giovedì 9 Ottobre 2025
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La Commissione UE scopre i danni dell’austerità: chi è povero vive 7 anni in meno

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Chi vive in povertà nei Paesi membri dell’Unione Europea può arrivare a perdere fino a sette anni di vita rispetto a chi gode di condizioni economiche più favorevoli. È quanto emerge dall’analisi diffusa dalla Commissione europea in un rapporto in cui si evidenzia come le disuguaglianze sociali e sanitarie siano profondamente radicate e aggravate dalle politiche restrittive che hanno segnato l’ultimo decennio. Si tratta di una fotografia che smaschera una contraddizione fondamentale nel modello europeo: l’Unione che oggi denuncia le conseguenze dell’austerità è la stessa che per anni ha imposto quei vincoli che hanno compromesso diritti sociali, welfare e sanità pubblica. In una prospettiva che vorrebbe essere neutrale, l’istituzione europea afferma che «le misure di consolidamento fiscale hanno avuto un impatto negativo sulle condizioni sanitarie e sulle aspettative di vita», in particolare tra i più poveri, i più fragili, le fasce giovani e deboli. Dietro alla cifra dei cinque-sette anni di via in meno, emergono gli effetti cumulativi di tagli alla spesa sanitaria, restrizioni dei servizi sociali, compressione delle risorse per la prevenzione e una riduzione della capacità redistributiva dello Stato sociale.

L’analisi parte da un dato concreto: cure, ricoveri, farmaci e servizi sanitari rappresentano un valore che incide direttamente sul reddito reale delle famiglie. La Commissione ha, infatti, adottato un approccio innovativo per misurare l’effetto che il sistema sanitario pubblico esercita su disuguaglianza e povertà, introducendo le “Transferenze Sociali in Natura sanitarie” (health STiKs) come elemento di valutazione. Il rapporto espande lo strumento EUROMOD – finora usato per simulare imposte e trasferimenti monetari – includendo la valutazione del valore monetario dei benefici in natura (cure, prestazioni, farmaci) e integrandoli nel reddito disponibile delle famiglie. Calcolando questo “reddito in natura”, emerge che in quasi tutti gli Stati membri la sanità pubblica contribuisce a ridurre in maniera rilevante disuguaglianze e rischio di povertà, in molti casi con un effetto persino maggiore rispetto ai tradizionali trasferimenti monetari. Senza tale copertura, milioni di cittadini sarebbero costretti a sostenere privatamente spese ingenti per trattamenti essenziali, con conseguenze devastanti soprattutto per i redditi più bassi. Il rapporto mostra forti differenze tra i Paesi: dove i sistemi sanitari sono più universalistici e i costi diretti per i pazienti restano contenuti, la distribuzione è chiaramente progressiva. Al contrario, laddove i ticket e le spese private sono consistenti, le famiglie più povere finiscono per rinunciare più facilmente alle cure, accumulando bisogni non soddisfatti. Il fenomeno riguarda in particolare anziani, disoccupati e residenti nelle aree rurali, cioè le fasce già più vulnerabili. Un altro nodo cruciale riguarda la sostenibilità futura. L’invecchiamento della popolazione e l’aumento della spesa sanitaria rischiano, secondo le simulazioni fino al 2070, di spostare l’onere finanziario sulle generazioni più giovani. In assenza di correttivi, questi ultimi dovranno farsi carico di una quota crescente del sistema, mentre la capacità redistributiva tenderà a ridursi. Gli esperti della Commissione indicano che un sistema basato maggiormente sulla fiscalità generale, con imposte più progressive, potrebbe migliorare l’equità rispetto a modelli fondati quasi esclusivamente sui contributi sociali. La conclusione è netta: la sanità pubblica è uno degli strumenti più efficaci per ridurre le disuguaglianze e garantire coesione sociale, ma laddove i sistemi sono stati indeboliti da anni di austerità e tagli, questo potenziale viene drasticamente ridimensionato, lasciando esposti proprio i cittadini più fragili.

La Commissione europea non scopre, però, qualcosa di nuovo: numerosi studi accademici, rapporti nazionali e analisi indipendenti avevano già segnalato il legame tra austerità e peggioramento della salute della popolazione. In Grecia, per esempio, i dodici anni sotto il controllo della Troika hanno lasciato strascichi che ancora oggi si manifestano nei servizi pubblici e nell’efficacia del sistema sanitario del Paese, malgrado l’uscita formale dal regime di sorveglianza finanziaria: i tagli agli ospedali, il depotenziamento delle cure primarie e la crisi occupazionale hanno amplificato le disuguaglianze sociali. In Italia la ricetta europea per il periodo post-pandemico non è cambiata: austerity e licenziamenti sono stati indicati come la risposta prioritaria, come se il welfare e la salute fossero una variabile elastica, sacrificabile sull’altare dell’equilibrio di bilancio. Bruxelles, d’altra parte, non si tira indietro quando può raccomandare i tagli fondati sulla compressione del deficit e del debito pubblico. Nel 2022, la Banca Centrale Europea, con il cosiddetto “nuovo scudo anti-spread”, ha riattivato modalità di intervento simili alla Troika, imponendo condizioni rigide ai Paesi in difficoltà. Il paradosso è lampante: chi oggi denuncia gli effetti delle politiche restrittive ne è stato al tempo stesso promotore attraverso i vincoli macroeconomici che ha subordinato ai bilanci nazionali. In ambito sanitario, gli effetti si misurano non solo in anni di vita persi, ma in maggiore mortalità evitabile, peggior gestione delle malattie croniche, rinunce alle cure e disagi diffusi. Non basta denunciare i tagli senza cambiare il vincolo strutturale che li impone, legando rigore finanziario e politiche sociali. Altrimenti il monito resterà amaro: l’Unione che oggi denuncia le vittime dell’austerità è la stessa che ha imposto quelle misure.

New York, sindaco Adams si ritira da corsa rielezione a 5 settimane dal voto

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A poco più di un mese dalle elezioni municipali, Eric Adams annuncia il suo ritiro dalla campagna per la rielezione a sindaco di New York, tramite un video diffuso sui social. Rimarrà in carica fino alla fine del mandato, ma non si presenterà alle elezioni di novembre. La decisione arriva in un clima segnato da scandali, indagini poi archiviate e da un calo di consensi che lo vedeva in netto svantaggio nei sondaggi. Il passo indietro apre ora la strada agli sfidanti, tra cui il deputato progressista Zohran Mamdani, l’ex governatore Andrew Cuomo e il repubblicano Curtis Sliwa, promettendo una competizione accesa per la guida della città.

Caccia libera, il governo ci riprova: emendamenti per liberalizzare gli abbattimenti

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Dopo le polemiche della scorsa primavera, il disegno di legge che punta a stravolgere la legge sulla caccia del 1992 torna al centro del dibattito parlamentare con una pioggia di emendamenti che ne accentuano i profili più controversi. Le Commissioni Agricoltura e Ambiente del Senato sono infatti chiamate a esaminare ben 2.084 proposte di modifica al Ddl Malan, molte delle quali puntano a reintrodurre norme che il ministro Lollobrigida aveva dovuto inizialmente accantonare. Tra le proposte più radicali, la caccia in spiaggia, il declassamento dello status di protezione di lupi e sciacalli dorati, l’ampliamento delle specie cacciabili e un sostanziale depotenziamento del ruolo tecnico-scientifico dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra). Uno scenario che le associazioni ambientalisti definiscono «un ritorno al Medioevo» e «un attacco frontale alla biodiversità».

Gli emendamenti saranno presumibilmente esaminati nel mese di ottobre. Nel merito, come denunciato dalle associazioni ambientaliste, le proposte più critiche riguardano la caccia nei litorali. Ben otto senatori di maggioranza hanno firmato l’emendamento 6.29 che apre alla caccia nel demanio marittimo, ovvero su scogliere e spiagge libere. Altri emendamenti, come il 6.71 e il 6.77, propongono di sopprimere del tutto il divieto, mentre il 6.78 permetterebbe di sparare negli arenili a partire dal 1° ottobre di ogni anno. Si prospettano quindi scenari inimmaginabili: fucili spianati su spiagge frequentate, mentre al largo si potrebbe sparare addirittura da imbarcazioni in movimento, come consentito dagli emendamenti 14.21 e 14.22. Sul fronte delle specie protette, l’emendamento 11.8, a firma Lega, condanna a morte l’oca selvatica, il piccione selvatico e lo stambecco, e di fatto consente la caccia dodici mesi all’anno. Altri emendamenti, come il 3.29, 3.31 e 3.32, propongono il declassamento dello status di protezione del lupo e dello sciacallo dorato, aprendo la strada ai piani di abbattimento per specie che contano poche centinaia di esemplari in Italia.

Altro capitolo cruciale è il sistematico smantellamento dei controlli e dell’autorità scientifica. L’emendamento 16.27 renderebbe di fatto impossibile l’attività delle guardie venatorie, costringendole ad agire solo in presenza di agenti di polizia. Il ruolo dell’Ispra, l’istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, verrebbe fortemente ridimensionato: l’ente passerebbe sotto il controllo della Presidenza del Consiglio e il suo parere, non più vincolante, sarebbe affiancato da quello di nuovi Istituti Regionali per la Fauna Selvatica (IRFS) di nomina politica. Emendamenti come il 5.26 eliminano addirittura il parere dell’Ispra sull’allevamento dei richiami vivi, la cui cattura viene estesa a 47 specie.

Il percorso del provvedimento è stato fin dall’inizio accidentato. Dopo la fuoriuscita delle prime bozze a maggio, che avevano scatenato un polverone, il ministro Lollobrigida aveva accusato ambientalisti e personaggi pubblici di «diffondere fake news». Tuttavia, la pressione dell’opinione pubblica aveva costretto a un parziale ripensamento e all’abbandono della via preferenziale governativa, optando per un Ddl parlamentare. Il centrodestra ha però continuato a lavorare nella direzione degli interessi della lobby venatoria, inserendo misure favorevoli ai cacciatori in altri provvedimenti, come la legge sulla montagna per aggirare il divieto di caccia nei valichi montani, e la legge Calderoli per gli abbattimenti dei lupi. Ora, con gli emendamenti presentati in Commissione, si tenta di realizzare integralmente il programma originario. «Gli emendamenti presentati dalla maggioranza aggravano ulteriormente un testo già inaccettabile, confermando la fondatezza delle preoccupazioni espresse dalle associazioni ambientaliste e smentiscono clamorosamente chi, come il ministro Lollobrigida, ci accusava di diffondere fake news», ha affermato Domenico Aiello, responsabile tutela giuridica della natura per il WWF.

Se da un lato le associazioni venatorie premono, dall’altro la società civile si mobilita, come dimostrano anche le 53mila firme già depositate per una proposta di legge popolare che chiede l’abolizione della caccia. «Queste firme sono l’ulteriore dimostrazione che i cittadini vogliono che sia garantita protezione per gli animali e la natura – ha scritto la Lega Anti-Vivisezione (LAV) in un comunicato –. Ora spetta al Parlamento ascoltare questa voce diffusa e scegliere da che parte stare: con i cacciatori (e quindi con l’interesse di pochi) o con la Costituzione, l’Europa e la stragrande maggioranza degli italiani (76%) che, secondo un sondaggio Eurispes, si dichiarano contrari alla caccia».

Gaza, Israele colpisce ospedale Al Helou e ne blocca l’evacuazione

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Almeno 90 persone, tra medici e pazienti, risultano bloccate all’interno dell’ospedale Al Helou di Gaza City dopo un bombardamento delle Forze di Difesa Israeliane, riferisce l’agenzia palestinese Wafa. La struttura ospita reparti delicati, tra cui oncologia e neonatologia, dove si trovano 12 neonati prematuri. Secondo Al Jazeera, l’ospedale è circondato da carri armati e mezzi militari israeliani, rendendo impossibile l’evacuazione. Secondo i dati del Ministero della Salute di Gaza, dallo scoppio del conflitto almeno 38 ospedali di Gaza sono stati distrutti o resi inagibili, 96 centri sanitari sono stati presi di mira e 197 ambulanze sono state distrutte o danneggiate dall’esercito israeliano.

È vero che l’Italia sta diventando un paradiso fiscale per ricchi?

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«L'Italia sta facendo una politica di dumping fiscale»: è quanto dichiarato dall’ormai ex primo ministro francese Francois Bayrou circa una settimana prima del voto di fiducia che ha determinato la caduta del suo governo. Le parole di Bayrou hanno riacceso così lo scontro diplomatico tra Italia e Francia dopo le polemiche suscitate ad agosto dalle affermazioni del ministro dei trasporti Matteo Salvini dirette contro il presidente francese Emmanuel Macron. Il politico francese ha proseguito affermando «che ormai esiste una sorta di nomadismo fiscale» per cui ognuno sceglie di andare dove è fisc...

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Scatta l’obbligo di polizze catastrofali per le medie imprese

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Dal 1° ottobre 2025 le imprese italiane con 50-250 dipendenti dovranno stipulare una polizza contro calamità naturali (terremoti, alluvioni, esondazioni) sui beni aziendali: immobili, macchinari, impianti. Grandine, trombe d’aria e mareggiate richiedono, invece, garanzie accessorie specifiche. Nell’obbligo di polizza sono comprese le imprese individuali e le società di persone, mentre sono escluse le aziende agricole. Se non assolvono questo onere, non sono previste multe, ma saranno escluse da contributi, agevolazioni o sovvenzioni pubbliche. L’obbligo è stato introdotto dalla legge di Bilancio 2024; per le piccole e micro imprese entrerà in vigore il 1° gennaio 2026.

La Flotilla rifiuta la mediazione e sfida i droni: si prosegue verso Gaza

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Le navi della Global Sumud Flotilla, la coalizione umanitaria che intende rompere l’assedio marittimo di Israele su Gaza, sono ripartite dalle coste greche, e ora puntano dritto verso Gaza. Gli attivisti hanno dunque rifiutato le proposte di mediazione avanzate dall’Italia, che prevedevano lo scarico degli aiuti a Cipro, dove sarebbero stati affidati alla chiesa latina di Gerusalemme passando dal porto israeliano di Ashdod. «Cambiare rotta significherebbe ammettere che si lascia operare un governo – quello israeliano – in modo illegale senza poter fare nulla», ha spiegato la portavoce italiana del gruppo Maria Elena Delia, ribadendo la piena legalità in cui si muove la missione umanitaria e l’illegittimità di eventuali azioni israeliane. La flotta si trova ora a circa quattro giorni di navigazione dalle coste di Gaza, e si sta avvicinando alle acque palestinesi, che il ministro Tajani insiste a definire “israeliane”, andando contro la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare.

La Global Sumud Flotilla è ripartita dalle coste greche ieri, domenica 28 settembre, dopo avere fatto una breve sosta sull’isola di Creta. Le navi della flotta, in questo momento 44, si trovano ora a 370 miglia nautiche dalle coste gazawi, che corrispondono a circa quattro giorni di navigazione; tra due giorni dovrebbero raggiungere quella che gli attivisti definiscono “zona arancione”, l’area in cui è più probabile che Israele le intercetti. Il rifiuto della mediazione italiana era nell’aria sin da quando la proposta è stata avanzata dal governo italiano – poi rilanciata dal presidente Mattarella – ed è stato anticipato in una conferenza stampa lo scorso venerdì; l’annuncio ufficiale è arrivato sabato, dalla portavoce italiana Maria Elena Delia, che ha spiegato che le ragioni del rifiuto sono «sostanziali», e non una semplice petizione di principio.

«Noi non possiamo accettare questa proposta perché arriva per evitare che le nostre barche navighino in acque internazionali con il rischio d’essere attaccate. È come dire: se vi volete salvare, noi non possiamo chiedere a chi vi attaccherà di non attaccarvi, malgrado sia un reato, chiediamo a voi di scansarvi», ha detto l’attivista. Un «corto circuito», afferma Delia, che sta alla base di quello stesso meccanismo per cui oggi «Israele sta commettendo un genocidio senza che nessuno dei nostri governi abbia avuto il coraggio di porre delle sanzioni, porre un embargo sulle armi, o chiudere almeno una parte dei rapporti commerciali». Se i governi adottassero una di queste soluzioni, la missione sarebbe pronta a valutare mediazioni, ha detto l’attivista, «ma non cambiando rotta».

Delia ha ribadito la piena legalità della missione: «Noi non stiamo facendo nulla di male. Perché non dobbiamo navigare in acque internazionali? Cosa succederebbe se invece delle nostre barche ci fossero le barche di turisti, aggredite da dei droni in acque internazionali in maniera violenta?». Le navi della Global Sumud Flotilla si trovano, effettivamente, in acque internazionali, dove Israele non ha giurisdizione. La rotta che stanno seguendo le porterebbe direttamente in acque palestinesi, e non “israeliane”, come Tajani continua a definirle: il territorio marittimo palestinese è infatti tracciato in una dichiarazione del 2019, che risponde alle disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, di cui la Palestina è firmataria dal 2015. L’Italia stessa ha ratificato la Convenzione, e, con essa, oltre 160 Paesi. In ogni caso, il ministro degli Esteri ha affermato che la nave italiana che sta accompagnando la Global Flotilla non entrerà in tali acque. La fregata italiana era stata inviata in seguito a un attacco con droni scagliato contro diverse imbarcazioni della flotta, colpite da bombe assordanti, oggetti non identificati e spray urticanti mentre si trovavano in prossimità di Creta.

La Danimarca vieta i droni civili

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La Danimarca ha ordinato il divieto di voli civili con droni, da oggi fino a venerdì 4 ottobre, data in cui il Paese ospiterà diversi leader europei in quanto presidente di turno del Consiglio UE. Saranno vietati tutti i voli civili nel Paese; intanto, ieri è arrivata a Copenhagen una fregata tedesca per la difesa aerea, con lo scopo di fornire assistenza nella sorveglianza dello spazio aereo. La scelta di vietare i voli con droni arriva dopo diversi avvistamenti di velivoli non identificati da parte del Paese, l’ultimo dei quali avvenuto lo scorso sabato. La Danimarca accusa la Russia di violare il proprio spazio aereo, ma il Cremlino smentisce le accuse.

Presto entrerà in vigore il nuovo Trattato internazionale per la tutela dei mari

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Il Trattato sull’alto mare, approvato nel 2023, ha raggiunto la soglia di almeno 60 adesioni necessaria per diventare legge. Entrerà in vigore il 17 gennaio 2026, fornendo un nuovo quadro normativo per proteggere le acque internazionali e le forme di vita che le abitano. Il testo, frutto di oltre vent’anni di negoziati, ha l’obiettivo di tutelare le aree oceaniche che si trovano al di fuori delle giurisdizioni nazionali: zone che coprono quasi due terzi degli oceani del mondo, eppure finora escluse da regole vincolanti. Ad oggi, meno dell’1% di queste acque è infatti sottoposto a forme di prot...

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La nazionale italiana maschile di volley è campione del mondo

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La nazionale italiana maschile di pallavolo ha trionfato ai mondiali di volley battendo la Bulgaria in quattro set per 25-21, 25-17, 17-25 e 25-10. I ragazzi di Fefè De Giorgi mantengono dunque il titolo iridato, già conquistato nell’edizione del 2022, superando nelle Filippine la selezione allenata dall’italiano Gianlorenzo Blengini, concedendo solo un set agli avversari. Gli azzurri avevano vinto per 3 set a 0 in semifinale, dove avevano affrontato la Polonia. La squadra polacca è salita sul gradino più basso del podio battendo la Repubblica Ceca nella finale per il terzo posto. A sorridere lo scorso 7 settembre era stata anche la nazionale femminile di volley, vincitrice dei mondiali in finale contro la Turchia.