lunedì 29 Aprile 2024

USA: il colosso chimico 3M pagherà 10,3 miliardi per l’inquinamento da PFAS

3M, il colosso industriale statunitense noto per i suoi marchi Scotch e Post-it, ha stipulato un accordo da 10,3 miliardi di dollari per risolvere le denunce di inquinamento idrico legate a sostanze perfluoroalchiliche (PFAS). In base all’accordo, la multinazionale pagherà la somma in 13 anni a tutte le città, contee e villaggi per finanziare i fornitori pubblici di acqua negli Stati Uniti che hanno rilevato queste sostanze chimiche nell’acqua potabile. Tuttavia, l’accordo arriva proprio dopo la richiesta degli investitori di porre fine all’utilizzo di tali sostanze e l’annuncio di altri accordi di altre tre società. Nonostante l’inquinamento da sostanze PFAS arrechi gravi danni all’ambiente e all’uomo, 3M non ha ammesso alcuna responsabilità. L’inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche è un problema globale e ha colpito anche l’Italia. In Lombardia e Veneto è ancora emergenza. L’annuncio di trasloco di alcune aziende (come la Miteni a Vicenza) non sarebbe quindi una soluzione, ma trasferire il problema altrove.

I PFAS (acronimo inglese di Sostanze Perfluoroalchiliche) vengono usati dagli anni ‘40 nell’industria per rendere tessuti, carta e rivestimenti per contenitori di alimenti resistenti ai grassi e all’acqua. Vengono usati anche per la produzione di pellicole fotografiche, schiume antincendio, pentole antiaderenti e detergenti per la casa. I PFAS rappresentano però un rischio per l’uomo e per l’ambiente. Vengono assorbiti dal sangue e si accumulano nel tempo comportando possibili effetti negativi sulla salute come danni al fegato, malattie della tiroide, obesità, problemi di fertilità e cancro.

Sono circa 4.000 le azioni legali intentate da Stati ed enti locali. In base all’accordo proposto, 3M pagherebbe per risanare i sistemi idrici pubblici che sono risultati positivi ai cosiddetti “prodotti chimici per sempre”. Ora si attende solo che un tribunale federale approvi l’accordo. In caso di mancata approvazione, il colosso statunitense – non ammettendo comunque alcuna responsabilità e ribandendo che le sostanze “vengono usate in modo sicuro in molti prodotti moderni” – si è detto “disposto a continuare a difendersi in tribunale o attraverso risoluzioni negoziate, il tutto a seconda dei casi”. La multinazionale aveva annunciato a dicembre 2022 l’impegno nella cessazione di produzione di PFAS entro il 2025, sottolineando che le controverse sostanze chimiche rappresentano solo il 3,7% dei ricavi e che rinunciarvi sarebbe “l’opportunità per uno sviluppo diverso e più sostenibile”. Tuttavia, l’accordo arriva proprio dopo che una cordata di investitori, che gestisce circa 8 mila miliardi di dollari in asset societari, ha chiesto in modo formale a 54 aziende di porre fine all’utilizzo dei PFAS e poche settimane dopo che altre tre società, Chemours, DuPont e Corteva, hanno annunciato che avrebbero pagato più di 1 miliardo di dollari per risolvere le cause legali sulle stesse sostanze.

Anche in Europa la multinazionale è stata oggetto di cause legali per la contaminazione delle falde acquifere. Per esempio, in Belgio la multinazionale ha patteggiato con la regione fiamminga per 571 milioni di euro. Nel nostro Paese la situazione è critica, tanto da essere stata attenzionata persino in un rapporto ONU. Come riscontrato da Greenpeace Italia, le aree più colpite sono in Lombardia e Veneto. In Lombardia, da un’analisi di 4.000 campioni tra il 2018 e il 2022, circa il 19% è risultato positivo alla presenza di PFAS e ulteriori analisi sono ancora in corso. Nel 2021, un ricercatore del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche), ha avviato un’indagine per l’avvelenamento delle acque del Vicentino, Padovano e Veronese. La valutazione del rischio ambientale e sanitario dovuto alle sostanze perfluoroalchiliche è stato definito “il più grande inquinamento PFAS d’Europa per importanza ed estensione, inaspettata, di circa cinquanta chilometri. Probabilmente il più grande del mondo se escludiamo la Cina”. In risposta a più di 350.000 persone contaminate, il Veneto ha inaugurato una centrale idrica a Verona per garantire ai cittadini acqua sicura e priva di sostanze perfluoroalchiliche. A gennaio 2023 ha inoltre esteso la possibilità di eseguire analisi del sangue per la ricerca attiva di tali sostanze tossiche.

La contaminazione sembra essere dovuta all’azione di società industrali come la Miteni (Vicenza). Mentre è in corso il processo per avvelenamento di acque e disastro innominato con 13 imputati già proprietari o amministratori dell’azienda, si sta concludendo lo smantellamento degli impianti, che verranno portati in India. Conoscendo però i meccanismi economici transnazionali, Giuseppe Ungherese (Greeneace Italia) tradisce una certa preoccupazione: «Ci auguriamo che il trasferimento in India dei macchinari non sia il preludio all’apertura di un nuovo stabilimento specializzato nella produzione di PFAS. Com’è noto, spostare la produzione da una nazione all’altra non risolve i problemi, piuttosto potrebbe amplificare la contaminazione globale visto che queste sostanze una volta immesse in natura possono diffondersi ovunque. È necessario bandire la produzione globale e l’utilizzo di queste sostanze, su cui speriamo l’Europa possa fare da apripista».

[di Roberto Demaio]

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