martedì 23 Aprile 2024

20 anni di Guantanamo: la prigione che nessun presidente Usa vuole realmente chiudere

L’11 gennaio 2022 segna i 20 anni dall’apertura di Guantanamo Bay, la famigerata prigione statunitense situata a Cuba, che ha permesso alle varie amministrazioni americane che si sono susseguite negli anni, di trattenere, senza regolare processo e in barba a tutte le leggi internazionali, i prigionieri a tempo indeterminato.

La prigione, uno dei principali strumenti della “guerra al terrore” (war on terror) portata avanti dalla amministrazione di George W. Bush in seguito agli attacchi terroristici dell’11 settembre, avrebbe dovuto chiudere i battenti già nel 2009 su decisione dell’allora presidente Barack Obama. Il 22 gennaio 2009, il neoeletto presidente aveva infatti firmato l’executive order 13492 che stabiliva la chiusura della prigione entro 12 mesi. Nonostante la pubblicazione dell’ordine esecutivo, la prigione ha continuato ad operare in tutti gli 8 anni in cui Obama è stato presidente. Durante il suo mandato Trump aveva poi annullato l’ordine di Obama decidendo di mantenere aperta la prigione. Biden e la nuova amministrazione democratica hanno rinnovato la volontà di volere chiudere Guantanmo, eppure, secondo un report del New York Times il pentagono starebbe portando avanti dei lavori, che ammonterebbero a quattro milioni di dollari, per ampliare la prigione.

In questi venti anni 780 persone sono state “trattenute” a Guantanamo, e stando ad un report di Amnesty International 40 persone sono tutt’oggi ancora detenute nella prigione. Il rapporto documenta inoltre tutta una serie di violazioni dei diritti umani perpetrate nei confronti delle persone detenute a Guantanamo. Torture, abusi sessuali e piscologici sarebbero stati strumenti comunemente utilizzati dalla Central Intelligence Agency (CIA) per estorcere confessioni ai prigionieri. L’utilizzo di questa base ha garantito alla CIA la possibilità di aggirare le protezioni dei diritti umani e gli obblighi del rispetto delle leggi internazionali nel perseguimento della raccolta di informazioni. Nell’ottobre 2021, Majid Khan membro di al-Qaeda dichiaratosi colpevole, ha raccontato per la prima volta in un tribunale americano le torture subite durante la sua detenzione a Guantanamo. Khan ha infatti descritto di essere stato sottoposto a waterboarding (annegamento simulato), abusato fisicamente e sessualmente e di altre vessazioni durante le sessioni di enhanced interrogation (interrogatorio potenziato) da parte della CIA. Le tecniche di interrogatorio potenziate, indicano il programma di tortura sistematica dei detenuti da parte della CIA, della Defense Intelligence Agency (DIA) e dell’esercito nei vari black sites (prigioni segrete) intorno al mondo, inclusi Bagram, Guantánamo e Abu Ghraib, direttamente autorizzato dai funzionari della presidenza Bush. Queste torture, infatti, non sono il risultato degli eccessi di qualche funzionario ma appunto una precisa scelta politica. Nell’agosto del 2002, un memorandum del Dipartimento di Giustizia all’allora consigliere della Casa Bianca Alberto Gonzales suggeriva che il presidente potesse autorizzare un’ampia gamma di “tecniche di interrogatorio avanzate” che non equivarrebbero a tortura e quindi non sarebbero perseguibili secondo la legge statunitense. Anche se si verificasse la tortura, sostiene il memorandum, la teoria della “necessità” o “autodifesa” potrebbe essere utilizzata per eliminare qualsiasi responsabilità penale.

Che la tortura sia uno strumento utile o meno per ottenere confessioni è argomento ampiamente discusso negli anni da vari studiosi e accademici, rimane in dubbio però, che se si arrestano innocenti anche tramite la tortura non si otterrà alcun tipo di informazione utile. Nel 2011, WikiLeaks aveva rilasciato oltre 700 file militari classificati che mostravano come a Guantanamo fossero stati tenuti prigionieri per anni più di 150 uomini innocenti. Che numerosi innocenti siano finiti nelle prigioni segrete americane è una diretta conseguenza delle prime fasi (molto confusionali) della “war on terror”, quando numerosi arresti di “sospetti” vennero effettuati sulla base di fonti di intelligence insufficienti se non del tutto assenti, rendendo di fatto alcune operazioni di antiterrorismo dei semplici rastrellamenti di civili.

A nulla sono valse negli anni le denunce sulle condizioni dei prigionieri a Guantanamo da parte della Croce Rossa e di svariate ONG, così come non ha portato alcun risultato concreto nemmeno il rapporto del 2006 delle Nazioni Unite che ne chiedeva la chiusura. Gli Stati Uniti, in questi ultimi 20 anni, non hanno di certo esitato a puntare il dito verso altri paesi sul rispetto dei diritti umani commutando sanzioni, embarghi e pressioni politiche, nonostante, con tutto quello che succedeva a Guantanamo, fossero consci di violarli a loro volta. Questa prigione, di fatto, rappresenta alla perfezione il concetto di unilateralismo americano, perché volendo citare un famoso film di Alberto Sordi “io so io e voi non siete un ca…”.

[di Enrico Phelipon]

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