venerdì 26 Aprile 2024

Guerra in Ucraina: il punto sulla situazione militare e le prospettive di tregua

Le delegazioni russa e ucraina hanno svolto un nuovo round di colloqui di pace a Istanbul, in seguito al quale Mosca ha assicurato che «ridurrà sostanzialmente» le operazioni offensive a Kiev e Chernihiv per aumentare la «fiducia» tra le parti in vista di ulteriori discussioni volte a trovare un intesa per il cessate il fuoco. Secondo quanto riportato dalle fonti diplomatiche, Kiev avrebbe offerto la propria neutralità militare in cambio di garanzie di sicurezza, mantenendo come punto fermo la possibilità di adesione all’Unione Europea. Il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha tuttavia affermato che l’Ucraina non è disposta a rinunciare a porzioni di territorio. Per quanto riguarda lo status della Crimea la proposta di Kiev, difficilmente ricevibile, è quella di risolvere la controversia entro 15 anni tramite negoziati bilaterali. Nella mattinata di oggi, 30 marzo, il portavoce del Cremlino ha dichiarato: «Al momento non possiamo segnalare nulla di molto promettente o di svolta. C’è molto lavoro da fare». Allontando di fatto la speranza di un accordo a portata di mano.

La situazione sul campo

Era il 24 febbraio, quando dal Cremlino è arrivato l’ordine all’esercito russo di dare il via alle operazioni militari in Ucraina. Ad oltre un mese di distanza vi sono ancora poche certezze su come e quando si potrà mettere la parola fine a questa guerra. Quella che in molti credevano potesse essere una guerra lampo, nella realtà dei fatti si sta trasformando in una guerra di stazionamento. Ad oggi infatti nessuna delle principali città Ucraine è caduta sotto il controllo russo: Dnipro, Zaporizhia e Leopoli (Lviv) sono ancora saldamente sotto il controllo delle truppe ucraine mentre si continua a combattere nella capitale e a Kharkiv. Anche Mariupol, nonostante sia circondata e sotto assedio continua a resistere.

Fonte ISW: controllo territorio ucraino e delle principali manovre russe al 28 marzo

Il 24 marzo il Cremlino ha annunciato che «la prima fase dell’operazione militare è stata per lo più completata e che da adesso in avanti ci si concentrerà sulla liberazione completa della regione separatista del Donbass». E in effetti i principali successi militari in Ucraina i russi li hanno ottenuti proprio nelle due repubbliche separatiste, che già in parte controllavano indirettamente. Secondo quanto riferito dal Ministero della Difesa russo i separatisti ora controllano il 93% della regione ucraina di Luhansk e il 54% della regione di Donetsk. Quelli che siano i veri obiettivi militari del presidente russo Putin tuttavia non è ancora chiaro, anche se pare pacifico che i presupposti iniziali di «denazificare» l’Ucraina e cambiare il governo di Kiev siano stati ridimensionati.

Analizzando gli sviluppi dei combattimenti sembrerebbe che uno degli obiettivi principali, oltre a creare un collegamento diretto tra Crimea e Donbass, possa essere il sud del paese per impedire che la futura Ucraina abbia accesso diretto al Mar Nero. Non a caso, da settimane, cittadini e soldati ucraini sono intenti a fortificare le difese ad Odessa, quarta città per numero di abitanti e principale porto del paese. Odessa potrebbe essere il prossimo obiettivo di Mosca, una volta conquistata Mariupol.

Se dal punto di vista militare ci sono ancora poche certezze, lo stesso vale per il numero dei soldati caduti. Stando a quanto riportato dal Ministero ucraino della Difesa i russi avrebbero subito perdite altissime: a ieri, 29 marzo, le perdite ammonterebbero a 17.200 soldati, 127 aerei, 129 elicotteri e oltre 500 carri armati. Cifre difficilmente confermabili e e fermamente ridimensionate da parte russa: secondo l’ultimo bollettino diffuso dalle autorità moscovite il 25 marzo i caduti sarebbero 1.300. Secondo le stime della NATO le perdite russe andrebbero dai 7mila ai 15mila uomini. Anche per le vittime civili è difficile fare valutazioni accurate: l’Alto Commissariato dei Diritti Umani delle Nazioni Uniti, al 28 marzo, aveva calcolato in 1.151 il numero dei civili morti in Ucraina. Costi umani altissimi anche per quanto concerne il numero degli sfollati che sempre le Nazioni Unite stimano in 3,6 milioni gli ucraini che hanno lasciato il paese, e in 6,5 invece gli sfollati interni.

Il fronte diplomatico

Come accennato, anche dal fronte diplomatico arrivano poche certezze. Che questa guerra sia il risultato di un fallimento della diplomazia occidentale appare evidente, poco si è fatto per prevenirla e pochissimo si sta facendo adesso per farla finire. Sia gli Stati Uniti che l’Unione Europea hanno contribuito in modo limitato per tentare di portare le due parti in conflitto ad un cessate il fuoco. Sanzioni economiche alla Russia e aiuti militari all’Ucraina sono state al momento le uniche soluzioni messe in campo. Entrambe abbastanza inutili per il momento, dato che le sanzioni, almeno dal versante europeo, non hanno ancora toccato il settore energetico russo, gas e petrolio di cui l’Europa ha enorme bisogno. Cosi come a poco servono alla pace gli aiuti militari all’Ucraina, che per quanto possa venire rifornita di armi continua a trovarsi in netto svantaggio contro quello che rimane uno degli eserciti meglio forniti del pianeta.

Di certo non aiutano al raggiungimento di una soluzione diplomatica le numerose dichiarazioni ostili, verso la Russia e Putin, fatte dal presidente americano Joe Biden. Seppur prontamente smentite dalla Casa Bianca, Biden in questi giorni aveva parlato della possibilità di un cambio di regime in Russia, definendo Putin un criminale. Proprio il ruolo degli Usa rimane al momento ambiguo, al punto che secondo diversi osservatori militari il piano di Washington appare non quello di velocizzare la pace ma, al contrario, di trascinare i russi in una guerra lunga e logorante, attraverso quella che è stata definita “afghanizzazione” del conflitto.

Nulli o quasi sono stati i tentativi diplomatici anche dell’altra superpotenza, la Cina. O almeno quelli alla luce del sole, anche se non può escludersi che la diplomazia cinese si stia dando da fare nell’ombra.

Per ora i maggiori sforzi diplomatici sono stati portati avanti da Israele e dalla Turchia, paese nel quale si stanno svolgendo i round negoziali. Se gli sforzi diplomatici israeliani erano riconducibili ad una questione umanitaria, data la presenza di ampie comunità ebraiche nelle zone di conflitto in Ucraina, quelli della Turchia hanno più a che vedere con lo status di potenza regionale. In passato solitamente il compito di mediare i conflitti era affidato a superpotenze o alle Nazioni Unite, che ad oggi questo compito venga lasciato in mano alla Turchia dovrebbe far riflettere. Sia gli Stati Uniti che la Cina hanno passato la mano, e ancora una volta ci troviamo in una situazione in cui appare evidente quanti e quali siano i limiti delle Nazioni Unite quando si trovano ad affrontare situazioni simili.

Russi e ucraini si erano già incontrati nelle scorse settimane per tentare di arrivare ad una soluzione, una serie di meeting senza risultati concreti hanno avuto luogo in Bielorussia. Ad Istanbul però, date le recenti aperture da parte del governo di Zelensky, si potrebbe finalmente arrivare a porre la parola fine a questo conflitto. Kiev infatti si sarebbe resa disponibile a trattare con Mosca su alcuni punti che prima non erano stati considerati. Come quello di uno status neutrale per l’Ucraina garantito da paesi terzi e che escluda l’entrata nella NATO, il riconoscimento della lingua russa come ufficiale e una maggiore autonomia per il Donbass. Buoni presupposti, anche se resta difficile capire quale sia la linea ufficiale di Kiev, e quale sia il vero grado di autonomia del governo Zelensky. Il premier ucraino ha più volte lanciato segnali contrastanti: nei giorni scorsi aveva ribadito fermamente che l’Ucraina non sarebbe stata disposta a concedere limitazioni alla propria sovranità e integrità territoriale. Parlando anche del fatto che solo dopo un referendum si sarebbe potuto rendere legittimo ogni eventuale accordo con la Russia. Ostacoli alla buona riuscita dei negoziati in Turchia arrivano anche da parte di Mosca. Capire quanto e cosa siano disposti a cedere i russi non è semplice. Nonostante le difficoltà militari incontrate dai russi in questo mese, le truppe del Cremlino sono comunque riuscite a ottenere il controllo di diverse parti dell’Ucraina, e resta tutt’altro che certo che possano bastare il riconoscimento dello status della Crimea e delle regioni del Donbass per convincere Putin a richiamare le truppe.

[di Enrico Phelipon]

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6 Commenti

  1. Tutte le Guerre, questa compresa, hanno delle verità e molte finzioni
    ben montate da ambe le parti, quindi non bisogna credere ai partecipanti
    e tantomeno a quelli che si aggregano
    e contribuiscono per gli interessi
    immediati e futuri (dal latino: mors tua,
    vita mea) come la legge della giungla
    per la sopravvivenza.Ieri,oggi e in futuro l’uomo resterà classificato nel regno ANIMALE.

  2. La campagna di odio verso Putin è uno schema moralistico occidentale (statunitense) per acquisire il consenso popolare alla guerra contro la Russia.
    In politica la morale conta poco. Qui c’è uno scontro tra l’imperialismo USA e quello russo-cinese reso evidente dal tentativo americano di arrivare ai confini russi. Come utente di questo giornale di informazioni mi attendo una analisi dei fatti più completa e imparziale rispetto a quanto leggo sulla stampa nazionale, chiaramente schierata con gli interessi americani. L’articolo di Phelipon non mi soddisfa, non fa la differenza dall’Ansa e dalle altre testate tutte omologate con la politica Nato-interventista del governo.

    • Ciao Claudio, mi spiace non ti sia piaciuto il pezzo. Lo scopo di questo articolo era quello di fare un punto della situazione sul campo dopo 1 mese. Delle cause che hanno portato a questa guerra ne avevamo parlato come Indipendente in precedenza in diversi articoli, cercando sempre di fare capire ai lettori quelle che sono state le responsabilità’ degli Stati Uniti e dell’Europa in Ucraina. Lo stesso abbiamo fatto nell’evidenziare il ruolo che in Ucraina hanno avuto e tutt’ora hanno i gruppi e i movimenti neonazisti. Personalmente, fidati, che io non ho nessuna simpatia verso gli Stati Uniti, e non ho mai lesinato critiche verso un paese che predica bene e razzola quasi sempre male.
      Su Putin ognuno e’ libero di farsi una propria idea, io non lo odio ma di certo non mi e’ simpatico, anche perché’ probabilmente una testata come questa in Russia non esisterebbe. Ad ogni modo, ti ringrazio per seguirci e anche per il commento, per me e per noi e’ sempre utile il confronto e anche le critiche, che servono a migliorarsi.
      Buona giornata,
      Enrico Phelipon

  3. 1) Che la guerra sarebbe stata lampo lo ha detto solo l’occidente, non ho sentito nè Putin ne alcun generale russo dirlo … 2) la Russia non vuole prendere l’Ucraina, il suo obiettivo è forse quello di annettersi il Donbass, dal 2014 in guerra con l’Ucraina e di eliminare i gruppi paramilitari nazisti come il gruppo Azov 3) altri obiettivi sono i laboratori (di armi chimiche) creati dagli USA (chiedere al figlio del presidente Biden) e tutti i centri di addestramento gestiti dalla NATO/USA… Putin a me non piace, viene dal KGB e ricordo ancora l’omicidio della giornalista Anna Politkovskaja avvenuto dopo le critiche da lei mosse verso Putin stesso … però devo anche dire che ha portato pazienza per troppo tempo e l’atteggiamento che ha avuto la NATO/USA è a dir poco provocatorio…

  4. 24 marzo non aprile, penso che Turchia e Israele non contino nulla, finchè non si muovono Usa Cina e Russia per accordo sul nuovo assetto geopolitico. L’Ucraina come l’Iraq la Libia ecc.. è solo carne da macello per giochi più importanti, Biden ha detto una mezza verità, Putin è un macellaio come lo sono sempre stati i presidenti Usa.

  5. Articolo un pò confuso senza una linea interpretativa delle apparenti contraddizioni che vengono propagandate dalla stampa occidentale. Avrei preferito qualche elemento in più sui fatti da fonti non occidentali.
    Siamo nel mezzo di una guerra di propaganda, bisognerebbe disporre di una duplice visione della guerra dai fronti contrapposti.

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