lunedì 9 Dicembre 2024

Referendum sulle armi a rischio: servono 200.000 firme in pochi giorni

Il tempo per raccogliere le firme per il referendum contro l’invio di armi in Ucraina promosso dal comitato Ripudia la Guerra sta per scadere: la campagna, iniziata il 23 aprile scorso, terminerà, infatti, il prossimo 21 luglio e le adesioni raccolte fino ad ora non sono sufficienti a raggiungere la soglia delle 500.000 firme richieste. Ciò soprattutto a causa della scarsissima diffusione mediatica che ha avuto il referendum in questione. Secondo il capo del comitato, il professor Enzo Pennetta, la campagna referendaria è stata sottoposta «ad una selvaggia quanto totale censura da parte degli organi di informazione ed in primo luogo dalla RAI di Stato, prima nella versione di centro sinistra e cinque stelle, ed ora anche nella versione targata centro destra». Secondo cifre approssimative, sono state raccolte finora circa 295.000 firme. Di conseguenza, se in questi ultimi giorni non ci sarà un notevole incremento delle sottoscrizioni (ne servono almeno 200.000), la consultazione popolare non potrà avere luogo. Il referendum è particolarmente importante perché buona parte della popolazione italiana è contraria all’invio di armi in Ucraina, cosa di cui il Parlamento italiano non tiene conto. La consultazione, dunque, è l’unico strumento per fare sentire la voce dei cittadini secondo le regole più basilari della democrazia, su questo punto totalmente calpestata dalla politica.

È possibile firmare attraverso tre modalità: presso i banchetti presenti nelle strade di molte città italiane, ora però conclusi in molti comuni; in modo digitale attraverso una piattaforma apposita, utilizzando SPID o altri strumenti di firma digitale al costo di 1,50 euro a firma, oppure negli uffici del proprio comune di residenza. Si tratta di un gesto importante per esprimere la posizione del popolo italiano e per fermare quella che rischia di diventare ogni giorno di più una guerra globale, considerato l’uso di armi sempre più letali che viene inviato in Ucraina dagli Stati occidentali. Nel caso italiano, l’invio di materiale bellico è costato ai cittadini italiani già dieci miliardi di euro: si tratta di fondi che avrebbero potuto essere impiegati per lavoro, pensioni, case, ospedali, istruzione e trasporti. A fronte di una spesa così imponente, è ormai sempre più evidente che la “strategia” intrapresa dal blocco atlantico ha il solo effetto di prolungare il conflitto, aumentando dolore, morte e depressione economica e rischiando un’escalation inarrestabile. A questa soluzione guerrafondaia, il comitato Ripudia la Guerra contrappone i negoziati diplomatici che richiedono, però, un compromesso tra le due parti e, dunque, l’accantonamento del “piano di pace” in 10 punti proposto da Zelensky che prevede il ritiro incondizionato dell’esercito russo e il ripristino dei confini del 1991.

Uno dei promotori del referendum, insieme a Ugo Mattei, Carlo Freccero e Franco Cardini, è il professore di storia e filosofia, Davide Tutino che – già noto per le proteste contro il Green Pass – ha iniziato lo sciopero della fame contro quella che chiama “congiura del silenzio referendario”. Interpellato telefonicamente da L’Indipendente, il professor Tutino ha spiegato che, giunto al trentaseiesimo giorno di sciopero, ha deciso ieri a Genova di interrompere gradualmente l’astinenza dal cibo, in quanto l’intento iniziale era quello di chiedere al suo corpo di «essere la clessidra del tempo che rimaneva a disposizione per firmare». «Ora abbiamo concluso la raccolta firme nei banchetti fisici in strada. Per questo motivo ho sospeso questo sciopero che viene comunque continuato da decine di altre persone a staffetta», ha proseguito. Per quanto riguarda il silenzio che i media hanno mantenuto sul referendum, Tutino ha sottolineato che la richiesta di divulgazione della consultazione sui media non era una «richiesta deontologica», ma «poiché l’articolo 75 della Costituzione prevede il diritto al referendum e poiché si parla ininterrottamente della guerra in Ucraina, è impensabile che non si informi i cittadini su questo». Secondo lui, dunque, è evidente la «volontà censoria» dei media mainstream. Inoltre, il suo sciopero della fame – ha chiarito – non era relativo esclusivamente al referendum contro l’invio di armi in Ucraina, bensì era volto a promuovere l’importanza in generale di questo strumento giuridico. A breve, infatti, ci saranno altri due plebisciti: uno sulla salute e un altro sulla caccia.

Il silenzio dei media sulla raccolta firme per il referendum contro le armi in Ucraina è una testimonianza ulteriore di come l’informazione sia influenzata da forti interessi nazionali e sovranazionali e non sia realmente al servizio dei cittadini. Nel caso specifico, appare evidente l’asservimento della comunicazione alle posizioni del blocco occidentale e dell’Alleanza atlantica che si è tradotto nella censura completa di un referendum determinante per il futuro dell’Italia e non solo.

[di Giorgia Audiello]

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3 Commenti

  1. Per Giorgia Audiello : da ciò che scrivi penso tu sia una persona eccezionale; a parte la censura di stato e il vergognosissimo subdolo silenzio dei media, moltissimi lo sapevano; ne ho prova perchè l’ ho detto e trasmesso a centinaia di amici e parenti contrari all invio armi, ma so per certo che la maggior parte non ha firmato o per indolenza, per viltá, per superficialitá ignorante o come la chiamo io: “coglioneria masochistica.” Siamo messi molto male! Cari saluti.

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