venerdì 29 Marzo 2024

Strage di Bologna, i giudici sono certi: coinvolti la P2 e i servizi segreti

Alla terribile strage di Bologna del 2 agosto del 1980, in cui rimasero uccise 85 persone, contribuirono i servizi segreti di Federico Umberto D’Amato e la P2 di Licio Gelli. È questa la convinzione dei giudici della Corte d’Assise di Bologna, messa nero su bianco nelle motivazioni della sentenza di condanna all’ergastolo a carico di Paolo Bellini, ex terrorista di Avanguardia Nazionale, ritenuto esecutore materiale del massacro assieme agli estremisti neri Giusva Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini e Gilberto Cavallini.

La Corte parte dalla “constatazione della prova granitica della presenza di Bellini il 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna”, il quale “fu ripreso in alcuni fotogrammi di un filmato amatoriale girato dal turista Harald Polzer, che si riferiscono ad un momento di pochi minuti successivo alla deflagrazione”. Tale conclusione è autorizzata dall'”avvenuto riconoscimento dell’imputato in termini di certezza da parte di Maurizia Bonini (ex moglie di Bellini, che ha identificato nell’ex coniuge l’uomo ripreso a camminare nell’area del binario 1 della stazione nel filmato registrato pochi minuti dopo lo scoppio della bomba, Ndr) all’udienza del 21 luglio 2021″.

Da Bellini, però, il discorso si sposta su piani superiori. “Possiamo ritenere fondata l’idea, e la figura di Bellini ne è al contempo conferma ed elemento costitutivo – dicono i giudici – che all’attuazione della strage contribuirono in modi non definiti, ma di cui vi è precisa ed eclatante prova nel ‘Documento Bologna‘, Licio Gelli e il vertice di una sorta di servizio segreto occulto che vede in D’Amato (ex direttore dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno, iscritto alla P2, Ndr) la figura di riferimento in ambito atlantico ed europeo”. Il “Documento Bologna“, ritrovato tra le carte di Gelli nel 1982 e analizzato nel processo ai mandanti della strage di Bologna nel 2021, riporta movimenti finanziari e destinatari per un totale di 15 milioni di dollari, veicolati da Gelli su conti off-shore e poi distribuiti in contanti pochi giorni prima dell’attentato.

I giudici evidenziano che “anche un terrorista della nuova generazione come Fioravanti, nella sua smania di protagonismo, si avvicinò progressivamente ad elementi di spicco del neocostituito gruppo ‘Costruiamo l’Azione‘ come Paolo Signorelli e Fabio De Felice, i quali a loro volta erano strettamente legati ai servizi segreti e a Licio Gelli”. La Corte asserisce che “la prossimità di Fioravanti ai soggetti sopra menzionati, così come i suoi accertati rapporti diretti con Licio Gelli, inducono a ritenere che l’idea di colpire Bologna nacque in quello stesso contesto e fu coordinata da un livello superiore, avvalendosi anche dell’opera dei servizi deviati“. In quella fase, Fioravanti “era considerato sul piano operativo il soggetto più determinato ed incontenibile e, dunque, di fronte all’invito a partecipare ad un’impresa così eclatante, si poteva prevedere che non si sarebbe tirato indietro”. Altri esecutori materiali “furono scelti, probabilmente da figure di vertice dell’eversione nera o forse da esponenti dei servizi, tra personaggi che offrivano garanzie assolute di riserbo, per la loro appartenenza politica o per la loro condizione di latitanza”. A muoversi “dietro a tale macchinazione”, in base a “consistenti indizi”, c’era proprio “Licio Gelli”.

La Corte si sofferma sulle ragioni sottese all’organizzazione dell’attentato, che sono da ricondurre a un chiaro disegno politico. Riprendendo la tesi dell’Avvocatura dello Stato, che ha individuato nella strage di Bologna la realizzazione della strategia della tensione ufficialmente aperta con la strage di Portella della Ginestra, i giudici sostengono che tale analogia sia “importante perché consente di cogliere, come e ormai pacifico per quel lontano evento del 1947, un filo nero, che giunge a Bologna, di azioni coordinate e connesse per interferire sui libero e autonomo sviluppo della politica nazionale da parte di forze esterne, generalmente legate agli esiti del secondo conflitto mondiale”. La “causale plurima” della strage trova infatti le sue radici “nella situazione politico-internazionale del paese e nei rapporti tra estremisti neri e centrali operative della strategia della tensione sui finire degli anni Settanta”.

In questa cornice agirono, dunque, “Gelli, la P2, i servizi segreti e quel centro occulto di potere coagulatosi intorno all’ex capo dell’Ufficio affari riservati”. La strage di Bologna, secondo la Corte, ha infatti visto il ruolo di mandanti “nei confronti dei quali il quadro indiziario è talmente corposo da giustificare l’assunzione di uno scenario politico, caratterizzato dalle attività e dai ruoli svolti nella politica internazionale da quelle figure, quale contesto operativo della strage di Bologna”.

Per i giudici, “anche coloro che si resero verosimilmente mandanti e/o finanziatori della strage, pur senza appartenere in modo diretto a gruppi neofascisti, condividevano i predetti obiettivi antidemocratici di fondo ed ambivano all’instaurazione di uno Stato autoritario, nell’ambito del quale fosse sostanzialmente impedito l’accesso alla politica delle masse”. Tra gli obiettivi, vi erano infatti la “necessità di impedire ogni prospettiva di accesso della sinistra al potere in Italia” e “l’attuazione del Piano di Rinascita democratica” di Licio Gelli “attraverso l’impiego misurato della strategia delle bombe”, in un quadro “di guerra psicologica, di provocazione e di preparazione dell’opinione pubblica al taglio delle ali estreme del sistema politico”.

[di Stefano Baudino]

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