venerdì 3 Maggio 2024

La guerra di cui nessuno parla: il Sudan è al collasso politico e umanitario

Quanto accade in Africa rimane sempre lontano dall’agenda mediatica, specie quando vi sono altre crisi che toccano maggiormente gli interessi politici ed economici dei governi occidentali, come quella in Palestina o in Ucraina. Per questo quasi non si parla affatto di quello che accade in Sudan ed in particolare nella provincia del Darfur, dove l’esercito sudanese si sta scontrando con forze paramilitari del RSF. Un conflitto che sta assumendo rapidamente i contorni di una catastrofe: secondo quanto riferito dalle Nazioni Unite, sono state uccise fino a 9mila persone, oltre 5,6 milioni di individui sono stati costretti ad abbandonare le proprie case e 25 milioni hanno bisogno di aiuto. In particolare, l’esercito regolare sudanese è accusato di aver compiuto attacchi aerei su aree civili densamente popolate, stupri e molestie sessuali e le forze paramilitari di supporto rapido (RSF) – che di recente hanno ottenuto importanti vittorie – incolpate di genocidio, pulizia etnica e violenza sessuale nei confronti della comunità non araba Masalit.

La situazione pare destinata a divenire una vera guerra civile, specie dopo che in una conferenza stampa due storici gruppi armati ribelli – il Movimento di liberazione del Sudan (SLM-MM) guidato da Minni Minawi e il Movimento per la giustizia e l’uguaglianza (JEM) sostenuto da Gibril Ibrahim – hanno annunciato l’infrangimento della promessa di rimanere fuori dal conflitto e l’intenzione di schierarsi attivamente al fianco dell’esercito per contrastare il piano delle RSF di conquistare tutto il Darfur – una delle province più importanti del Sudan, situata nella parte occidentale.

La guerra civile attualmente in corso devasta il Sudan ormai da sette mesi, da quando cioè il 15 aprile le forze armate sudanesi guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhan, e la RSF, guidata dal suo ex vice, il generale Mohamed Hamdan Daglo, noto come Hemedti, si sono dati battaglia. Un evento in realtà considerato il culmine di una situazione storica già piuttosto caotica.

I due ‘capigruppo’, prima di essere rivali, si erano infatti uniti nel 2019 per rovesciare il regime del dittatore Omar al-Bashir – segnando la fine di uno dei regimi al potere più longevi in Africa. La sua destituzione doveva segnare l’inizio di una transizione democratica sostenuta dagli Stati Uniti e dall’Unione europea che, tuttavia, non si è mai realmente concretizzata, Così, poco dopo l’annuncio della riforma dell’esercito, il 25 ottobre 2021 con un golpe per mano dei suoi militari, al-Burhan ha preso il potere. Da quel momento, il Paese è governato da una giunta militare chiamata Consiglio Sovrano. Un evento che ha scombinato le carte in tavola, facendo emerge le insormontabili divergenze tra l’approccio dell’RSF e quello della SAF. Che alla fine ha portato ai combattimenti attualmente in corso per il controllo del Paese e al massacro dei civili – per cui l’ONU e la Corte penale internazionale hanno aperto un’inchiesta.

La situazione umanitaria è attualmente al collasso. La maggior parte dei negozi è stata saccheggiata o distrutta, e per questo mancano anche i beni di prima necessità. Solo tra la metà di maggio e la metà di settembre, nello Stato del White Nile sono morti più di 1.200 bambini sotto i 5 anni, a causa di un’epidemia di morbillo combinata con gli alti livelli di malnutrizione e il Piano regionale di risposta ai rifugiati per le esigenze umanitarie in tutti i Paesi limitrofi che accolgono i rifugiati sudanesi è attualmente finanziato solo al 39%.

Una questione che ci riguarda da vicino considerato che geograficamente il Sudan si trova immediatamente a sud dell’Egitto ed è un Paese strategico per quanto riguarda la questione migratoria, essendo uno dei principali punti di partenza dei flussi di persone che dall’Africa Subsahariana arrivano alla Libia per poi imbarcarsi nel Mediterraneo. Un possibile prolungarsi delle violenze potrebbe, dunque, incrementare i flussi migratori destabilizzando ulteriormente l’area ed esponendo l’Europa a sbarchi sempre più massicci.

[di Gloria Ferrari]

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