Il Tribunale superiore di giustizia della Galizia ha emesso una sentenza storica, unica nel suo genere, che riconosce la violazione dei diritti umani da parte delle autorità regionali e statali spagnole per l’inquinamento provocato dagli allevamenti intensivi. La Corte ha in particolare stabilito che l'inquinamento, a danno di migliaia di residenti nella regione di A Limia, nel sud della Galizia, rappresenta una violazione dei diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione spagnola e dal diritto europeo.
La Corte ha accertato che le istituzioni Xunta de Galicia e Autorità di bacino del fiume ...
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L’UE ha imposto sanzioni a otto persone e a un’entità accusati dell’assassinio di dissidenti iraniani per conto del governo di Teheran. A dare la notizia è stato il Consiglio europeo, che ha spiegato che le sanzioni includono il congelamento dei beni e il divieto di viaggio. Il Consiglio ha inserito nell’elenco la Rete Zindashti, che definisce come un gruppo criminale collegato al Ministero dell’Intelligence e della Sicurezza iraniano, accusandolo di «atti di repressione transnazionale». Incluso anche il capo della Rete, Naji Ibrahim Sharifi-Zindashti, individuato come uno dei capi della criminalità organizzata legata al narcotraffico. Preso di mira anche Mohammed Ansari, capo di una unità legata ai pasdaran.
Il marchio di abbigliamento di lusso Loro Piana è stato messo sotto amministrazione giudiziaria con l’accusa di avere subappaltato colposamente parte della propria produzione ad aziende che sfruttano i lavoratori. A chiedere e ottenere la misura di prevenzione è stata la Procura di Milano, impegnata in una più ampia indagine sullo stato di salute dei marchi di abbigliamento in Italia. Quella di Loro Piana è la quinta amministrazione giudiziaria che ha investito il settore tra il 2024 e il 2025. Gli altri brand di lusso coinvolti sono Alviero Martini, Armani Operations, Manufactures Dior e Valentino Bags Lab.
Loro Piana è un brand vercellese dell’abbigliamento di lusso specializzato in cashmere, parte del gruppo Moët Hennessy Louis Vuitton (LVMH). L’accusa mossa dalla Procura di Milano a Loro Piana è quella di aver instaurato rapporti stabili “con soggetti dediti allo sfruttamento dei lavoratori” e agevolato “colposamente” il caporalato cinese lungo la filiera della lavorazione del cashmere in Italia. In questo modo, vestiti venduti a migliaia di euro nei negozi Loro Piana nascondevano costi di lavorazione da circa un centinaio di euro, per un sistema di caporalato e sfruttamento a danno degli operai ricostruito dai carabinieri del Comando Tutela Lavoro. È emersa una catena di appalti e subappalti, con al vertice Loro Piana, impegnata nell’ideazione dei capi di abbigliamento. La realizzazione era affidata invece a Evergreen, una società con 7 operai e quasi nessun macchinario, che a sua volta si rivolgeva — come ricostruito dal filone giudiziario — alla Sor-Man, altra azienda italiana che subappaltava a due ditte cinesi: la Clover Moda e la Day Meiying. Secondo il Tribunale di Milano, queste ditte erano impostate su condizioni di lavoro illegali, tra evasione fiscale e contributiva e carenze nella sicurezza degli operai, sottopagati e “di fatto continuamente sorvegliati”. Inoltre, i consumi energetici delle ditte hanno rivelato che “il lavoro era svolto per tutto il giorno, indistintamente” compresi “sabati e domeniche ed i giorni festivi”.
Proprio il Tribunale di Milano ha accolto la richiesta della Procura e disposto per Loro Piana l’amministrazione giudiziaria, una misura preventiva, “volta non a punire l’imprenditore che sia intraneo all’associazione criminale, quanto a contrastare la contaminazione antigiuridica di imprese sane, sottoponendole a controllo giudiziario” — come spiegato dallo stesso Tribunale di Milano in una pronuncia recente. Mentre appaltatori e subappaltatori sono stati denunciati e multati, Loro Piana non risulta infatti indagata dai magistrati. Il brand di lusso vercellese, che conta all’attivo più di 2mila dipendenti e un fatturato da oltre 1,6 miliardi di euro, avrebbe comunque agevolato il sistema di sfruttamento e caporalato, ottenendo la massimizzazione dei profitti dall’abbattimento illegale dei costi di produzione. Pertanto, l’amministratore giudiziario discuterà nei prossimi mesi coi giudici del piano di risanamento aziendale, costringendo la società a rivedere le proprie politiche di appalti e subappalti. Questa misura, insieme alle quattro comminate ai colossi della moda italiana, punta a un radicale cambio di gestione del settore, che, come rivelato dai recenti filoni investigativi, nasconde spesso dietro abiti costosi attacchi alla dignità dei lavoratori. Starà poi alla classe politica decidere di cogliere o meno i segnali della magistratura e procedere con una regolamentazione più stringente sulla catena di appalti e subappalti su cui si regge il lavoro nel nostro Paese.
Il parlamento ucraino ha esteso la legge marziale fino al 5 novembre. A dare la notizia è il deputato Yaroslav Zhelezniak. Da quanto riporta Zhelezniak, l’estensione è stata approvata da 320 deputati, mentre uno solo ha votato contro; dall’inizio della guerra con la Russia, è la sedicesima volta che il parlamento proroga la scadenza della legge marziale. L’ultima volta risale il 16 aprile, quando il parlamento aveva approvato una estensione valida fino al 6 agosto. L’estensione approvata nella giornata di oggi, martedì 15 luglio, entrerà in vigore il 7 di agosto.
La One Big Beautiful Bill Act (la “grande e bellissima legge”), approvata in via definitiva dalla Camera USA, è la legislazione finanziaria su cui Trump ha puntato molto per rispondere ai grandi temi della propria campagna elettorale: su tutti, quelli della sicurezza e della difesa, specie per quanto riguarda i confini, e quello in materia fiscale. All’interno di questa mastodontica legge è compresa una massiccia vendita di terreni federali, al fine di costruire alloggi e aumentare in maniera vigorosa la produzione di legname e la concessione in leasing di terre ove estrarre materie prime. La One Big Beautiful Bill Act non è solo una manovra finanziaria ma una vera e propria riscrittura delle priorità nazionali in materia di conservazione e risorse naturali.
Come proposto dal Comitato per l’energia e le risorse naturali del Senato statunitense, il Bureau of Land Management (BLM) e il Servizio Forestale degli Stati Uniti sono obbligati a identificare e cedere una quantità di terreno compresa tra i 2,2 milioni e 3,3 milioni di acri, in 11 Stati: Alaska, Arizona, California, Colorado, Idaho, Nevada, New Mexico, Oregon, Utah, Washington e Wyoming. Infatti, come esposto nella scheda informativa del Comitato, le due agenzie sarebbero obbligate a cedere tra lo 0,5% e lo 0,75% dei propri terreni, il cui totale ammonta a circa 438 milioni di acri (circa 177 milioni di ettari). L’obiettivo primario dichiarato di queste vendite è lo sviluppo di alloggi o la soddisfazione di “esigenze comunitarie associate”, con l’ambizione di generare fino a 10 miliardi di dollari nei prossimi cinque anni.
Oltre alla vendita di terreni, il disegno di legge apre le porte a un’accelerazione significativa nello sfruttamento delle risorse naturali. All’interno di riserve forestali create dal demanio pubblico, la legge richiede al Servizio Forestale di aumentare la vendita di legname di 7 milioni di metri cubi rispetto a quella venduta nell’anno fiscale precedente, e così fino al 2034. Per questo il Comitato del Senato suggerisce la realizzazione di almeno una quarantina di contratti a lungo termine. Tradotto: disboscamento di grandi aree verdi.
Inoltre, la lege prevede di raccogliere oltre 15 miliardi di dollari attraverso l’espansione del leasing di petrolio, gas, carbone e geotermico in aree federali. Questo in particolare avverrà in Alaska, dove il governo federale possiede il 61% di tutte le terre dello Stato. La legge richiede al governo federale, entro il 2035, di tenere aste di concessione anche all’interno dell’Arctic National Wildlife Refuge, un’enorme area protetta di circa 20 milioni di acri nel nord-est dell’Alaska, nel Cook Inlet, zona vicino al Golfo d’Alaska il cui ecosistema è molto sensibile, così come nella National Petroleum Reserve in Alaska (NPRA), zona ecologicamente molto importante per la sua fauna e in cui insistono diversi villaggi Iñupiat. In quest’area era già stato aperto un contenzioso nel 2023, durante l’amministrazione Biden, la quale aveva dato via alle perforazioni con delle restrizioni rispetto alla prossimità dei villaggi Iñupiat. Una mossa finanziaria cruciale per lo stato è l’aumento della quota di royalties che rimarranno in Alaska: dal 50% precedente all’attuale 90% su tutti i canoni e le royalties derivanti dalle concessioni di petrolio e gas. Insomma, un po’ di carota dopo il bastone.
La risposta a queste proposte è stata un coro di allarme da parte dei gruppi ambientalisti e di conservazione, così come da parte delle comunità indigene. La vendita di terre pubbliche, lungi dall’essere una soluzione alla crisi abitativa, è vista come uno «stratagemma sfacciato per vendere terre pubbliche incontaminate per case trofeo e comunità recintate che non faranno nulla per affrontare la carenza di alloggi a prezzi accessibili», come affermato al New York Times da Jennifer Rokala, direttrice esecutiva del Center for Western Priorities. La critica è amplificata dalla mancanza di requisiti di accessibilità nel disegno di legge, suggerendo che le nuove costruzioni potrebbero anche andare a persone non bisognose o alla costruzione di quartieri lussuosi, esclusivi e recintati e protetti dalle guardie di sicurezza.
L’espansione delle perforazioni petrolifere e del taglio di legname solleva interrogativi profondi sulla gestione delle risorse. Ma Trump era stato chiaro fin dalla campagna elettorale, in cui aveva coniato lo slogan “Drill baby, drill”. Le modifiche alle royalties petrolifere per l’Alaska, pur attraenti per le casse statali, rappresentano un incentivo a un maggiore sfruttamento del territorio e di utilizzo di combustibili fossili. In definitiva, il trumpiano One Big Beautiful Bill Act, oltre alle problematiche che L’Indipendenteha già esposto, è una politica che porterà alla svendita di terreno pubblico, al disboscamento di intere foreste e alla trivellazione e all’estrazione di materie prime che occorro alla immensa macchina (da guerra) statunitense.
Da sempre i prodotti che l’industria alimentare e il marketing propongono per i bambini sono colorati, allegri, raffigurano pupazzetti simpatici e si accompagnano a spot TV che promettono tanta salute ed energia per i bimbi. Molti consumatori non sanno che tali prodotti sono quasi per intero a base di zucchero e non di cacao. Questo è il caso, ad esempio, di un noto prodotto in polvere da aggiungere al latte, che esiste in commercio da tantissimi anni e che ancora oggi si compone per ben il 75% di puro zucchero (un tempo arrivava persino all’81% di zucchero).
Questi prodotti, inoltre, richiamano con delle scritte sulle confezioni alla buona salute del sistema immunitario per la presenza di vitamine, ma non fanno nessun accenno al fatto che il prodotto si compone in prevalenza di zucchero, il quale non ha un impatto positivo sul sistema immunitario.
Un altro prodotto per la colazione dei bambini che l’industria promuove e vende nei supermercati è il latte fresco già zuccherato e contenente già la polvere di cacao. In Italia tipicamente si trova con la dicitura frontale nella confezione di «Il latte della Lola» raffigurante una simpatica mucca sorridente disegnata come fumetto. Come può non piacere ai bambini e persino alle mamme? Ebbene, al di là delle apparenze è sempre bene analizzare però il prodotto da un punto di vista nutrizionale e di salubrità. Ed ecco che si palesano tutti i suoi difetti: questo latte pronto all’uso ha un quantitativo di zuccheri che è di 2 volte e mezzo quello del latte naturale (10g su 100g di alimento, anziché 3,5g su 100g), proprio perché è stato aggiunto lo zucchero negli ingredienti. Già così siamo fuori da un contesto di prodotto sano per la colazione: ormai sappiamo, infatti, che tutti gli studi e le ricerche scientifiche ci dicono che non bisogna aggiungere lo zucchero nei cibi dei bambini – l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda addirittura di non somministrare mai zucchero ai bambini almeno fino ai 2 anni di età (quindi nemmeno cibi come biscotti, gelati, merendine o caramelle). Il latte possiede già la sua quota di zuccheri naturali (lattosio), pari a 3,5 grammi su 100g di alimento: non ne vanno aggiunti altri
Ma non finisce qua, il «latte della Lola» presenta anche altri problemi di tipo nutrizionale. Per prepararlo viene tolta la panna del latte intero e rimpiazzata con un additivo che lo rende cremoso e più denso: la carragenina, un emulsionante. Si tratta di additivi alimentari ampiamente utilizzati nell’industria alimentare perché permettono di migliorare la consistenza, il colore e il gusto dei cibi processati, oltre ad aumentare la durata di conservazione dei prodotti.
Ma c’è un problema: anche la carragenina è una sostanza sconsigliata nella dieta, sia dei bambini che degli adulti stavolta, in quanto è collegata negli studi a problemi di salute come tumori e diabete di tipo 2. Il meccanismo attraverso il quale si arriva allo sviluppo di tumori e diabete nell’uso di questo tipo di additivi è collegato agli effetti deleteri che gli emulsionanti come la carragenina esercitano sul microbiota intestinale (cioè i batteri dell’intestino) e all’infiammazione che tali additivi determinano nell’organismo. Queste non sono solo mere ipotesi ma conclusioni scritte nere su bianco in diversi studi scientifici effettuati ad oggi su queste sostanze, come ad esempio questo studio molto esteso effettuato in Francia e pubblicato nel febbraio 2024 sulla rivista Plos Medicine.
Una terza categoria di prodotti per la colazione o la merenda dei bambini su cui il marketing alimentare ha investito tantissimo sono gli yogurt, che però sarebbe meglio definire pseudo-yogurt, in quanto non si tratta mai, a ben guardare, di veri yogurt ma di preparazioni dolciarie a base di yogurt. E anche in questo caso la costante negativa è l’aggiunta di zucchero a quello che potrebbe semplicemente essere un alimento naturale. Nel caso che vi mostro ho scelto un prodotto al gusto di fragola, pertanto anziché vedere solo yogurt e fragole nella lista ingredienti, ci si ritrova in aggiunta anche zucchero, aromi, stabilizzanti, amido di mais, concentrato di minerali del latte. Ma se lo yogurt è presente nel prodotto, perché aggiungere dei minerali del latte? Evidentemente quello yogurt è molto poco, oppure ha perso con il processo di lavorazione alcune sostanze importanti (come minerali e vitamine). Da segnalare che in questo prodotto è stato aggiunto tanto zucchero da far lievitare il contenuto complessivo a ben 16 grammi (ovvero 4 cucchiaini) per un vasetto da 125 grammi, mentre uno yogurt naturale ne avrebbe appena 4 grammi. Quattro volte più zuccheri, insomma.
E per quanto riguarda il contenuto calorico in questi “prodotti sani” per bambini? Come si può leggere dalla tabella nutrizionale di questo pseudo-yogurt, siamo a 94 calorie, contro le 60 di uno yogurt intero naturale. Non solo più zuccheri e additivi dunque, ma anche più calorie, senza nemmeno accorgersene, per la maggior parte dei genitori che non conoscono le caratteristiche nutrizionali di yogurt e pseudo-yogurt. Molti di loro saranno semplicemente convinti di acquistare uno yogurt, anche perché sulla confezione c’è scritto in effetti «yogurt cremoso senza pezzi di fragola». In realtà non si tratta di uno yogurt ma di un dessert (o preparazione dolciaria) a base di yogurt: due prodotti ben diversi e con caratteristiche nutrizionali differenti, come avete appena potuto constatare da questa analisi.
In conclusione, i bambini dovrebbero essere i componenti della famiglia ai quali si dà il cibo più sano, invece spesso finiscono per essere proprio coloro che ricevono ogni giorno sostanze e alimenti industriali a base di additivi e sostanze poco salutari. Riflettiamo su questi aspetti e sforziamoci di avere maggiore consapevolezza delle scelte alimentari destinate alla loro nutrizione, dando meno peso agli spot TV sui prodotti per bambini e più importanza a quelli che sono i consigli e raccomandazioni di esperti e nutrizionisti.
La solidarietà internazionale verso il popolo palestinese ha fatto un passo avanti. Gli attivisti della Freedom Flotilla, Global March to Gaza e Sumud Convoy hanno deciso di unire le forze, istituendo la Global Sumud Flotilla, «la più grande flottiglia civile mai realizzata per rompere l’assedio illegale di Israele» sulla Striscia di Gaza, dove continuano a essere uccisi centinaia di palestinesi ogni giorno. Di fronte alla repressione subita nelle scorse settimane, i volontari provenienti da tutto il mondo hanno deciso di non indietreggiare, rilanciando la solidarietà verso il popolo palestinese con una strategia comune: un convoglio marittimo coordinato, in partenza da diversi porti del Mediterraneo, che seguirà le orme di tre precedenti missioni della Freedom Flotilla. L’ultima di queste è condotta dall’imbarcazione Handala, che salperà tra pochi giorni dall’Italia in direzione Gaza.
Nelle prime due settimane di giugno, tre diverse iniziative pacifiche hanno provato a rompere l’assedio israeliano in Palestina, contando su migliaia di attivisti e volontari. La Freedom Flotilla ha tentato la strada marittima, mentre la Global March to Gaza e il Sumud Convoy quella terrestre. Tutte e tre hanno però trovato la repressione. Nel primo caso, l’esercito israeliano ha sequestrato l’equipaggio che portava aiuti a Gaza, rimpatriandolo dopo diversi giorni di carcere. Per quanto riguarda le iniziative via terra, a fare il lavoro sporco per Israele sono state rispettivamente le autorità egiziane e quelle libiche, che hanno bloccato migliaia di persone sul proprio territorio. Nonostante la repressione, gli attivisti hanno deciso di rilanciare il proprio impegno verso il popolo palestinese, mettendo in piedi un nuovo progetto che dovrebbe portare decine di imbarcazioni — una piccola flotta nonviolenta — in viaggio verso la Palestina. Gli obiettivi dichiarati consistono nella consegna urgente di aiuti umanitari alla popolazione palestinese a Gaza, per un corridoio guidato dai popoli là dove i governi hanno fallito; nel fermare il genocidio; nel denunciare il silenzio globale, la complicità, la protezione e i profitti costruiti con quella che di recente la relatrice speciale dell’ONU Francesca Albanese ha definitoun’economia del genocidio.
«Sarà un messaggio al mondo intero, un promemoria che i palestinesi a Gaza e in tutta la Palestina non sono soli, e che i popoli non resteranno in silenzio», hanno dichiarato gli attivisti della Global Freedom Flotilla. La solidarietà al popolo palestinese non sarà infatti intaccata dalla più che probabile ondata repressiva che Israele sferrerà nuovamente verso gli attivisti, con l’obiettivo di ostacolare l’arrivo degli aiuti umanitari e mantenere l’assedio sulla Striscia di Gaza. La violenza verso i volontari provenienti da tutto il mondo potrebbe poi comportare un effetto boomerang per Israele, scatenando innanzitutto un’indignazione della società civile internazionale — ad esempio con un rilancio del boicottaggio — seguita dai fino ad ora silenti governi nazionali.
Nel frattempo, nella Striscia di Gaza l’esercito israeliano continua ad uccidere ogni giorno centinaia di palestinesi, molti dei quali in attesa di acqua o dell’unica razione di cibo della giornata. All’alba un bombardamento ha preso di mira il campo profughi di Shati, uccidendo almeno 5 persone e ferendone decine. Nelle ultime ore, le forze di sicurezza israeliane (IDF) hanno dato l’ordine di evacuare Gaza city e Jabalia e spostarsi a sud verso al-Mawasi, un’area che Israele considera sicura ma che bombarda costantemente.
Sono state notificate 16 ordinanze in carcere e ai domiciliari ad altrettante persone indagate per l’assegnazione degli appalti pubblici a Sorrento nel periodo 2022-2024. I reati contestati sono corruzione, peculato e turbata libertà degli incanti. Tra i destinatari delle ordinanze ci sono funzionari, dirigenti comunali e alcuni imprenditori. Figura anche l’ex sindaco Massimo Coppola, che nel maggio scorso fu colto in flagrante dopo aver ricevuto denaro da un imprenditore.
Nel cuore della Valle della Supe, in Perù, è riemersa dalle sabbie del tempo una città antichissima fondata nel 1800 a.C., chiamata Peñico e ora ufficialmente aperta al pubblico. Lo rivelano il Ministero della Cultura peruviano e gli archeologi che hanno effettuato la scoperta, aggiungendo che il tutto segue ben otto anni di scavi nel sito. La zona è stata ribattezzata “la Città dell’Integrazione”, in quanto dagli studi è emerso che unisse comunità provenienti dalla costa, dalle Ande e persino dalla giungla amazzonica. Il centro urbano è situato a centinaia di metri sul livello del mare e comprende ben 18 edifici tra strutture residenziali e pubbliche, tra cui un grande complesso cerimoniale decorato con rilievi di pututus, ovvero trombe in conchiglia usate per rituali e annunci. «Questo centro urbano si è sviluppato seguendo la tradizione culturale di Caral», ha spiegato l’archeologa Ruth Shady, aggiungendo che l’inaugurazione è avvenuta ufficialmente sabato 12 luglio con il festival Peñico Raymi, tra cerimonie tradizionali, arte e omaggi ai costumi locali.
Una fotografia del sito archeologico. Credit: Reuters
Gli esperti spiegano che, fondata circa 1200 anni dopo la nascita della civiltà di Caral, considerata la più antica delle Americhe, Peñico si è sviluppata come un importante centro urbano e commerciale. La città sorge su una terrazza geologica nella provincia di Huaura, nella regione di Lima, e si estende ai piedi delle colline andine a 600 metri di altitudine. Secondo gli archeologi dello ZAC (Zona Archeologica di Caral), inoltre, la scelta della posizione non fu casuale, in quanto oltre a garantire protezione da inondazioni e frane, favoriva le comunicazioni tra la costa, l’altopiano e la foresta amazzonica, consentendo lo sviluppo di una fitta rete di scambi economici e simbolici. Con la crisi di Caral però, ritenuta conseguenza di alcuni eventi climatici, Peñico ne avrebbe raccolto l’eredità sociale e politica, continuando a svolgere un ruolo di connessione e dialogo tra popolazioni diverse.
Una fotografia del sito archeologico. Credit: Reuters
Nel corso delle indagini archeologiche, spiegano gli scienziati, sono emerse prove significative dell’importanza cerimoniale, commerciale e ideologica di Peñico: tra le strutture identificate spicca il complesso B1-B3, e in particolare l’edificio B2, decorato con rilievi scultorei di pututus, ovvero strumenti usati nelle società andine per riunioni rituali e comunicazioni solenni. Secondo i ricercatori si tratta di indizi che suggeriscono che questo fosse il cuore amministrativo e spirituale della città, dove si tenevano le principali attività pubbliche. Al suo interno, inoltre, sono stati rinvenuti anche oggetti cerimoniali, tra cui collane di pietre pregiate, sculture di argilla, utensili in pietra e conchiglie lavorate, tra cui le cosiddette “Spondylus” e “crisocolla”. Il Ministero della Cultura, poi, suggerisce che il prestigio raggiunto dalla città potrebbe essere legato anche al commercio dell’ematite, un minerale usato per ottenere pigmenti rossi di forte valore simbolico nelle cosmologie andine: «Le caratteristiche monumentali, la posizione e i reperti suggeriscono un ruolo centrale nelle attività della comunità», conferma il comunicato ufficiale. Anche per questi motivi, secondo le istituzioni locali, l’apertura del sito e l’organizzazione del festival Peñico Raymi – con cerimonie dedicate alla Pachamama e momenti di arte e cultura – rappresenteranno il culmine di un lungo processo di ricerca e restituzione alla cittadinanza, confermando Peñico come nuovo tassello nel grande mosaico delle antiche civiltà delle Americhe, pronto a raccontare una storia ancora tutta da ascoltare.
La festa si è svolta sabato 12 luglio alle ore 10:00 locali, mentre gli orari di apertura al pubblico prevedranno la possibilità di ingresso dal lunedì alla domenica, festivi inclusi, dalle ore 9:00 alle 16:00.
Sono comprese tra gli 11 mesi e i 2 anni le pene inflitte agli attivisti del movimento contro la linea ferroviaria ad Alta Velocità in Val di Susa, condannati per gli scontri avvenuti nel luglio del 2020. La sentenza, emessa dal tribunale di Torino, riguarda fatti avvenuti nel cantiere di Giaglione. Le pene interessano dieci attivisti, accusati di avere assaltato il cantiere e ferito dei membri delle forze dell’ordine. Secondo le ricostruzioni della sentenza, la sera del 24 luglio, i manifestati si erano introdotti nel cantiere, e avevano eretto delle barriere lungo gli accessi al luogo; la polizia, incaricata di sgomberare i manifestanti, sarebbe così intervenuta, aumentando la tensione. Durante lo sgombero, sarebbero stati feriti due agenti, tra cui l’attuale questore di Aosta.
Secondo quanto riferito dai No TAV all’indomani dei fatti, la polizia sarebbe intervenuta a varie riprese anche con il fitto lancio di lacrimogeni senza motivo, in un momento in cui non vi sarebbe stata alcuna tensione, mentre i manifestanti cercavano di ricostruire le barricate rimosse dalla polizia nel corso della mattinata. La dinamica è mostrata in un video pubblicato dal Movimento sulle proprie pagine social: trovandosi di fronte una bassa barricata costruita dai cittadini, i poliziotti, in assetto antisommossa, hanno iniziato il lancio in un momento in cui la situazione non era ancora agitata, mirando direttamente ai presenti. Quest’ultima costituisce una pratica estremamente pericolosa, che comporta il rischio di ferite gravi e anche di morte per la persona che viene colpita. Proprio l’anno successivo, secondo quanto riferito dai No TAV (e mostrato all’interno di alcuni video diffusi dal Movimento), una ragazza è rimasta gravemente ferita dopo essere stata colpita in faccia da un lacrimogeno lanciato dalla polizia ad altezza d’uomo. I gas lacrimogeni sono classificati armi chimiche e banditi da convenzioni internazionali ratificate anche dall’Italia, ma nonostante ciò fanno parte dell’equipaggiamento delle forze di polizia e il loro utilizzo è ampiamente diffuso in contesti come quello della Val di Susa. Proprio nel 2020, a fronte dell’utilizzo intensivo di queste armi nel mondo, Amnesty International ha aperto un sito internet di monitoraggio del loro uso da parte delle forze dell’ordine, ricordando come, soprattutto se lanciate ad altezza uomo, costituiscano un rischio letale per i manifestanti.
Di tutto ciò non sembrerebbe esservi traccia nella sentenza della Procura di Torino, la quale ha invece condannato i presenti, tra le altre cose, per il lieve e accidentale ferimento di due membri delle forze dell’ordine durante le operazioni di sgombero delle barricate. L’ex dirigente di polizia (oggi questore di Aosta), Gianmaria Sertorio, e un altro commissario sono infatti rimasti feriti (la prognosi più lunga è stata di tre giorni) a causa dello strattonamento di un palo il quale, spiegano i presenti, avrebbe dovuto fungere da linea divisoria tra le due parti. Nel maggio di quest’anno, l’accusa aveva chiesto complessivamente 37 anni di carcere per i 10 imputati, ma il tribunale aveva disposto la riformulazione dei capi d’accusa al fine di ricostruire in maniera più esatta quanto accaduto.
La militarizzazione della Val di Susa, funzionale alla costruzione dei cantieri dell’Alta Velocità, va avanti da trent’anni circa, ovvero da quando si iniziò a parlare del progetto e, contestualmente, i residenti della valle si mobilitarono per impedire lo scempio del territorio. In trent’anni sono stati creati cantieri, cementificati chilometri di territorio, incarcerati decine e decine di cittadini in protesta, ma non è stato costruito nemmeno un metro dell’opera principale, mentre su alcune delle aziende coinvolte nei lavori si allunga anche l’ombra della mafia. Da quanto il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, ha (per l’ennesima volta) inaugurato l’inizio dei lavori di scavo nel tunnel di base, nel dicembre del 2023, non sono stati scavati nemmeno due chilometri del tunnel di base (su 12,5 complessivi in carico alla parte italiana), ovvero l’opera principale, che dovrebbe bucare la montagna per collegare la città di Torino con quella di Lione. La fine dei lavori è prevista, al momento, per il 2033. Nel frattempo, la repressione della valle prosegue senza sosta.
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