Sta facendo discutere la decisione del gruppo Stellantis, nato dalla fusione tra FIAT Chrysler e la francese PSA, di impiegare presso lo stabilimento Mirafiori di Torino 17 operai slovacchi – provenienti dalla fabbrica di Trnava – per aumentare la produzione della 500 elettrica. All’azienda, infatti, serve nuova manodopera per rafforzare la produzione con l’intento di arrivare ad assemblare fino a 130.000 veicoli elettrici all’anno entro il 2024, anche per adeguarsi alla transizione energetica e allo stop ai motori termici previsto dall’Ue dal 2035 in avanti. Tuttavia, il gruppo automobilistico invece di assumere i lavoratori italiani precari o dare il via a nuove assunzioni ha preferito trasferire lavoratori da Paesi esteri dove i salari sono inferiori rispetto a quelli nazionali. Per questo, l’azienda è stata accusata dai sindacati, e non solo, di fare “dumping salariale”, ossia di svalutare i salari attraverso l’assunzione di lavoratori stranieri che percepiscono uno stipendio più basso nel Paese di provenienza.
«Aumentare gli addetti è giusto. Non vorremmo però che Stellantis, pur di non assumere personale, cominciasse a fare dumping con i lavoratori dell’Est Europa e poi finisse col dumping salariale», ha spiegato Davide Provenzano di Fim Cils. «La nostra sensazione è che dal quartier generale del gruppo sia partito il divieto di assumere a Torino. Qualsiasi azienda che pianifica stabilmente una crescita non può pensare di contare sugli operai in trasferta», ha aggiunto. Dello stesso tenore sono le dichiarazioni di Luigi Paone, segretario generale della UILM: «Nella fabbrica torinese ci sono quasi 400 operai in solidarietà. Riportiamo loro in linea ed evitiamo di assumere lavoratori dall’estero», ha affermato. Il sospetto è che, sebbene per Stellantis quello di trasferire operai da uno stabilimento all’altro sia un ordinario modus operandi, in questo caso l’iniziativa sia finalizzata esclusivamente a contenere i costi del lavoro. L’azienda ha spiegato che prima di trasferire gli operai dalla Slovacchia avrebbe chiesto la disponibilità degli operai di Melfi: dallo stabilimento italiano però è arrivato un secco no, probabilmente a causa del fatto che non tutti guardano con favore al cosiddetto “regime di trasferta”. Inoltre, da tempo i sindacati denunciano ritmi massacranti per adeguarsi agli aumenti di produzione delle 500 elettriche.
Nonostante – a detta della stessa azienda – la produzione dell’auto elettrica sia un successo, tanto da doverne aumentare la produzione, Stellantis non prende in considerazione l’assunzione di nuovi lavoratori, preferendo far lavorare di più quelli già assunti o importando lavoratori stranieri. Per questo, da tempo i sindacati denunciano ritmi massacranti durante i turni di lavoro per adeguarsi agli aumenti di produzione. La stessa Repubblica, appartenente alla holding Exor di John Elkann, allo stesso tempo presidente di Stellantis, ha scritto nero su bianco che il trasferimento dei lavoratori «nasconde una buona notizia»: «la 500 full electric macina numeri. Ed è probabile che chiuderà il 2023 puntando alle 100 mila unità». Un motivo in più, dunque, per assumere nuovi lavoratori o regolarizzare quelli precari: il gruppo automobilistico, invece, non solo preferisce chiamarli dall’estero, ma ha anche dato inizio alle uscite incentivate entro il 31 dicembre 2023, attraverso un accordo con i sindacati. Le uscite saranno su base volontaria, con incentivi maggiori per le fasce d’età più alte e interesseranno 2000 lavoratori, il 4,4% dell’occupazione totale in Italia, pari a circa 47.000 dipendenti.
Dopo aver trasferito la sua sede legale e fisica all’estero, dunque, il gruppo automobilistico preferisce ora anche importare lavoratori stranieri secondo una certa logica di massimizzazione del profitto, che è la stessa che ha giustificato la precarizzazione del lavoro in nome della “flessibilità”, mettendo al primo posto il mercato e l’economia piuttosto che le persone, e espressa particolarmente bene dalla legge nota come “Jobs Act”. Inutile dire che le grandi aziende incentivano e guardano proprio a questo modello di “mercato del lavoro” che sgretola ogni diritto dei lavoratori. La trasferta slovacca, infatti, arriva poco tempo dopo l’avvio del percorso di uscite incentivate e la perdita di migliaia di posti di lavoro: «Siamo a quasi 7 mila posti di lavoro persi dal 2021», ha commentato il coordinatore nazionale automotive Fiom Cgil Simone Marinelli.
Se da un lato, in Italia Stellantis non investe, ma preferisce piuttosto sfoltire lavoratori, dall’altro, il gruppo ha annunciato a marzo di voler investire 200 milioni in Algeria per produrre sei modelli Fiat, allontanandosi così sempre di più dal Paese e dai suoi interessi e spostando manodopera e stabilimenti dove più conviene secondo i criteri, ormai però sempre più fragili, della globalizzazione economica.
[di Giorgia Audiello]
piuttosto che comprare un’auto di Stellantis vado a piedi (tanto prima o poi mi toccherà farlo). Ecco un motivo in più
È un test. 17 per comprendere la migliore strategia di comunicazione onde far digerire la cosa ai lavoratori.
Poi alla fine sarà colpa nostra, perché non vi sono figure specializzate, quindi perché formarle ? Meglio importarle da paesi il cui stipendio medio si agita sui 500 euro.
Costano meno e stanno zitti zitti xche guadagnano il doppio che a lavorare in patria.
La sig.ra Meloni cosa ne pensa? Qui si potrebbe vedere quanto la sua schiena è (ancora) dritta. Soprattutto alla luce del fatto che la maggior parte dei diretti interessati sono suoi elettori.
Multinazionali de mierda intanto a pagare son sempre e solo i disagiati ,la povera gente e gli sfruttati ,per un pezzo di pane.elitte de mierda