L’anno scolastico 2023/2024 si è chiuso con un record di precari: 250.000 tra personale docente e personale amministrativo tecnico e ausiliario ATA. Per quanto riguarda gli insegnanti, i contratti a tempo determinato annuali (dal primo giorno di scuola al 31 agosto) e a termine (fino al 30 giugno) sono stati circa 230.000 su un totale di quasi 900.000 docenti in servizio. In pratica, un lavoratore su quattro era precario. La condizione di precariato non si limita però a un contratto che scade ogni estate, ma assume diverse forme, frustranti e difficili da gestire. Inseriti nelle graduatorie provinciali di supplenza (GPS, che si dividono tra una prima fascia di personale abilitato e una seconda di non abilitato), i docenti non di ruolo arrivano a stravolgere la propria vita pur di lavorare. Un sistema talmente incrostato da essere ormai diventato un nuovo modo per fare affari da parte delle università telematiche, che “offrono” crediti formativi che i docenti devono prendere per provare a migliorare la posizione in graduatoria, pagandoli carissimi.
Vite precarie
I primi giorni di scuola, nelle segreterie scolastiche del Nord, non è raro incontrare insegnanti appena arrivati da regioni del Mezzogiorno. Spesso, infatti, si sceglie di non iscriversi alle GPS della provincia di residenza, nella convinzione che in altre zone ci siano maggiori possibilità di essere chiamati. Questo significa lasciare la propria casa da un giorno all’altro per spostarsi in un luogo dove si ha il lavoro ma non un alloggio, che viene cercato rapidamente scontrandosi con la scarsa offerta abitativa e il caro affitti, magari incontrando solamente proposte di affitti brevi.
È solo l’inizio. È frequente che, per completare l’orario, un docente accetti più “spezzoni” – così chiamati gli incarichi con orario parziale – anche in istituti differenti, dovendo quindi organizzarsi con gli spostamenti in modo da entrare in classe in orario. Ma essere precari a scuola può anche significare accettare contratti della durata di pochissimi giorni. Francesca, non abilitata iscritta alle GPS in una provincia del Nordest, quest’anno è stata chiamata solo per una sostituzione breve di qualche settimana e da settembre a oggi ha ricevuto numerose proposte di supplenza che non arrivavano a sette giorni. Se non si ha la fortuna di ottenere l’annualità, i precari della scuola vanno avanti a suon di brevi supplenze, così da maturare punteggio e aumentare il proprio posizionamento nelle GPS. Per avanzare nelle graduatorie, oltre al servizio maturato e ai titoli di studio, ci sono una serie di certificazioni che si possono conseguire, come quelle informatiche o linguistiche.
Per esempio, per un totale di quattro punti e a un prezzo variabile in base all’offerta che si trova, si possono seguire dei corsi on line per ottenere le competenze digitali che attestano l’abilità nell’uso della lavagna interattiva multimediale (LIM), del tablet, la conoscenza della programmazione informatica e dell’uso del computer tramite passaporto informatico europeo. Questa miriade di corsi si inserisce in una logica aziendalista che mette in competizione i docenti, impegnati in una folle corsa verso la stabilità.
I concorsi che non assicurano il ruolo

Tra dicembre 2023 e dicembre 2024, il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha indetto, in due fasi distinte, i concorsi PNRR1 e PNRR2, così denominati perché inseriti nell’ambito di assunzione previsto dal Piano Nazionale Ripresa e Resilienza. Mentre il primo si è concluso negli ultimi mesi del 2024, per il secondo i candidati (complessivamente 239.000 domande) hanno sostenuto nella seconda metà di febbraio di quest’anno la prima prova. In entrambi i casi, per partecipare alle prove (una scritta, una orale e una pratica qualora prevista) è stato necessario rispettare uno dei seguenti requisiti: l’abilitazione all’insegnamento, il possesso di 24 crediti in materie psicopedagogiche e metodologie didattiche conseguiti entro il 2022, tre anni di servizio (di cui uno specifico nella classe di concorso prescelta) svolti negli ultimi cinque.
Il dato significativo (e, come vedremo, non casuale) è che, per la prima volta nella storia dell’istruzione italiana, questi concorsi non sono risultati abilitanti: i vincitori, qualora non già abilitati, sono stati di fatto obbligati a iscriversi ai percorsi abilitativi al fine di poter vedere garantito l’incarico assegnato dal superamento del concorso stesso. Arturo (nome di fantasia), docente di strumento musicale presso la scuola secondaria di primo grado, dopo essere risultato vincitore del concorso PNRR1, a settembre 2024 ha lasciato la residenza d’origine per trasferirsi nella regione dove aveva vinto il ruolo. Non essendo abilitato, si è visto assegnare un incarico a tempo determinato. Benché abbia più volte interpellato gli organi competenti (Ufficio scolastico regionale, funzionari scolastici) riguardo alla propria posizione contrattuale, non ha mai ricevuto risposte chiare né alcuna garanzia in merito alla conferma del proprio incarico: questione di enorme importanza, che riguarda la condizione di centinaia di docenti. L’unico elemento che si è aggiunto nel corso dell’anno è stato l’emanazione di un decreto ministeriale che, autorizzando l’avvio dei percorsi abilitanti, riservava, regione per regione, una quota di posti disponibili ai vincitori di concorso. Arturo si è trovato costretto a iscriversi ai suddetti corsi per una cifra di circa 2000 euro, oltre a dover chiedere aspettativa dall’insegnamento: la calendarizzazione delle lezioni coincide con il suo orario di servizio. Si è creata, così, la situazione paradossale per cui il docente che ha ottenuto il posto è stato sostituito da un supplente, in questo caso anch’egli proveniente da un’altra regione. La condizione di Arturo riflette una dinamica strutturale che, per la prima volta in Italia, estende lo stato di precarietà anche ai vincitori di concorso.
A tutto questo si aggiunge un elemento che sfiora il grottesco. In una delle sessioni della prova scritta del concorso PNRR2, svoltosi a febbraio di quest’anno, è stata rilevata una domanda formulata in maniera errata sulle 50 elaborate e proposte dal Ministero. Dopo settimane di silenzio da parte degli organi ufficiali, centinaia di insegnanti coinvolti in questa prova si sono visti riconvocare per recuperare in massimo cinque minuti il quesito “scorretto”. Per chi, come Arturo, ha partecipato all’esame fuori regione, questa falla ministeriale ha comportato ulteriori viaggi e ulteriori spese, sostenute nel timore di non poter accedere all’esame orale.
Il business dei crediti abilitanti
Ma in cosa stanno investendo i docenti? I corsi abilitanti – funzionali a entrare in prima fascia e a garantirsi la possibilità di partecipare ai futuri concorsi e, di conseguenza, alle procedure di immissione in ruolo – si dividono in percorsi da 60, 36 e 30 crediti formativi e vi si accede in base a determinati requisiti. Il loro prezzo varia da 2000 a 2500 euro, a cui si aggiungono i 150 di iscrizione alla prova finale. Inoltre, poiché solo alcuni corsi prevedono lo svolgimento interamente on line, coloro che si sono iscritti a un’università distante dalla propria residenza devono sommare i costi degli spostamenti e dei pernottamenti.
Ma non è finita qui. Il percorso da 60 crediti prevede un tirocinio diretto di 180 ore da svolgere in scuole convenzionate con l’ateneo di riferimento e sotto la supervisione del tutor dei tirocinanti. È possibile svolgerlo – a titolo gratuito – anche nella scuola dove si presta servizio come supplente, a condizione che non si faccia nella propria classe, che non coincida con le ore di insegnamento e che la scuola sia accreditata. Oltre all’enorme carico di lavoro che si aggiunge nel portare avanti parallelamente l’insegnamento e il tirocinio, qualora il proprio istituto non fosse riconosciuto si è costretti a chiedere aspettativa o a licenziarsi per portare a termine il ciclo intrapreso.
Monica Motter, segretaria del Trentino Alto Adige con funzione vicaria UIL Scuola, ha dichiarato a L’Indipendente che molte università hanno fissato lezioni in presenza durante gli esami di Stato di primo e secondo ciclo (scuola media e superiori). I docenti si trovano così a dover scegliere se essere sostituiti durante le prove di fine ciclo scolastico, non accompagnando la propria classe in questo passaggio, oppure saltare le lezioni, con il rischio di non raggiungere il 70% della presenza obbligatoria e vedendo così sfumare la possibilità di abilitarsi al netto del pagamento.

Questa sovrapposizione temporale sottolinea ancora una volta come questi percorsi non rispecchino le esigenze dei docenti obbligati a destreggiarsi tra la vita, gli impegni lavorativi e le rigidità burocratiche. Allo stesso tempo, i calendari programmati dalle università non vanno incontro nemmeno alle necessità delle scuole: si sta creando un vero e proprio cortocircuito per cui un impegno obbligatorio inerente allo svolgimento delle funzioni proprie del personale scolastico è impedito da un percorso di studi creato, nella teoria, per rendere i docenti ancora più idonei al loro mestiere.
Come già si è potuto capire dai prezzi dei percorsi abilitanti, a manifestarsi come centrale è la questione economica, perché determina l’equiparazione tra studente e cliente. La teoria dei crediti e debiti formativi, infatti, avvalla la logica per cui l’università vende qualcosa che lo studente acquista se ha il denaro sufficiente. In questo modo, il sapere è ridotto a un valore di scambio che, come spiega il sociologo Alessandro Dal Lago in Contro la società pedagogica, ribadisce il rapporto di subordinazione tra l’educando e l’educatore. Tale condizione di subalternità rischia, in questo caso, di essere ancora più frustrante, poiché l’alunno è spesso anch’egli un docente con anni di esperienza alle spalle. Attraverso la lente di questo mercato dei crediti si riesce però anche a comprendere il possibile interesse monetario che sta dietro alla scelta di istituire concorsi non abilitanti: tra l’anno scolastico 2023/2024 e quello 2024/2025 il totale dei posti dei percorsi accreditati è stato di 79.479, ripartiti tra le classi di concorso per università. Sebbene non sia ancora possibile avere una cifra delle persone che si sono iscritte ai cicli di 30, 36 o 60 crediti – ci si potrà fare un’idea solo quando saranno aggiornate le GPS – è lecito credere che la maggior parte dei posti disponibili sia stato occupato creando un giro d’affari dalle immense dimensioni.
Questa compra-vendita dei percorsi abilitanti non solo restituisce all’università la dimensione dell’azienda erogante servizi e dei clienti acquirenti di servizi, ma fa sì che la formazione offerta, più che migliorare le prestazioni dei docenti, sia funzionale a foraggiare le casse delle università pubbliche e private. La scelta politica di istituire concorsi con le caratteristiche di quelli PNRR1 e PNRR2 e nuovi corsi abilitanti permette di affermare che oggi i docenti sono costretti a comprarsi il lavoro poiché, qualora si decidesse di non ottenere i crediti, si rischia di rimanere indietro nelle GPS e non ottenere alcun incarico. In questo scenario, che vede nel lavoro un dovere individuale e non un diritto di cui si può eventualmente godere, sembrerebbe assente una lotta sindacale capace di creare solidarietà tra i lavoratori della scuola, piuttosto che una concorrenza dettata dall’individualizzazione della condizione di precarietà.
Chiedono crediti abilitazione e tutti i vari attestati per fare l’insegnante. Per fare il politico basta vendersi al miglior offerente; puoi essere la peggior feccia e il più idiota ma se fai il gioco del potere sei l’utile idiota e hai tutto.
Non servono persono istruite in una dittature capitalistica