domenica 28 Aprile 2024

Kid Yugi è una garanzia per il futuro

Non è il primo disco, ma è un po’ come se lo fosse.

Questo venerdì è uscito I Nomi Del Diavolo, il nuovo disco di Kid Yugi e il terzo progetto dopo The Globe e l’EP Quarto di Bue, ma in un certo senso il primo ufficiale, ovvero il primo da quando Kid Yugi è il nuovo rapper sulla bocca di tutti.

Yugi è del 2001 e viene da Massafra (Taranto) e c’è un motivo molto preciso per cui i fan più annoiati da quello che offre l’attualità del rap italiano lo hanno identificato come una sorta di salvatore, come un talento con una carriera lunghissima davanti e quindi in grado di garantire la salvaguardia di certe fondamenta del genere.

Non fraintendetemi: Yugi non è un’operazione nostalgia. Non è un rapper di 20 anni fa congelato, conservato al meglio e trapiantato nella scena di oggi.

L’artista di Massafra si ispira stilisticamente ad alcune delle tendenze più recenti d’Oltreoceano ed è particolarmente attratto da tutto quello che succede nel sud degli Stati Uniti, che da quando la storia del rap è iniziata ne offrono una versione cruda, senza compromessi ed estrema.

È un ragazzo sul pezzo da questo punto di vista, non è un “nato vecchio”. Quando lo senti rappare, però, si percepisce lo stampo dei più grandi. O meglio – più che dei grandi – degli artisti classici.

Ad esempio, un paragone fatto molto spesso è con Noyz Narcos, leggenda del rap romano. Con Noyz condivide un certo tipo di approccio alla scrittura, la capacità di essere estremamente riconoscibile, un’essenza cruda, dei flow codificati ma dall’effetto immediato, lo slang impattante e che mischia più idiomi. Ma soprattutto quel carisma che ti fa diventare una leggenda vivente tra i fan. Vicina e distante allo stesso tempo. 

Se questo mix non fosse già abbastanza interessante metteteci dentro il fatto che Kid Yugi scrive davvero tanto bene. È una fucina di citazioni allucinanti e sofisticate: va da Shakespeare a Bulgakov, passando per riferimenti alla Bibbia, al cinema, alla cultura pop e ad alcuni codici e immagini della cultura street. È una cosa che non ti aspetti: in un rap italiano in cui l’aspetto dei testi è andato talvolta ad appiattirsi (anche se meno di quello che si racconta), Yugi è un’eccezione totale.

I suoi fan adorano questo suo lato e tra di loro si è generata una sorta di FOMO di cultura, un timore di non capire la citazione che ha fatto e quello a cui si sta riferendo.

Non è, comunque, mero citazionismo: Yugi mette dentro i suoi brani tutto quello di cui ha passione e convivono quindi barre di pura “ignoranza’” rap e citazioni altissime, in un mix che arriva diretto e dal quale è difficile non rimanere affascinati.

Questo suo lato intellettuale è la dimostrazione inconfutabile di come i ragazzi cerchino ancora una certa “pesantezza”, alla faccia di chi continua a pensare che sia un qualcosa di desueto.

Di Yugi possiamo dire che è un’eccezione a tante cose. Ad esempio all’idea che non si vendano più i dischi in formato fisico e che oggi sia tutto streaming: prima dell’uscita di I Nomi Del Diavolo, il disco aveva già venduto in pre-order 10.000 copie fisiche. Un numero spaventoso per un ragazzo così giovane e con una fanbase così giovane (e di base più predisposta alla fruizione digitale). Ha messo le basi per raggiungere la certificazione del disco d’oro (25k copie vendute) in una o due settimane: risultato che lo posizionerebbe di diritto come uno degli artisti più rilevanti anche dal punto di vista commerciale nel panorama attuale.

Quello che rende ancora più intrigante la sua figura è che ha una voce “nuova” nella scena: la sua cadenza pugliese è marcata e lui –giustamente – non fa nulla per nasconderla. Ha messo la sua regione nella mappa del rap e non ho timore di essere smentito nel dire che, escludendo i rapper campani, è la cosa più importante di sempre successa al rap nel Sud Italia.

Ecco, parliamo proprio di Puglia. Una delle cose più belle del rap è la creazione di un’epica intorno al proprio luogo di appartenenza. Nel caso di Yugi è Massafra, una cittadina di circa 30.000 abitanti in provincia di Taranto. Il rapper la cita così spesso da averla resa un luogo di culto tra i suoi fan e aver fatto diventare il racconto del posto, tra il tragico e l’ironico, un piccolo topos narrativo della sua discografia.

Vive ancora lì, in totale controtendenza con la legge non scritta che obbliga gli artisti a trasferirsi a Milano per spaccare davvero con la musica, lì dove ci sono le tre major e lì dove c’è tutto quello che ruota intorno al mercato discografico.

Nel nuovo disco c’è un brano molto rilevante sulla sua terra e che dimostra diverse cose di questo ragazzo. Si chiama Ilva (Fume Scure) e il tema lo potete benissimo immaginare.

Yugi affronta uno dei temi più spinosi della sua terra e lo fa nella maniera più giusta possibile: focalizzandosi non tanto su un approccio divisivo sul tema ma sulla prospettiva umana, della sofferenza e del dolore che ha portato nelle esistenze di chi ha vissuto le conseguenze peggiori dell’Ilva.

Per parlare di questo tema ha scelto di campionare un brano reggae pugliese Fume Scure di Fido Guido: un pezzo non conosciutissimo ed una scelta, ancora una volta, per niente scontata.

Parlando di quanto Yugi a volte suoni “classico”, era da tanto che nei circuiti mainstream non si affrontassero seriamente argomenti sociali di questo tipo e di questa complessità.

Il rap italiano dai Club Dogo in poi è stato diverso.

Sicuramente migliore dal punto di vista della qualità e della ricchezza della proposta, ma oggettivamente scarno di quel contenuto sociale che aveva agli inizi della sua storia, condizionato dal forte legame con i centri sociali. Ripeto: non è un bene o un male di per sé, è solo un dato di fatto. 

Yugi è forse l’unico ragazzo uscito dal ‘90 in poi da cui aspettarsi un brano del genere. Anche altri grandi liricisti (cioè artisti con una penna di spessore) coetanei o un po’ più grandi d’età non hanno nelle loro corde questo tipo di analisi.

Yugi è destinato a rimanere e i motivi sono tutti dentro questo disco.

Che sarà per lui quello che per Geolier è stato l’anno scorso Il Coraggio dei Bambini: banalmente, il disco dell’anno per tutti quelli che ancora cercano un certo tipo di rap ma riadattato ai giorni nostri.

Kid Yugi è una garanzia. Ed è la dimostrazione che vinceranno sempre i contenuti e le storie di spessore.

La scelta di immaginario che ha intrapreso Yugi è molto bella, il diavolo come concetto è terribilmente intrigante dall’alba dei tempi perché ci mette difronte al concetto di bene e di male e ci ricorda che alla fine Lucifero è solo un angelo che aveva la colpa di non essere tanto d’accordo con Dio.

Disco che è la dimostrazione che il concept album non è per forza un disco con un messaggio unico e chiaro o con un messaggio che vuole cambiare il mondo, ma è un lavoro con un’identità precisa grazie a delle scelte d’immaginario, di testo e musicali molto chiare.

I riferimenti sono così tanti da rendere difficile provare a spiegarli uno per uno e forse sarebbe anche un esercizio inutile, ma quello che è bello è che credo che nei ragazzi, ascoltandolo, venga quasi una FOMO di cultura. Ed avercene di più di persone che ti fanno venire questa FOMO qui, secondo me, salverebbe tanti ragazzi dalla depressione, dalla disillusione e da tutte queste brutte bestie qui

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Ma tornando a noi, quello che poi è bellissimo è che alterna tutto questo a scelte musicali street, dirette, che arrivano con precisione chirurgica.

È intellettuale ma di strada, e questo contrasto ha fatto le fortune di leggende come Marracash o Guè, seppure in maniera diversa.

Il lavoro nelle produzioni è davvero ottimo, ha aiutato nello sgrezzare Yugi senza sacrificare nulla della sua essenza e in questo la collaborazione con Junior K ha dato molto e mi ha stupito positivamente l’aver messo diverse volte degli strumenti a fiato, come anche la scelta del piano in altri.

L’essere così orgogliosamente terrone, e mi permetto di dirlo perché terrone lo sono anche io, lo rende ancora più interessante, uno che hai voglia di ascoltare e sentire cos’ha da dire, qual è l’Italia che ha scelto di raccontare. Il pezzo sull’ILVA, una delle questioni più spinose del nostro Paese e soprattutto della sua regione, è una dimostrazione. L’outro poi è inspiegabile, credo una delle più belle degli ultimi anni e un manuale su come si chiuda un disco.

Insomma, in questo rap italiano c’è tanto cibo e spesso di ottima qualità, per quanto vi diranno il contrario ma rispetto a Kid Yugi quasi tutto sembra incredibilmente insapore. Questo disco, cari ascoltatori di rap italiano, è fottuto olio al peperoncino.

——

La musica dei giovani in Italia, in poche parole. Questa rubrica nasce con l’intento di spiegare, in maniera semplice, cosa stanno ascoltando i giovani in Italia e perché lo stanno facendo. Troppo spesso nei media tradizionali la narrazione della “nuova musica”, in particolar modo del rap, è distorta e sbagliata, frutto soprattutto di una mancanza di strumenti adeguati da parte dei “grandi” per decifrare quello che sta accadendo. Questa rubrica nasce per provare a cambiare un po’ la situazione e dare a tutti la possibilità di capire meglio cosa sta succedendo oggi nella musica.

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[di Alessandro Quagliata]

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3 Commenti

  1. Dall’articolo: “venga quasi una FOMO di cultura. Ed avercene di più di persone che ti fanno venire questa FOMO qui, secondo me, salverebbe tanti ragazzi dalla depressione, dalla disillusione e da tutte queste brutte bestie qui”. La chiave è in quel “quasi” che rimane diaframma rispetto alla cultura intesa come insieme di conoscenze che permettono di comprendere e abitare il mondo (coscienza di sé e del tutto diceva Gramsci), così questi testi non offrono una possibile soluzione alla depressione esistenziale o al nichilismo, ma ne sono invece alimento primo in quanto fondamenta e collante della hybris contemporanea.

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