giovedì 12 Dicembre 2024

Israele ha iniziato l’operazione di terra in Libano

Dopo giorni di attesa, Israele ha iniziato la propria operazione via terra in Libano. I combattimenti sono cominciati attorno a mezzanotte di giovedì 31 settembre, dopo ore di intensi bombardamenti reciproci nelle aree di confine. Qualche ora prima, attorno alle 23:00, il gabinetto di guerra israeliano aveva approvato l’operazione e l’avvio di una campagna «limitata» nel tempo e nelle risorse. Contrariamente a quanto riportato dalla quasi totalità dei giornali, non è ancora noto se le forze israeliane siano riuscite a penetrare il confine e a entrare in territorio libanese. Gli Stati Uniti, dapprima incerti circa una possibile operazione terrestre in Libano, sembrano avere approvato lo schema israeliano, appoggiando il piano di «smantellamento dell’infrastruttura di attacco» di Hezbollah. Giusto qualche ora prima della comunicazione dell’esercito israeliano, dopo tutto, gli stessi USA hanno annunciato l’invio di ulteriori truppe in Medioriente (è il quarto annuncio simile nell’arco di una decina di giorni), mentre nel frattempo si sono intensificati gli attacchi anche in Siria e a Gaza.

Le voci sull’eventuale operazione terrestre in Libano giravano ormai da giorni, e più che di se, pareva ormai una questione di quando essa sarebbe stata lanciata. Le prime indiscrezioni sull’invasione sono uscite attorno alle 20:30 di ieri, lunedì 30 settembre, per poi venire smentite qualche ora dopo tanto dalle fonti libanesi quanto da quelle israeliane. L’operazione effettiva sembra ruotare attorno alle aree di confine di Metulla, Misgav Am e Kfar Giladi, situate nell’area nordorientale del territorio israeliano, che poco prima delle 20:00 sono state dichiarate aree militari chiuse ai civili. A partire dalle 18:30 circa, Israele ha iniziato a bersagliare ripetutamente con colpi di artiglieria la località libanese di confine di Wazzani, e la città di Khiyam, a qualche chilometro dalla cosiddetta blue line (la “linea blu”, il confine tra Libano e Israele). L’offensiva vera e propria è iniziata qualche ora dopo, a mezzanotte, annunciata dalle stesse Forze di Difesa Israeliane (IDF): l’operazione, dicono le stesse IDF, è stata meticolosamente studiata, e le unità stanno operando «secondo un piano metodico stabilito dallo Stato Maggiore Generale e dal Comando Nord, per il quale i soldati dell’IDF si sono addestrati e preparati negli ultimi mesi». A confermare la lunga preparazione del piano d’assalto arriva il nome stesso dell’operazione, “Frecce del nord”, lo stesso dato agli intensi bombardamenti di lunedì 23 settembre.

A partire dal lancio delle operazioni di mezzanotte, gli attacchi si sono concentrati sull’asse che collega le località libanesi di confine di Kfarkila e Tal al-Nahas, e in generale lungo l’area orientale della linea blu. Le IDF hanno dichiarato di avere schierato la novantottesima divisione, coadiuvata da una brigata, paracadutisti e veicoli corazzati della settima divisione; in totale le forze coinvolte contano qualche decina di migliaia di soldati, ma non è ancora chiaro quanti ne stiano effettivamente impiegando. Il portavoce delle IDF per i media arabi, Avichay Adraee, ha recitato la solita formula, accusando Hezbollah di usare i civili come scudo umano. Fino alle 2:40, i movimenti libanesi hanno smentito ripetutamente che Israele sarebbe riuscito a sfondare la linea di difesa, e le stesse IDF non hanno rilasciato alcun annuncio a riguardo. In risposta all’operazione terrestre, Hezbollah ha attaccato le città israeliane di confine di Metulla e Avivim. Attorno alle 10:00, inoltre, l’organizzazione libanese ha scagliato un massiccio attacco missilistico su Tel Aviv. Nel frattempo l’aviazione israeliana ha continuato a bersagliare Beirut e a colpire tanto la Striscia di Gaza quanto la Siria, perseguendo la campagna su più fronti che va ormai avanti da giorni.

Dopo un iniziale momento di apparente titubanza, gli Stati Uniti sembrano avere dato il proprio beneplacito a Israele perché proceda con le proprie operazioni terrestri. «Vogliamo che si raggiunga una soluzione diplomatica», ha detto ieri il portavoce del Dipartimento di Stato degli USA Matthew Miller, e «la pressione militare, qualche volta può permettere la diplomazia»: una diplomazia fatta di bombe, e soldati schierati, insomma, ma soprattutto permessa dalla sempre più massiccia presenza degli stessi USA sul territorio. Proprio ieri, come già precedentemente annunciato, la vice portavoce del Pentagono Sabrina Singh ha comunicato che il Paese avrebbe inviato «qualche migliaio» di truppe aggiuntive in Medioriente, assieme ad aerei  F-16, F-15e, A-10, e F-22, e personale associato. Negli ultimi giorni, gli Stati Uniti hanno inviato altre navi, e armamenti nella regione. La sempre più fitta presenza statunitense sembrerebbe servire come deterrente all’Iran, per permettere a Israele di continuare a prendere di mira i propri nemici scongiurando una possibile risposta di Teheran, che dopo l’uccisione del capo di Hezbollah Hassan Nasrallah e del capo di Hamas, Ismail Haniye non ha ancora reagito. I media iraniani, per ora, si stanno limitando a riportare le notizie, e le autorità sembrano non avere ancora rilasciato alcun comunicato.

[di Dario Lucisano]

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