Il vice ministro della Commissione sanitaria nazionale cinese, Zeng Yixin, si è opposto alla proposta dell’Oms di portare avanti una seconda fase dell’indagini sulle origini del Covid in Cina, la quale include l’ipotesi che esso possa essere fuoriuscito dal laboratorio di Wuhan. Si tratta di «arroganza verso la scienza», ha affermato Yixin, il quale ha aggiunto che Pechino non accetterà «un tale piano di tracciamento delle origini» proprio perché in alcuni aspetti «sfida la scienza ed ignora il buon senso».
I mobili Ikea sono realizzati grazie al disboscamento illegale delle foreste siberiane
Cosa c’entra la deforestazione illegale della Siberia con le sedie e i tavolini per bambini in vendita da Ikea? C’entra. Questo è quanto emerge da una serie di inchieste giornalistiche andate avanti per anni: diversi prodotti per bambini che Ikea vende in tutto il mondo, come la serie Sundvik o Flisat, sono realizzati con del legno proveniente dal disboscamento di aree protette della Russia. La maggior parte del legname incriminato proviene dalla taiga della Siberia orientale, e in particolare dall’Oblast di Irkutsk. In questa regione opera ExportLes, un gigantesco gruppo di imprese forestali che si occupano dell’export della materia prima. ExportLes è controllato dal politico multimilionario Evgeny Bakurov.
Secondo un’inchiesta dell’organizzazione Earthsight le società presiedute da Bakurov hanno deforestato 2,16 milioni di metri cubi di legno illegale proveniente da aree protette con il pretesto, purtroppo piuttosto comune in Russia, di «disboscamento sanitario». Il disboscamento, cioè, che dovrebbe servire a impedire il propagarsi di parassiti e malattie della vegetazione, ma che invece è usato come scusa per accaparrarsi la materia prima protetta. Agli ingenti danni ambientali dovuti al taglio degli alberi si aggiungono quelli causati dalla mancata bonifica delle aree deforestate, lasciate in balia di incendi sempre più frequenti.
Il pino che Bakurov fornisce indirettamente ad Ikea viene per giunta certificato dal Forest Stewardship Council (FSC), l’ente di certificazione internazionale il cui bollino dovrebbe garantire la sostenibilità e la tracciabilità del legno su cui è applicato. In seguito, il pino viene spedito ad un produttore indonesiano che si occupa di rifornire i punti vendita Ikea nella gran parte dei paesi europei e negli Stati Uniti. La multinazionale svedese, ma con sede fiscale opportunamente spostata in Olanda, dal fatturato annuo che si aggira intorno ai 35 miliardi di euro, ha negato qualsiasi responsabilità e ha annunciato il blocco momentaneo dei rifornimenti di materia prima proveniente da Siberia e Russia orientale. Il colosso svedese ha ammesso di essersi rifornita tramite il legno di Bakurov ma insiste sulla sua raccolta perfettamente legale. Nonostante ciò, Ikea ha comunque deciso di sospendere la partnership con le aziende del magnate russo a causa di non specificati «motivi di preoccupazione». FSC, l’ONG che certificava il legno di Bakurov, continua a respingere ogni accusa di illecito ma dichiara di aver revocato il bollino al legno raccolto da ExportLes.
Non è la prima volta che l’azienda svedese si trova al centro di scandali. L’anno scorso furono proprio le false dichiarazioni sulla provenienza del legno a giustificare un procedimento penale amministrativo del Dipartimento federale dell’economia (DEFR) in Svizzera. Inoltre, in Francia l’azienda è stata condannata dal tribunale di Versailles a pagare una multa di un milione di euro perché riconosciuta colpevole di aver fatto spiare i propri dipendenti, nel privato e sul lavoro, stanziando fino a 630.000 euro l’anno e avvalendosi della collaborazione di poliziotti corrotti. Nel 2012 Ikea si trovò nuovamente ad essere messa alle strette da acute inchieste giornalistiche quando un documentario svedese svelò che negli anni ’80 alcuni fornitori del gigante del mobile approfittarono di manodopera gratuita di prigionieri politici della DDR. ovvero il regime dell’ex Germania Est. Anche in questo caso Ikea si è limitata a fare un pubblico mea culpa e ad insabbiare le controversie.
[di Jacopo Pallagrosi]
Antitrust: avviato procedimento contro Autostrade sui pedaggi
L’Autorità Antitrust ha fatto sapere, tramite una nota, di aver avviato un procedimento di inottemperanza nei confronti di Autostrade per l’Italia poiché «la società concessionaria a marzo ha ricevuto una sanzione da 5 milioni e non ha ancora ridotto il costo del pedaggio nelle tratte con notevoli problemi di viabilità». Nello specifico, la non riduzione dei pedaggi ha ad oggetto le tratte sulla A/16 Napoli/Canosa, A/14 Bologna/Taranto, A/26 Genova Voltri-Gravellona Toce e, per le parti di sua competenza, quelle sulla A/7 Milano-Serravalle-Genova, A/10 Genova-Savona-Ventimiglia e A/12 Genova-Rosignano.
Consumo di suolo: l’Italia continua a cementificare senza sosta
In Italia, nonostante il blocco di gran parte delle attività dovuto al lockdown, le colate di cemento non rallentano neanche nel 2020 ed hanno ormai impermeabilizzato il 7,11% del territorio nazionale. Precisamente, esse ricoprono quasi 60 chilometri quadrati ed «ogni italiano ha a disposizione circa 360 mq di cemento (erano 160 negli anni ’50)». È quanto si apprende dal nuovo rapporto dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra), relativo appunto allo scorso anno. Da esso emerge che il nostro paese perde quasi 2 metri quadrati di suolo al secondo e che, nello specifico, il primato per il consumo di suolo maggiore spetta alla Lombardia, con 765 ettari in più in 12 mesi. C’è poi il Veneto (+682 ettari), la Puglia (+493), il Piemonte (+439) ed il Lazio (+431).
Detto ciò, il consumo di suolo si registra anche nei territori a pericolosità sismica, dove il 7% del suolo risulta ormai cementificato. Inoltre, in quelli a rischio idraulico, la percentuale è maggiore del 9% per quelle a pericolosità media e del 6% per quelle a pericolosità elevata. In tal senso, «il confronto tra i dati 2019 e 2020 mostra che 767 ettari del consumo di suolo annuale si sono concentrati all’interno delle aree a pericolosità idraulica media e 285 in quelle a pericolosità da frana, di cui 20 ettari in aree a pericolosità molto elevata e 62 a pericolosità elevata».
Nel documento viene sottolineato anche il rapporto intercorrente tra il consumo di suolo e l’aumento della temperature. Si legge infatti che, a livello nazionale, superano i 2300 gli ettari consumati all’interno delle città e nelle aree produttive (il 46% del totale) negli ultimi 12 mesi, motivo per cui «le nostre città sono sempre più calde, con temperature estive, già più alte di 2°C, che possono arrivare anche a 6°C in più rispetto alle aree limitrofe non
urbanizzate».
Per quanto riguarda, invece, la categoria “Transizione ecologica e fotovoltaico”, nella sola regione Sardegna sono stati ricoperti più di un milione di mq di suolo: si tratta del 58% del totale nazionale dell’ultimo anno. Nello specifico, il suolo perso in un anno a causa dell’installazione di questa tipologia di impianti sfiora i 180 ettari e «si prevede un aumento al 2030 compreso tra i 200 e i 400 kmq di nuove installazioni a terra che invece potrebbero essere realizzate su edifici esistenti». Dopo la Sardegna è la Puglia la regione che consuma di più in tal modo: 66 ettari.
Inoltre, «con la logistica l’Italia perde ancora più terreno», poiché anziché riqualificare spazi già edificati sono stati consumati 700 ettari di suolo agricolo nell’arco di 7 anni, e tale cifra è in crescita. Nello specifico, è il Veneto ad aver raggiunto il record di maggiori trasformazioni dovute alla logistica (181 ettari dal 2012 al 2019, di cui il 95%
negli ultimi 3 anni).
Detto ciò, vengono infine citati anche i danni derivanti da tutto ciò. «Se la velocità di copertura artificiale rimanesse quella di 2 mq al secondo registrata nel 2020 i danni costerebbero cari e non solo in termini economici. Dal 2012 ad oggi il suolo non ha potuto garantire la fornitura di 4 milioni e 155 mila quintali di prodotti agricoli, l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua piovana (che ora scorrono in superficie aumentando la pericolosità idraulica dei nostri territori) e lo stoccaggio di quasi tre milioni di tonnellate di carbonio, l’equivalente di oltre un milione di macchine in più circolanti nello stesso periodo per un totale di più di 90 miliardi di km. In altre parole due milioni di volte il giro della terra».
[di Raffaele De Luca]
WhatsApp, nuova stretta censoria: bloccati 2 milioni di utenti
WhatsApp ha bloccato 2 milioni di account in India nell’arco di un mese, ossia dal 15 maggio al 15 giugno del 2021: ciò è stato fatto nel 95% dei casi poiché gli utenti hanno inviato, senza esserne autorizzati, messaggi automatici o di massa (spam). L’app di messaggistica aveva infatti annunciato nel mese di aprile del 2020 l’imposizione di un limite alla condivisione di un messaggio identico tramite la funzione di inoltro, nel tentativo di contrastare la disinformazione.
Il numero di utenti che sono stati “puniti” il tal modo è stato reso noto da WhatsApp tramite il suo primo “rapporto di conformità” che, in base alle nuove regole stabilite dal governo indiano ed entrate in vigore a maggio, ogni mese le piattaforme digitali con più di cinque milioni di utenti sono tenute a pubblicare. Al loro interno devono essere riportate dettagliatamente le azioni intraprese ed i reclami ricevuti. A tal proposito, WhatsApp ha fatto sapere di aver ricevuto 345 segnalazioni di reclami.
Detto ciò, per individuare gli account spam, l’app di messaggistica ha utilizzato un algoritmo basato sull’Intelligenza Artificiale che, stando a quanto sostenuto dalla società, è capace di analizzare il comportamento degli utenti senza leggere il contenuto delle conversazioni. In pratica, si tratta di una censura preventiva che si basa semplicemente sui meccanismi attuati dagli utenti.
Non sorprende, però, il fatto che il client di proprietà di Facebook si voglia tutelare in tal modo, dato che si è spesso trovato ad affrontare critiche sulla diffusione della disinformazione in India, paese che rappresenta uno dei suoi principali mercati con 400 milioni di iscritti. Ad esempio, la società è stata contestata quando nel 2018 decine di persone sono state linciate in seguito alla circolazione di informazioni su WhatsApp riguardanti presunte bande che rapinavano bambini. Ciò, dunque, ha spinto l’azienda a limitare la possibilità per gli utenti di inoltrare i messaggi.
Ad ogni modo, WhatsApp non condivide alcuni punti delle regole indiane sui social media. Proprio per questo, ha citato in giudizio il governo indiano per uno dei requisiti, ovvero quello per cui le aziende dovrebbero individuare il “primo originatore” dei messaggi, quando richiesto. Il governo, però, ha dichiarato che tali richieste sarebbero state avanzate solo in relazione a reati gravi, ma nonostante ciò WhatsApp teme che ciò metterebbe fine alla tutela della privacy degli utenti in quanto richiederebbe alla società di monitorare ogni messaggio. E se ad affermarlo è proprio l’app di messaggistica che blocca moltissimi utenti senza farsi troppi problemi (a livello mondiale vengono bloccati mediamente otto milioni di account al mese), è probabile che quanto stabilito dal governo indiano superi davvero i limiti accettabili.
[di Raffaele De Luca]
La Groenlandia ha vietato ogni attività petrolifera
In Groenlandia non si potrà più cercare il petrolio. Lo ha stabilito il nuovo governo di sinistra – guidato dal partito Inuit Ataqatigiit – che ha annunciato il totale divieto di ogni azione di ricerca, perforazione, estrazione e produzione dell’oro nero su territorio nazionale, per intraprendere un percorso di azioni contro il cambiamento climatico. La decisione ne fa il primo paese a bandire totalmente il carburante fossile più utilizzato al mondo. Ad oggi però, non c’è stata ancora nessuna scoperta significativa di petrolio sull’isola, ma la US Geological Survey – agenzia scientifica del governo americano-, ha stimato la possibile presenza di un giacimento con una quantità pari a più di 31 milioni di barili. Una cosiddetta “miniera d’oro” che per lungo tempo il paese ha inseguito anche come un disegno politico, capace di alimentare il lungo sogno dell’indipendenza dal Regno di Danimarca, in quanto le royalty petrolifere potrebbero sostituire il sussidio annuale di circa 500milioni di euro che l’isola riceve da Copenaghen.
Si può dire che il governo della Groenlandia si sia trovato di fronte ad un bivio. Difatti, se da un lato vietare le trivellazioni è un’azione per combattere i drastici cambiamenti climatici che si stanno verificando, dall’altro lato l’estrazione delle risorse naturali dell’isola garantirebbe l’indipendenza al paese e sarebbe facilitata proprio dal “climate change”. Lo scioglimento dei ghiacci, infatti, potrebbe portare alla luce risorse petrolifere e minerarie nascoste. Ma la scelta è ormai definitiva e Inuit Ataqatigiit non è nuovo a prese di posizione coraggiose e difficili come questa. Il partito, infatti, ha vinto le elezioni con il 37% dei voti proprio grazie alla proposta di una politica ambientalista radicale, messa subito in atto con il divieto totale di ricerca ed estrazione di uranio. Un programma premiato dagli elettori e in antitesi con quello della forza politica concorrente Siumut, nel cui programma vi è l’intenzione di finanziare il conseguimento dell’indipendenza attraverso lo sfruttamento delle risorse del territorio.
[di Eugenia Greco]
Inondazioni in Cina: 12 morti in una metropolitana
Dodici persone hanno perso la vita ed altre cinque sono rimaste ferite per l’inondazione della metropolitana della città di Zhengzhou, capitale della provincia di Henan, in Cina. La tragedia è stata causata dalla pioggia torrenziale che lì si è abbattuta. A riferirlo sono state le autorità locali in seguito alla pubblicazione di immagini di passeggeri sommersi dall’acqua. Queste ultime, hanno portato l’allerta al livello 1 (il più alto possibile) a causa dei fiumi in piena e delle dighe finite sotto pressione in tutta la provincia. Inoltre, quasi 300 mila persone sono state evacuate.
Plastica monouso, quattro associazioni ambientaliste denunciano l’Italia
Un gruppo di associazioni ambientaliste ha denunciato l’Italia per aver escluso le plastiche usa e getta compostabili dalla legge che recepisce la SUP, direttiva europea sulla plastica monouso, entrata in vigore lo scorso 3 luglio. Questa ha messo al bando alcuni oggetti come piatti e posate, cannucce, cotton fioc, palette da cocktail, bastoncini dei palloncini, e contenitori in polistirolo per alimenti e bevande. Tali prodotti potranno essere venduti fino ad esaurimento scorte, dopodiché saranno banditi definitivamente.
Non avendo però la direttiva fatto alcuna distinzione fra oggetti di plastica tradizionale e oggetti in plastica bio, con la legge di delegazione europea approvata dal Parlamento, l’Italia prevede che, per i prodotti banditi, si ammettano relative alternative in plastica biodegradabile e compostabile. Tuttavia, le linee guida della Commissione Europea, affermano chiaramente che le due tipologie di plastica siano da porre sullo stesso piano. Difatti, ad oggi, non si hanno dati scientifici concreti dimostranti che un oggetto in “bioplastica” non causi danni all’ambiente. Inoltre, c’è da dire, che questa si decompone esclusivamente in determinate circostanze caratterizzate da una certa temperatura, uno specifico tasso di umidità e, soprattutto, dalla presenza di alcuni microrganismi.
Pertanto, a causa della decisione presa dall’Italia, Greenpeace, ClienthEarth, ECOS e Rethink Plastic Alliance hanno presentato un reclamo ufficiale alle autorità europee. «L’Italia sembra preferire di gran lunga una finta transizione ecologica» si legge nel comunicato. Già a fine maggio, il gruppo di organizzazioni ambientaliste aveva inviato una lettera ufficiale al Ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, informandolo della potenziale violazione inclusa nella bozza del recepimento italiana e richiedendo di organizzare un incontro per discuterne, senza tuttavia ottenere risposta. Sta di fatto che l’atto parlamentare c’è – anche se manca ancora il decreto legislativo definitivo- e se il governo dovesse seguire l’impostazione della legge delega, sarà impossibile evitare una procedura di infrazione.
[di Eugenia Greco]
Whirlpool: protesta dei lavoratori a Napoli
Questa mattina, i lavoratori della Whirlpool hanno prima occupato i binari dei treni ad alta velocità, alla stazione centrale di Napoli, e successivamente si sono recati a piazza Garibaldi ed hanno attuato un blocco stradale. La protesta, a cui hanno aderito circa 200 operai del sito di via Argine, è stata fatta per chiedere il blocco dei licenziamenti da parte della multinazionale americana, che negli scorsi giorni ha appunto annunciato il licenziamento collettivo dei lavoratori impiegati nello stabilimento di Napoli.









