venerdì 19 Aprile 2024

Copie col trucco: i mirabolanti numeri sulle vendite dei giornali italiani

Il velo sul dorato mondo delle copie digitali dei quotidiani è stato squarciato con una certa dose di brutalità, diciamo così, ormai sei anni fa. Quando venne a galla, dagli scantinati e dai sotterranei del Gruppo 24 Ore, l’affare sporco dei numeri gonfiati e dei conti taroccati. Una vera e propria tempesta si è abbattuta in poco tempo sul Sole 24 Ore, travolgendo la prima testata economico-finanziaria del paese.

L’inchiesta della procura di Milano, impegnata insieme alla Consob per fare luce su una truffa che era iniziata almeno nel 2013, stando alle carte degli inquirenti, ha portato alla luce un collaudato sistema per truccare i dati di diffusione e di vendita del giornale. Un robusto e sistematico maquillage ai numeri per fare apparire quello che non era, uno stato di salute strepitoso del giornale diretto all’epoca da Roberto Napolitano, finito poi sotto processo insieme al management dell’azienda (gli altri due imputati hanno patteggiato) e destinatario con gli altri imputati di richieste di risarcimento di decine di milioni.

Il trucco svelato nel 2016 riguardava soprattutto le copie digitali del quotidiano (quelle cartacee finivano al macero), in particolare i cosiddetti abbonamenti multipli che le testate sottoscrivono con aziende o enti che poi provvedono a smistarli a utenti e clienti. Nel marzo 2016 gli “abbonamenti digitali multipli” del Sole erano 109.500, rispetto ai seimila scarsi dichiarati dalle altre corazzate Corriere della Sera e Repubblica un’enormità che non poteva non attirare l’attenzione e porre qualche domanda.

Diverse erano le tecniche per gonfiare i numeri, alcune delle quali assomigliano molto a quelle utilizzate da altre testate per accalappiare clienti e lettori, e poi non mollarli più. Insieme a robuste dosi di doping che il marketing faceva ai dati di diffusione, per sintetizzare, c’era il sistematico ricorso a database di utenti che in gran parte erano solo virtuali, con download di copie creato ad hoc. Oppure c’erano società che sottoscrivevano abbonamenti che non venivano mai attivati, fino al 93%  dei casi.

Lo scandalo del Sole, parafrasando un celeberrimo titolo di pellicola, concluso con un buco da circa 50 milioni di euro nei conti del gruppo, è stato appunto un meteorite piovuto sul mondo dell’editoria digitale, la strada maestra che gli editori hanno scelto in coro quando è stato decretato il funerale della carta e dell’editoria tradizionale. Da lì in poi sono iniziati dubbi e perplessità su un sistema di diffusione e vendita delle copie “virtuali” che spesso sfugge anche ai propri fruitori, ossia i lettori.

Vittime più o meno inconsapevoli di politiche aggressive e di marketing selvaggio da parte delle testate, disposte (quasi) a tutto pur di far lievitare i dati di vendita e diffusione e pur di fidelizzare anche clienti quasi inconsapevoli, se non renitenti. Abbonamenti a prezzi stracciati e promozioni gratuite si sprecano, al simbolico prezzo di un caffè pare si possa comprare e leggere praticamente tutto. Ma non è così.

Spesso gli utenti, come vengono chiamati i lettori dei giornali nel terzo millennio, restano imprigionati dietro ad “offerte” sottoscritte ma solo in parte consapevolmente. Come nel caso del Corriere, che per tenersi stretti i sottoscrittori di abbonamenti mette una serie di “intralci” alla disdetta o sfrutta le loro dimenticanze, puntando a formule ambigue tipo “in qualsiasi momento/entro 24 ore”. In modo che basta un nulla per trovarsi ancora vincolati alla testata e rientrare nel numero dei fedeli lettori delle copie digitali.

Oppure, ancora nel caso del Corriere (ma anche altre importanti testate praticano queste politiche di ribasso selvaggio), con un’offerta super scontata a 12 euro all’anno – per 2 anni – invece che 99,99: praticamente un regalo per gli ex abbonati che hanno deciso di abbandonare la scelta, o anche solo sono riusciti a uscire da questo dedalo di offerte, proposte e fluide clausole. Un mondo molto liquido in cui gli abbonamenti multipli, come dimostra il caso del Sole 24 Ore, sono un’incognita che pesa parecchio, sulla realtà vera dei dati e dei numeri.

Gli sconti e i ribassi con cui vengono proposte le copie digitali delle testate autorizzano a pensare che quello che doveva essere il traino delle aziende editoriali italiane, sia in realtà un refugium peccatorum. Copie digitali proposte al 30% del prezzo delle copie cartacee (da sempre, comunque, gonfiate col meccanismo dei resi e delle copie omaggio). Nonostante questo, le copie digitali incidono in modo marginale rispetto alle vendita in edicola che pure sono in crollo costante da almeno 10 anni: secondo il rapporto PWC “Entertainment & Media Outlook in Italy 2021-2025”, il cartaceo pesa (e peserà almeno fino al 2025) per l’87% dei ricavi delle aziende editoriali. Solo 5 delle 56 testate rilevate nei rapporti di ADS vendono più di 10mila copie digitali al giorno, ma quattro di loro hanno comunque vendite in calo. Per vincere la guerra dei numeri e sopravvivere, i giornali avranno bisogno di ben altro che di qualche maestro del bianchetto.

[di Salvatore Maria Righi]

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