giovedì 21 Agosto 2025
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Per tonare a vendere i chip in Cina, le aziende dovranno pagare il 15% agli USA

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Nell’epoca del liberismo statunitense incarnato dalla presidenza di Donald Trump, il confine tra regolamentazione commerciale e imposizione fiscale si fa sempre più sottile. Questo è quanto emerge da un accordo raggiunto tra il Governo degli Stati Uniti e due colossi dell’industria dei semiconduttori, Nvidia e AMD: le due aziende potranno tornare a esportare in Cina microchip ad alte prestazioni destinati allo sviluppo di strumenti di intelligenza artificiale, ma a condizione di versare nelle casse federali il 15% di tutti i ricavi generati da tali vendite. Una trattenuta che, di fatto, opera come un’imposta diretta sulle esportazioni, pratica esplicitamente vietata dalla Costituzione USA.

La notizia è trapelata grazie al Washington Post, il quale ha attinto a fonti interne all’Amministrazione per ricostruire questo patto fiscalmente atipico che non ha mancato di sollevare controversie. La Costituzione degli Stati Uniti proibisce infatti di imporre tasse sulle esportazioni, una norma che garantisce – almeno formalmente – che il controllo governativo sulle licenze venga utilizzato esclusivamente come meccanismo di tutela della sicurezza nazionale, non come strumento di manipolazione del commercio internazionale. 

Le restrizioni statunitensi sull’export di microchip verso la Cina affondano le radici nel 2022, quando l’amministrazione Biden decise di bloccare la vendita di determinate categorie di semiconduttori e tecnologie di produzione, temendo che potessero essere utilizzati per sviluppare sistemi di intelligenza artificiale militare o civile in grado di competere con le capacità statunitensi. Questa linea restrittiva è stata pienamente condivisa anche dall’attuale presidente Donald Trump, che ha mantenuto e in alcuni casi irrigidito queste limitazioni, con l’obiettivo dichiarato è impedire che le aziende americane forniscano al principale rivale geopolitico componenti chiave per lo sviluppo di AI avanzate.

Per aggirare i vincoli e continuare a operare sul mercato cinese, Nvidia aveva sviluppato un nuovo modello di chip, denominato H20, progettato per restare entro i limiti tecnici imposti dalle normative, mantenendo comunque un livello di prestazioni che fosse appetibile per i clienti asiatici. Nell’aprile 2025, Trump ha in ogni caso bloccato l’esportazione del prodotto, motivando la decisione con ragioni di sicurezza nazionale. Il CEO Jensen Huang ha parlato di un “danno enorme”: «abbiamo cancellato 5,5 miliardi di dollari di inventario […], abbiamo abbandonato 15 miliardi di vendite e circa 3 miliardi di dollari in tasse».

A inizio luglio, con l’avvicinarsi di un nuovo ciclo di negoziati commerciali tra Washington e Pechino e dopo colloqui diretti con i vertici delle aziende coinvolte, il clima è cambiato. Nvidia ha ricevuto un via libera preliminare a riprendere le vendite, seppur in attesa di definire condizioni precise. Questa apertura ha sollevato immediatamente le contestazioni di alcuni politici, democratici, ma anche repubblicani, che hanno accusato l’amministrazione di barattare la sicurezza nazionale in favore di interessi economici.

I dettagli tecnici su come procedere sono stati definiti lo scorso mercoledì, durante una visita di Jensen Huang alla Casa Bianca. In quell’occasione, il presidente Trump ha contattato direttamente il segretario al Commercio, Howard Lutnick, per autorizzare la concessione delle licenze di esportazione per i chip H20. Secondo il Washington Post, proprio in quel frangente è stata stabilita la condizione della trattenuta del 15% sui ricavi generati dalle vendite in Cina, formalizzata come parte integrante dell’accordo.

Fiamme sul Vesuvio, rogo avanza nella notte: 80 vigili del fuoco in azione

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Sono in corso da oltre 48 ore le operazioni di spegnimento di un vasto incendio che ha colpito il Parco nazionale del Vesuvio, con un ampio dispositivo di soccorso. Attualmente, sono 80 i vigili del fuoco coinvolti, supportati da rinforzi arrivati da Emilia Romagna, Toscana, Marche, Salerno e Caserta. Nella notte, le fiamme hanno ripreso vigore , rischiando di arrivare fino alle abitazioni nella zona di Trecase e Torre del Greco. Quattro velivoli Canadair CL-415 stanno operando dall’alba. Inoltre, il Friuli Venezia Giulia ha inviato una colonna mobile di volontari e funzionari per supportare l’emergenza, con un impegno economico di 100mila euro.

L’Alto Adige ucciderà due lupi scelti a caso: sono “colpevoli” di nutrirsi di pecore

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È ancora battaglia tra la Provincia autonoma di Bolzano e i movimenti ambientalisti circa i piani di abbattimento di esemplari appartenenti a specie protette. Lo scorso 30 luglio, il presidente della provincia, Arno Kompatscher, ha infatti autorizzato l’uccisione di due lupi nella malga Furgles, nel comune di Malles, in Alta Val Venosta. Quello che sembra un intervento eccezionale, però, nasconde una pratica che è stata descritta come inaccettabile da molte associazioni, consentendo infatti di selezionare e abbattere due lupi in maniera casuale, con l’uso di armi a lunga distanza e senza alcuna limitazione di orario. La scelta è stata motivata dalla necessità di fermare una serie di attacchi al bestiame che hanno causato numerose perdite tra maggio e agosto 2025. Anche il TAR ha dato il via libera, tra le proteste degli animalisti.

Nello specifico, il provvedimento prevede l’uccisione di due lupi in maniera casuale, senza alcuna selezione specifica: «i prelievi tramite abbattimento avvengano senza limitazione alcuna di orari, l’utilizzo di armi lunghe a canna rigata e con modalità tali da perseguire anche il condizionamento negativo nei confronti di altri eventuali lupi». Il motivo della decisione risiede nel fatto che, nell’ultimo periodo, le pecore e una capra lasciate al pascolo sono state predati da lupi. Come messo nero su bianco dalle autorità provinciali, «nelle ultime settimane sono stati rilevati complessivamente 7 eventi per un totale di 28 predazioni accertate e confermate dal Corpo forestale provinciale come predazioni di lupo. Le predazioni hanno riguardato 16 proprietari». Il presidente Kompatscher ha giustificato il ricorso all’abbattimento, sottolineando che «un confinamento negli stabulari a valle non rappresenta un’opzione praticabile», poiché tale soluzione «comporterebbe l’abbandono di questa forma di allevamento», con gravi difficoltà legate al benessere degli animali e ai costi operativi.

L’autorizzazione all’abbattimento è stata emessa sulla base della legge provinciale 10/2023 e delle direttive europee in materia di conservazione della fauna selvatica. Secondo queste normative, la Provincia ha il diritto di intervenire quando si verificano danni gravi e ripetuti all’allevamento. Tuttavia, la logica che giustifica l’abbattimento di due lupi sembra essere puramente reattiva, senza che venga proposto un approccio a lungo termine per risolvere il conflitto tra allevatori e grandi predatori. Le critiche, infatti, non si sono fatte attendere, con le organizzazioni animaliste, tra cui LAV, ENPA e LNDC, che hanno immediatamente presentato ricorsi contro la decisione, chiedendo l’annullamento dell’autorizzazione. Questi gruppi hanno definito l’abbattimento una misura violenta e ingiustificabile, sostenendo che la protezione del bestiame non dovrebbe passare attraverso la morte degli animali predatori, ma con misure preventive più efficaci. Lo scorso 8 agosto, il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa (Trga) di Bolzano ha però respinto la richiesta di sospensione immediata avanzata dalle associazioni contro l’autorizzazione al prelievo tramite abbattimento di due lupi nella malga Furgles, ritenendo l’uccisione dei due lupi l’«unica azione efficace per scongiurare ulteriori danni».

Lo scorso maggio, il Parlamento europeo aveva sostenuto la rivisitazione della direttiva Habitat sulle specie minacciate proposta della Commissione UE, approvando la modifica dello status di protezione dei lupi da “strettamente protetti” a “protetti” con 371 voti a favore, 162 contrari e 37 astensioni. Un mese dopo, il Consiglio europeo aveva messo il timbro su tale decisione. Declassando lo status di protezione del lupo, si permette così agli Stati membri di decidere se ridurre il numero degli esemplari, in risposta all’aumento degli attacchi al bestiame e all’interesse pubblico crescente. Questa modifica è stata criticata dalla comunità scientifica, che denuncia la mancanza di evidenze scientifiche a supporto della decisione. La direttiva Habitat, adottata nel 1992, mirava a proteggere le specie minacciate, imponendo agli Stati membri di monitorare le specie e creare aree protette. «Il declassamento dello status di protezione è un passo importante per poter adottare misure mirate come i prelievi regolamentati e avere un minore impatto sull’agricoltura e sull’economia alpina – aveva dichiarato a inizio luglio l’assessore alle Foreste della Provincia di Bolzano Luis Walcher, attestando dunque l’impatto pratico della modifica europea -. Con la riduzione dello status di protezione del lupo ci siamo avvicinati al nostro obiettivo di preservare e proteggere l’agricoltura, in particolare quella di montagna, attraverso il prelievo dei lupi considerati problematici».

Il misterioso boom degli acquisti immobiliari da parte di cittadini israeliani a Cipro

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Cipro, isola divisa e da sempre crocevia strategico del Mediterraneo orientale, sta vivendo un fenomeno che, pur non essendo del tutto nuovo, ha assunto dimensioni inedite e preoccupanti dopo il 7 ottobre 2023: un numero crescente di cittadini israeliani si sta trasferendo sull’isola e sta acquistando in massa case e terreni. Ciò che in passato appariva come una normale tendenza d’investimento si sta trasformando, agli occhi di parte della popolazione cipriota, in una colonizzazione silenziosa che alimenta paure profonde, al punto che il secondo partito del Paese, l’AKEL (Partito Progressista dei Lavoratori), è arrivato ad affermare che «Israele sta occupando Cipro». L’isola è già segnata dalla storica divisione tra la parte cipriota e quella turca, e questo nuovo fenomeno rischia di acuire le tensioni, anche per via del crescente scontro tra Israele e Turchia in Siria. A ciò si sommano le dispute sull’estrazione di gas e idrocarburi nel Mediterraneo orientale, che coinvolgono Cipro, Grecia, Israele, Egitto, Turchia, Libia, Italia e Unione Europea. In questo contesto, l’espansione israeliana sull’isola diventa un ulteriore tassello di una partita geopolitica già complessa e carica di tensioni.

Come riportato da Great Reporter, dal 2021 a oggi gli investitori israeliani hanno acquistato oltre 4.000 proprietà sull’isola, facendo crescere rapidamente il numero di residenti israeliani a Cipro: dai 6.500 del 2018 si è passati a più di 15.000 nel 2025. Le preoccupazioni non riguardano tanto i numeri quanto le modalità di insediamento. Interi quartieri e nuovi villaggi vengono costruiti e riservati esclusivamente a cittadini israeliani, diventando comunità chiuse che replicano un modello di colonizzazione che molti ciprioti considerano inquietante e già visto a poca distanza dalle proprie coste, in Palestina. La denuncia più forte arriva dal partito di opposizione AKEL (Partito Progressista dei Lavoratori), secondo partito del Paese. «Israele ci sta occupando» e «a un certo punto scopriremo che la nostra terra non ci appartiene», ha dichiarato a giugno Stefanos Stefanou, segretario del partito. Secondo AKEL, il modello è chiaro: nascono rapidamente enclavi dotate di sinagoghe, supermercati kosher e scuole private, lo stesso schema coloniale applicato in Cisgiordania che ora sembra mettere radici in località come Pyla, Larnaca e Limassol.

La preoccupazione è che Cipro, per la sua posizione geografica strategica, possa trasformarsi in una pedina di un gioco geopolitico ben più ampio. In ballo ci sarebbero la sicurezza nazionale, la giustizia sociale e la stessa sovranità del Paese. AKEL denuncia il rischio della nascita di “enclavi-satellite” sotto influenza israeliana, centri di potere economico e potenziali basi di intelligence, anche a ridosso della Green Line – come a Pyla e Larnaca – la linea di cessate il fuoco che separa la zona greco-cipriota da quella turco-cipriota. In quest’area si trovano anche le basi britanniche della RAF, tra cui Akrotiri, utilizzata per missioni di ricognizione su Gaza. Un articolo pubblicato sul quotidiano israeliano Haaretz nel 2023 confermava inoltre la presenza del Mossad, che sfrutterebbe Cipro per “operazioni di rifugio” e di sosta.

Cipro occupa una posizione estremamente strategica all’interno del Mediterraneo orientale, tra Europa e Medio Oriente

La crescente influenza israeliana sull’isola è vista come un fattore di ulteriore destabilizzazione in un contesto regionale già fragile. L’alleanza strategica tra Israele e la parte greco-cipriota, rafforzata anche per contrastare la Turchia nello sfruttamento dei giacimenti di gas e petrolio sottomarini, espone Cipro a rischi rilevanti, soprattutto ora che lo scontro tra Israele e Turchia si intensifica in Siria. La storia dell’isola rende la situazione ancora più complessa: Cipro è divisa in due entità, la Repubblica di Cipro e la Repubblica Turca di Cipro del Nord. Questa spaccatura risale all’occupazione turca del 1974, giustificata da Ankara come intervento per proteggere la popolazione cipriota di origine turca dalle manovre di annessione alla Grecia portate avanti dalla dittatura dei colonnelli, intenzionata a porre fine all’indipendenza ottenuta dall’isola nel 1960. Con il crescere dell’influenza israeliana, è evidente che un ulteriore deterioramento dei rapporti tra Israele e Turchia rischierebbe di aggravare profondamente la frattura tra le due parti dell’isola.

Nel già complesso quadro geopolitico in cui si colloca Cipro, un ruolo centrale lo gioca anche lo sfruttamento dei giacimenti di gas e idrocarburi del Mediterraneo orientale, che attira l’interesse di Cipro, Israele, Turchia, Egitto, Grecia e Libia. L’Italia è coinvolta sia per la presenza di ENI nell’area sia per il progetto EastMed, il gasdotto che dovrebbe collegare Israele, Grecia e Cipro per fornire le risorse energetiche del Mediterraneo orientale all’UE. Il progetto, tuttavia, si è arenato dopo la fine del sostegno statunitense nel 2022. L’area rimane quindi un nodo cruciale di questioni geostrategiche, che spaziano dalla politica all’energia, e il fenomeno migratorio a carattere coloniale rischia di alterare ulteriormente equilibri già estremamente fragili.

Pakistan, volontari travolti da frana dopo alluvione: 9 morti

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Nove volontari sono morti e tre sono rimasti feriti in seguito al crollo di una frana durante i lavori di ripristino di un canale danneggiato dall’alluvione nella regione di Gilgit, nel Kashmir occupato dal Pakistan. Lo ha reso noto l’agenzia indiana PTI. L’incidente è avvenuto domenica sera a Danyor Nullah, quando una massa di terra ha travolto gli operai, intrappolandoli sotto le macerie. Le operazioni di soccorso sono state avviate con il supporto dei residenti locali, mentre gli ospedali hanno dichiarato l’emergenza. Le autorità temono che ci siano ancora persone sotto le rovine.

In cinque anni, solo nella città di Roma, hanno chiuso 15mila negozi

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Dal 2020 a oggi, nella sola città di Roma, hanno chiuso 15mila negozi. È l’allarme lanciato dal presidente di Confartigianato, Andrea Rotondo, che si basa su un’analisi dei dati di Infocamere. Dai 63.158 del 2020, si è infatti passati a 48.629 esercizi commerciali, con una perdita pari al 23% che ha coinvolto tutti i settori, a esclusione della grande distribuzione e del commercio digitale. Particolarmente colpiti i negozi di prodotti per uso domestico (diminuiti di oltre la metà), di prodotti per l’illuminazione (calati del 40%) e quelli di bigiotteria (36%). In fatto di perdita di negozi commerciali, la situazione romana risulta una delle peggiori del Paese, ma non è isolata: anche città come Milano e Firenze continuano a perdere negozi, e in generale in tutta Italia il numero delle attività del settore è in calo da anni.

Il numero dei negozi della capitale è in calo da tempo, e viaggia a un ritmo ben più sostenuto di quello delle altre città. «Si assiste ormai da anni ad una vera e propria desertificazione commerciale dei territori urbani», ha detto Andrea Rotondo. «È un’emergenza da affrontare». Rotondo riporta i dati di Infocamere, che mostrano un calo nella quasi totalità dei negozi commerciali romani: se si analizzano i settori merceologici, dal 2020 al 2025, Roma ha visto un calo del 53% dei prodotti per uso domestico, del 34% degli ambulanti, del 29% dei venditori di prodotti culturali, del 26% dei negozi di cosmetica, del 24% del settore arredamento, del 23% in fatto di abbigliamento, del 19% dei negozi di ferramenta, del 14% di gioiellerie, del 12% di informatica e telefonia, e dell’11% nell’alimentare. Crescono notevolmente, invece, il commercio digitale (del 29%) e le medie e grandi strutture (del 14%), e registrano un leggero aumento anche medicinali (1,60%) e materiali edili (1,33%). Lo scenario, insomma, è quello di crisi per la quasi totalità del settore commerciale, e prevalentemente per i piccoli commercianti.

Nella sua analisi dei dati, ripresa dal Corriere Roma, Rotondo si concentra sui cali registrati dalla capitale, sottolineando come i dati della città risultino ben più alti di quelli di altri grandi centri. A fine 2024, Roma è stata individuata come provincia con il maggior numero di chiusure anche dal sito di elaborazione statistica Truenumbers. La capitale ha registrato il 7,37% delle chiusure totali, seguita da Napoli con il 7,12% e Milano con il 4,66%. Le province con il maggior numero di cessazioni per 100.000 abitanti sono state invece Cagliari con 120,77, Caserta con 95,97 e Savona con 94.91. In generale, in tutto il Paese il numero delle attività commerciali è in forte decrescita da anni. Nel Belpaese, dopo il picco del 2015, il numero dei negozi di vendita al dettaglio è sceso a ritmo sostenuto, tanto che nel 2024 si contavano 131.197 attività in meno rispetto a dieci anni prima, pari a un calo del 15% del totale. La situazione colpisce particolarmente i piccoli centri, tanto che 206 Comuni sono privi di qualsiasi attività commerciale. A questi si aggiungono altri 219 Comuni che malgrado abbiano negozi commerciali, risultano privi di negozi di genere alimentare. In Italia, soltanto il 44% della popolazione italiana può accedere a un panificio entro 15 minuti, il 35% a una pescheria, il 60% a un fruttivendolo.

L’Australia annuncia che riconoscerà la Palestina

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Il primo ministro australiano Anthony Albanese ha annunciato che a settembre, in occasione dell’apertura della prossima sessione dell’Assemblea Generale dell’ONU, il Paese riconoscerà la Palestina. La scelta dell’Australia vuole «contribuire allo slancio internazionale verso una soluzione a due Stati, un cessate il fuoco a Gaza e il rilascio degli ostaggi». L’annuncio di Albanese si colloca sulla scia di analoghe dichiarazioni rilasciate da diversi Paesi del blocco Occidentale tra cui Francia, Regno Unito e Canada. Il riconoscimento dello Stato di Palestina viaggia in parallelo alle concessioni avanzate dal presidente dell’Autorità Palestinese Abbas, che ha detto di essere pronto a istituire uno Stato demilitarizzato e a promuovere riforme richieste dagli altri Paesi.

Terremoto in Turchia: 1 morto e 29 feriti

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Nella sera di ieri, domenica 10 agosto, in Turchia, è scoppiato un terremoto di magnitudo 6.1. La scossa, con epicentro la provincia nordoccidentale di Balikesir, si è sentita in diverse aree del Paese, tra cui a Istanbul. A Sindirgi un uomo di 81 anni è morto a causa del crollo di un edificio. Altre 4 persone coinvolte nel crollo sono invece state tratte in salvo. In generale, il terremoto ha causato il ferimento di 29 persone e il crollo di un totale di 16 edifici tra cui due moschee.

Ricercatori italiani sviluppano un metodo per migliorare la cura delle variazioni tumorali

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La maggior parte delle mutazioni osservate nei tumori avrebbe origine da un numero limitato di cause principali, che se identificate con precisione potrebbero aprire nuove prospettive per diagnosi e cure personalizzate grazie nuovi algoritmi avanzati: è quanto emerge da uno studio condotto da ricercatori dell’Università Milano-Bicocca e dell’Università di Trieste, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Nucleic Acids Research. Attraverso particolari tecniche statistiche, i ricercatori hanno presentato RESOLVE, un metodo computazionale capace di analizzare gli sc...

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Napoli, incendio su un traghetto: nave alla deriva e nessun ferito

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È scoppiato un incendio sul traghetto Raffaele Rubattino. La nave, partita da Palermo, ha a bordo circa 1.000 passeggeri ed è ora alla deriva, non essendo in grado di navigare autonomamente. L’incendio sembra essere esploso nella sala macchine, ma le fiamme risultano sotto controllo. Esso è scoppiato mentre il traghetto si trovava nel Golfo di Napoli. Non è stato registrato alcun ferito. Il capitano ha lanciato un allarme e sono partite le operazioni di soccorso dalla Capitaneria di Napoli, che ha inviato sul posto due motovedette.