I talebani hanno preso il pieno controllo dell’aeroporto di Kabul, con i miliziani armati che adesso pattugliano lo scalo della capitale. Il tutto in seguito al ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan, portato a termine questa notte dopo 20 anni di presenza nel Paese. L’ultimo aereo americano, infatti, è decollato dall’aeroporto di Kabul a mezzanotte.
Costa Rica e Danimarca danno vita a un’alleanza per porre fine all’industria fossile
Costa Rica e Danimarca stanno cercando di stringere un’alleanza con altri Paesi, al fine di fissare una data per iniziare l’eliminazione graduale della produzione di petrolio e gas, e per cessare il rilascio delle licenze atte alla loro ricerca. Un’alleanza il cui nome sarà BOGA (Beyond Oil and Gas Alliance) e che dovrebbe essere lanciata alla Cop 26 (Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici del 2021), la quale si terrà a Glasgow, dall’1 al 12 novembre. Il progetto sembra prendere forma, anche se i dettagli non sono ancora stati pienamente elaborati e non è chiaro quanti e quali paesi – oltre ai due creatori – entreranno a farne parte.
Dei contatti ci sono però già stati, sia con alcuni componenti dell’Unione Europea – tra cui Spagna e Portogallo -, sia con il Regno Unito e la Nuova Zelanda, la quale è decisa ad approfondire e valutare la questione. Nessun segno, per il momento, è pervenuto né dagli Stati Uniti – il più grande produttore di petrolio e gas che quest’anno si è impegnato a dimezzare le emissioni entro il 2030 – né dall’Italia. Anzi, per quanto riguarda il Belpaese, si può dire che la strada presa dal governo vada in direzione prettamente opposta. Di recente, infatti, il Ministero della Transizione Ecologica ha adottato il Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle aree idonee (PiTESAI), al fine di individuare le aree in cui continuare a cercare ed estrarre idrocarburi “in modo sostenibile”.
L’iniziativa presa da Danimarca e Costa Rica non va considerata improvvisa, in quanto è da tempo che i due stati si impegnano nel contenimento delle emissioni e nella riduzione delle esplorazioni di ricerca di giacimenti di combustibili. In particolare, il paese nordico europeo, non solo si è posto l’obiettivo di ridurre del 70% le emissioni di gas serra entro il 2030, ma sta anche provvedendo a iniziare ad utilizzare i vecchi giacimenti di petrolio e gas per immagazzinare anidride carbonica. D’altro canto il Costa Rica – benché non abbia mai estratto l’oro nero e ospitato impianti petroliferi -, sta valutando un disegno di legge per vietare definitivamente la ricerca e l’utilizzo dei combustibili fossili; un chiaro esempio di paese in via di sviluppo deciso a seguire coraggiosamente un modello economico considerato “del futuro”. C’è da dire, però, che se i combustibili fossili sono alla base delle emissioni di gas serra e, di conseguenza, dell’aumento delle temperature del nostro pianeta, sono anche elemento di ricchezza e potere mondiale, ragione per cui in molti sono scettici riguardo all’adesione al BOGA dei principali produttori dell’oro nero e di gas – come Arabia Saudita e Russia – le cui economie dipendono proprio da questi.
[di Eugenia Greco]
Palermo: scossa terremoto di magnitudo tra 4.3 e 4.8
Una forte scossa di terremoto è stata registrata nel palermitano questa mattina, precisamente alle ore 6.14. Lo si apprende dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), il quale sottolinea che la scossa in questione è stata di magnitudo tra 4.3 e 4.8. La scossa è stata avvertita lungo tutta la costa settentrionale della Sicilia, e diverse telefonate sono arrivate ai vigili del fuoco. Tuttavia, fortunatamente al momento non sono stati segnalati danni a persone o cose.
Perù: scontro tra due barche, almeno 11 morti
Sono almeno 11 le persone che hanno perso la vita in seguito allo scontro tra due barche verificatosi presso il fiume Huallaga, situato nell’Amazzonia peruviana. Lo si apprende da una nota dell’Istituto nazionale della Protezione civile, nella quale si legge anche che un numero imprecisato di persone è scomparso, mentre altri 6 individui sono rimasti feriti. È questo dunque il resoconto attuale dell’incidente avvenuto nella giornata di ieri, quando, come riportato dalla rete televisiva Tv Peru, una barca piena di passeggeri si è schiantata contro una chiatta merci a causa di una fitta nebbia.
In tutta Italia continuano le manifestazioni contro il Green Pass
Anche in questo fine settimana in tutta Italia, da Nord a Sud, i cittadini sono scesi in piazza per protestare contro il Green Pass, il lasciapassare sanitario necessario per svolgere diversi tipi di attività. I media mainstream, però, si sono ancora una volta resi protagonisti di un’informazione parziale ed incompleta, soffermandosi quasi esclusivamente sui singoli episodi violenti verificatisi in alcune delle manifestazioni e lasciando poco spazio alle restanti proteste svoltesi in maniera pacifica, le quali sono così state sostanzialmente screditate.
In tal senso, grande risalto è stato dato alle manifestazioni che hanno avuto luogo a Roma, dove domenica un videogiornalista del quotidiano la Repubblica è stato aggredito e minacciato di morte. Il tutto dopo che nella giornata di sabato, sempre durante una protesta contro il pass sanitario nelle strade della capitale, una giornalista di Rai News 24 era stata aggredita. Vicende che, seppur ovviamente meritevoli di essere menzionate, sono state trattate dai media in un modo non proprio impeccabile: da un articolo di Sky TG24, ad esempio, emerge (in maniera neanche troppo indiretta) che le persone contrarie al Green Pass siano tendenzialmente violente.
Inoltre al suo interno, oltre ai due episodi appena citati, viene descritto anche l’inseguimento attuato a Genova da un uomo contrario ai vaccini nei confronti dell’infettivologo Matteo Bassetti. E mettendo dunque in correlazione tale vicenda con gli atti violenti verificatisi durante alcune proteste, dall’articolo emerge anche che tutte le persone contrarie al certificato verde siano “no vax”. Ciò tuttavia non corrisponde al vero, in quanto seppur una parte dei “no green pass” possa essere contro i vaccini, questo non significa che tutti coloro che si oppongono a tale strumento lo siano. Si tratta infatti di cittadini, di differente estrazione sociale e fede politica, che si schierano semplicemente a favore della libertà di scelta.
Detto ciò, come anticipato precedentemente, seppur i media abbiano descritto in maniera approfondita i condannabili atti violenti di alcuni individui, la medesima attenzione non è stata data alle tante altre persone che hanno protestato pacificamente. A tal proposito, sempre Sky TG24 sottolinea come sabato, a Milano, un gazebo del Movimento 5 Stelle sia stato assaltato da «un gruppo di manifestanti No Green Pass radunatisi nel capoluogo lombardo per una protesta». Protesta alla quale non viene di certo riservata la medesima attenzione data a tale episodio, in quanto ad essa viene dedicato solo un piccolo paragrafo anziché il titolo dell’articolo. Eppure, tralasciando la singola vicenda, a Milano migliaia di cittadini hanno espresso il loro dissenso in maniera pacifica, dando vita ad un corteo in cui sono stati scanditi slogan inneggianti alla «libertà».
LIBERTÀ
LIBERTÀ
LIBERTÀ#NoGreenPass #milano #manif28agosto pic.twitter.com/k8vsw0X062— EtVentisAdversis🇮🇹 (@etventadv) August 28, 2021
Sono anche stati criticati in maniera dura i virologi Matteo Bassetti e Roberto Burioni nonché il premier Mario Draghi, ma si è appunto trattato di una legittima e non violenta espressione del dissenso.
Anche a Torino migliaia di persone hanno protestato nella giornata di sabato contro tale strumento: in corteo per le vie del centro storico, i manifestanti anche in questo caso hanno contestato il presidente del Consiglio e si sono schierati, tramite un grande striscione, a favore della libertà di scelta e «contro ogni discriminazione».
#TORINO: Manifestazione #NoGreenPass 28/08/21 pic.twitter.com/wa7alzaeHi
— Luca Donadel (@realDonadelLuca) August 28, 2021
C’è poi Modena, dove sabato un gruppo nutrito di persone ha sfilato pacificamente lungo via Emilia Centro al grido di «No Green Pass», e Bologna, dove nella stessa giornata i cittadini si sono rifatti al medesimo slogan. A Bolzano inoltre, come riportato da alcuni quotidiani locali, una «folla oceanica» composta da migliaia di persone si è riversata sui prati del Talvera e «pacificamente ha protestato contro le restrizioni imposte dal Green Pass». Il tutto senza esporre «bandiere né cartelloni offensivi». Infine, volendo citare una città del Sud, si può menzionare Napoli, dove centinaia di cittadini si sono radunati sabato in piazza Dante contro la «dittatura sanitaria» e si sono opposti alla tessera verde. A tutto ciò, però, gran parte dei giornali mainstream non ha dedicato nemmeno una riga.
[di Raffaele De Luca]
Afghanistan, cosa è successo realmente all’aeroporto di Kabul?
Dallo scorso 15 agosto, dalla caduta ufficiale del Governo afghano, l’aeroporto di Kabul è divenuto il fulcro della battaglia politica e ideologica tra NATO e talebani, una battaglia in cui si sono velocemente aggiunti elementi terzi più difficilmente sondabili quali Daesh.
Il risultato è un panorama confuso e caotico nel quale, di fatto, i militari dispiegati faticano a distinguere gli avversari dagli alleati e viene fin troppo facile premere i grilletti dei fucili. Nel parlare delle centinaia di morti che si stanno rapidamente accumulando bisogna dunque sottolineare un elemento rilevante: solo una parte è causata dai terroristi, altri sono uccisi dal cosiddetto “fuoco amico”.
Il fatto che le truppe fossero coi nervi a fior di pelle, che fossero predisposti all’errore, era evidente ancor prima che nell’equazione entrassero le manovre di Daesh. Solo una settimana fa, il 23 agosto, un cecchino ha esploso dei colpi sulla folla, scatenando un fenomeno emergenziale che ha risvegliato la pronta reazione delle truppe NATO – nello specifico dei tedeschi e degli statunitensi – e di quei pochi membri della Afghan National Army (ANA) che ancora affiancano i Paesi occidentali. Peccato che nel parapiglia NATO e soldati afghani si sono messi a spararsi reciprocamente.
Ancor più tragica è stata la questione dell’attentato terroristico rivendicata dal cosiddetto ISIS-K: almeno 170 morti e il sospetto che una buona parte di questi non sia stata causata dall’attacco in sé, ma da una reazione scriteriata di chi presidiava l’ingresso dell’aeroporto. Secunder Kermani, corrispondente della BBC, ha raccolto testimonianze sul come i corpi di diverse vittime fossero crivellati da fori di proiettile e da ferite non compatibili con quelle di un attentato terroristico di stampo dinamitardo. Raffiche di proiettili che, secondo le ricostruzioni dei locali, sarebbero partiti dai militari statunitensi e da quelli turchi.
Our report from last night on the awful ISIS attack outside Kabul airport as families still search Kabul's morgues for their loved ones..
Many we spoke to, including eyewitnesses, said significant numbers of those killed were shot dead by US forces in the panic after the blast pic.twitter.com/ac5nUVeJ4x
— Secunder Kermani (@SecKermani) August 28, 2021
Queste dichiarazioni troverebbero riscontro in altre fonti giornalistiche, ma una simile posizione è fermamente negata dagli USA, i quali hanno attribuito la responsabilità ad alcuni agenti Daesh nascosti nella folla. La vicenda è ora al centro di indagini.
Se è concretamente difficile decifrare gli avvenimenti del 26 agosto, certo è che gli Stati Uniti si stiano dimostrando lucidamente cruenti nell’assicurarsi che non si ripetano ulteriori attentati. Un drone a stelle e strisce non ha mancato infatti di neutralizzare un potenziale pericolo facendo detonare dalla distanza una camionetta ricolma di esplosivi, una manovra strategica che è però costata la vita a nove civili, almeno tre delle quali sarebbero bambini.
Distruggere una minaccia prima che possa trovarsi nella situazione di causare danni ingenti è una pratica militarmente logica, ma politicamente disastrosa. Gli afghani che si sentono già traditi dall’Occidente vedono ora i propri bambini martoriati sotto i loro occhi nel pieno della metropoli più importante del Paese. La cosa rischia di fomentare paura e rancore nei confronti di una forza estera che sta cercando di evitarsi nuove dimostrazioni di debolezza abbandonandosi alla violenza. Una violenza che peraltro non è stata concordata a priori coi talebani, i quali vedono la loro immagine istituzionale messa a repentaglio dalle scelte unilaterali assunte con atteggiamento vendicativo dalla Casa Bianca.
Al posto di rappresentare un baluardo di arguzia diplomatica, quanto sta accadendo all’aeroporto di Kabul sta assumendo una dimensione scoordinata e frenetica, una dimensione in cui le parti coinvolte tendono a muoversi autonomamente ed egoisticamente, che si tratti della difesa materiale del presidio o della gestione delle migliaia di rifugiati.
[di Walter Ferri]
Sul tavolo del ministero del Lavoro ci sono ben 87 crisi aziendali
87 grandi aziende a rischio, 57 delle quali già chiuse o a forte rischio di chiusura. Non sempre per effettive crisi economiche delle aziende in questione, ma spesso per la scelta da parte dei dirigenti di delocalizzare la produzione in nazioni dove il costo del lavoro è più basso. In tutto, secondo una stima del Sole 24 Ore, sono tra 80mila e 100mila i lavoratori che rischiano di perdere il lavoro. Una situazione che trova una parte di causa anche nella decisioni del governo Draghi, che lo scorso 30 maggio ha deciso di non rinnovare il blocco dei licenziamenti che era stato varato dal Conte II per far fronte alla “crisi pandemica”.
Sul tavolo del ministero del Lavoro ci sono appunto le sorti di centomila famiglie. Non solo legate a maxi-aziende da tempo in crisi come Ita-Alitalia e l’ex Ilva, ma a una miriade di medie e grandi aziende specie del settore metallurgico, molte delle quali – dati alla mano – non si trovano affatto dinnanzi a difficoltà economiche. È ad esempio il caso della Whirlpool, che ha licenziato i 340 dipendenti dello stabilimento di Napoli nonostante i risultati del primo trimestre 2021 siano stati salutati dalla stessa multinazionale statunitense come «un successo». E nonostante i dirigenti del colosso degli elettrodomestici, appena due anni fa, raggiunsero un accordo con il governo italiano, ricevendo anche sovvenzioni statali, per rilanciare lo stabilimento di Napoli con un piano triennale di investimenti.
O come il caso della GKN, multinazionale britannica che si occupa di componenti destinate al settore automobilistico, che l’11 luglio scorso ha licenziato in tronco tutti i 422 dipendenti dello stabilimento di Campi Bisenzio (Firenze) con un avviso via mail nel quale diceva in poche righe di non presentarsi al lavoro il lunedì successivo. Modalità brutali che costituiscono non un caso ma sempre più una prassi. Come avvenuto ai 90 operai dipendenti della sede bolognese di Logista, azienda leader nella distribuzione di tabacco in Italia, i cui dirigenti per avvisare i dipendenti della perdita del posto di lavoro si sono limitati a inviare loro un messaggio WhatsApp, la sera di sabato 31 luglio scorso, con il seguente testo: «Da lunedì 2 agosto lei sarà dispensato dall’attività lavorativa. Cordiali Saluti».
Molte di queste aziende hanno semplicemente in programma di delocalizzare la produzione in altri paesi dove i salari dei lavoratori sono più bassi. Motivo per il quale servirebbe una norma contro le delocalizzazioni, come richiesto dai sindacati e proposto in Parlamento. Tuttavia il governo Draghi pare andare in altra direzione, con lo stesso presidente del Consiglio che ha esplicato la sua linea politica con lo slogan: «proteggere i lavoratori e non i posti di lavoro». Soluzione che per ora si sta avverando solo nella sua seconda parte, ovvero lasciare licenziare i lavoratori, senza che per questi siano state messe in campo nuove protezioni. Lo stesso ministro del Lavoro, il leghista Giancarlo Giorgetti, ha mostrato di essere molto più incline ad assecondare le richieste confindustriali rispetto a quelle delle organizzazioni dei lavoratori, specificando la sua contrarietà a porre paletti realmente incisivi all’interno della bozza di legge conto le delocalizzazioni, come le multe e il divieto a partecipare a bandi pubblici per le aziende che non rispettino la norma.
Afghanistan: 5 razzi contro aeroporto Kabul intercettati dagli Usa
Il sistema anti-missili americano ha intercettato 5 razzi lanciati contro l’aeroporto internazionale Hamid Karzai di Kabul. Lo ha riferito alla Cnn, la nota emittente televisiva statunitense, un funzionario americano, il quale ha sottolineato come al momento non risultino vittime. Inoltre, secondo quest’ultimo i razzi potrebbero essere stati lanciati da Isis-K, l’organizzazione terroristica che ha rivendicato l’attacco effettuato nella giornata di giovedì sempre nei confronti dell’aeroporto della capitale afghana.
Vaccini, i cittadini di San Marino dovranno fare da cavie per ottenere il green pass
I cittadini sanmarinesi dovranno sottoporsi a una terza vaccinazione anti-Covid utilizzando uno dei sieri autorizzati in Europa dopo aver ricevuto le prime due dosi con il vaccino di produzione russa Sputnik V. Chi tra i cittadini della Repubblica del Titano rifiuterà la procedura non potrà ricevere il Green Pass italiano, necessario a tanti sanmarinesi anche per ragioni di lavoro. A deciderlo è stato il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, imponendo di fatto ai sanmarinesi di fare da cavie per una procedura mai provata prima e che non può essere giudicata sicura in base a nessuno studio scientifico.
Alla maggior parte della popolazione sammarinese è stata somministrata la doppia dose di un vaccino non ancora approvato in Europa: lo Sputnik V (Gam-COVID-Vac); questo, fa sì che i cittadini di San Marino vengano considerati in Italia come fossero soggetti non vaccinati. Per i sammarinesi, c’è dunque tempo fino al 15 ottobre per la somministrazione della terza dose e ottenere in questo modo il passaporto vaccinale.
Eppure, nella Repubblica di San Marino, più del 70 per cento della popolazione ha completato il ciclo vaccinale e la situazione sanitaria nell’enclave è ora molto positiva – e in uno stadio di gran lunga migliore rispetto all’Italia o ad altri Stati occidentali – . Comunque, chi da San Marino deve svolgere delle attività in Italia, necessitando forzatamente di una terza dose, sarà di conseguenza soggetto a una sorta di “primo esperimento”. Non si è a conoscenza, infatti, delle possibili reazioni dopo due dosi di Sputnik V e una terza dose di un altro vaccino. Ecco come i cittadini di San Marino si sono scagliati contro l’imposizione comunicata da Di Maio, sentendosi come delle vere e proprie “cavie“, come denuncia Matteo Ciacci, politico sammarinese, segretario e consigliere di Libera: «Non siamo cavie. Dopo settimane di promesse e mancate risposte, questo epilogo sa davvero di presa in giro».
Sono numerosi i sammarinesi che svolgono attività quotidiane fuori dallo stato; questi dovranno tornare a condurre parte delle loro vite in Italia…per farlo, però, ora il Governo italiano chiede loro di sottoporsi a un’ulteriore dose, anche avendo già completato il ciclo vaccinale, con un vaccino che – nonostante non sia stato, per il momento, approvato dall’Ema – sembra avere ottima efficacia. Al 97,6 per cento secondo quanto riportato sul sito ufficiale, dati da prendere con ovvio beneficio del dubbio ma sostanzialmente confermati anche da ricerche indipendenti che attribuiscono allo Sputnik V una buona capacità di proteggere dagli effetti più gravi della variante Delta, riducendo il rischio di ospedalizzazione dell’81% e aiutando a prevenire gravi lesioni polmonari, come dimostra uno studio pubblicato su medRxiv (archivio online gratuito e server di distribuzione per manoscritti completi – ma non ancora pubblicati – sulle scienze mediche, cliniche e correlate).
Il processo di approvazione del vaccino russo Sputnik V va però a rilento in Europa; a marzo 2021, L’Ema ha avviato la revisione continua (uno strumento normativo che l’Agenzia utilizza per accelerare la valutazioni di un farmaco durante un’emergenza sanitaria) del vaccino Sputnik V. L’approvazione definitiva era prevista per il mese di giugno, ma è poi stata spostata a data da destinarsi. La causa viene esplicitata da alcune testimonianze raccolte in un articolo pubblicato su Reuters e sembrerebbe essere il mancato invio, da parte degli sviluppatori del vaccino russo (ovvero il Centro nazionale di epidemiologia e microbiologia Gamaleya) di alcuni dati fondamentali per potere approvare il farmaco. I dati richiesti dall’Ema sono relativi alle sperimentazioni cliniche e sarebbero dovuti arrivare entro e non oltre il 10 giugno 2021.
Oltre alle ragioni tecniche e burocratiche rimane però ben presente sullo sfondo il dubbio che vi siano ragioni politiche. Accuse rilanciate a più riprese anche dal governo di Mosca, il quale ha accusato l’Ema di boicottare il vaccino russo per ragioni geopolitiche, nonostante molteplici ricerche e i dati provenienti dai paesi utilizzatori mostrino requisiti di efficacia ottimi.
[di Francesca Naima]