martedì 1 Luglio 2025
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Panama, continuano le proteste contro liberismo e multinazionali: dichiarato lo stato di emergenza

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Proseguono le proteste dei lavoratori di Panama, da mesi in sciopero per una riforma delle pensioni e contro la presenza statunitense sul territorio. Per contenere la sempre più intensa ondata di contestazione, il governo del presidente José Raúl Mulino è stato costretto a dichiarare nuovamente lo stato di emergenza e a dispiegare circa 1.500 agenti. L’invio degli agenti per sedare le proteste ha causato un aumento della tensione, e ha portato al ferimento di oltre 30 persone e all’arresto di almeno 50. Le proteste del popolo panamense sono state lanciate dai sindacati e dai lavoratori del settore bananiero nella provincia di Bocas del Toro, ma lo sciopero si è rapidamente allargato a tutta la popolazione: i cittadini contestano l’adozione di una riforma che potrebbe portare alla riduzione delle pensioni e la firma di un memorandum con gli USA che autorizza il dispiegamento di forze di sicurezza statunitensi nel Paese.

La scorsa settimana, le proteste di Panama sono state particolarmente accese. Dopo mesi di blocchi, marce e scontri, la tensione ha raggiunto il culmine nella giornata di giovedì 19 giugno, nella città di Changuinola, capoluogo di Bocas del Toro. Qui, un gruppo di individui incappucciati ha saccheggiato attività commerciali e incendiato parzialmente uno stadio di baseball; i manifestanti hanno preso di mira anche l’aeroporto locale, rubando alcuni veicoli delle compagnie di autonoleggio. In generale, nella regione, le proteste si sono concentrate anche sui magazzini e sui punti in mano alla multinazionale Chiquita, che sono stati saccheggiati dai manifestanti. Nella giornata di venerdì, il governo ha sospeso i voli ed emanato lo stato di emergenza: il ministro Juan Carlos Orillac ha dichiarato che la misura comporterà la sospensione di alcuni diritti costituzionali, vietando gli assembramenti pubblici, limitando la libertà di movimento e consentendo alla polizia di effettuare arresti senza mandato. Le restrizioni saranno in vigore per cinque giorni e interesseranno tutta la provincia di Bocas del Toro.

La protesta dei lavoratori di Panama va avanti da mesi. È stata lanciata lo scorso marzo, con l’approvazione da parte del governo del disegno di legge di sicurezza sociale 462, che introduce modifiche al fondo di previdenza sociale che potrebbero causare una riduzione delle pensioni. I primi a mobilitarsi sono stati i lavoratori del settore bananiero, prevalentemente provenienti dalla provincia di Bocas del Toro. Qui, i lavoratori hanno portato avanti blocchi stradali, disertato il lavoro nei campi e dato il via a lunghe marce di protesta, provocando danni significativi ai trasporti e all’approvvigionamento di beni. Per rispondere alle proteste, il 27 maggio, il presidente Mulino ha dichiarato lo stato di emergenza, ritirandolo poco dopo; la multinazionale Chiquita, invece, ha annunciato il licenziamento di tutti i suoi operatori, circa 7.000, contestando loro un danno di almeno 75 milioni di dollari.

Alle proteste dei braccianti si sono uniti gli altri lavoratori di categoria, e nel corso degli ultimi due mesi la mobilitazione si è estesa a tutta la popolazione. Ad aggravare la crisi, ad aprile, è arrivata la firma di un memorandum di intesa con gli Stati Uniti, che autorizza Washington a inviare contingenti di forze di sicurezza, liberi di condurre “attività umanitarie” o di altro tipo, a seconda delle necessità. Il popolo panamense ha così esteso le ragioni della propria protesta, aggiungendo alle rivendicazioni sociali e lavorative quelle politiche, iniziando a contestare la presenza statunitense sul territorio.

Roma, maxi operazione antidroga: 13 arresti, anche 2 poliziotti

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Sedici persone sono state arrestate tra Roma e Latina per traffico internazionale di droga, armi, rapine e riciclaggio nell’ambito dell’operazione “Don Rodrigo”. L’organizzazione aveva importato oltre una tonnellata di hashish e marijuana da Spagna e Marocco e i narcotrafficanti operavano in diversi quartieri romani, gestendo un sistema ben organizzato: trasporto, custodia, distribuzione e riciclaggio. Usavano armi, auto modificate, telefoni criptati e una cassa comune per stipendi e spese legali. Secondo l’inchiesta, sette poliziotti in servizio al commissariato di San Lorenzo avrebbero offerto copertura all’organizzazione, manomettendo sequestri, alterando verbali e favorendo i piani del gruppo. Due di loro sono finiti in manette.

La madre di tutte le fughe di dati: da Google a Meta, compromesse 16 miliardi di credenziali

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Le fughe di dati si verificano ormai con una regolarità preoccupante. Invece di intervenire con decisione per arginare il problema, le grandi aziende tecnologiche hanno promosso la normalizzazione del fenomeno, consolidando l’idea che queste falle siano un inevitabile sottoprodotto del progresso digitale. Negli ultimi giorni, tuttavia, questo velo di assuefazione si è squarciato con la scoperta di un gigantesco archivio contenente circa 16 miliardi di credenziali rubate, tra password e informazioni di login. Un bottino che gli esperti non esitano a definire “la madre di tutte le violazioni informatiche”.

Il database è stato individuato grazie al lavoro della redazione di Cybernews, la quale ha iniziato a darne notizia il 18 giugno, aumentando la copertura giornalistica man mano che emergeva la reale portata della minaccia. Il materiale rinvenuto è vastissimo: si parla di una trentina di fonti differenti aggregate in un’unica raccolta, in cui ogni singolo file contiene da decine di milioni fino a 3,5 miliardi di righe di dati. Secondo la testata, fatta eccezione per un database già segnalato il mese scorso da Wired, tutti gli archivi risultavano inediti anche per gli analisti che operano nel settore della cybersicurezza.

Le credenziali compromesse coprono praticamente ogni tipologia di servizio digitale. Tra i nomi più noti compaiono Google, Meta e Apple, tuttavia la mole dell’archivio è tale da far ritenere probabile il coinvolgimento di piattaforme come GitHub, Telegram e diversi portali governativi. I ricercatori descrivono l’archivio come un “progetto di sfruttamento di massa”, in grado di garantire ai cybercriminali “un accesso senza precedenti alle credenziali personali, utilizzabili per l’acquisizione di account, il furto di identità e campagne di phishing altamente mirate”.

Il danno alla sicurezza informatica è quindi trasversale e sistemico, ma non riconducibile a un singolo attacco. L’origine della raccolta è attribuita piuttosto alla proliferazione di malware del tipo infostealer, programmi malevoli progettati per trafugare dati sensibili dai dispositivi degli utenti. In questo senso, alcuni esperti ipotizzano che il gigantesco archivio sia una sedimentazione di informazioni trafugate negli ultimi anni, suggerendo quindi una minaccia meno pressante di quella ventilata invece dai toni dello scoop. Cybernews non è d’accordo e sostiene che molti dei dati sarebbero “nuovi”, non riciclati da precedenti fughe, il che rappresenterebbe un’insidia decisamente urgente.

Verificare origine e dettagli di questo grande archivio è peraltro un compito estremamente difficile. I reporter lo hanno notato solamente grazie al fatto che i cybercriminali hanno configurato male i propri servizi di hosting, lasciando che i file fossero disponibili in chiaro online. Si è trattato di un errore di breve durata e che non ha permesso analisi approfondite, né tantomeno ha offerto la possibilità di capire se questo nuovo allarme rappresenti un pericolo reale o se sia un problema ormai secolarizzato. Nel dubbio, vale comunque la pena aggiornare le proprie password e, ove possibile, passare a sistemi di verifica più complessi, quali l’autenticazione a due fattori.

GLi Stati Uniti hanno attaccato l’Iran

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Domenica 22 giugno. Nel decimo giorno della guerra lanciata da Israele contro l’Iran entrano in scena gli Stati Uniti a fianco dell’alleato. La nostra diretta


Dall’inizio del conflitto i missili sparati dall’Iran in territorio israeliano avrebbero ucciso 24 persone e provocato 1.213 feriti, di cui 16 versano in gravi condizioni. A dichiararlo fonti del servizio medico d’urgenza di Tel Aviv, citate da Al Jazeera. Tra i 1.213 curati rientrerebbero sia i feriti, inclusi i casi lievi, sia le persone che si sono presentate in pronto soccorso a seguito di attacchi d’ansia. I bombardamenti israeliani in Iran avrebbero ucciso invece oltre 400 persone secondo le stime fornite dalle autorità di Teheran.


Dovrebbe tenersi oggi la riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite richiesta dall’Iran per discutere degli attacchi statunitensi contro i siti nucleari iraniani. Russia, Cina e Pakistan, intanto, hanno proposto all’organismo di adottare una risoluzione che chiede un cessate il fuoco immediato e incondizionato in Medio Oriente. Non è stato ancora chiarito quando la risoluzione potrà essere messa ai voti. I tre Paesi hanno precedentemente rilasciato delle dichiarazioni a supporto dell’Iran, condannando gli attacchi statunitensi sui siti nucleari del Paese.


Intervistato dall’emittente NBC, il vicepresidente statunitense JD Vance ha dichiarato che i bombardamenti di questa notte non miravano a un cambio di regime, e che gli USA non intendono continuare gli attacchi sull’Iran. Il vicepresidente ha inoltre affermato che il Paese è pronto a tornare sul tavolo dei negoziati e trovare un accordo a lungo termine perché «gli USA non sono in guerra con Teheran». Vance ha inoltre commentato la presunta decisione del Parlamento iraniano di chiudere lo Stretto di Hormuz, sostenendo che, se il Paese lo facesse, sarebbe una scelta «suicida». Sulla scia delle dichiarazioni di Vance sono arrivate anche quelle del segretario di Stato Marco Rubio, che ha affermato che l’opzione «preferita» da Washington è quella di siglare un accordo con l’Iran.

L’annuncio del presidente Vance era nell’aria da ore, e diversi media stavano già definendo l’attacco di questa notte come un bombardamento una tantum, prendendo come riferimento le parole del Segretario della Difesa, che aveva parlato di «deterrenza americana».


Da quanto riportano i media iraniani, il Parlamento iraniano avrebbe approvato la chiusura dello Stretto di Hormuz, sul Golfo Persico. Lo Stretto è un’area di interesse particolarmente strategico, perché da esso transita circa un quarto del traffico globale di petrolio. La sua chiusura causerebbe ingenti danni all’economia, e rischierebbe di colpire anche alleati dell’Iran come la Cina, che si rifornisce di petrolio prevalentemente grazie al traffico proveniente dallo Stretto. Il voto del Parlamento, in ogni caso, deve essere approvato anche dal Consiglio supremo di sicurezza iraniano.


Sin dall’annuncio degli attacchi da parte del presidente Trump, gli Stati Uniti stanno reclamando di avere «devastato completamente» il programma nucleare iraniano. Non si può ancora sapere quanti danni siano stati causati dal bombardamento statunitense, ma ci sono diversi dubbi che le capacità nucleari del Paese siano state «obliterate» come sostenuto dal presidente statunitense.

I politici iraniani non hanno ancora fornito dettagli sui danni riportati dalle strutture colpite, ma in un primo momento le autorità di Qom avevano affermato che il sito nucleare di Fordo, situato chilometri sotto terra, avrebbe subito solo danni superficiali. Poco fa un ufficiale statunitense avrebbe confermato al New York Times che l’attacco su Fordo non sarebbe riuscito a distruggere la struttura.

Sempre per quanto riguarda l’impianto di Fordo, su diversi canali di informazione stanno girando delle immagini satellitari che ritraggono il sito dopo il bombardamento: da esse sembrerebbe che solo 6 delle 12 bombe MOP lanciate dagli USA sarebbero riuscite a penetrare sotto terra. Gli ingressi dell’impianto, inoltre, sarebbero stati riempiti di terra per ridurre l’impatto un eventuale attacco aereo. BBC ha invece pubblicato altre immagini satellitari, ottenute dalla tecnologia dell’azienda Maxar, risalenti ai giorni precedenti all’attacco: esse mostrano «una insolita attività di camion» che si sarebbero concentrati sul sito a partire dal 19 giugno, e sembrerebbero confermare le dichiarazioni apparse sui media iraniani, secondo cui l’impianto sarebbe stato sgomberato nei giorni scorsi.

Per quanto riguarda l’impianto di Esfahan, va sottolineato che anch’esso si trova sotto terra, sebbene non alle profondità di Fordo. Secondo alcuni analisti, il lancio di missili da crociera non sarebbe bastato a distruggere veramente la struttura. Caso diverso per quanto riguarda l’impianto di Natanz, colpito anche da due bombe MOP: secondo i media israeliani, lo stabilimento di Natanz sarebbe stato distrutto, mentre Fordo e Esfahan avrebbero solo subito danni.


Il Northrop Grumman B-2 Spirit è uno degli aerei più avanzati della flotta statunitense, ed è in grado di penetrare le difese aeree e sferrare attacchi di precisione contro obiettivi blindati. Dal valore di 2,1 miliardi di dollari, il B-2 Spirit è l’aereo militare più costoso al mondo; esso ha un design angolare che riduce la possibilità di rilevarlo ed è fornito di una tecnologia stealth di ultima generazione, composta da materiali capaci di assorbire i segnali radar. L’autonomia del bombardiere è di circa 11mila chilometri senza rifornimento, e la sua capacità di trasporto arriva a oltre 18mila chili.

Gli USA sostengono che il B-2 Spirit sia l’unico aereo al mondo capace di trasportare rapidamente, in sicurezza e con discrezione la GBU-57 MOP una bomba guidata anti-bunker da molti ritenuta l’arma più efficace contro lo stabilimento nucleare iraniano di Fordo. Proprio la bomba MOP, dal peso di circa 14mila chili è l’arma principale che gli USA hanno impiegato negli attacchi di questa notte. Essa è considerata una delle bombe con le maggiori capacità di penetrazione al mondo, e può arrivare a colpire fino a 60 metri nel cemento.

Un esemplare di aereo Northrop Grumman B-2 Spirit.

Il segretario alla difesa statunitense Pete Hegseth è comparso in conferenza stampa per affermare che gli Stati Uniti avrebbero «devastato completamente il programma nucleare iraniano», e «obliterato» le presunte ambizioni iraniane di costruire una bomba atomica. Hegseth ha annunciato, citando il presidente Trump, che qualsiasi ritorsione iraniana provocherà una risposta statunitense ancora più dura. Il segretario ha inoltre affermato che durante l’attacco di questa notte gli USA hanno usato per la prima volta la bomba antibunker GBU-57 MOP, una bomba guidata anti-bunker da molti ritenuta l’arma più efficace contro lo stabilimento nucleare iraniano di Fordo.

Il capo delle operazioni ha affermato di avere utilizzato 7 aerei B-2 Spirit, gli unici a potere portare la bomba MOP, che hanno trasportato 14 bombe MOP per colpire due dei siti nucleari. In totale sono state utilizzate 75 armi di precisione guidate, oltre 24 missili Tomahawk, «dozzine e dozzine» di aerei da rifornimento, e un sottomarino. Gli aerei sono partiti direttamente dagli USA.


Il ministro degli Esteri Tajani ha assicurato che «le basi italiane non sono coinvolte negli attacchi o nelle operazioni in corso in Medio Oriente», aggiungendo che non ci sarebbe pericolo per i militari italiani situati nella regione. L’agenzia di stampa ANSA, intanto, riporta che le basi statunitensi in Italia sarebbero entrate in allerta massima per garantire la sicurezza delle strutture e dei militari; da quanto riporta ANSA, l’allerta sarebbe stata lanciata anche sugli obiettivi sensibili.

Intanto si stanno muovendo anche il ministero della Difesa e quello degli Interni: il ministro Crosetto avrebbe ridefinito le modalità comunicative del ministero della Difesa. Crosetto, inoltre, ha affermato di non essere stato informato dell’attacco, e dichiarato che esso «cambia completamente lo scenario», aprendo «una crisi molto più grande»; Piantedosi, invece, ha convocato il Comitato analisi strategica antiterrorismo e il Comitato nazionale ordine e sicurezza pubblica.

La premier Meloni, infine, ha passato la mattina in riunione con i servizi segreti e sentito gli omologhi Merz (Germania) e Starmer (Regno Unito) per parlare della questione.


Le IRGC hanno pubblicato una dichiarazione in cui condannano duramente l’attacco statunitense e annunciano che «in risposta a queste aggressioni e crimini» i loro attacchi contro Israele proseguiranno. I pasdaran hanno poi aggiunto che «l’aggressione odierna da parte del regime terroristico americano ha portato la Repubblica islamica dell’Iran, nell’ambito del suo legittimo diritto all’autodifesa», minacciando «risposte deplorevoli».

Nel frattempo, il ministro degli Esteri Araghchi ha chiesto che venga organizzata una sessione straordinaria del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e ha lanciato un appello a ONU, AIEA, e istituzioni internazionali per discutere dell’a quesitone’attacco statunitense. Araghchi ha poi affermato che «sembra che il Trattato di non proliferazione nucleare non sia più in grado di proteggerci» e ha affermato che si dirigerà a Mosca per parlare con Putin.


Il primo leader europeo a commentare l’aggressione statunitense verso l’Iran è stato il primo ministro britannico Keir Starmer. Questa mattina, Starmer ha pubblicato un post sul social X in cui dichiara che «gli Stati Uniti hanno preso provvedimenti per ridurre la minaccia» nucleare iraniana, giustificando l’attacco statunitense. Voci di condanna alla presunta «minaccia nucleare» iraniana si sono sollevate anche dall’UE: l’Alta Rappresentante per gli Affari Esteri UE Kaja Kallas ha scritto che «non si può permettere all’Iran di sviluppare un’arma nucleare», invitando le parti a sedersi al tavolo delle trattative; Kallas ha affermato che i ministri degli Esteri europei si incontreranno domani per parlare della questione. Analoghe le reazioni del presidente del Consiglio Europeo Antonio Costa e della presidente della Commissione Ursula von der Leyen.

Il ministro degli Esteri iraniano Araghchi ha commentato la presa di posizione europea: «La settimana scorsa eravamo in trattative con gli Stati Uniti quando Israele ha deciso di far saltare in aria la via diplomatica. Questa settimana abbiamo avuto colloqui con Regno Unito, Francia e Germania, e gli Stati Uniti hanno deciso di far saltare in aria la via diplomatica. Quale conclusione possiamo trarne? Per la Gran Bretagna e l’Alta Rappresentante dell’UE, è l’Iran che deve “tornare” al tavolo delle trattative. Ma come può l’Iran tornare a qualcosa che non ha mai lasciato, né tantomeno fatto saltare in aria?».


Ancora nessun attacco sugli obiettivi statunitensi; il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi ha definito gli attacchi statunitensi «oltraggiosi», minacciando possibili ritorsioni. Tanto nella notte, quanto questa mattina, tuttavia, la Repubblica Islamica ha lanciato una nuova ondata di missili sul territorio israeliano, colpendo Tel Aviv e Haifa. La capitale israeliana, in particolare, ha riportato diversi danni, e sul web girano video e foto che ne ritraggono gli edifici distrutti.

Il portavoce del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC) ha inoltre annunciato di avere preso di mira l’aeroporto di Ben Gurion, il centro di ricerca biologica israeliano e alcuni «centri di comando e controllo alternativi». Da quanto comunicano le IRGC, in questa nuova ondata di attacchi, l’Iran avrebbe usato per la prima volta il missile balistico a testata multipla Khyber-Shakan. I danni alle strutture risultano ancora ignoti.

Israele, nel frattempo, ha chiuso il proprio spazio aereo e interrotto i voli di rientro per gli israeliani all’estero. L’aviazione israeliana ha poi lanciato un attacco nelle aree occidentali dell’Iran. I missili israeliani si sono abbattuti su Tabriz, la maggiore città dell’area nord-occidentale dell’Iran.

Tel Aviv dopo i bombardamenti notturni.

L’attacco degli USA sui siti nucleari iraniani è stato annunciato dal presidente Trump attorno alle 2 di oggi. Un’ora dopo è arrivata la conferma dell’avvenuto attacco da parte dei media iraniani, secondo cui le centrali sarebbero state evacuate prima dell’attacco. Dopo essersi complimentato con i propri militari, Trump ha affermato che l’attacco avrebbe completamente distrutto le capacità nucleari di Teheran, mentre dall’Iran non arrivano nuovi aggiornamenti sull’entità dei danni causati dall’attacco. L’AIEA, tuttavia, sostiene che «non sono stati segnalati aumenti dei livelli di radiazioni fuori sede a seguito degli attacchi statunitensi contro i siti iraniani».


Tradendo ancora una volta sé stesso – visto che appena due giorni fa aveva dato all’Iran un ultimatum di 14 giorni – nella notte il presidente statunitense Donald Trump ha ordinato un attacco contro l’Iran, entrando ufficialmente in guerra al fianco di Israele. I bombardieri americani hanno colpito i tre principali siti nucleari del Paese: Fordow, Natanz ed Esfahan.

Dopo aver rivolto le «congratulazioni ai nostri grandi guerrieri americani», Trump ha annunciato che ora «è l’ora della pace». Una dichiarazione che suona più come una minaccia che come una promessa. Con il termine «pace», il presidente statunitense sembra infatti intendere la resa completa di Teheran, inclusa la rinuncia definitiva al programma nucleare. Ha precisato che l’alternativa è «tra pace e tragedia», avvertendo che «qualsiasi azione di ritorsione iraniana sarà contrastata con una forza molto superiore a quella osservata questa notte».


Colombia: 57 soldati rapiti da civili per ordine dei ribelli

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L’esercito colombiano ha annunciato che 57 dei suoi soldati sono stati rapiti da un gruppo di 200 civili per ordine del gruppo ribelle dello Stato Maggiore Centrale, maggiore gruppo dissidente delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC). Da quanto comunica l’esercito, 31 soldati sarebbero stati rapiti sabato, mentre gli altri 26 sarebbero stati rapiti ieri, domenica 23 giugno. Di questi 4 sono sottoufficiali. I rapimenti si sarebbero verificati nella zona sud-occidentale del Canyon Micay, nel dipartimento del Cauca, area centrale nel trasporto di cocaina verso i porti del Pacifico.

Anche l’Italia in stato di guerra: il governo dichiara l’allerta in 28.700 obiettivi sensibili

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La guerra in Medio Oriente ha effetti anche in Italia. Dopo l’attacco statunitense a obiettivi nucleari iraniani, Roma è entrata in stato di allerta, e il ministero dell’Interno ha messo a punto un piano per proteggere gli obiettivi sensibili del Paese. In totale, il ministro Piantedosi ha individuato 28.700 punti tra musei, monumenti, aree turistiche, inclusi eventi culturali e sportivi, tutti siti dove le autorità locali saranno tenute a potenziare i controlli applicando anche misure di contrasto al terrorismo. Inclusi nella lista anche infrastrutture critiche, luoghi istituzionali, sedi del potere e basi militari: proprio in queste ultime, e specialmente in quelle statunitensi e della NATO, l’allerta risulta massima. L’Italia ospita circa 12.000 militari statunitensi, distribuiti in una ventina di avamposti militari.

Giunta la notizia dell’attacco statunitense in Medio Oriente, Piantedosi ha organizzato un incontro di analisi con il Comitato strategico antiterrorismo e con il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza, a cui hanno partecipato i vertici delle forze dell’ordine, delle agenzie di intelligence e delle strutture della cybersicurezza. Dopo tale vertice, sono stati individuati 28.700 obiettivi sensibili in cui attuare misure di controllo e prevenzione; tra essi, circa 10.000 sono infrastrutture, circa 2.500 obiettivi politici, circa 2.000 sedi istituzionali e circa 1.000 ambasciate e consolati. Gli altri sono punti in cui potrebbero concentrarsi le persone, e includono dunque musei, monumenti, luoghi di attrazione turistica e grandi eventi, oltre alle basi militari statunitensi, la cui gestione, tuttavia, è affidata agli stessi USA.

Non risulta del tutto chiaro cosa questo stato di allerta comporti dal punto di vista pratico. In generale, dovrebbe aumentare il personale dispiegato nei punti individuati come critici. Allo stesso modo, dovrebbero aumentare le operazioni di controllo, specialmente nelle infrastrutture come porti, aeroporti e ferrovie. Le operazioni di prevenzione e controllo coinvolgeranno anche le autorità locali, e saranno prese anche misure di contrasto al terrorismo. Particolarmente sorvegliata l’area vaticana, dove ultimamente affluisce un gran numero di turisti a causa del Giubileo e dell’elezione del nuovo pontefice Leone XIV: qui da tempo sono stati installati metal detector all’accesso e dispiegati agenti in borghese tra la folla. L’attenzione verrà rivolta anche ai siti istituzionali statunitensi e israeliani; da quanto si apprende, Piantedosi ha individuato circa 1.000 aree sensibili a rischio, di cui circa 250 legate al mondo ebraico. Ultima allerta, quella digitale, specialmente sulle infrastrutture tecnologiche del settore trasporti, della sanità e dei luoghi istituzionali.

Piantedosi non è l’unico a essersi mosso dopo l’attacco statunitense contro siti iraniani. Nella tarda mattinata di ieri, il ministro degli Esteri Tajani ha assicurato che non ci sarebbe pericolo per i militari italiani dispiegati in Medio Oriente. Tajani ha poi affermato che «le basi italiane non sono coinvolte negli attacchi o nelle operazioni in corso in Medio Oriente», al punto che, sostiene il ministro della Difesa Crosetto, le autorità italiane non sarebbero state neanche informate dell’attacco. La premier Meloni, invece, ha organizzato un incontro telefonico tra componenti del governo e vertici dell’intelligence. L’Italia, ha commentato la premier, «continuerà a impegnarsi per portare al tavolo negoziale le parti».

Siria, attentato a Damasco: almeno 20 morti

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Ieri, domenica 22 giugno, a Damasco, è avvenuto un attentato suicida nella chiesa ortodossa di Mar Elias, in seguito a cui sono morte almeno 20 persone. Il ministero degli Interni siriano ha dichiarato che l’attentatore suicida era un membro dello Stato Islamico. Secondo una nota del ministero, l’attentatore sarebbe entrato nella chiesa e avrebbe aperto il fuoco sui presenti, per poi fare detonare il suo giubbotto esplosivo. In seguito all’attentato sono state anche ferite 52 persone.

La Svezia è la prima nazione al mondo a eliminare gli allevamenti di galline in gabbia

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La Svezia è diventata il primo Paese al mondo ad eliminare completamente le galline allevate in gabbia, raggiungendo questo traguardo non con una legge, ma grazie a pressioni pubbliche e impegni aziendali. Dal 2008, oltre 85 imprese svedesi hanno infatti scelto di escludere le uova da allevamenti in gabbia, salvando milioni di galline da sofferenze evitabili. Nel frattempo, un’inchiesta globale dell’Open Wing Alliance denuncia condizioni drammatiche negli allevamenti intensivi in 37 Paesi, aggravate dalla crisi mondiale dell’influenza aviaria, che rappresenta una minaccia sanitaria e un rischi...

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Gaza, continuano i raid israeliani: almeno 29 uccisi

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Sono almeno 29 i palestinesi uccisi nella giornata di oggi, domenica 22 giugno, a Gaza. L’ultimo aggiornamento risale alle 16, e riporta di un’aggressione avvenuta nella città di Az-Zawayda, nel Governatorato di Deir al Balah dove l’aviazione israeliana ha ucciso cinque persone colpendo la loro abitazione. Un’altra aggressione dell’aviazione è avvenuta presso un punto di distribuzione alimentare nella zona di Al-Mawasi, a ovest di Khan Yunis, nel sud di Gaza, dove centinaia di civili si erano radunati in cerca di cibo. L’attacco ha provocato diversi feriti tra la folla. In totale, nel fine settimana, Israele ha ucciso almeno 80 persone di cui almeno 11 in fila per gli aiuti umanitari.

Attentato in Nigeria: 12 morti

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Una presunta attentatrice suicida ha ucciso almeno 12 persone e ne ha ferite diverse altre. L’attentato è avvenuto nello stato nordorientale del Borno, in Nigeria, presso il mercato del pesce. Il portavoce della polizia dello stato del Borno, Nahum Kenneth Daso, ha dichiarato in un comunicato che una donna con un ordigno esplosivo improvvisato legato al corpo si sarebbe infiltrata tra la folla al mercato, per poi farsi esplodere tra i civili. Secondo i cittadini, sarebbero stati feriti 30 civili.