martedì 23 Aprile 2024

Sushi: tra additivi e sostanze poco conosciute la verità su un cibo (troppo) di moda

Oggi gran parte degli italiani, specialmente i giovani, sono amanti del sushi, un cibo che ha conquistato l’Occidente negli ultimi anni con il fascino misterioso della cucina orientale, legato da sempre anche a credenze sul salutismo e su un presunto benessere superiore legato alle diete del Giappone o dell’antica Cina. Ma non è tutto oro quel che luccica. Molti pensano che nel sushi ci sia solo riso e pesce: ebbene, non è così. 

In realtà nessuno si prende la briga di capire per esempio come si prepara la polpettina di riso del sushi, e cioè scoprire che “da protocollo” viene farcita di zucchero, olio di girasole raffinato e melassa. Lo zucchero aggiunto al riso fa proprio parte della ricetta tradizionale, quindi non si tratta di una variante industriale. Inoltre il fatto che per fare il sushi si usi sempre il riso bianco brillato non è un buon inizio, da un punto di vista puramente salutistico e nutrizionale. Il riso brillato è un riso che ha subito un processo di raffinazione, ovvero la rimozione della parte esterna del chicco, la crusca. È un riso privo o povero di fibra con un alto carico glicemico, quindi rilascia più velocemente zuccheri nel sangue in seguito alla sua assunzione. E il termine “brillato”, cosa significa esattamente? Il riso brillato è un riso sottoposto a un trattamento volto ad accentuarne la brillantezza.

Nello specifico, dopo essere stato raffinato lo si sottopone a sbiancatura, così da eliminare le fibre e il germe del riso. Quindi si cospargono i chicchi con talco e glucosio oleato, in modo tale da ottenere un riso lucido e brillante. È abbastanza intuibile il fatto che il talco non sia una sostanza desiderabile per il nostro sistema digerente, anche perché alcuni tipi di talco, se non perfettamente depurati, contengono la fibra di amianto. Sono noti i casi di cronaca negli USA di persone risarcite per aver contratto un tumore a seguito di utilizzo del talco contaminato. Invece purtroppo i regolamenti UE permettono l’utilizzo e l’aggiunta del talco in numerosi prodotti alimentari, come i chewing gum, i dolcificanti come l’eritritolo e altri alimenti.

In più nei prodotti da supermercato come quello qui mostrato in esempio, vi si aggiungono anche altri tipi di zuccheri, come il trealosio. Qui in foto possiamo vedere il sushi pronto di una nota catena di supermercati, dove si nota la presenza di tutte queste sostanze appena citate, tra gli ingredienti. Il sushi che mangiamo al ristorante è fatto allo stesso modo, eccetto casi molto rari di ristoranti di altissima qualità, il cui costo del sushi è di conseguenza decisamente più alto di quello che troviamo mediamente nella maggior parte dei sushi all you can eat.

Sulla confezione si legge la parola nighiri. Il nighiri è una preparazione del sushi giapponese composto da una polpettina ovale di riso ricoperta con una fettina di pesce fresco crudo oppure altri ingredienti, come i gamberi, che possono essere usati da cotti ma potrebbero essere anche crudi. Pensiamoci un attimo: se fosse preparato utilizzando il riso integrale anziché quello brillato e poi il pesce adagiato sopra, sarebbe stata perfetta come soluzione nutrizionale, nel senso che entrambi sono cibi molto sani. Ma ovviamente non avrebbe tutta la palatabilità e l’appeal della preparazione con zucchero e aceto aggiunto. Il popolo orientale poi è maestro nell’arte della sapidità degli alimenti, la loro storia culinaria insegna che furono i primi a scoprire e usare la molecola di glutammato monosodico e il gusto umami, quel particolare sapore che cattura il palato e fidelizza molto bene i consumatori verso i prodotti a cui viene aggiunto il glutammato.

Cos’è il gusto umami?

Umami è una parola in lingua giapponese che significa “saporito” e che identifica uno dei 6 gusti fondamentali percepiti dalle papille gustative presenti sulla lingua (gli altri sono il gusto dolce, salato, amaro, aspro e quello di recente scoperta, nel 2012, il gusto del grasso). L’umami è stato identificato come un sapore fondamentale nel 1908 da Kikunae Ikeda, professore di chimica all’Università Imperiale di Tokyo mentre compiva ricerche sul sapore forte del brodo di alghe. Ikeda isolò il glutammato monosodico come responsabile del sapore. La scoperta dei recettori del gusto umami sulla lingua è stata fatta invece dall’Università di Miami nel 2009. Nel Sushi troviamo dunque quel mix di zucchero, aceto, sale e grasso (del pesce). Tutto ciò scatena un vero e proprio piacere a livello recettoriale nella lingua e nel palato.

Dalla lingua e dal palato partono terminazioni nervose piccolissime che portano questo segnale direttamente nel cervello. Ecco perché poi quest’ultimo è in grado di “apprezzare” particolarmente un cibo preparato ad arte in questo modo, producendo neurotrasmettitori come dopamina, noradrenalina e serotonina. Tornando alla polpetta di riso integrale e pesce (quella naturale e salutare ipotizzata da me), questa contiene comunque al suo interno più o meno tutte le sostanze di cui parliamo: lo zucchero che scaturisce dagli amidi del riso quando vengono attaccati dagli enzimi della bocca, la molecola di glutammato che scaturisce dal tonno o dal salmone o dai gamberi, in quanto sono alimenti che al loro interno hanno gli aminoacidi responsabili di questa molecola (acido glutammico), ma la differenza è che nel caso del nighiri industriale con aggiunte di zuccheri, olio e melassa l’effetto a livello sensoriale sul palato e sul cervello è molto più immediato e intenso, nella preparazione più sana e naturale l’effetto c’è ugualmente ma arriva in maniera più lenta al nostro sistema sensoriale di palato e cervello. Insomma, potrebbe essere percepito come un cibo troppo semplice e senza particolari sussulti dal punto di vista del gusto. Potrebbe non diventare quella moda esplosiva e tanto seguita che invece il sushi industriale è riuscito a creare. Ma le aggiunte industriali per “taroccare” cibi semplici come riso e pesce non sono finite qui, c’è anche di peggio.

I prodotti di sushi che troviamo pronti nei supermercati possono presentare anche molti più additivi rispetto a quelli che abbiamo appena mostrato, nella fattispecie è possibile trovare confezioni che contengono sciroppo di glucosio, estratti vari di bevande alcoliche come il sakè, l’acido fosforico E338, quello che troviamo anche nella coca-cola) e addirittura sia il colorante caramello E150d che il famigerato esaltatore di sapidità glutammato monosodico E621, tutti composti chimici oggi ormai noti per avere effetti allergizzanti, irritanti per l’intestino ed eccitanti per il sistema nervoso, nonché noti per creare dipendenza e assuefazione a livello cerebrale. Oltre a questo, si trova spesso anche un conservante molto discusso, il benzoato di sodio (E221), un composto che fa parte dei conservanti antimicrobici o antimuffa e in presenza di vitamina C può formare un potente cancerogeno quale il benzene. E per finire, ciliegina sulla torta, il salmone utilizzato nei sushi da supermercato (ma anche nella gran parte dei ristoranti e degli All you can eat è quello allevato in Norvegia o Sudamerica, quello che tutti gli esperti di nutrizione oggi consigliano di evitare a causa del metodo intensivo di allevamento. A titolo esemplificativo di tutto questo si veda proprio il prodotto qui sotto in foto, che ho rilevato in un supermercato, dove sono presenti tutti questi additivi.

Conservante Benzoato di sodio (E211)

L’EFSA (autorità europea per la sicurezza alimentare) ha comunicato che non vi sono evidenze di effetti potenzialmente cancerogeni del sodio benzoato e non vi è preoccupazione di una sua genotossicità. A patto però che non si ecceda né che lo si combini con l’acido ascorbico (vitamina C): la dose giornaliera accettabile per questo tipo di conservante è di 5 mg per chilo di peso corporeo. Coca Cola si è impegnata nel 2008 a rimuovere il sodio benzoato da tutti i suoi prodotti. Studi sul conservante hanno infatti evidenziato una connessione tra l’assunzione costante di E211 nelle bevande gassate e iperattività dei bambini. Una ricerca fatta da un’università britannica avrebbe mostrato come il consumo di E211 provocherebbe danni alle cellule molto simili a quelli causati da invecchiamento e alcolismo.

Perchè si usa il trealosio?

Fondamentalmente perchè ha un alto potere anticongelante sull’alimento al quale viene applicato, quindi con funzione di conservante. Il trealosio è un particolare tipo di zucchero presente in natura, nei funghi per esempio e nei lieviti. Il trealosio ha una capacità tecnica che è quella di trattenere e controllare l’acqua, i funghi si possono seccare e seccandosi si riducono in peso e volume, poi si conservano senza problemi per tutto l’anno, quando servono si mettono in acqua e “rinvengono”, riacquistano forma, peso e volume, ritornando quasi come freschi, pronti per essere consumati. Se questo processo di reidratazione è possibile è tutto merito del trealosio. Ma nel sushi si usa anche per un altro motivo: perché il trealosio dolcifica poco rispetto al saccarosio. Gli orientali amano dolcificare molto i piatti “salati” e dolcificare poco i piatti “dolci”. 

Ora, io non sono in grado di definire precisamente se per gli orientali il sushi sia considerato un piatto dolce o un piatto salato, ma si intuisce comunque che l’aggiunta del trealosio è finalizzata a stabilire un certo equilibrio di sapori dolci e salati all’interno di questa preparazione.

Altre sostanze del sushi: il mirin

Il mirin (detto anche vino di riso) è una sorta di sakè dolce giapponese da cucina. Le materie prime sono rappresentate dal riso cotto e dal liquore di riso.

Il mirin è un elemento culinario indispensabile per la cucina giapponese: è infatti l’elemento fondamentale per la marinatura e la cottura del teriyaki (una salsa giapponese con la quale si condiscono pollo, manzo, pesce, frutti di mare, tofu ecc.) per la preparazione dei brodi di base e per la salsa a condimento dell’anguilla arrosto.

Esistono in commercio tre tipi di mirin differenti per la durata del processo di produzione e del grado alcolico finale:

  • Hon Mirin: il “vero mirin”, quello con la gradazione alcolica più alta (14%)
  • Shio Mirin: ha un grado alcolico massimo di 1,5%
  • Shin Mirin: detto anche “mirin stagionale”, praticamente non alcolico (meno dell’1%) e dal sapore più delicato

In conclusione, ho voluto dare una piccola guida informativa sul sushi, mostrando quella che è chiaramente la sua natura poco conosciuta di prodotto fortemente industriale, un tipo di preparazione che non dovrebbe rientrare in un utilizzo settimanale o troppo frequente, da considerarsi al limite come uno sgarro occasionale, per quelli che proprio non riescono a farne a meno. Da questa breve analisi emerge senz’altro che la cucina orientale e giapponese in particolare è molto affascinante e ha segreti antichissimi, ma al tempo stesso balza agli occhi come alcuni prodotti molto di moda come il sushi, esportati oggi in tutto il mondo, diventino dei piatti di discutibile qualità sul discorso puramente nutrizionale e di qualità degli ingredienti. Con una simile lista di additivi, zuccheri e conservanti non possiamo considerare al momento questo prodotto come salutare, almeno nella sua versione più commerciale oggi in voga.

[di Gianpaolo Usai]

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5 Commenti

  1. Sushi mangiato solamente in Giappone, in un ristorante anche costoso.
    Mai creduto a queste mode, così come non mangio gli spaghetti o le lasagne all’estero, non mangio sushi o wagyu in Italia. Moglie e buoi (cibo) dei paesi tuoi.

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