mercoledì 11 Dicembre 2024

Le case discografiche dichiarano guerra all’archivio della musica su internet

Internet Archive, organizzazione no-profit che da sempre è sinonimo di archiviazione dei dati online, si trova nuovamente alle prese con dei guai giudiziari. A lanciare il guanto della sfida è questa volta la lobby musicale: Sony Music Entertainment, Universal Music Group e altre etichette minori accusano infatti l’organizzazione di aver violato i diritti d’autore su brani musicali da loro custoditi, una colpa per cui le imprese chiedono un risarcimento finanziario di circa 372 milioni di dollari.

Il caso portato in tribunale fa riferimento al Progetto Gran 78, un programma di archiviazione attraverso il quale Internet Archive, George Blood LP e l’Archive of Contemporary Music si sono impegnate a digitalizzare e mettere a disposizione online i contenuti di dischi a 78 giri distribuiti tra il 1898 e gli anni Cinquanta. Poco sorprendentemente, questa iniziativa non è stata accolta positivamente dalle case discografiche, le quali hanno denunciato vocalmente la «sfacciata violazione» del copyright mirata a «fornire a tutti accesso gratuito e illimitato ai brani musicali».

I dischi tradotti in formato digitale dall’Internet Archive presentano nomi illustri quali Frank Sinatra, Ella Fitzgerald, Billie Holiday, Miles Davis e Louis Armstrong, inoltre figurano tracce iconiche come White Christmas, Sing, Sing, Sing e The Christmas Song. L’organizzazione no-profit giustifica la propria iniziativa sostenendo che, nonostante non sia conferme al diritto d’autore, la conversione dei vinili rappresenti un atto di preservazione nei confronti di questi preziosi artefatti storici, una posizione non condivisa dalle aziende, le quali ritengono che i brani non «siano a rischio di essere persi, dimenticati o distrutti».

Sony Music Entertainment, Universal Music Group e i gruppi aggregati chiedono ai giudici un’ingiunzione che possa sospendere il controverso progetto, ma anche un risarcimento di 150.000 dollari per ogni singolo brano musicale distribuito in violazione delle leggi sul copyright. Tenendo conto di situazioni pregresse, è facile che il sistema giudiziario statunitense finisca col dar ragione alla lobby, la quale sta dimostrando negli ultimi mesi di essere particolarmente aggressiva e battagliera.

Per quanto riguarda Internet Archive, è già al centro di una precedente causa legale che riguarda proprio la violazione dei diritti d’autore. Il portale offre infatti un servizio di “prestito” di ebook che, in occasione del periodo delle quarantene legate alla pandemia, si è liberato delle limitazioni di erogazione così da permettere a chiunque di accedere ai contenuti. Questa decisione è stata comprensibilmente oggetto di aspre critiche da parte degli editori, i quali l’hanno interpretata come una forma di distribuzione illegale. Il caso ha trovato una prima risoluzione lo scorso aprile, con il giudice che ha riconosciuto il comportamento illegittimo dell’organizzazione, tuttavia la situazione non può ancora dirsi conclusa, poiché la no-profit ha immediatamente presentato una richiesta d’appello.

Le scelte strategiche dell’Internet Archive non mancano certo di suscitare dibattiti nell’opinione pubblica. Mentre è innegabile che la distribuzione gratuita dei contenuti possa comportare danni economici per i legittimi proprietari, bisogna considerare anche che nell’era della digitalizzazione è sempre più frequente che un patrimonio culturale subisca alterazioni fino a distanziarsi dalla sua forma originale.

Limitandosi alla storia recente, la Penguin Random House ha deciso di modificare il testo di alcuni capolavori di Roald Dahl al fine di smussarne i contenuti, la Walt Disney Corporation ha ritoccato alcune delle sue proprietà intellettuali perché fossero più in linea con le scelte strategiche dell’azienda e l’industria videoludica ha addirittura coniato il termine abandonware per etichettare tutti quei prodotti che non sono praticamente più reperibili se non intraprendendo vie traverse. L’aspirazione a conservare copie delle opere intellettuali al di fuori degli archivi delle aziende proprietarie deriva da una necessità oggettiva, tuttavia trovare un compromesso che bilanci gli aspetti culturali e capitalistici della questione è tutto meno che semplice.

[di Walter Ferri]

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