martedì 21 Maggio 2024

La curiosità è uno dei motori della biodiversità: lo dimostra uno studio

La curiosità è un comportamento scritto all’interno di specifici geni del Dna ed è uno dei principali motori della biodiversità e, probabilmente, anche della radiazione evolutiva, ovvero la creazione e diversificazione di nuove specie a partire da un progenitore comune: lo riporta un nuovo studio coordinato dallo zoologo Walter Salzburger e dal ricercatore Milan Malinsky, già sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Science. La ricerca ha coinvolto centinaia di esemplari di ciclidi – una famiglia di pesci d’acqua dolce caratterizzata da una straordinaria varietà biologica – appartenenti a quasi 60 specie diverse, i quali sono stati monitorati ed esaminati per circa 9 mesi. Attraverso poi analisi genetiche, l’aiuto dell’intelligenza artificiale e indagini basate sul tragitto percorso all’interno di un nuovo ambiente appositamente disposto per lo studio, i ricercatori hanno concluso che esistono varianti genetiche che determinano maggiore propensione alla curiosità e che tale comportamento può svolgere un ruolo cruciale come motore della biodiversità e di alcuni processi evolutivi.

Un ciclide della specie Fossorochromis rostratus in acqua dolce. Credit: Shutterstock

Per ciclidi si intende una vasta famiglia di pesci di acqua dolce composta da circa 1.662 specie. Sono principalmente diffusi nell’emisfero sud – in particolare in America meridionale e in Africa – e hanno assunto col tempo forme diverse nonostante la loro classificazione si basi su caratteristiche anatomiche comuni che, secondo gli scienziati, vengono mantenute dai pesci di questa famiglia come retaggio di antenati lontani. I ciclidi studiati all’interno della ricerca sono il frutto di una spedizione in Africa lungo la sponda meridionale del lago Tanganica in Zambia, territorio hotspot per la biodiversità in quanto popolato da circa 250 specie diverse per colore, alimentazione, struttura corporea e habitat. Gli scienziati – un team diretto da dallo zoologo e biologo evoluzionista dell’Università di Basilea Walter Salzburger e da Milan Malinsky, ricercatore specializzato in studio di genomi ed evoluzione presso l’Università di Berna – hanno raccolto 700 esemplari appartenenti a ben 57 specie diverse e ne hanno monitorato il comportamento per nove mesi filmandoli all’interno di un ambiente nuovo: una sorta di laghetto artificiale appositamente adibito per gli scopi della ricerca.

I video sono stati poi analizzati studiando la frequenza con cui pesci diversi esploravano aree diverse del nuovo ambiente e sono emerse differenze tutt’altro che irrilevanti, correlate sia con l’habitat che con la forma del corpo: alcune specie che vivono vicino alle coste e presentano una forma più voluminosa, per esempio, sono risultate più curiose di altri pesci caratterizzati da forme allungate che vivono in acque aperte. «Ciò riporta l’attenzione sul comportamento animale come forza trainante dietro ai processi evolutivi chiave», ha affermato Carolin Sommer-Trembo, coautrice della ricerca e biologa post dottorato presso l’Università di Basilea. In seguito, allo scopo di indagare eventuali correlazioni con la base genetica, gli scienziati hanno confrontato tra loro i diversi genomi delle varie specie di ciclidi scoprendo che esiste una variante che determina maggiore curiosità. Utilizzando poi il metodo a forbici molecolari della Crispr mutando appositamente alcune regioni del genoma in maniera simile a quella osservata, i pesci sono diventati più curiosi. Infine, il tutto è stato confermato anche dall’intelligenza artificiale, che ha incrociato i dati ottenuti dai filmati, dalle caratteristiche morfologiche e dalle varianti genetiche e ha previsto il comportamento dei pesci analizzati.

I ricercatori hanno concluso osservando un particolare tutt’altro che indifferente: la variante genetica della curiosità si trova vicino ad un gene simile al corrispondente nel Dna umano che è legato anche a malattie psichiatriche come schizofrenia e disturbi bipolari. Lo scopo degli scienziati, quindi, è capire se questa tipologia di geni possa essere responsabile della curiosità innata anche negli essere umani, oltre che di determinate malattie correlate ai disturbi della personalità: «Siamo interessati a capire come i tratti della personalità possono influenzare i meccanismi della biodiversità nel regno animale. Ma chi lo sa: alla fine forse impareremo qualcosa anche sulle basi della nostra personalità», ha concluso Sommer-Trembo.

[di Roberto Demaio]

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