Le prime piogge invernali hanno trasformato i campi di sfollati di Gaza in distese di fango, facendo crollare migliaia di tende già logorate da due anni di guerra. Intere famiglie sono rimaste senza riparo, con materassi, coperte e pochi averi inzuppati. La pioggia ha invaso centinaia di tende, aggravando una situazione umanitaria già critica per fame, privazioni e continui attacchi israeliani. Secondo l’ufficio stampa del governo di Gaza, circa il 93% delle tende esistenti (circa 125.000 su 135.000) non è più utilizzabile. Gli sfollati vivono ammassati oltre la “linea gialla”, zona in cui è vietato il ritorno alle case distrutte.
Infrastrutture, energia e armi: l’UE cerca nuovi modi per finanziare l’Ucraina
Dopo che gli Stati Uniti hanno di fatto appaltato la guerra in Ucraina al Vecchio continente, la Commissione europea sta cercando nuove modalità economico-finanziarie per sostenere Kiev, proprio ora che l’ex Stato sovietico si trova in difficoltà sul campo di battaglia ed è travolto dallo scandalo di corruzione nel settore energetico che ha coinvolto diversi ministri di spicco del governo ucraino. In questo contesto problematico, l’esecutivo di Bruxelles sta sondando tutte le possibilità per garantire la resistenza ucraina, compresa quella di utilizzare gli asset russi congelati. Accanto a questa opzione, l’UE ha anche previsto un accordo con la società energetica ucraina Naftogaz per stanziare centinaia di milioni di euro che garantiranno l’approvvigionamento di gas naturale alla nazione in guerra, mentre i Paesi nordici si sono impegnati congiuntamente a stanziare un pacchetto di equipaggiamenti militari e munizioni per l’Ucraina del valore di 500 milioni di dollari, come stabilito dalla NATO.
L’idea di utilizzare le riserve russe congelate per sostenere militarmente e economicamente Kiev ha trovato ieri l’approvazione di tutti i ministri delle finanze dell’UE, perché si tratta di una mossa che permette di non aumentare il debito degli Stati europei e, al contempo, garantirebbe all’Ucraina fino a 140 miliardi di euro in due anni, coprendo il suo fabbisogno. Tuttavia, non si tratta di una soluzione immediata né facile da attuare in quanto potrebbe comportare problemi legali: la maggior parte dei beni russi congelati in Europa, infatti, si trovano sui conti del depositario titoli belga Euroclear e il Belgio teme di poter essere ritenuto responsabile qualora la Russia dovesse intentare e poi vincere una causa contro la società. Di conseguenza, il Belgio ha chiesto che i governi dell’UE si impegnino a reperire il denaro necessario per rimborsare Mosca entro tre giorni, nel caso in cui un tribunale decidesse che i beni vadano restituiti. Del resto, il Cremlino ha già fatto sapere che l’utilizzo di beni russi sarebbe un sequestro illegale di proprietà e ha affermato che avrebbe reagito, senza fornire ulteriori dettagli.
Nello specifico, l’opzione si chiama «Prestito per le riparazioni» e prevede la sostituzione da parte dell’UE del denaro russo sui conti Euroclear con obbligazioni AAA a cedola zero emesse dalla Commissione europea. Il denaro sarebbe quindi trasferito a Kiev che dovrebbe rimborsalo solo nel caso, piuttosto improbabile, in cui ricevesse le riparazioni di guerra dalla Russia. «La proposta della Commissione è l’opzione migliore e più realistica e dovrebbe essere trattata con la massima priorità», ha dichiarato il ministro dell’Economia danese Stephanie Lose, a cui ha fatto eco il ministro delle finanze finlandese Riikka Purra, secondo il quale «È l’unica opzione che ha una potenza di fuoco sufficiente e che limita la pressione sui nostri bilanci nazionali».
Sul piano delle attrezzature militari e delle risorse energetiche, invece, sono previste altre due iniziative, tra cui quella denominata PURL (Prioritised Ukraine Requirements List) dell’Alleanza atlantica. Quest’ultima è stata lanciata lo scorso luglio dal segretario generale della Nato, Mark Rutte, e dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump dopo le critiche dell’amministrazione statunitense secondo cui i Paesi europei non si starebbero assumendo abbastanza responsabilità per garantire la sicurezza dell’Ucraina. Il pacchetto dell’iniziativa prevede munizioni e equipaggiamenti militari per un valore di 500 milioni di dollari, ma la cosa più significativa è che l’attrezzatura – fornita da Danimarca, Estonia, Finlandia, Islanda, Lettonia, Lituania, Norvegia e Svezia – proverrà dagli Stati Uniti, i quali dopo avere affidato la questione ucraina al Vecchio continente, guadagneranno anche dalla vendita di armi.
Sul fronte energetico, invece, le principali banche di sviluppo europee e la società energetica ucraina Naftogaz hanno firmato giovedì un accordo per stanziare centinaia di milioni di euro al fine di garantire l’approvvigionamento di gas naturale all’Ucraina e la possibilità di costruire infrastrutture essenziali. La Banca Europea per gli Investimenti (BEI) ha fatto sapere che una sovvenzione dell’UE fornirebbe 127 milioni di euro di finanziamenti aggiuntivi a Naftogaz, oltre al prestito da 300 miliardi di euro annunciato il mese scorso. Altri 25 milioni di euro, invece, saranno destinati al miglioramento dei sistemi di trattamento delle acque potabili e delle acque reflue in Ucraina, mentre 50 milioni di euro sono stati erogati per sostenere un prestito per la ricostruzione di alloggi sociali. Il tutto avviene proprio mentre l’Ucraina sta affrontando un caso di corruzione di ampie proporzioni che riguarda proprio il settore energetico: si tratta di un presunto schema di corruzione da cento milioni di dollari per controllare gli appalti presso l’agenzia nucleare Energoatom e altre imprese statali. Le accuse di tangenti nel settore energetico avvengono proprio in un periodo in cui la popolazione deve affrontare quotidianamente interruzioni di corrente a causa dei massicci attacchi russi alle infrastrutture e l’accaduto potrebbe allontanare i donatori che hanno fornito assistenza al settore energetico ucraino in difficoltà.
Le mosse dell’UE per sostenere Kiev mostrano come gli USA abbiano definitivamente addossato la questione ucraina all’Europa, ridotta ad appendice di Washington e costretta a accollarsi le spese per la difesa dell’Ucraina proprio mentre la sua economia mostra chiari segnali di cedimento. Nel frattempo, la potenza d’oltreoceano vende armi e gas al Vecchio continente che deve inventarsi sempre nuovi modi per finanziare Kiev senza gravare sui già precari bilanci nazionali.
Roma dovrà risarcire con 10.000 euro i cittadini esposti a smog e rumore
Il Comune di Roma dovrà risarcire con 10.000 euro a titolo di danno, anche morale, ciascun residente esposto a rumore prolungato e polveri sottili oltre i limiti di legge. È quanto ha stabilito la Cassazione, confermando la responsabilità dell’amministrazione della Capitale per le immissioni nocive generate dalla tangenziale che costeggia il Foro Italico, dove vivere con finestre chiuse era diventato la norma. I giudici hanno respinto il ricorso del Campidoglio e imposto non solo i risarcimenti, ma anche l’obbligo di intervenire con misure concrete per riportare l’area entro soglie accettabili, con l’installazione di barriere fonoassorbenti e l’imposizione del limite di velocità a 30 km/h nelle zone ad alto rischio, interventi che altre città europee applicano da anni, anche in assenza di contenziosi.
Si tratta di una sentenza destinata a lasciare il segno, che riguarda i residenti della zona del Foro Italico, adiacente alla tangenziale di Roma, che da anni segnalavano l’esposizione continua a traffico intenso, livelli di particolato fine fuori norma, aria irrespirabile e rumore persistente. Il tribunale di primo grado aveva riconosciuto un risarcimento modesto (circa 2.000 euro ciascuno) e aveva demandato ai singoli abitanti l’onere di installare a proprie spese finestre autoventilanti, trasformando un problema strutturale in una responsabilità privata. Una soluzione che spostava tutto il peso sugli abitanti, trattando l’esposizione prolungata a rumore e polveri come una conseguenza inevitabile del vivere accanto al traffico. In appello, la prospettiva è cambiata: si è stabilito che è responsabilità del Comune predisporre le misure di mitigazione. La decisione è stata integralmente confermata dalla Cassazione, che ha ritenuto legittime le barriere fonoassorbenti, la riduzione del limite di velocità a 30 km/h e il risarcimento di 10.000 euro per ogni residente, eredi compresi. Per la Suprema Corte, l’articolo 2058 del Codice civile (“neminem laedere”) e l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (diritto al rispetto della vita privata e familiare) costituiscono le basi giuridiche su cui è fondata la condanna. L’amministrazione deve intervenire quando il suo operato – o la sua inerzia – genera danni e le finestre autoventilanti, presentate dal primo giudizio come soluzione “ragionevole”, si sono rivelate irrilevanti secondo la consulenza tecnica disposta dal tribunale, che avevano accertato che né le finestre “autoventilanti” né gli interventi minimi bastavano a contenere le polveri sottili e il frastuono generato dal traffico intenso, confermando la necessità di misure strutturali.
La portata della sentenza supera il perimetro della singola condanna e introduce un principio che potrebbe incidere su molti altri contesti urbani: quando le immissioni superano per anni soglie significative e l’amministrazione resta inerte, la tutela ambientale diventa tutela dei diritti fondamentali. La Cassazione chiarisce che non basta risarcire i cittadini, perché l’obbligo dell’ente pubblico non è solo patrimoniale ma operativo: occorre ridurre in modo effettivo rumore e inquinanti, riportando la situazione entro livelli accettabili. Il Comune, secondo questa impostazione, ha un vero e proprio obbligo di risultato, non solo di comportamento, e deve adottare misure idonee e verificabili di mitigazione. Resta da capire come e in quali tempi Roma Capitale darà seguito a quanto imposto. Barriere fonoassorbenti, limitazioni del traffico e monitoraggi continui richiedono programmazione, finanziamenti e controlli periodici. Anche il riconoscimento dei risarcimenti comporta un iter istruttorio accurato. Al di là degli adempimenti tecnici, il valore più ampio della sentenza sta nel cambio di prospettiva che suggerisce: traffico, smog e rumore non sono più costi inevitabili della vita in città, ma responsabilità precise e non differibili delle istituzioni. Per i residenti coinvolti, il ricorso alla giustizia si è rivelato uno strumento capace di incidere sulla realtà. Per il Comune, la decisione è un avvertimento chiaro: proteggere l’ambiente urbano significa garantire la qualità della vita e ignorare questo nesso non è più giuridicamente tollerabile.
Il 41,8% degli adolescenti ha chiesto aiuto a un’IA
Secondo il rapporto della Save the Children, il 41,8% degli adolescenti italiani in difficoltà si è rivolto a un sistema di intelligenza artificiale per chiedere aiuto in situazioni di tristezza, ansia o solitudine. Lo studio segnala che il 12% degli intervistati ha usato psicofarmaci senza prescrizione e che il 9% ha sperimentato un isolamento volontario per problemi psicologici. Rispetto agli adulti, i giovani 15-19enni mostrano un uso molto più elevato di strumenti digitali: oltre il 92% li adopera, contro il 46,7% degli adulti. L’indagine fa parte della XVI edizione dell’“Atlante dell’Infanzia a rischio”, intitolata “Senza filtri”, divulgata in vista della Giornata Mondiale dell’Infanzia e dell’Adolescenza del 20 novembre.
La Lega vuole un altro pacchetto sicurezza: nel mirino anche i movimenti di protesta
La Lega rilancia l’offensiva sulla «sicurezza totale» con un nuovo pacchetto di quattordici proposte presentato alla Camera. L’iniziativa, preannunciata dal vicepremier Matteo Salvini, mira per i suoi artefici a «colpire criminali, clandestini e occupanti abusivi» e potrebbe confluire in un decreto legge o in un disegno di legge. Tra le misure più discusse, spicca l’introduzione di una cauzione preventiva per gli organizzatori di manifestazioni, uno strumento che punisce indirettamente il diritto di protesta. Il pacchetto tocca anche immigrazione, con restrizioni ai ricongiungimenti familiari e il permesso di soggiorno a punti, e ordine pubblico, con inasprimenti penali e procedure accelerate per gli sgomberi, estese a tutti gli immobili, non solo alle prime case.
In una conferenza stampa tenutasi mercoledì 12 novembre, sono state presentate le misure inserite nella proposta, che tra le altre cose si prefigge di intervenire in modo significativo sul tema delle manifestazioni. Oltre alla garanzia finanziaria per gli organizzatori, si prevede un inasprimento dell’articolo 18 del Tulps, con multe fino a 20 mila euro per i cortei non autorizzati. Una misura che, unita al nuovo reato di «fuga pericolosa» per chi non si ferma all’alt delle forze dell’ordine, mira a delineare un perimetro più restrittivo per l’esercizio del dissenso. Sul fronte della piccola criminalità, si renderebbero perseguibili d’ufficio i borseggi – senza più necessità di querela – «per tutelare i turisti», spiegano i proponenti. Aumentano anche le pene per i furti in abitazione e viene introdotto l’arresto in flagranza differita. Sul piano amministrativo, è previsto lo stop all’iscrizione automatica nel registro degli indagati per gli agenti quando sussiste «una presumibile causa di giustificazione» e una riforma complessiva delle polizie locali.
Un capitolo centrale del pacchetto è dedicato alla cosiddetta «lotta alle baby gang». Per far fronte «all’allarme sociale che arriva dai sindaci su baby gang e maranza», spiega il sottosegretario all’Interno Molteni, si propone di modificare la Legge Zampa del 2017. Il minore straniero non accompagnato avrebbe diritto al prosieguo amministrativo solo fino ai 19 anni, non più 21. Si avanza inoltre l’idea di rafforzare il dl Caivano, ampliando l’elenco dei reati che consentono l’ammonimento del questore per i minori tra i 12 e i 14 anni. Nei casi più gravi, i genitori potrebbero essere sanzionati con una multa. L’obiettivo dichiarato è «operare una morsa ai fenomeni di devianza giovanile». Sul versante immigrazione, la Lega rilancia la proposta del permesso di soggiorno a punti, evoluzione del vecchio «accordo di integrazione» del 2009, da sottoscrivere già dai 14 anni. Previste anche pesanti restrizioni ai ricongiungimenti familiari, limitati ai soli coniugi e figli minori, con l’esclusione quindi dei figli maggiorenni e degli altri parenti, e un innalzamento del requisito economico. Si propone inoltre di estendere le espulsioni anche ai migranti condannati a pene detentive inferiori ai due anni.
Altro pilastro è la stretta sugli sgomberi, con una procedura accelerata estesa a «tutti gli immobili», comprese le seconde case, e non più limitata alle prime abitazioni. Questa misura si intreccia con il Piano casa Italia, illustrato da Salvini, che mira a «sperimentare nuovi modelli di edilizia sociale». Per finanziare il piano, il leader leghista ha proposto di attingere anche al Fondo sociale per il clima, nonostante le coperture restino un’incognita, con soli 660 milioni previsti dalla legge di bilancio per il 2027. Completa il quadro una proposta lanciata dalle eurodeputate leghiste Susanna Ceccardi, Silvia Sardone e Anna Maria Cisinit: un nuovo «Osservatorio nazionale sui fenomeni dell’islamizzazione», affidato a venti sindaci scelti dal partito, incaricati di «monitorare moschee irregolari, imposizione del velo sulle minori, ricongiungimenti poligamici e patriarcato islamico».
A ogni modo, l’iniziativa della Lega non è stata accolta con entusiasmo unanime all’interno del centro-destra. L’annuncio, effettuato senza un accordo preliminare con Fratelli d’Italia, ha infatti generato qualche malumore nelle file dei meloniani. Il compromesso è stato presentare le proposte come una iniziativa di partito, slegata dall’esecutivo.
Rivolta al carcere di Como: feriti tre agenti e un detenuto
Nel pomeriggio di giovedì 13 novembre è scoppiata una grave rivolta alla Casa Circondariale Bassone di Como: dopo un tentativo di evasione sventato, un agente della penitenziaria è stato trattenuto temporaneamente in ostaggio dai detenuti, mentre tre membri del corpo di polizia penitenziaria sono rimasti feriti e un detenuto di 24 anni è stato trasportato in codice rosso all’ospedale per trauma toracico. La struttura, già afflitta da sovraffollamento ben oltre la capienza, è stata cinturata dalle forze dell’ordine con mezzi antisommossa e numerose ambulanze. La situazione è tornata normalità dopo l’arrivo da Milano di rinforzi da parte delle forze dell’ordine. I sindacati denunciano che la fase d’emergenza era da tempo prevedibile.
La Commissione Europea si allinea ufficialmente alla voce delle Big Tech

La Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, fa da megafono ai messaggi promozionali — privi di fondamento scientifico — propinati dalle Big Tech statunitensi. Non solo, l’Unione Europea utilizza chatbot di generazione di testi per sviluppare i propri comunicati ufficiali, senza dichiararlo apertamente e, forse, in contrasto con le sue stesse linee guida. Questi elementi sollevano serie perplessità sull’imparzialità e sulla trasparenza dell’approccio adottato dalle istituzioni europee nel rapporto con le nuove tecnologie, mettendo in discussione la loro capacità di mantenere un equilibrio tra innovazione e responsabilità.
I dubbi sulle parole della von der Leyen sono emersi prepotentemente in occasione della conferenza annuale sul bilancio 2025 dell’Unione Europea, pubblicata il 20 maggio 2025. In quell’occasione, la Presidente ha dichiarato: “nel negoziare il bilancio attuale, avevamo stimato che l’intelligenza artificiale avrebbe raggiunto la capacità di ragionamento umano solo nel 2050. Ora, ci aspettiamo che ciò accada già l’anno prossimo”. Per chi segue da vicino l’evoluzione tecnologica, queste parole hanno immediatamente suonato un campanello di allarme: simili previsioni non trovano grande riscontro nella letteratura scientifica, tuttavia coincidono con precisione con le propagande commerciali delle aziende statunitensi del settore.
In risposta alla posizione adottata dalla Commissione Europea, l’Irish Council for Civil Liberties (ICCL) ha presentato una richiesta di accesso ai documenti per conoscere su quali dati si basassero simili dichiarazioni ufficiali e, di conseguenza, le decisioni dell’UE. Dopo circa tre mesi di attesa, la Commissione ha svelato che le stime sull’evoluzione dell’intelligenza artificiale derivano dal parere di soggetti con “conoscenza professionale dei servizi della Commissione” e dall’analisi della letteratura scientifica. Gli esperti citati sono Yoshua Bengio, professore all’Università di Montréal e vincitore del premio Turing; Dario Amodei, CEO di Anthropic; Jensen Huang, CEO di NVIDIA; Sam Altman, CEO di OpenAI. È significativo notare che tre dei quattro nomi indicati sono dirigenti di aziende che hanno un evidente interesse finanziario nel promuovere aspettative elevate sulle potenzialità dell’intelligenza artificiale.
Questa rivelazione ha spinto la comunità scientifica a pubblicare, il 10 novembre, una lettera aperta in cui si chiede esplicitamente alla Commissione Europea di rivedere le proprie posizioni, giudicate “non scientifiche” e responsabili di alimentare un entusiasmo eccessivo nei confronti dell’intelligenza artificiale. Secondo i firmatari, tali dichiarazioni contribuiscono a gonfiare una bolla speculativa già esistente e “compromettono la capacità del personale della Commissione di valutare le affermazioni dei fornitori di IA, proprio mentre l’istituzione è chiamata a regolamentarli”. Dalla pubblicazione della lettera, sono già oltre 200 gli accademici che l’hanno sottoscritta, ma l’appello resta aperto a ricercatori, dottori e professori, rendendo probabile un ulteriore ampliamento del fronte critico.
Oggi, 14 novembre, l’ICCL ha inoltre esplicitato di aver inoltrato una denuncia formale all’Ombudsman europeo contro la Commissione Europea, accusandola di aver utilizzato in modo non trasparente sistemi di intelligenza artificiale generativa nella redazione dei propri documenti pubblici. In particolare, l’accusa fa riferimento proprio al comunicato in cui la Commissione ha ammesso candidamente che Ursula von der Leyen ha fatto sue le posizioni dei grandi dirigenti del settore tecnologico statunitense. Tra i materiali allegati alla segnalazione, infatti, figura un link che rimanda chiaramente a un indirizzo associato a ChatGPT, il servizio di chatbot sviluppato da OpenAI. Esatto, l’istituzione che viene criticata per aver dato troppo peso alle derive imprenditoriali risponde alla contestazione ricorrendo a un chatbot legato proprio a quel mondo.
Come osserva giustamente l’Irish Council for Civil Liberties, i sistemi di intelligenza artificiale sono progettati per risultare convincenti, non necessariamente per essere affidabili. Basandosi su predizioni stocastiche tratte dal loro corpus di dati, tali sistemi possono generare quelli che vengono generosamente definiti “allucinazioni”, ovvero errori lessicalmente plausibili, ma privi di fondamento fattuale. La denuncia ricorda dunque che “le istituzioni dell’UE hanno il dovere di fornire informazioni accurate” e avverte che “appoggiandosi a simili generatori di contenuti possono venire meno agli obblighi di garantire ai cittadini il diritto a una buona amministrazione”. L’ICCL sottolinea inoltre che questo comportamento potrebbe aver violato le stesse linee guida della Commissione, le quali intima di non inserire nelle comunicazioni ufficiali i contenuti generati dall’IA.
Precipita elicottero nel Mantovano: morto il pilota
Un elicottero H135 è precipitato venerdì mattina nelle campagne di Casalromano, nel Mantovano, provocando la morte del pilota 56enne, unico a bordo. L’incidente, segnalato alle 10.40 da un agricoltore, ha mobilitato elisoccorso, automedica, ambulanza, Vigili del Fuoco e Carabinieri. Secondo i dati del portale FlightRadar24, il velivolo era decollato da Costigliole d’Asti, sede della società proprietaria Heliwest, percorrendo circa 200 chilometri prima dello schianto. Le cause sono ancora da chiarire, ma la zona era avvolta dalla nebbia, che ha provocato anche quattro incidenti stradali con 16 persone coinvolti.
Chi è il giudice Paolo Adinolfi e perché alla Casa del Jazz si scava per trovare i suoi resti
Sono passati 31 anni da quel 2 luglio 1994 in cui il giudice Paolo Adinolfi uscì dalla sua casa romana in via della Farnesina, dicendo alla famiglia «Torno più tardi, ci vediamo a pranzo», per poi svanire nel nulla. Oggi, quel caso irrisolto della Repubblica, l’unico che riguardi la scomparsa di un magistrato, torna alla ribalta con operazioni di scavo sotto la Casa del Jazz, nel quartiere Ardeatino. L’edificio, bene confiscato alla malavita organizzata e divenuto polo culturale, sorge su un terreno che fu di Enrico Nicoletti, considerato il “cassiere” della Banda della Magliana. È lì, in tunnel sotterranei mai esplorati, che si spera di trovare finalmente i resti del giudice, forse sepolto per aver incrociato, nei suoi delicati incarichi fallimentari, interessi troppo pericolosi.
Paolo Adinolfi, 52 anni al tempo della scomparsa, era un uomo di solide radici: un matrimonio lungo e felice con Nicoletta, due figli, un profondo legame con la madre. Di formazione cattolica, era un magistrato stimato, da appena venti giorni si era insediato come consigliere alla Corte d’Appello di Roma dopo una lunga e significativa esperienza alla sezione fallimentare del Tribunale civile. Proprio in quell’ufficio, crocevia di affari legali e loschi, dove si decidevano le sorti di aziende nazionali, il giudice aveva maturato quella fama di integerrimo servitore dello Stato che, secondo molti, potrebbe essere all’origine della sua sparizione.
La mattina della scomparsa fu un susseguirsi di azioni consuete e dettagli insoliti. Adinolfi si recò in macchina alla biblioteca del Tribunale in viale Giulio Cesare, dove fu notato in compagnia di un giovane mai identificato. Effettuò un’operazione bancaria, pagò bollette per la madre in un ufficio postale e, passando da piazzale Clodio, incontrò un collega che notò sul suo volto «uno strano cipiglio, un turbamento». Poi, il gesto più enigmatico: parcheggiata l’auto al Villaggio Olimpico, dove verrà poi ritrovata, inviò da un altro ufficio postale un vaglia di 500 mila lire alla moglie. Da lì in avanti, l’oblio. Alcuni testimoni lo videro su un autobus diretto ai Parioli, dove viveva la madre; le chiavi di casa e dell’auto furono ritrovate nella di lei cassetta della posta. Due giorni dopo, Adinolfi sarebbe dovuto andare a Milano per un importante appuntamento con il pm Carlo Nocerino. Secondo quanto ricostruito, intendeva riferire elementi importanti su legami tra settori deviati del servizio civile e società fantasma che operavano nella compravendita di immobili. Indagini che affondavano le radici nei grandi fallimenti di cui si era occupato.
Le inchieste sulla sparizione di Adinolfi si sono sviluppate per anni, sfociando il più delle volte in archiviazioni. L’ipotesi di un malore o di una fuga volontaria fu immediatamente scartata dai familiari. Le piste investigative hanno toccato più filoni: il crac della società Fiscom e quello della Ambra Assicurazioni, casi che portarono a sospetti intrecci tra malavita, prestanomi e ambienti deviati dei servizi. Enrico Nicoletti, indicato come il “cassiere” della Banda della Magliana – peraltro con importanti entrature nella corrente andreottiana della DC – era proprietario della villa su cui, dopo la confisca, è poi sorto il parco della Casa del Jazz; per anni circolò la voce che Adinolfi potesse essere stato seppellito in una proprietà a lui riconducibile. A rafforzare il sospetto, le parole dell’ex magistrato Otello Lupacchini, secondo cui Nicoletti interruppe proprio nel 1994 «il progetto edilizio di ristrutturazione di una dépendance della villa per realizzare un salone che si apriva su una catacomba». In occasione di un primo scavo, nel ’96, si trovò una galleria profonda, ma i lavori si fermarono dopo un crollo e per mancanza di fondi.
Solo pochi mesi fa, un’interrogazione a risposta scritta è stata presentata dalla deputata Stefania Ascari (e altri). Nel documento si sollecita il Governo a chiarire cosa le istituzioni abbiano in loro possesso sul caso della scomparsa del giudice Paolo Adinolfi e quali atti, compresi documenti riservati o archivi dei servizi, possano essere utili a riaprire o integrare le indagini. L’atto vuole fare chiarezza su eventuali coinvolgimenti di agenti dei servizi segreti italiani o coperture che avrebbero ostacolato la verità, chiedendo se siano state svolte verifiche sull’operato di basi militari vicine a una casa di proprietà della famiglia Adinolfi affittata da Vincenzo Fenili (alias “Kasper”), ex agente segreto e contractor del ROS, proprio per valutare possibili collegamenti con la sparizione di Adinolfi.
Nelle ultime ore, grazie a una segnalazione dell’ex giudice Guglielmo Muntoni e a nuovi finanziamenti, la Prefettura di Roma ha deciso di procedere in maniera dirompente. Il prefetto Lamberto Giannini ha spiegato: «È necessario fare una verifica, non perché si stia cercando in particolare qualcosa, ma perché si è avuta notizia che nel bene confiscato alla Banda della Magliana ci sarebbe una parte, una galleria che è stata tombata, non conosciuta, ed è giusto verificare cosa ci sia dentro». Non solo resti umani, ma eventualmente anche armi e soldi. L’intervento, prosegue, «è stato organizzato per motivi di sicurezza e trasparenza, perché se dovesse esserci qualcosa all’interno di quel tunnel chiuso da trent’anni, è giusto che sia preso in consegna dalle autorità competenti».
Sul luogo, coordinati dalla Prefettura, operano Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza e Sovrintendenza. Sono stati impiegati cani molecolari e artificieri, per il timore di trovare armi o esplosivi. Trattandosi di un tunnel molto profondo, oggi si procede con dei georadar e con una ruspa, per consentire scavi più efficaci. La famiglia Adinolfi ha stigmatizzato il fatto di non essere stata «né consultata né informata rispetto a questa iniziativa» affermando che non avrebbe «mai desiderato il clamore mediatico che ne è conseguito» e chiesto a tutti «silenzio e rispetto» per un «dolore infinito». Il figlio del magistrato, l’avvocato Lorenzo Adinolfi, è presente sul luogo.
La Corea del Sud investirà 350 miliardi negli USA per ridurre i dazi
La Corea del Sud e gli Stati Uniti hanno firmato un memorandum d’intesa che impegna Seul a investire 350 miliardi di dollari in cambio della riduzione dei dazi statunitensi. Il memorandum è stato firmato elettronicamente dal Ministro dell’Industria sudcoreano Kim Jung-kwan e dal Segretario al Commercio statunitense Howard Lutnick; esso prevede un investimento di 200 miliardi in progetti «commercialmente ragionevoli» relativi a settori come energia, semiconduttori, prodotti farmaceutici, minerali essenziali, intelligenza artificiale e informatica quantistica; altri 150 miliardi, invece, serviranno a rilanciare la cooperazione bilaterale nel settore della cantieristica navale. In cambio, gli USA ridurranno i dazi su legname, auto, farmaci e semiconduttori.







