venerdì 21 Novembre 2025
Home Blog Pagina 1595

Apple continua a piegarsi alla censura cinese

0
apple hong kong

Il The New York Times ha rivelato al mondo un importantissimo segreto di pulcinella: Apple si rivela asservita all’Amministrazione cinese pur di poter operare in quell’importantissimo e remunerativo mercato asiatico. L’azienda tecnologica, la quale si descrive come la paladina della privacy attraverso l’applicazione di policy ferree, si dimostra nei fatti quanto mai malleabile, quando si tratta del rispondere alle necessità del Partito Comunista. 

Una cosa nota da tempo, ma che la testata statunitense è riuscita a sondare con dovizia di particolari ricostruendo un panorama grottesco grazie alla testimonianza di 17 dipendenti ed ex-dipendenti della Big Tech, nonché studiando alcune carte che sono recentemente emerse durante una causa intentata da un insider frettolosamente licenziato.

Il punto più importante preso in analisi è certamente quello della gestione dei dati utente, i quali sono di fatto indirettamente nelle mani del Governo probabilmente già a partire dal 2017. Per poter vendere i propri prodotti in Cina, Apple ha infatti dovuto sottomettersi al fatto che i suoi server debbano essere gestiti da un’azienda direttamente legata all’establishment, una condizione dura da mandar giù, ma che viene ulteriormente aggravata dal fatto che la potente nazione asiatica abbia anche forzato l’azienda guidata da Tim Cook a rinunciare alla crittografia dei contenuti. In altre parole, tutti gli utenti Apple cinesi sono potenzialmente al centro della sorveglianza governativa, cosa che, peraltro, va esplicitamente contro alle promesse avanzate dal leader d’azienda.

Il report analizza dunque alcuni elementi che erano tutt’altro che noti, elementi che non mancano di sorprendere per la loro lucida connivenza con la censura cinese. Apple avrebbe costituito uno staff dedicato a prevenire che qualsiasi contenuto non gradito al governo cinese possa finire sull’App Store e, quindi, sugli iPhone del popolo. Un team di avvocati tiene costantemente aggiornata una “pagina wiki” di temi da debellare con urgenza. Non tutti violano la legge locale o le policy aziendali, basta vi sia semplicemente il sentore di un argomento controverso ed ecco che scatta la rimozione. Tra questi non mancano ovviamente le tematiche classiche della censura cinese, dalla resistenza del Tibet agli avvenimenti di piazza Tienanmen. 

Questa particolare lista di argomenti tabù è divenuta evidente grazie a Guo Wengui, controverso personaggio propagatore cronico di disinformazione, il quale avrebbe voluto pubblicare sul mercato cinese un’applicazione che è stata intercettata ancor prima di debuttare. Guo ha dunque ricandidato l’app dopo sei mesi, avendo l’accortezza di non palesare nuovamente la sua presenza. Il risultato? L’app ha superato tranquillamente la cortina di sbarramento dell’azienda ed è finita online.

A distanza di tre settimane, il programma in questione è finito nel mirino del revisore Apple Trystan Kosmynka, il quale ha immediatamente indagato per stabilire di chi fosse la responsabilità di un simile strafalcione diplomatico. La colpa è ricaduta su un certo Trieu Pham, dipendente che ha cercato di difendersi sottolineando come l’app non violasse alcuna policy, sentendosi ribattere che, essendo Guo critico nei confronti della Cina, il software non potesse rimanere in alcun modo attivo. L’app è stata quindi rimossa e Pham è stato licenziato per “scarso rendimento”. Un vero e proprio passo falso per la Big Tech, visto che l’uomo ha immediatamente fatto causa al suo ex datore di lavoro, facendo emergere il retroscena.

L’azienda difende le sue scelte e suggerisce che le informazioni raccolte dalla testata siano obsolete o che comunque Apple si sia limitata a rispettare le leggi locali, obiezione che non manca di evidenziare un atteggiamento perlomeno selettivo nel modo di approcciarsi alla legge. Volendo creare un parallelismo, bisogna infatti riconoscere che l’azienda abbia notoriamente condiviso informazioni sensibili con i Governi occidentali, ma anche che si sia rifiutata molte volte di collaborare, perlomeno quando si trattava di penetrare negli smartphone di attentatori di massa.

[di Walter Ferri]

Perché i filantropi non ci salveranno

3

Coloro che sono definiti “filantropi” vengono descritti come persone illuminate che vogliono aiutare il mondo cercando di porre fine alla sua sofferenza. La narrazione dominante dipinge tali personaggi come benefattori che, come tali, aiutano senza volere niente in cambio, senza secondi fini. I moderni filantropi sono persone che dall’alto della propria potenza economica e politica – spesso pari o superiore a quella di interi stati – decidono di “ritirarsi” dagli affari per dedicare la maggior parte del proprio tempo ad attività e progetti utili all’umanità. Queste persone vogliono quindi cerc...

Questo è un articolo di approfondimento riservato ai nostri abbonati.
Scegli l'abbonamento che preferisci 
(al costo di un caffè la settimana) e prosegui con la lettura dell'articolo.

Se sei già abbonato effettua l'accesso qui sotto o utilizza il pulsante "accedi" in alto a destra.

ABBONATI / SOSTIENI

L'Indipendente non ha alcuna pubblicità né riceve alcun contributo pubblico. E nemmeno alcun contatto con partiti politici. Esiste solo grazie ai suoi abbonati. Solo così possiamo garantire ai nostri lettori un'informazione veramente libera, imparziale ma soprattutto senza padroni.
Grazie se vorrai aiutarci in questo progetto ambizioso.

È morta Carla Fracci, icona della danza

0

Carla Fracci, la celebre danzatrice italiana, è morta nella giornata di oggi a Milano. Aveva 84 anni e da tempo lottava contro un tumore. Considerata una delle più grandi ballerine di danza classica del Novecento, è stata “étoile” del teatro alla Scala di Milano, dove ha studiato ed esordito, e si è esibita sui palchi più importanti del mondo.

Ruanda: Macron riconosce responsabilità francesi nel genocidio

0

Il Presidente francese Macron, in visita in Ruanda, a Kigali, davanti al memoriale del genocidio ha detto: “Vengo qui a riconoscere le nostre responsabilità”. Prima di Macron solo un altro presidente francese aveva fatto visita al paese dopo il genocidio dei Tutsi del 1994. Nel suo discorso, in riferimento a quel periodo storico, Macron ha parlato di “eclissi dell’umanità”.

Come gli USA hanno influenzato le elezioni in Ecuador

0

Il leader conservatore Guillermo Lasso, il 24 maggio scorso, ha giurato come presidente dell’Ecuador presso l’Assemblea Nazionale a Quito, succedendo all’uscente Lenin Moreno. Lasso, oligarca appartenente all’Opus Dei, riesce a diventare Presidente dell’Ecuador al suo terzo tentativo, risultando vincitore al ballottaggio contro l’economista di sinistra Andrés Arauz (che aveva vinto il primo turno), già ministro durante la presidenza di Rafael Correa. Fin da quando Correa divenne Presidente dell’Ecuador nel 2007, avviando la “rivoluzione dei cittadini” con l’adozione di una nuova costituzione – gli Stati Uniti, tramite la CIA, si sono adoperati per porre fine alle rivendicazioni e alle politiche socialiste e sovraniste del nuovo corso assunto all’epoca dal paese Latinoamericano. Arauz aveva tutta l’intenzione di riprendere il percorso della “rivoluzione dei cittadini” mentre c’era chi voleva proseguire con la strada intrapresa dall’ex Presidente Lenin Moreno – colui che ha permesso l’arresto di Julian Assange, in esilio come rifugiato politico nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra.

Il miliardario Lasso, già noto per conti offshore e per la proprietà di centinaia di immobili in Florida (per un valore di 30 milioni di dollari), è riuscito a diventare Presidente grazie all’appoggio di gruppi ambientalisti e indigenisti corrotti e finanziati ingentemente dagli USA. Yaku Pérez, leader del partito ambientalista, socialista e indigenista Pachakutik, candidato nelle ultime elezioni presidenziali, ha sostenuto i colpi di stato in Bolivia, Brasile, Venezuela e Nicaragua. Il suo partito è finanziato dagli Stati Uniti e la sua campagna ambientalista è promossa da lobbisti di grandi aziende.

Pachakutik è strettamente legata alle ONG finanziate da Washington e dagli Stati membri dell’UE. I leader del partito sono stati formati dal National Democratic Institute (NDI) finanziato dal governo degli Stati Uniti, un ritaglio della CIA che opera sotto gli auspici del National Endowment for Democracy (NED). Gli elenchi pubblici NED riportano oltre 5 milioni di dollari in sovvenzioni per le ONG in Ecuador solo negli anni 2016-2019. Gran parte di questo denaro ha finanziato gruppi di opposizione anti-Correa come Pachakutik e i suoi alleati.

Pachakutik nasce dalla volontà del CONAIE (Confederazione delle Nazionalità Indigene dell’Ecuador) di iniziare a fare attività politica istituzionale. Senza una vera connotazione politica, il CONAIE raggruppa le comunità indigene dell’Ecuador che intendo preservare e sviluppare l’identità indigena del paese. Fin dall’elezione di Correa, gli Stati Uniti hanno cercato di distruggere tale rete sociale che, man mano, si era fatta politica e che stava assumendo un ruolo rilevante nella società dell’Ecuador. Numerose comunicazioni del Dipartimento di Stato, pubblicate da Wikileaks, mostrano quale sia la strategia statunitense adottata in Ecuador, Colombia e Venezuela.

I finanziamenti e la corruzione sono serviti per rompere e disgregare tale rete indigenista ed ecologista. La spaccatura divenne manifesta nell’ottobre 2019 quando i leader del CONAIE, Leonidas Iza e Jaime Vargas, contribuirono a guidare le proteste contro le riforme neoliberali imposte dal Presidente in carica Lenín Moreno mentre Pérez non prese parte alle manifestazioni antiliberiste.

Lasso consapevole della retorica “ecosocialista” di Pérez e Pachakutik e dell’operazione di marketing politico, non ha avvertito minaccia, anzi. L’oligarca Lasso dichiarò pubblicamente, prima del voto del 7 febbraio 2021, che se Pérez fosse passato al secondo turno, egli lo avrebbe sostenuto volentieri per sconfiggere i correisti guidati da Arauz. L’endorsement del banchiere non sorprende se si considera che, nel 2017, prima di cambiare il suo nome da Carlos a Yaku, lo stesso Pérez sostenne la candidatura presidenziale di Lasso.

Manuela Picq, accademica franco-brasiliana, moglie di Yaku, è un’importante attivista anti-correista e avversaria dei governi di sinistra in America Latina. Picq ha partecipato alla rete che ha contribuito, nel 2019,  al colpo di stato ai danni del Presidente indigeno ed ecologista della Bolivia, Evo Morales. Quando nell’ottobre 2020, la maggioranza indigena di Evo Morales Partito del Movimento Verso il Socialismo (MAS) ha vinto le elezioni, venne invitata una delegazione del CONAIE ma non Perez.

Così gli Stati Uniti operano nell’America Latina, finanziando movimenti sociali, partiti, narcos e gruppi paramilitari, al fine di posizionare uomini e donne che portino avanti la propria agenda o che non permettano l’applicarsi e l’affermarsi di politiche alternative a quelle volute e imposte da Washington. I casi sono molti e tra i più recenti vi sono la suddetta Bolivia di Evo Morales e il Venezuela bolivarista, di Chavez prima e Maduro poi. Questo avviene perché la dottrina elaborata da John Quincy Adams e pronunciata da James Monroe, nel 1823, detta Dottrina Monroe, con cui si esprime la supremazia statunitense sul continente americano è oggi considerata sempre valida: ciò che ha portato gli USA a considerare il centro-sud America come il proprio cortile di casa.

[di Michele Manfrin]

Mali: rilasciati Presidente e Primo Ministro

0

Il presidente del Mali, Bah Ndaw e il primo ministro del governo ad interim, Moctar Ouane, sono stati rilasciati nella notte; lo hanno reso noto fonti militari. Ndaw e Ouane, lunedì scorso erano stati arrestati dai militari in quello che sembra essere il secondo colpo di Stato nel Paese in nove mesi.

Ravenna: le proteste dei portuali fermano il carico d’armi per Israele

1

La determinazione dei portuali ravennati ha portato una nuova vittoria nel boicottaggio dei carichi di armi per Israele, fermando un carico diretto ad alimentare il conflitto in Medio Oriente. I sindacati avevano proclamato lo sciopero per il prossimo 3 giugno, giorno nel quale sarebbe dovuta salpare la nave Asiatic Liberty carica di armamenti diretta dal porto romagnolo a quello di Ashdod, in Israele, affermando che i lavoratori non avevano intenzione di caricare container di armi. La lotta dei portuali ha portato immediati risultati e per scongiurare lo sciopero e, probabilmente, per evitare l’attenzione mediatica che i sindacati erano riusciti ad attirare sulla questione, l’armatore ha rinunciato al carico.

Ad annunciarlo sono stati in una nota congiunta i sindacati Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti, sottolineando che «I lavoratori del porto di Ravenna, pur consapevoli che il loro atto di testimonianza a favore della pace per i popoli israeliano e palestinese neppure lontanamente costituisca una azione risolutiva per la soluzione del conflitto, credono che fosse necessario ed ineludibile mandare un messaggio». Perché «l’unico modo per opporsi pacificamente alla guerra è prendere attivamente una posizione contro di essa, ogni volta che se ne abbia l’occasione».

La lotta contro la guerra dei lavoratori romagnoli si inserisce nella cornice delle tante mobilitazioni che in questi giorni hanno visto coinvolti i portuali di molte città italiane. È successo a Livorno e Napoli, dove i dipendenti del porto hanno rifiutato caricare navi che erano sospettate di trasportare armamenti verso Israele, per esprimere «vicinanza ai palestinesi, che da anni subiscono una spietata repressione ad opera di Israele». Ed è successo pure a Genova, dove i portuali raccolti nel  Calp (Collettivo autonomo lavoratori portuali) hanno bloccato un sospetto carico di armi diretto questa volta in Arabia Saudita per alimentare il conflitto in Yemen. In ogni porto le parole d’ordine sono le medesime: «Le nostre mani non si sporcheranno di sangue per le vostre guerre».

Greenpeace in azione contro Volkswagen

0

L’organizzazione ambientalista Greenpeace in Germania ha inscenato un’azione di protesta contro Volkswagen, sottraendo da un parco auto destinato all’export – nel porto di Emden -le chiavi di centinaia di veicoli nuovi. L’obiettivo dell’azione era di attirare l’attenzione su una veloce uscita dall’utilizzo di motori a combustione. Sulle auto è stato steso uno striscione giallo con il logo di Volkswagen colante petrolio

Usa: sparatoria a San Jose, diversi morti e feriti

0

A San Jose, in California, una sparatoria avvenuta in queste ore ha provocato diversi morti e feriti, il cui numero preciso però non è ancora noto. Ma la presenza di vittime è stata confermata da un portavoce dell’ufficio dello sceriffo della contea di Santa Clara, in California, il quale ha anche aggiunto che l’aggressore è stato ucciso. Secondo alcune testimonianze raccolte dai media locali, la tragedia sarebbe avvenuta all’interno dell’area del quartier generale della Valley Transportation Authority (la società di trasporti locale) durante una riunione sindacale.

Le nazioni del G7 non finanzieranno più il carbone

0

Le sette maggiori economie del mondo hanno concordato sull’adottare misure che riducano l’uso di fonti energetiche fossili e le conseguenti emissioni di anidride carbonica. Tra gli obiettivi lo stop, entro la fine del 2021, ad ogni finanziamento a favore di centrali a carbone. È quanto hanno annunciato con un comunicato congiunto i Ministri dell’Ambiente del gruppo G7 che comprende Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti d’America. Un passo decisivo, quindi, per raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050 e rispettare quanto fissato negli Accordi di Parigi. L’intenzione, inoltre, è di eliminare gradualmente ogni sostegno economico a tutti i combustibili fossili. In ballo anche la conferma di voler mantenere il riscaldamento globale al di sotto degli 1,5°C. E ancora, entro il 2030, le 7 nazioni tenteranno poi di decarbonizzare buona parte del loro mix elettrico.

I finanziamenti al carbone, più di ogni altro sostegno economico, sono incompatibili con la lotta ai cambiamenti climatici. L’aiuto monetario, avanzato da enti statali o privati, a beneficio di centrali energetiche basate su questo combustibile è quindi destinato a cessare. In primo luogo, proprio in virtù del forte impatto ‘climalterante’ della più primitiva tra le fonti fossili. Costituito essenzialmente da carbonio e altri elementi in tracce, il carbone ha trovato impiego come combustibile a partire già dalla Rivoluzione Industriale. Data la sua abbondanza e la facile reperibilità, questo materiale è diventato indispensabile. Tant’è che ancora oggi è il combustibile fossile più utilizzato dopo il petrolio.

Il carbone però, peggio di qualunque altra fonte energetica, una volta combusto libera una percentuale di gas serra elevatissima. Basti pensare che, a parità di energia generata, le emissioni di anidride carbonica sprigionate da questo sono il 30% in più di quelle emesse dalla combustione del petrolio e perfino il 70% in più di quelle sprigionate dal gas naturale. Il suo impiego comporta, inoltre, un’elevata pericolosità per la salute umana a causa del rilascio di polveri sottili. Non a caso, i paesi con i più alti tassi d’inquinamento e di decessi ad esso correlati, sono proprio quelli la cui sussistenza energetica è basata perlopiù sul carbone.

[di Simone Valeri]