martedì 1 Luglio 2025
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Attentato in Nigeria: 12 morti

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Una presunta attentatrice suicida ha ucciso almeno 12 persone e ne ha ferite diverse altre. L’attentato è avvenuto nello stato nordorientale del Borno, in Nigeria, presso il mercato del pesce. Il portavoce della polizia dello stato del Borno, Nahum Kenneth Daso, ha dichiarato in un comunicato che una donna con un ordigno esplosivo improvvisato legato al corpo si sarebbe infiltrata tra la folla al mercato, per poi farsi esplodere tra i civili. Secondo i cittadini, sarebbero stati feriti 30 civili.

Repubblica Democratica del Congo: esteso lo stop all’export di cobalto

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La Repubblica Democratica del Congo ha prorogato di tre mesi il divieto di esportazione di cobalto per limitare l’eccesso di offerta di materiale sul mercato. A dare la notizia è l’agenzia governativa ARECOMS (Autorità per la regolamentazione e il controllo dei mercati delle sostanze minerali strategiche), in una nota in cui spiega che il blocco durerà altri tre mesi. La RDC è il principale fornitore mondiale di cobalto, materiale chiave nella costruzione di batterie per auto elettriche, smartphone e dispositivi elettronici; a febbraio, aveva fermato le esportazioni del materiale, perché i prezzi avevano raggiunto il minimo degli ultimi nove anni. Il primo divieto sarebbe dovuto scadere oggi.

Gaza, nuove stragi israeliane mentre l’UNICEF avvisa: presto si inizierà a morire di sete

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Israele sta approfittando dell’attenzione mediatica rivolta alla sua guerra con l’Iran per continuare il genocidio a Gaza. Il programma di distribuzione alimentare messo in piedi da Tel Aviv si traduce da oltre un mese in stragi quotidiane. Ieri, i soldati dell’esercito occupante hanno aperto il fuoco sulla folla in attesa di un pacco di farina, uccidendo almeno 31 persone, 5 nel sud della Striscia e 26 nei pressi del corridoio di Netzarim. Nel frattempo l’UNICEF, il Fondo ONU per l’infanzia, lancia l’allarme: «Gaza sta affrontando quella che equivale a una siccità causata dall’uomo. I sistemi idrici stanno collassando» e tra poche settimane le persone «cominceranno a morire di sete». Ad oggi risulta funzionante solo il 40% degli impianti per la produzione di acqua potabile. Rischiano di chiudere nei prossimi giorni se il carburante che li alimenta non entrerà di nuovo nella Striscia, a distanza di quasi quattro mesi dal blocco totale imposto da Israele.

Il 2 marzo scorso, lo Stato ebraico ha deciso di bloccare l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza, negando ai palestinesi i beni essenziali nel più ampio piano di pulizia etnica e genocidio. A fine maggio la Gaza Humanitarian Foundation, sostenuta da Stati Uniti e Israele, ha aperto i suoi centri di distribuzione alimentare — per un’iniziativa non proprio umanitaria che abbiamo analizzato in un focus dedicato. Da allora immagini e video raccontano di migliaia di persone ammassate in pochi punti lungo la Striscia, dove l’attesa per una razione di cibo viene interrotta dagli spari dell’IDF. Soltanto ieri si sono registrati almeno 31 morti e decine di feriti. Martedì scorso l’esercito occupante ha aperto il fuoco sulla folla nei pressi di un centro di distribuzione di Khan Yunis, nel sud della Striscia, uccidendo più di 60 persone e ferendone almeno 200. Si tratta soltanto di alcune delle stragi israeliane commesse nell’ultimo mese e mezzo, accompagnate da bombardamenti su tende, ospedali e sugli ultimi edifici rimasti in piedi.

Ad aggravare la situazione è il collasso del sistema idrico, causato da una combinazione data da attacchi deliberati e assenza di alimentazione. Da ottobre scorso, infatti, la rete elettrica della Striscia di Gaza è fuori uso e gli impianti di desalinizzazione dell’acqua hanno dovuto fare ricorso ai generatori alimentati a carburante per continuare a funzionare. Al momento, il 60% degli impianti è fuori uso (130 su 217); i restanti operano a intermittenza. A causa del blocco totale imposto da quasi quattro mesi, il carburante sta diventando introvabile, il che si tradurrà nei prossimi giorni nell’azzeramento della capacità produttiva. Dopo aver fatto morire di freddo decine di bambini in inverno, Israele condannerà i palestinesi a morire di sete in piena estate. Per impedirlo è necessario il reintegro degli aiuti umanitari, di recente al centro di due iniziative internazionali: una condotta via mare dalla Flotilla Freedom, l’altra via terra dalla Global March to Gaza — respinte da Israele con l’ausilio dell’Egitto. Come sottolineato dall’UNICEF, «il carburante è anche il filo che tiene insieme il devastato sistema sanitario di Gaza. Senza di esso, i generatori degli ospedali si fermano, la produzione di ossigeno si interrompe e le macchine di supporto vitale non funzionano. Le ambulanze non possono muoversi. Gli incubatori si spengono. Negare il carburante non significa solo interrompere le forniture, ma anche la sopravvivenza».

Gli USA continuano a muovere mezzi strategici verso l’Iran

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Due bombardieri B-2 dell’aviazione americana sono decollati dal Missouri verso Guam, un’isola a nord dell’Australia. I B-2 possono trasportare la bomba statunitense più pesante, la Massive Ordnance Penetrator, che dovrebbe essere in grado di colpire l’impianto nucleare sotterraneo iraniano di Fordow, a 90-100 metri di profondità. Stando alle notizie fornite da diverse agenzie di stampa, tra cui Reuters ed Euronews, gli Stati Uniti avrebbero trasferito nelle scorse ore portaerei e caccia nella regione mediorientale, a cui potrebbero aggiungersi i due bombardieri B-2 dopo il rifornimento a Guam.

Hong Kong: vivere come invisibili nella città dei miliardari

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Usciti dalla stazione di Mong Kok, fermata della tentacolare rete metropolitana di Hong Kong, si vive sulla propria pelle l’impatto di essere in uno degli Stati (seppur ufficialmente regione speciale cinese) più densamente popolati al mondo. La percezione di essere insignificantemente piccoli dinanzi al dedalo di grattacieli che sovrastano le vie principali è permeante, ma ciò che forse più colpisce è l’asfissia che si prova quando ci si immerge nel traffico urbano, fatto di umani e veicoli. 
Hong Kong è la quarta “nazione”, per densità, più popolata al mondo, e la commistione sociale e cultur...

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Roma, al via i due cortei contro riarmo e guerra

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Sono partiti i due cortei che hanno visto arrivare a Roma decine di migliaia di persone per dire no a guerra e riarmo. Ma con delle differenze: da Porta San Paolo è partita la manifestazione organizzata da Stop Rearm Italia — col sostegno del M5S, di AVS e di una parte del PD — contro riarmo, genocidio a Gaza e decreto Sicurezza. A Piazza Vittorio si è data invece appuntamento la sigla Disarmiamoli!, che ha preferito una piattaforma più specifica, carica ad esempio del no alla permanenza dell’Italia nella NATO.

 

Mori e De Donno in Commissione Antimafia ripetono anni di bugie su stragi e arresti eccellenti

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Da alcune settimane, la Commissione Antimafia è teatro dell’audizione di Mario Mori – ex capo del ROS ed ex direttore dei servizi segreti – e del suo fidato braccio destro Giuseppe De Donno, che hanno giocato con le parole per riscrivere la storia sui retroscena della strage di via D’Amelio e sulle indagini sui rapporti mafia-politica. Lo hanno fatto minimizzando persino l’importanza della villa palermitana in cui Riina trascorreva la latitanza con moglie e figli, di cui scelsero di interrompere la sorveglianza poche ore dopo l’arresto del boss, oltre a insinuare presunte omissioni della Procura di Palermo nel corso dell’inchiesta incentrata sul rapporto “mafia-appalti” del ROS. Ritenuto dai carabinieri – nonché dalla presidente della Commissione Chiara Colosimo, che non ha fatto mistero della stima verso i due alti ufficiali – la principale causale dietro alla morte di Paolo Borsellino. Il tutto, però, è smentito da fatti, sentenze, documenti e testimonianze.

Il covo di Riina

Totò Riina, insieme al suo autista Salvatore Biondino, venne arrestato dai carabinieri del Ros a Palermo, a circa 800 metri dalla villa di via Bernini in cui abitava con la sua famiglia, il 15 gennaio 1993. Appresa la notizia, la Procura predispose i provvedimenti necessari per la perquisizione del covo, a cui si opposero però Mori e Sergio De Caprio (alias Capitano Ultimo, uomo che aveva arrestato il boss). A loro dire, infatti, non era vantaggioso procedere subito all’irruzione, poiché, non essendo ancora trapelata in ambienti mafiosi la notizia dell’arresto, attendendo “alla finestra” i movimenti attorno al covo avrebbero potuto avere luogo nuovi importanti sviluppi investigativi. La Procura si fece convincere. 15 giorni dopo, però, i magistrati scoprirono che il pomeriggio dello stesso giorno in cui il boss di Cosa Nostra fu arrestato, senza che nessuno ne avesse dato comunicazione, la sorveglianza del covo era stata interrotta dal ROS. Covo che il 2 febbraio venne trovato completamente ripulito.

In Commissione antimafia, Mori ha asserito che la villa non era «il covo» di Totò Riina, ma un semplice alloggio «dove viveva la moglie con i figli» e che il boss frequentava «saltuariamente». «Mai – continua Mori – avrebbe tenuto in casa cose e documenti connessi alla sua attività criminale». Mentre Mori minimizza, però, pesano come macigni le parole messe nero su bianco dalla sentenza, divenuta definitiva, che pure lo assolse per l’interruzione della sorveglianza “perché il fatto non costituisce reato”. I giudici evidenziarono infatti la sussistenza di una «erronea valutazione degli spazi di intervento» da parte degli imputati e di gravi «responsabilità disciplinari» per il fatto di non aver comunicato alla Procura la decisione di sospendere la sorveglianza, in nome di uno «spazio di autonomia decisionale» – ancora oggi rivendicato da Mori – del tutto inesistente. I giudici hanno inoltre sancito che «l’omessa perquisizione della casa» in cui Riina abitava e «l’abbandono del sito sino ad allora sorvegliato» hanno «comportato il rischio di devianza delle indagini, che, difatti, nella fattispecie si è pienamente verificato». Già il 15 gennaio, infatti, vi era la «concreta e rilevante probabilità» che nel covo «esistesse altra documentazione». Probabilità che ha trovato conferma nelle deposizioni fatte in aula dai collaboratori di giustizia Giovanni Brusca e Nino Giuffrè, come anche da Gioacchino La Barbera. Quest’ultimo rivelò che una squadra di persone, su ordine del mafioso Giovanni Sansone, ripulì la casa da ogni traccia.

Mafia-appalti e via D’Amelio

Lo scorso 16 aprile, Mori e De Donno avevano già parlato in Commissione, producendo una memoria ai commissari di Palazzo San Macuto colma di bugie e imprecisioni, ben riassunte e spiegate da una lunga relazione diramata dal gruppo del Movimento 5 Stelle, che ha contestato la loro ricostruzione. Ricordiamo qui solo le più eloquenti.

Nella memoria, i ROS continuano a sostenere che Paolo Borsellino non fosse stato informato della parziale richiesta di archiviazione su “mafia-appalti” presentata dai colleghi della Procura il 13  luglio  1992. A smentirli, questa volta, è la sentenza-ordinanza n. 2108/97 R. G., del 15 marzo 2000 del GIP presso il Tribunale di Caltanissetta, in cui si legge: «Il dott. Borsellino era certamente informato di tali sviluppi processuali, perché la vicenda mafia-appalti, unitamente ad altre indagini di rilievo, era stata oggetto, proprio in quel periodo e prima della sua partenza per la rogatoria internazionale, di una discussione tra i vari colleghi del suo Ufficio, alla presenza del medesimo dott. Borsellino». Inoltre, le accuse di insabbiamento rivolte alla Procura circa il filone politico‑amministrativo delle inchieste mafia‑appalti si infrangono invece contro la mole di provvedimenti cautelari, sequestri patrimoniali e condanne emessi tra il 1989 e il 1998.

Per avvalorare l’assunto che l’indagine “mafia-appalti” sarebbe stata castrata dalla Procura di Palermo con l’obiettivo di evitare di portare alla luce con indagini approfondite i legami tra politica, mafia e imprenditoria, Mori e De Donno citano un presunto passaggio dei “Diari di Falcone”, pubblicati postumi il 24 giugno 1992 sul quotidiano Il Sole 24 Ore, in cui il magistrato avrebbe giudicato la decisione della Procura relativa all’annotazione “Mafia e appalti” del ROS una «scelta riduttiva per evitare il coinvolgimento di personaggi politici». In realtà, quella frase non esiste e non è mai stata pubblicata su quei diari. Ancora più paradossale è un’altra mossa del ROS, ovvero quella di sostenere che Falcone avrebbe definito «inattendibili» le dichiarazioni di Alberto Lo Cicero sulla pista nera delle stragi (che la Commissione Antimafia a guida Colosimo sembra cercare con tutte le energie di scacciare dal novero dei possibili moventi sottesi all’attentato di via D’Amelio): Lo Cicero iniziò a collaborare con la giustizia il 24 luglio 1992, due mesi dopo la morte di Falcone, un anno e cinque mesi dopo che, nel febbraio del 1991, Falcone aveva lasciato Palermo per divenire direttore generale degli affari penali al Ministero della Giustizia. Ergo, non fu mai nelle condizioni di occuparsene.

Le anomalie

Dati alla mano, le anomalie sulla gestione del rapporto, più che ai magistrati di Palermo, sembrano essere riconducibili proprio a dinamiche interne all’universo dei ROS. La storia racconta infatti che, nel maggio del 1991, su varie testate vennero pubblicati articoli di stampa in cui si affermava che la Procura si fosse rifiutata di ricevere l’informativa mafia-appalti prodotta dai ROS del febbraio 1991 e che i magistrati avrebbero insabbiato posizioni di importanti politici, alcuni dei quali ricoprivano incarichi governativi. Qualcosa di incomprensibile, perché nell’informativa del febbraio 1991 di questi importanti esponenti politici in realtà non si parlava proprio. I loro nomi sarebbero invece comparsi il 5 settembre del ’92 (dopo la morte di Borsellino), in una seconda informativa, in cui si facevano espliciti riferimenti a Calogero Mannino, Salvo Lima e Rosario Nicolosi. «La cosa grave – aveva spiegato il magistrato Roberto Scarpinato, all’epoca alla Procura di Palermo, sentito al processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio – è che nella nuova informativa vi erano intercettazioni di questi personaggi che risalivano al 1990». E, sebbene le intercettazioni fossero del 1990, «in quell’informativa del febbraio 1991 non venivano indicate nelle 900 pagine e nei 488 allegati». Eppure, su queste strane circostanze, la Commissione Antimafia non sembra affatto propensa a voler indagare.

Gaza, 48 morti dall’alba nei raid israeliani

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Decine di civili palestinesi sono rimasti uccisi o sono stati feriti a causa di bombardamenti nell’ovest della città di Gaza nelle ultime ore. Lo ha reso noto l’agenzia di stampa palestinese Wafa. Fonti locali parlano di almeno 48 vittime provocate dai raid condotti dall’alba di oggi nella Striscia. Nel frattempo, continua a peggiorare la situazione umanitaria nell’enclave, con due milioni di palestinesi ormai prossimi alla fame.

 

La sincerità è rivoluzionaria

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La sincerità è rivoluzionaria perché nessuno se l’aspetta. E si presenta mentre avviene tutt’altro, mentre domina la dissimulazione e l’ipocrisia.

La sincerità è disarmata perché non deve dimostrare, non obbliga nessuno a restituirne altrettanta, è un dono che non si aspetta nulla . Di solito ottiene in cambio sospetti, calcoli, finzioni, reticenze come controdoni.

La sincerità è la bandiera al vento delle emozioni, è lo slancio di chi ti sostiene se inciampi, è la tenerezza passionale che ti libera dalle attese.

La sincerità è alleata della lealtà e della libertà, è un urlo o un sussurro a seconda dei casi, ti può ingannare perché ti sorprende, ti può offendere perché non è servile, può svelare perché si imbarazza a nascondere.

Ma ci sono tante sincerità. C’è quella che tace perché ti provoca a intervenire, c’è quella che accarezza per evitare di ricevere uno schiaffo, c’è quella innocente e c’è quella colpevole. Colpevole di non lasciare nulla di intentato, non soltanto coraggiosa ma sfrontata, tanto provocatrice e autentica che si aspetta di venire ridimensionata.

Con la sincerità non si entra mai in guerra, con lei si comincia invece a trattare gettando tutte le carte in tavola, facendo inorridire l’avversario, facendo passare, in un primo momento, chi è sincero da incapace.

Se chi ama ancora è sincero, sa quanto costa dichiararsi, non mettere condizioni, trascurare gli ostacoli.

Se chi non ama più è sincero, vuole dire che non escogita ricatti, che non ha paura della solitudine, che è pronto a farsi l’esame, anche a prendersi a schiaffi.

La sincerità ci guarisce dalla politica quand’è mistificatrice, dal senso del dominio, dalle illusioni. La sincerità è povera ma generosa, è sconsiderata perché esagera, senza freni, senza attendere tornaconti.

La sincerità fa paura tranne a chi è sincero. Lui, lei, loro, in quel momento sinceri (in quel momento, perché è davvero difficile essere sempre sinceri), lui, lei, loro abbracceranno il loro modo d’essere come qualcuno che non incontrano da tanto tempo.

E lo abbracci, la abbracci, la ami, lo ami anche se tra di voi non c’è mai stato niente. Perché la sincerità è un incontro con il te stesso di te e con il se stesso degli altri.

Un incontro che può finire lì o durare per sempre.

Harvard, altro stop al blocco di Trump per gli studenti stranieri

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Un tribunale federale di Boston ha sospeso un’ordinanza del presidente Donald Trump che vietava all’università di Harvard di iscrivere studenti stranieri, confermando una linea già presa in maggio. Il tribunale ha motivato la sospensione in maniera ancora più articolata, vietando al governo di «attuare qualsiasi sospensione, ritiro, revoca, cessazione o altra alterazione» delle regole di Harvard senza rispettare le procedure previste dal Codice dei regolamenti federali. L’università di Harvard si sta scontrando da settimane con Trump, che accusa le università del Paese di non aver fatto abbastanza per contrastare episodi di «antisemitismo» nei campus nelle proteste studentesche contro i massacri a Gaza