sabato 27 Aprile 2024

USA e Canada accusano, Pechino risponde: la contesa tra Cina e Filippine infiamma il Pacifico

Cresce la tensione tra Pechino e Manila nel Mar Cinese Meridionale dopo gli attacchi che la Cina ha rivolto nei confronti delle Filippine il 9 e il 10 dicembre. Gli incidenti si sono verificati rispettivamente nei pressi delle due aree contese della Secca di Scarborough e dell’atollo di Ayungin, zone dotate di risorse e ottimali per la costruzione di insediamenti militari. Gli scontri si collocano sulla scia dei sempre maggiori episodi che hanno coinvolto Cina e Filippine nell’ultimo anno, sui quali gli USA, da sempre partner militari delle seconde, si sono espressi con una ferma condanna, alla quale si è accodata anche il Canada. Dal canto suo, la Cina non è rimasta ad ascoltare le accuse, e ha risposto a tono alle contestazioni: nelle osservazioni rilasciate il 12 dicembre e nella conferenza stampa successiva, l’ambasciatrice cinese in Canada, ha infatti ribadito con solidità le rivendicazioni di Pechino nel Mar Meridionale, lanciando controaccuse tanto agli USA, quanto al proprio paese ospite, sostenendo che il Mar Cinese Mediterraneo «non dovrebbe essere terreno di caccia per Paesi come Canada e USA per cercare interessi geopolitici»..

La diatriba sul Mar Cinese Meridionale, poggia le proprie radici sulle rivendicazioni territoriali portate avanti dalla Cina sulla base della cosiddetta linea dei nove trattini, una linea di demarcazione che il Paese disegnò e fece sua dopo la sconfitta del Giappone nella seconda guerra mondiale. Attraverso di essa, Pechino rivendica la sovranità sulla quasi totalità della distesa marittima, su cui sostiene di avere diritti fondati sull’impiego storico dell’area attraverso attività di pesca. Alle rivendicazioni cinesi, tuttavia, si aggiunsero quelle dei vari paesi confinanti con la stessa linea, tra cui le Filippine, che nel 2013 fecero appello al Tribunale dell’Aia. Questo nel 2016, dichiarò il guyot di Reed, l’atollo di Ayungin e quello di Panganiban Zone Economiche Esclusive delle Filippine sulla base della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, ma non si espresse mai sulla secca di Scarborough.

Queste aree fanno parte delle Isole Spratly, e sono zone commerciali strategiche, ottimali per la pesca, dotate di risorse petrolifere ed esemplari per la costruzione di basi militari. A tal proposito è degno di nota come la Cina portava (e porta) avanti da anni l’esplorazione delle acque dell’arcipelago, provando anche a coinvolgere le stesse Filippine: nel 2019 l’allora presidente filippino Rodrigo Duterte, noto per la politica interna di stampo fortemente autoritario e illiberale e promotore di una politica estera di riavvicinamento alla Cina, dichiarò infatti che Xi Jinping gli aveva offerto il 60% dei guadagni che le compagnie cinesi avrebbero ricavato dallo sfruttamento delle acque se lui avesse ignorato le delibere del 2016 del Tribunale dell’Aia. Non è mai stato chiarito se il presidente filippino accettò l’offerta, ma è certo che gli scontri sul territorio non sono mai terminati e si sono anzi intensificati a partire dal 2020, quando lo stesso Duterte iniziò ad allontanarsi dalla Cina.

L’allontanamento dalla Cina comportò un riavvicinamento agli USA, portato avanti dal successore di Duterte, Ferdinand Marcos Jr., figlio del dittatore Ferdinand Marcos che dal 1965 al 1986 governò il Paese con il sostegno degli stessi Stati Uniti.  Le Filippine sono infatti da sempre alleate e partner militari degli USA, con i quali nel 2014 strinsero l’Enhanced Defence Cooperation Agreement, un accordo di cooperazione militare che, tra le varie cose, correda il suolo filippino di basi militari statunitensi. Il motivo per cui gli Stati Uniti sono interessati ad avere rapporti di vicinanza – e in particolare di vicinanza di natura militare – con le Filippine è evidente se si getta un occhio sulla cartina dell’Asia sudorientale: le isole sono infatti parecchio vicine alla Cina, e avere basi e alleati militari in quella zona permette a Washington di tenere sotto controllo i rivali asiatici. Dall’altro lato, anche il riavvicinamento alla Casa Bianca promosso da Marcos Jr. è pienamente comprensibile, se si considera che dal 2014 la Cina ha occupato l’atollo di Panganiban, trasformandolo in una base militare. L’alleanza quasi secolare è stata consolidata questo stesso maggio, quando USA e Filippine hanno ratificato l’accordo di difesa bilaterale, che prevede il mutuo soccorso militare in caso di attacchi di varia natura.

Inseriti in questo quadro, gli attacchi degli ultimi giorni restituiscono uno scenario tutt’altro che rassicurante. In una intervista rilasciata questo settembre, il vicedirettore generale del consiglio di sicurezza filippino Jonathan Malaya ha sostanzialmente suggerito, per quanto prendendone le distanze, che è possibile che la Cina sia interessata alle aree filippine – e nello specifico ad Ayungin – per costruirvi delle basi militari. Le denunce degli USA, inquadrate sotto la lente dell’accordo di difesa con le Filippine, per quanto non suonino come una minaccia, possono portare a una rapida escalation e la reazione del Canada, con cui la Cina ha recentemente vissuto una serie di crisi diplomatiche, non fa che confermare questa tendenza. Come se ciò non bastasse, la situazione è resa ancora più tesa dalle dichiarazioni rilasciate dai diplomatici cinesi, che sono coesi nel dare la colpa di quanto accaduto alle Filippine, rivendicando la sovranità del proprio Paese sui territori. La situazione è ancora in stallo, ma le prese di posizione sono non poche e paiono non volersi muovere in direzione di un accordo, ma schiacciare il coperchio di una pentola a pressione.

[di Dario Lucisano]

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