mercoledì 30 Aprile 2025

Usa vs Cuba: il nuovo imperialismo passa attraverso internet

Nonostante le manifestazioni contro il governo, nemmeno molto partecipate, si siano già dissolte, Joe Biden non vuole lasciarsi scappare l’occasione per cercare di rovesciare l’odiato governo socialista di Cuba, una anomalia a pochi passi dall’impero americano e spina nel fianco di ogni presidente americano da oltre 60 anni. Non solo si stanno valutando nuove sanzioni. Come tutte le egemonie, gli Stati Uniti non agiscono solo a livello politico, militare o economico. È difficile che il pugno di ferro conquisti senza un guanto di velluto.

Gli USA, nello specifico, stanno portando avanti una campagna che mira ad influenzare, da dentro, la cultura cubana. Si tratta di un’ingerenza sottile e non immediatamente visibile, che però è presto svelata: basta ricostruire dove vanno i 20 milioni di dollari che ogni anno il governo americano usa, dal 2009, per la «promozione della democrazia a Cuba». I destinatari di questi fondi sono associazioni, ong, giornali, canali televisivi, ma anche artisti e cantanti, siti internet e influencer sui social media.

Internet a Cuba: un’arma a doppio taglio

Internet, in maniera particolare, è una questione spinoso per Cuba. Da una parte l’accesso alla rete è considerato un diritto, dall’altra è effettivamente temuto dal governo in quanto potente fattore di influenza esterna e per questo severamente controllato. Al momento l’accesso alla rete è concesso a funzionari statali e accademici, ma non è alla portata del cubano medio, avendo un prezzo di circa 250 dollari al mese (contro i 10 che spende il cittadino americano medio). Inoltre, le infrastrutture tecnologiche sono datate, il che rende la navigazione non solo un evento raro, ma anche difficoltoso e lento.

Da una parte, internet, quando è disponibile, è una potente arma nelle mani dei cubani. Isolati dalla caduta del blocco sovietico e affiancati da un vicino piuttosto prepotente, è difficile per Cuba parlare del proprio paese con le proprie parole, e internet (difficilmente controllabile anche dalle egemonie più potenti) fornisce un prezioso mezzo per farlo. Potrebbe anche trattarsi di propaganda, è comunque necessario che esista, se pensiamo che un’immagine di Cuba alternativa a quella statunitense abbia la legittimità di essere conosciuta all’estero.

Dall’altra parte, internet è usato dagli Stati Uniti per infiltrare la realtà cubana. Innanzitutto, gli Stati Uniti usano la rete come un’arma contro il governo guidato da Diaz-Canel succeduto alla lunga presidenza prima di Fidel Castro e poi del fratello Raul. Recentemente, per esempio, il governo americano ha dichiarato che gli internet shutdown sono voluti dal governo “autoritario” e mirano a sopprimere le proteste. È anche vero che il governo cubano ammette solo voci verificate nel dibattito pubblico, e quindi non c’è spazio per le forze anti-governative – tant’è che l’opposizione mediatica si concentra in Florida, dove abita la più grande comunità di cubani del mondo. Inoltre, gli USA conducono una sorta di secondo embargo contro Cuba che riguarda proprio internet, tant’è che gli host dei siti cubani sono per lo più canadesi. Infine, internet è usato anche per arruolare influencers, ingaggiati e finanziati per diffondere messaggi controrivoluzionari.

Durante le proteste della scorsa settimana, non particolarmente partecipate in verità, ma rilanciate con una cassa di risonanza estrema in tutto l’occidente, il governo cubano ha deciso di limitare la rete internet, accusando gli Usa di utilizzarla per alimentare false informazioni contro il governo. Una questione che ha evidentemente tolto un’arma agli americani, dato che il presidente Biden ha dichiarato che il governo statunitense «sta considerando se ha l’abilità tecnologica per ripristinare l’accesso», valutando di fatto non la legittimità (evidentemente data per scontata in barba ad ogni legge del diritto internazionale) ma la sola possibilità tecnica di scavalcare la sovranità di uno stato indipendente per imporre le proprie reti di comunicazione.

Il network dei media “indipendenti”

Forse il principale canale che gli Stati Uniti usano per influenzare l’opinione pubblica cubana è quello dei cosiddetti media “indipendenti”. È debito mettere indipendenti tra virgolette, perché di fatto sono sono finanziati e controllati politicamente oltreoceano. Si tratta di media pensati per promuovere la narrativa statunitense sull’isola. CiberCuba, ADN Cuba, Cubans por el Mundo, Cubita Now, Cubanet, Periodismo de Barrio, El Toque, El Estornudo e YucaByte sono solo alcuni esempi. Sono voci anti-governative, che mirano a catalizzare il malcontento popolare in chiave filo-americana, filo-capitalista e anti-comunista.

I finanziamenti avvengono per lo più secondo modalità indiretta, ma non è difficile tracciare il loro percorso. I due protagonisti indiscussi sono l’Agenzia americana per lo sviluppo internazionale (USAID) e il Fondo nazionale per la democrazia (NED), due istituti che, dal 2000 ad oggi, hanno stanziato circa 500 milioni di dollari provenienti dal governo americano in una campagna mediatica anti-comunista a Cuba. USAID e NED canalizzano questi fondi verso i siti “indipendenti” con una strategia ricorrente: farli passare per organizzazioni non governative impegnate in attività pro-democrazia, registrate in paesi terzi. Ci sono media cosiddetti indipendenti cubani registrati in paesi distanti come la Polonia.

Oltre i media: programmi, fondazioni e ong

I fondi USAID e NED non raggiungono solo i media. Le vie sono spesso più tortuose, e passano per una serie di organizzazioni, istituti e fondazioni che sulla carta promuovono la democrazia nel mondo, ma che a guardar bene conducono campagne fortemente ideologizzate contro l’attuale governo cubano. Spesso queste organizzazioni hanno anche forti legami di tipo politico, come ad esempio nel caso dell’ong Freedom House, che è finanziata all’80% dal governo degli Stati Uniti. Per non parlare dell’Istituto repubblicano internazionale, il braccio ideologico del partito repubblicano.

Anche qui, gli attori sono disparati e a volte insospettabili. La ong ceca People in Need, per esempio, è finanziata da NED, e svolge una campagna mediatica contro Cuba. I finanziamenti americani raggiungono anche organizzazioni poste sotto il controllo di terroristi. È il caso del Directorio Democratico Cubano (DDC), diretto da Orlando Gutiérrez Boronat, che ha ricevuto quasi un milione di dollari in fondi NED e circa 4 milioni da USAID. Caso simile è quello del Center for Free Cuba, anch’essa creata da Frank Calzón, secondo gli USA un difensore dei diritti umani ma da più parti accusato di essere un agente della Cia e dal curriculum non certo specchiato. A queste si aggiungono poi la Fondazione nazionale cubano-americana, fondata da Jorge Mas Canosa, agente della Cia conclamato e con partecipazioni a diversi attacchi, anche terroristici, ai danni dell’ex leader cubano Fidel Castro. la Fondazione Bacardí, e una serie di associazioni religiose.

A questo lungo elenco di attori si aggiungono poi gruppi di “attivisti democratici”, nonché giornalisti e dissidenti di vario tipo. Oltre, ovviamente, ad una serie di iniziative in favore della libera impresa e del business privato. Chiaramente molti cittadini cubani ricevono soldi attraverso queste vie, ma è difficile fare stime esaustive a riguardo.

Le strategie della campagna mediatica

Per screditare il governo cubano e alimentare proteste contro di esso, gli USA stanno usando un cocktail di tattiche vecchie e nuove. In primo luogo, evidenziano qualsiasi episodio di razzismo, violenza di genere, maltrattamento animale, come anche ogni questione di libertà religiosa o diritti sessuali per attaccare il paese. Questa è una tattica vecchia e ampiamente testata. Già qualche mese fa abbiamo parlato del Rapporto 2020 sui paesi che violano sistematicamente i diritti umani redatto dal Segretario di stato Anthony Blinken. In questo documento, gli USA inserivano Cuba nell’elenco dei paesi colpevoli facendo riferimento ad un episodio isolato di morte di un civile per mano di un poliziotto (quando negli USA più di mille cittadini sono stati uccisi dalle forze dell’ordine solo nel 2020).

Tra le tattiche nuove, figura l’uso delle tecnologie per creare supporto finto sui social media. Più di 1500 account twitter sono stati creati tra il 10 e l’11 luglio solo per rispondere ad un tweet che lamentava le condizioni di Cuba, il che vuol dire che sono stati usati robot ed algoritmi a questo scopo. Ma non è tutto: sono state analizzate foto di proteste impetuose a Cuba che risultavano essere invece foto dell’Egitto, risalenti al 2011, come anche foto di manifestazioni filo-governative spacciate da media di buona reputazione come il The Guardian per foto di manifestazioni anti-comuniste. O ancora una foto di Raúl Castro in presunta fuga dal paese, in realtà una foto di 4 anni fa, di quando si recava ad un summit internazionale.

Insomma, una campagna senza esclusione di colpi che usa consapevolmente notizie e foto false. Una campagna che è anche estremamente cara, zoppicante ed al momento inutile. Condotta oltretutto nella totale negligenza, poiché gli Stati Uniti si accaniscono contro Cuba avendo contro di loro tutti i paesi del mondo fatta eccezione di Israele.

[di Anita Ishaq]

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