martedì 23 Aprile 2024

I PFAS avrebbero ormai contaminato anche le acque della Lombardia

Anche le acque destinate ad uso potabile della Lombardia sono contaminate dai PFAS. Lo ha appena certificato un’indagine effettuata dall’Unità Investigativa di Greenpeace Italia, che ha analizzato i risultati delle analisi svolte su 4mila campioni dagli enti preposti tra il 2018 e il 2022, rinvenendo grandi quantità di sostanze chimiche artificiali altamente persistenti prodotte in ambito industriale.

L’organizzazione ha visionato la documentazione dopo aver inoltrato una serie di richieste di accesso agli atti agli enti gestori delle acque potabili lombarde, nonché alle Agenzie di tutela della Salute. Il risultato è davvero preoccupante: circa il 19% dei campioni (ben 738) è risultato positivo alla presenza di sostanze perfluoroalchiliche. Una contaminazione che, in mancanza di un organico sistema di controllo, potrebbe essere in realtà notevolmente sottostimata.

Ad aggiudicarsi il nefasto primato è la provincia di Lodi, dove la positività ai PFAS ha toccato addirittura l’84,8% dei campioni analizzati. Al secondo posto la provincia di Bergamo con il 60,6% e al terzo quella di Como, con il 41,2%. Seguono Monza e Brianza (32%), Cremona (28,3%) e Milano (20,8%). Nella città meneghina è risultato contaminato quasi un campione su tre.

L’allarme contaminazione da PFAS, in Italia, risuonò ufficialmente nel 2013, quando venne scoperto il grave inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche di una vasta falda acquifera in Veneto, nelle aree di Vicenza, Verona e Padova, che coinvolse ben 350mila residenti. Negli anni successivi, le associazioni ambientaliste fecero partire una rilevazione a campione nei comuni interessati da cui emersero valori elevati di PFAS nel sangue dei cittadini.

Nel 2018, il governo fu dunque costretto a dichiarare lo stato di emergenza, istituendo una zona rossa in 30 comuni veneti, dove fu vietato di consumare l’acqua potabile. Pochi mesi fa, dopo mesi di pressioni da parte delle associazioni, attraverso una delibera la Regione Veneto ha consentito anche ai cittadini della zona arancione – comprendente 11 Comuni della Provincia di Vicenza e di un centro del Veronese – di sottoporsi alle analisi del sangue finalizzate alla ricerca dei PFAS.

La questione è apparsa così seria che, tra il novembre e il dicembre 2021, l’Alto Commissariato dell’Onu ha spedito una delegazione in Veneto, per una vera e propria missione finalizzata a comprendere se la gestione dell’emergenza abbia violato i diritti umani. Ne è emerso un rapporto molto critico nei confronti dell’approccio adottato dal nostro Paese, in cui si è attestato come “in troppi casi, l’Italia non è riuscita a proteggere le persone dall’esposizione a sostanze tossiche”. Nel frattempo, davanti alla Corte d’Assise di Vicenza è iniziato un processo che vede alla sbarra i dirigenti della ex Miteni di Trissino e quelli delle ditte ad essa collegate.

Evidentemente, la problematica rimane di grande attualità. «L’indagine condotta in Lombardia svela l’esistenza di un’emergenza ambientale e sanitaria fuori controllo che le autorità locali e nazionali continuano a sottostimare, nonostante sia chiaro che la contaminazione da PFAS coinvolga migliaia di persone, spesso esposte al rischio in modo inconsapevole», ha dichiarato Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia, che ha lanciato un appello: «Alla Regione Lombardia chiediamo di individuare tutte le fonti inquinanti, al fine di bloccare l’inquinamento all’origine e riconvertire le produzioni industriali che ancora utilizzano queste sostanze. È necessario inoltre varare un piano di monitoraggio regionale sulla presenza di PFAS nelle acque potabili, rendendo disponibili alla collettività gli esiti delle analisi, e garantire il diritto della cittadinanza a disporre di acqua pulita e non contaminata».

[di Stefano Baudino]

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