lunedì 9 Dicembre 2024

Anche la relatrice ONU si è schierata contro l’estradizione di Assange

La relatrice speciale sulla tortura dell’ONU, Alice Jill Edwards, ha sollecitato il governo del Regno Unito a fermare la possibile estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti. Secondo la relatrice, infatti, vi sono “considerevoli timori” che il giornalista si troverebbe “a rischio di trattamenti assimilabili alla tortura o altre forme di maltrattamenti o punizioni” nelle carceri americane, riporta un comunicato dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. L’Alta Corte inglese si pronuncerà in merito dell’estradizione del giornalista australiano nel corso di un’ultima, definitiva udienza che avrà luogo il 20 e il 21 febbraio prossimi.

«Julian Assange soffre di un disturbo depressivo ricorrente e di lungo corso ed è considerato per questo a rischio suicidio» ha dichiarato Edwards. «Il rischio che sia messo in isolamento, nonostante lo stato precario della sua salute mentale, e che possa essere condannato a una pena sproporzionata solleva dubbi sul fatto che l’estradizione di Assange negli Stati Uniti sia compatibile con le leggi interne del Regno Unito sui diritti umani, in particolare per quanto riguarda l’articolo 7 della Convenzione Internazionale sui diritti Civili e Politici, come degli articoli 3 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Tortura e la Convenzione Europea dei Diritti Umani». Secondo Edwards, le assicurazioni fornite dal governo USA in merito al garantire un trattamento umano ad Assange non sono sufficienti ad assicurare che ciò effettivamente accada, in quanto non sono “legalmente vincolanti” e sono “limitate nel loro scopo”.

Se estradato, Assange dovrà affrontare 18 capi d’accusa, numerosi tra i quali per violazione dell’Espionage Act, una legge federale americana risalente al 1917 volta a tutelare le attività militari. Se estradato, rischia, per tale motivo, una condanna fino a 175 anni di carcere, molti dei quali in isolamento. Il 20 e il 21 febbraio si terrà l’udienza presso l’Alta Corte inglese, che emetterà una decisione definitiva in merito alla sua estradizione. Qui, un collegio composto da due giudici riesaminerà una decisione adottata lo scorso 6 giugno 2023 da un giudice monocratico, che aveva negato all’attivista australiano il permesso di fare appello. Due i possibili esiti: da un lato si potrà stabilire che Assange abbia ancora l’opportunità di discutere il suo caso davanti ai tribunali nazionali inglesi (ma ciò non gli consentirebbe comunque di uscire dalle mura della prigione di Belmarsh per tutta la durata del nuovo ricorso); dall’altro, si potrà invece sancire che l’imputato avrà esaurito i ricorsi a sua disposizione. Da qui si aprirebbe la procedura di estradizione negli USA. Se dovesse perdere anche questa battaglia, Assange avrà come ultima possibilità solo quella del ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, facendo scattare un articolo, il n. 39, che proibisce l’estradizione mentre il caso è sotto esame.

[di Valeria Casolaro]

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2 Commenti

  1. Il maggior responsabile della sorte di Assange e’ il regime della Gran Bretagna. Quando in Svezia la falsa denuncia era decaduta, La GB doveva solo lasciare Assange libero. Invece lo minaccio’ di arresto e lui dovette rifugiarsi nell’ambasciata dell’Ecuador (all’epoca paese con regime progressista). Gli USA non hanno nessun diritto a chiedere la estradizione in quanto Assange non ha commesso nessun reato contro di essi. La sua e’ stata attivita’ di informazione. All’epoca i grandi giornali mondiali utilizzarono le sue informazioni come scoop, ma dopo se ne sono lavate le mani. La grande stampa non e’ corsa in difesa del diritto di informazione a dimostrazione della loro sottomissione ai poteri centrali dell’Occidente e tuttora si tiene estranea alla vicenda perche’ i giornalisti hanno paura di parlare (tengono famiglia). In GB Assange e’ stato messo in carcere di sicurezza senza processo e senza condanna, azione degna della migliore dittatura.

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