe leader nel settore militare e di produzione di armi.

La Houston Italiana

Già nel maggio 2021 la Regione fece un accordo di collaborazione con l’Aeronautica militare su difesa e space economy. Nel 2022, in una intervista su rivista di settore, il prof Paolo Tortora direttore del Centro Interdipartimentale di Ricerca Industriale (CIRI Aerospazio) anticipava: «Non è un mistero che si siano già tenuti alcuni incontri tra questi colossi (Leonardo, Telespazio e Thales Alenia Space) e l’assessore regionale allo Sviluppo economico Vincenzo Colla. Non ne conosciamo ancora gli sviluppi, ma una cosa possiamo affermare con certezza: in regione, è proprio Forlì l’unica città dotata di quell’ecosistema di competenze, infrastrutture e capitale umano tale da renderla, potenzialmente, una vera e propria ‘‘Houston italiana’’».

Il nuovo polo sorgerà vicino alla sede del CIRI Aerospazio, centro interdipartimentale ricerca industriale dell’Università di Bologna. foto di Linda Maggiori

Così nel 2024 è nato il consorzio aerospaziale Anser, con una quindicina di aziende dual use, supportato da Regione, Confindustria e Università di Bologna. Infine il 20 ottobre scorso è stato lanciato il progetto ERIS, che avrà il suo quartier generale proprio a Forlì, dove sorgerà un laboratorio e un’unità produttiva, “per lo studio di tecnologie e la successiva industrializzazione di antenne da installare sui satelliti”. Le aziende coinvolte sono Thales Alenia Space Italia, joint venture tra Thales 67% e Leonardo 33% e sette aziende locali (Bercella, Curti, Poggipolini, NPC, Nautilus, Nes, Next Tech). Il progetto, il cui costo ammonta a circa 25-35 milioni di euro, è stato presentato al ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo d’Urso per ottenere contributi pubblici da fondi di sviluppo. All’incontro erano presenti anche il vicepresidente della Regione Vincenzo Colla (PD), il sindaco di Forlì Gianluca Zattini e l’assessora Paola Casara (centrodestra), uniti da un entusiasmo bipartisan. 

In attesa dei fondi pubblici, il Comune di Forlì si è portato avanti con i lavori. Il 14 ottobre, con una delibera votata all’unanimità in consiglio comunale, ha ceduto un terreno di 8.408 mq al costo di 53 mila euro alla fondazione Mercury (ente creato pochi mesi prima per sviluppare l’hub aerospaziale, i cui soci fondatori sono la Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì e lo stesso Comune di Forlì). Il terreno in questione si trova nel quartiere Ronco, vicino all’aeroporto, nei pressi del campus universitario (dipartimento ingegneria aerospaziale), della sede Enav, e sul retro del CIRI. Quella che diventerà la cittadella aerospaziale, è ora una zona verde, ricca di siepi, arbusti e alcuni grandi alberi. Secondo i documenti del Comune, questa sarebbe destinata a “zona rurale di distacco e mitigazione degli impatti ambientali di infrastrutture e attività’’. Presto il consiglio comunale sarà nuovamente chiamato ad approvare la variazione della destinazione d’uso del terreno, rendendo il boschetto edificabile. 

Alcuni consiglieri del PD, durante il Consiglio comunale del 14 ottobre avevano addirittura auspicato un ulteriore “sviluppo urbanistico” anche sui terreni circostanti, per attirare lavoratori con le loro famiglie e il sindaco ha convenuto che quei terreni erano già vincolati al futuro sviluppo della cittadella.   

Leonardo e Thales in prima linea

Aeroporto Ridolfi di Forlì. Foto di Linda Maggiori

«Altro cemento su una città colpita pesantemente dalle alluvioni di questi anni, e che sta continuando senza sosta l’impermeabilizzazione del territorio» commenta amaramente un’attivista di Forlì Città Aperta. I consiglieri sarebbero stati rassicurati sulla destinazione unicamente civile delle antenne. L’Indipendente ha chiesto al professore Paolo Tortora, responsabile del progetto, se può davvero garantire l’utilizzo unicamente civile delle tecnologie sviluppate, anche in futuro, visto l’ampio coinvolgimento bellico delle aziende proponenti. Ad oggi il professore non ci ha ancora risposto.

Ma vediamo chi sono e cosa fanno le aziende coinvolte. Thales Alenia Space nel suo sito istituzionale si vanta di essere «prime contractor per numerosi sistemi di telecomunicazioni militari al servizio delle forze armate». Tra i loro clienti, oltre all’esercito italiano, figurano le forze armate di Egitto, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Paesi che si sono macchiati di violazioni di diritti umani e che potrebbero usare queste tecnologie per reprimere e controllare dissidenti. Nella relazione ministeriale sui traffici di armi relativa all’anno 2024, Thales Alenia Space compare come fornitore di servizi satellitari militari anche per la NATO

Il luogo dove sorgeranno i laboratori per le antenne satellitari. Ora c’è un boschetto, presto sarà cementificato. Foto di Linda Maggiori

Se poi andiamo a vedere chi sono i soci di Thales Alenia Space, il quadro è ancora più preoccupante: oltre all’italiana Leonardo, recentemente denunciata in sede civile e penale per complicità in genocidio da numerose associazioni, c’è il gruppo francese Thales, undicesimo produttore di armi globale e quarto in Europa. Progetta e produce antenne, radar, sensori, sistemi di comando per missili, droni, jet militari e vanta di una collaborazione di primo piano con Elbit Systems, Iai e Rafael Advanced System, i fornitori principali dell’esercito israeliano. Thales fornisce anche servizi di riconoscimento facciale e gestione dei dati biometrici sia a Frontex sia ad Israele, per le operazioni di border control in Cisgiordania. 

Le imprese locali partner del progetto non sono meno attive in ambito bellico. Curti, azienda di Castel Bolognese, fornitore di Leonardo nel settore Helicopters e Defence Systems Business Unit (militare terrestre e navale), esporta ogni anno pezzi di obici semoventi (PZH2000) alle aziende tedesche Krauss-Maffei Wegmann e Rheinmetall, che hanno a loro volta destinato questi semoventi in Ucraina. Dal novembre 2023 Curti sta studiando e realizzando per il Ministero della Difesa, nell’ambito del progetto AMUS, un sistema di navigazione per droni militari in contesti geografici impervi, mediante “satelliti di opportunità”. Il progetto, tuttora in corso, è prettamente militare ed è coperto da massima segretezza.

Altro partner di Eris è la NPC azienda di Imola, con una sede produttiva a Faenza, controllata al 40% da Ecor, al 40% da Curti, al 20%  da Nabore Benini, (presidente della NPC e vicepresidente di Curti). Anche questa azienda sta lavorando a progetti militari nel campo delle antenne satellitari: nel 2022 insieme a U-Avitalia Srl, all’Università di Roma Tor Vergata e all’Università di Roma La Sapienza si è aggiudicata un bando triennale nell’ambito del Piano Nazionale della Ricerca Militare, per la progettazione di nanosatelliti a uso militare (IDRA), utilizzati come disturbatori delle comunicazioni di un nemico. 

Nell’ambito dell’accordo di cooperazione tra Italia e Israele (maggio 2021) NPC ha vinto insieme a Elbit Systems Ltd un finanziamento per un progetto segreto (HTCNS). Del progetto si conosce solo l’acronimo e nessun altro dettaglio. Intanto a marzo 2023 NPC e la veneta Vector Robotics Srl lanciano nel mercato un drone spia “per missioni di sorveglianza, controllo e intelligence”, chiamato “Guardian”. Nel 2024 si aggiudicano una fornitura dello stesso all’esercito italiano.

Foto dell’incontro al Mimit il 20 ottobre scorso, per la presentazione del progetto Eris, con vicepresidente regione Emilia Romagna, il sindaco di Forlì, e rappresentanti Thales Alenia Space, e varie aziende.

Poggipolini, altro partner di Eris, azienda di San Lazzaro (Bologna) specializzata in sistemi di fissaggio e di componenti meccaniche in titanio, dal 2010 ha quasi del tutto abbandonato la Formula 1 e si è lanciata nel business aerospazio e difesa, diventando fornitore di Leonardo Helicopters, Boeing, Airbus. Nel 2022 ha acquisito Aviomec (Mornago, Varese) e nel 2024 la Houston Precision Fasteners (Houston, Texas) diventando fornitore di giganti mondiali del calibro di Lockheed Martin, Bombardier Aerospace, Northrop Grumman. Esporta il 75% di ciò che produce, per lo più nel settore bellico. Poggipolini fa parte della supply chain per la realizzazione dei caccia F35 (progetto JSF) che possono trasportare bombe atomiche e che sono in uso anche all’esercito israeliano.

Poi c’è Bercella, azienda di Varano de’ Melegari (Parma), che esporta componenti per missili MBDA (il consorzio europeo di Leonardo, Airbus, Bae) e nel 2024 ha ottenuto autorizzazioni all’export verso la Francia di “opercoli” (punta del missile e tecnologie guida) per un valore di oltre 3 milioni di euro. Come dimostrano le inchieste giornalistiche del Guardian, il gruppo MBDA ha fornito componenti chiave per le bombe Gbu-39, impiegate da Israele nello sterminio a Gaza. Oltre alla punta dei missili, l’azienda è specializzata anche nella costruzione di antenne e radome (cupole protettive) in ambito militare e civile. Infine ci sono la NES di Bologna, la Tex Tech di Reggio Emilia e la Nautilus, quest’ultima co-fondata dal prof Paolo Tortora.

Le associazioni e i collettivi forlivesi sono pronti a mobilitarsi. «Non possiamo accettare un polo di Leonardo e Thales, aziende complici di crimini contro l’umanità, nel nostro territorio, non possiamo accettare aziende che sfrutteranno le invenzioni universitarie anche per scopi militari» ribadiscono gli attivisti del Collettivo Samara. «Crediamo nella mobilitazione popolare, dal basso, autorganizzata, per questo invitiamo studenti e studentesse, antimilitariste e antimilitaristi, il mondo del lavoro e tutte le persone che non vogliono restare in silenzio, ad opporsi al progetto». Il 28 novembre alle 9 si terrà una manifestazione di protesta, a partire da piazza della Vittoria a Forlì.