Nelle ultime ore è stato inferto un durissimo colpo all’economia mafiosa catanese. La Direzione Investigativa Antimafia ha infatti confiscato il maxi-complesso societario e patrimoniale dei potentissimi imprenditori Antonino e Carmelo Paratore, del valore di 100 milioni di euro. Al vertice di uno dei gruppi imprenditoriali più importanti della Sicilia orientale, i due – padre e figlio – erano attivi in vari settori, ma il loro business principale era quello della gestione e dello smaltimento dei rifiuti. Le indagini hanno attestato il solido rapporto degli imprenditori con il clan Santapaola-Ercolano, che da decenni detiene il controllo criminale della città etnea, inquadrando il loro referente principale nel mafioso Maurizio Zuccaro. Quest’ultimo sta scontando un ergastolo dopo la condanna per l’omicidio di Luigi Ilardo, l’infiltrato che nell’ottobre 1995 condusse il ROS dei Carabinieri a un passo dal padrino Bernardo Provenzano (che non venne arrestato) e che, pochi mesi dopo, fu assassinato in circostanze ancora da chiarire.
L’inchiesta, avviata nel 2020 dalla Direzione Investigativa Antimafia (DIA) in stretta collaborazione con la Procura di Catania, ha approfondito le operazioni economiche della famiglia Paratore, già nota per precedenti coinvolgimenti nell’operazione “Piramidi”, che culminò nel loro arresto. La confisca ha interessato 14 società di capitali attive principalmente nella gestione dei rifiuti, nella conduzione di stabilimenti balneari e nel settore immobiliare, oltre a otto edifici e numerosi conti bancari. Inoltre, Antonino e Carmelo Paratore sono stati sottoposti a sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per tre anni nel loro comune di residenza. Nonostante Antonino Paratore partisse inizialmente dalla posizione di semplice carpentiere, grazie all’appoggio mafioso la sua ascesa imprenditoriale negli ultimi decenni non ha conosciuto sosta, rendendolo uno degli uomini d’affari più ricchi dell’isola. Le indagini patrimoniali condotte dalla DIA hanno infatti permesso di accertare che il successo economico della famiglia abbia visto una considerevole impennata alla fine degli anni Novanta, con investimenti che sarebbero stati compiuti attraverso ingenti immissioni di capitali non giustificate dalla capacità economico-finanziaria. Il tutto fu possibile, ricostruiscono gli investigatori, proprio grazie al sostegno rappresentato da ingenti flussi di denaro di origine illecita provenienti da Maurizio Zuccaro.
I Santapaola, famiglia di riferimento dei due imprenditori, assunsero il controllo mafioso di Catania tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta dopo la “Seconda guerra di mafia”, grazie alla loro alleanza con i corleonesi di Totò Riina. Una storia oscura riguarda proprio il boss che garantì l’ascesa imprenditoriale dei Paratore, Maurizio Zuccaro. Quest’ultimo, infatti, è stato condannato all’ergastolo come organizzatore dell’omicidio di Luigi Ilardo, l’infiltrato che nel ’95 condusse i membri del ROS dei Carabinieri al covo del capo di Cosa Nostra Bernardo Provenzano, il quale non venne catturato, rimanendo anzi latitante per altri 11 anni. Ilardo fu ucciso nel maggio del 1996, a pochi giorni dalla sua entrata nel programma di protezione per i pentiti: era intenzionato a svelare le pesanti cointeressenze tra mafia e servizi deviati e i dettagli sull’alleanza politica tra Cosa Nostra e personaggi di spicco di Forza Italia. La sentenza sull’omicidio Ilardo ha lasciato aperta la pista di possibili “soffiate” istituzionali dietro al delitto.
Sulla “gestione” di Zuccaro la figlia dell’infiltrato, Luana Ilardo, ha lanciato una pesantissima denuncia in Commissione Antimafia nel novembre 2021. «Zuccaro, da indagini documentate (operazione Arcangelo, Dia di Catania) e audizioni di ufficiali di polizia giudiziaria che lo attenzionavano risulterà alle forze dell’ordine personaggio molto ambiguo, in quanto con insistenza nell’ambiente di Cosa Nostra circolava la voce che fosse un confidente vicino ai carabinieri – ha raccontato la donna –. Una notizia confermata dalle continue lamentale del figlio, che, intercettato in ambientale, in un momento di ira, dirà: “Il prossimo che dice che mio padre è sbirro ci scippu a testa!” (tradotto in italiano: “gli stacco la testa”, “lo ammazzo”)». Ad affermare che Zuccaro avesse «contatti particolari» con personaggi delle forze dell’ordine è stato, in Aula, anche il collaboratore di giustizia Pietro Riggio. «Altra circostanza oggettiva che rafforza questa tesi è il fatto che lo Zuccaro, essendo condannato in via definitiva per altri reati alla pena dell’ergastolo, spesso si trovava a casa in regime di arresti domiciliari, anche in data 10 maggio 1996, giorno dell’omicidio di mio padre, adducendo motivi di salute che poi verranno accertati come falsi, in quanto lo stesso si procurava probabilmente dei salassi», ha concluso Luana Ilardo.
[di Stefano Baudino]