lunedì 2 Dicembre 2024

Alla COP29 il gas dell’Azerbaigian diventa magicamente molto più “green” di quello russo

La COP29 (la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici in corso in questi giorni a Baku, in Azerbaigian) sta diventando il palcoscenico perfetto per l’Unione Europea per ridefinire i combustibili fossili azeri «sostenibili» e «a basse emissioni». In questo modo, mentre da un lato proclama pubblicamente la propria graduale riduzione della dipendenza dai combustibili fossili, dall’altro l’UE guida l’espansione del gas azero, al fine di garantire la sicurezza energetica interna dopo il taglio agli approvvigionamenti di gas russo – poco importa se con risorse che provengono da un Paese dove sono in corso gravi violazioni dei diritti umani.

L’Azerbaigian di Ilham Aliyev è uno dei produttori di energia fossile che potrebbe costituire un partner ideale per l’UE, dopo che questa ha deciso di sostituire le fonti fossili russe a basso costo con quelle di altri Paesi. Lo Stato ha infatti annunciato l’intenzione di aumentare la propria produzione fossile di un terzo nel prossimo decennio, anche grazie al bisogno crescente dei Paesi europei. Il Corporate Europe Observatory, organizzazione no-profit che monitora e documenta gli effetti del lobbismo aziendale all’interno dei principali organi dell’UE, ha illustrato come, almeno dal 2022, l’Unione abbia esercitato pressioni sull’Azerbaigian affinchè questo aderisse al Global Methane Pledge (GMP), il progetto lanciato alla COP26 nel 2021 al fine di ridurre le emissioni di metano – potente gas serra, che rappresenta il 70-90% del gas fossile. La stessa presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, aveva incoraggiato il Paese ad aderire al GMP. Nello stesso anno, arrivò l’annuncio che sarebbe stata raddoppiata la capacità del gasdotto Southern Gas Corridor (SGC), lungo 3.500 km, che da Baku arriva in Italia.

Quando Baku, nel dicembre 2023, è stata annunciata come sede della COP29, le cose si sono fatte più urgenti. La nuova legislazione dell’UE in materia di emissioni di metano che stava per essere approvata, infatti, richiedeva a tutti i Paesi esportatori di avere regole simili a quelle dell’UE, motivo per il quale era necessario che l’Azerbaigian e la SOCAR (azienda statale azera) firmassero al più presto. Alla fine del febbraio di quest’anno, la Commissione europea ha presentato una proposta concreta per attività congiunte da svolgere alla COP29, finalizzate a trovare un accordo favorevole per l’UE, così come per l’Azerbaijan, e al contempo cercare di salvaguardare la propria immagine in materia di sostenibilità ambientale rispetto agli obiettivi climatici.

Pochi giorni dopo l’invio della proposta, la Commissione europea ha proseguito la sua campagna di lobbying durante la Conferenza annuale sull’attuazione dell’OGMP 2.0, tenutasi a Madrid con la supervisione di Repsol, colosso spagnolo del petrolio e del gas. Alla conferenza, che ha riunito i rappresentanti di oltre 125 produttori di petrolio e gas insieme alle autorità di regolamentazione nazionali e regionali, erano presenti anche i rappresentanti dell’Azerbaijan, i quali hanno annunciato l’adesione al GMP subito dopo la conferenza. Con l’adesione dell’Azerbaigian e della SOCAR al GMP e all’OGMP 2.0, la prima parte del piano dell’UE era completata. La fase successiva fase sarebbe stata quella di rendere la COP29 il palcoscenico per mostrare al mondo il loro gas «a basse emissioni» col fine di giustificare l’espansione delle importazioni. E così sta avvenendo, con l’UE che racconta di come sta abbandonando i combustibili fossili mentre sostiene l’espansione della produzione di gas azero.

In questo contesto non può non essere menzionato il conflitto di lunga data in corso nella regione del Nagorno-Karabakh, contesa tra Azerbaigian e Armenia. Appena un anno fa, l’Azerbaigian ha portato a termine un’operazione militare (l’ultima di una lunghissima serie) che, secondo il governo armeno, ha assunto i tratti di una vera e propria pulizia etnica della popolazione, con decine di migliaia di armeni residenti nella regione costretti a fuggire dalle proprie case.

[di Michele Manfrin]

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