giovedì 15 Maggio 2025
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Antitrust contro Atac: “Mancati obiettivi di regolarità del servizio”

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L’Antitrust ha reso noto di aver avviato un’istruttoria nei confronti di Atac, l’azienda di trasporto pubblico interamente controllata da Roma Capitale, per possibile pratica commerciale scorretta. Secondo l’Antitrust, nel triennio 2021-2023, Atac avrebbe infatti  «sistematicamente» mancato gli obiettivi di regolarità del servizio, sia nelle tratte della metropolitana che in superficie. Altre lacune sono state individuate in relazione ai presidi di sicurezza in metropolitana e nel funzionamento di ascensori, scale e montascale, nonché nell’illuminazione delle stazioni. Atac ha assicurato «massima collaborazione»”.

Elon Musk vuole “correggere” il fact-checking che non gli piace

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Sbugiardato dal sistema di fact-checking del social media di sua stessa proprietà, Elon Musk promette di “correggere” X, così da assicurarsi che non possa più essere “ingannato dai Governi e dai media tradizionali”. Il sistema adoperato dalla piattaforma, quello delle note della comunità gestite in autonomia da volontari, verrà presto replicato anche da altri portali. Le scelte odierne di Musk potrebbero dunque diventare la matrice attraverso cui plasmare il futuro dei social network e della divulgazione di informazioni.

La decisione del miliardario di intervenire nel sistema di moderazione di contenuti del portale è scaturita indirettamente dalle dichiarazioni del Presidente USA Donald Trump, il quale ha descritto il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky come un “comico modesto”, nonché come un “dittatore” con appena il 4% di indice di gradimento. Trump non ha fornito riferimenti riguardanti i dati statistici citati, di contro i sondaggi del Kyiv International Institute of Sociology (KIIS), pubblicati a inizio febbraio, parlano di un supporto a Zelensky pari al 57%. 

La comunità di X non ha mancato di evidenziare questa discrepanza con una nota, ridimensionando di fatto le parole del Presidente. La cosa non è piaciuta a Musk. “Se Zelensky fosse veramente amato dagli ucraini, non avrebbe sospeso le elezioni”, ha dichiarato il miliardario. “Sa che le perderebbe nettamente nonostante abbia ottenuto il controllo di TUTTI i media ucraini, quindi ha cancellato le elezioni. In verità, è odiato da tutti gli ucraini”. Musk non ha fornito dati in supporto alla sua opinione aneddotica, si è limitato a etichettare l’intera stampa tradizionale come un megafono della propaganda di “estrema sinistra”.

Per anni, Musk ha sostenuto con forza che le note della comunità rappresentino la soluzione ideale per verificare le informazioni caricate sui social, che l’intervento collettivo degli utenti sia più affidabile di qualsiasi fact-checker indipendente. “Il sistema è completamente decentralizzato e open source, sia nel codice che nei dati”, aveva scritto lo scorso dicembre. “Qualsiasi manipolazione si noterebbe con un segnale al neon! Nessuno in X, me compreso, ha qualsivoglia controllo editoriale”. Ora che gli utenti mettono in dubbio le sue parole, però, questa decentralizzazione inizia a non piacergli.

Musk ha già dimostrato di essere più che pronto a ritoccare gli algoritmi del social network per sostenere i suoi interessi: si è assicurato che i suoi post personali siano promossi oltre alla norma, ha nascosto i contenuti a lui poco grati e ha agito contro coloro che hanno evidenziato le sue bugie. Il miliardario non ha chiarito come abbia intenzione di “correggere” le note della comunità, tuttavia qualsiasi intervento andrà ulteriormente a consolidare la cassa di risonanza attraverso cui propagare l’idea che l’unico detentore della Verità debba essere Elon Musk. 

Il desiderio di Musk di centralizzare su di sé il concetto di realtà rischia peraltro di estendersi all’intero settore tech. Lo scorso gennaio, Meta ha annunciato che avrebbe rinunciato ai fact-checker tradizionali per replicare lo schema delle note consolidato da X, mentre YouTube sta già collaudando una soluzione omologa. Qualora la mossa editoriale di Musk dovesse venire normalizzata, non è detto che anche gli altri dirigenti non possano decidere di intervenire con maggiore decisione sui processi di verifica dei contenuti, i quali sono stati lungamente affidati a realtà che, almeno su carta, sono indipendenti.

L’eventuale manipolazione delle note di comunità da parte di X andrà inoltre quasi sicuramente a complicare il rapporto tra social media e Unione Europea. La Commissione Europea ha già avviato da tempo un’indagine che, tra le altre, dovrà verificare che le strategie di moderazione del social di Musk siano adeguate a soddisfare le norme previste dal Digital Service Act (DSA). Questa ennesima evoluzione non farà che accrescere le già solide perplessità delle istituzioni, complicando ulteriormente i già marcati attriti tra UE e Big Tech statunitensi.

[di Walter Ferri]

Taiwan, sequestrata nave cinese

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La guardia costiera di Taiwan ha dichiarato di aver sequestrato una nave mercantile con presunti collegamenti con la Cina, accusandola di aver manomesso un cavo sottomarino collocato nello Stretto di Taiwan. La nave è la “Hong Tai 58”, ha equipaggio cinese, ma batte bandiera del Togo. Taiwan la accusa di essere di fatto una nave cinese che batte una bandiera di comodo per celare la propria appartenenza. Il presunto episodio di sabotaggio di cui è accusato l’equipaggio riguarda un cavo sottomarino per la connessione internet destinata alle Isole Penghu. Le autorità di Taiwan hanno dichiarato che le indagini sono ancora in corso.

Ucraina, due votazioni all’ONU sanciscono la frattura USA-UE

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Dopo le due mozioni approvate ieri, lunedì 24 febbraio, dall’Assemblea Generale dell’ONU, il Consiglio di Sicurezza ha adottato la risoluzione proposta dagli Stati Uniti, che chiede una pace in Ucraina senza riconoscerne l’integrità territoriale. Il contenuto della mozione si sviluppa in poche righe, in cui il documento si limita a «piangere la tragica perdita di vite umane» e «ribadire che lo scopo principale delle Nazioni Unite è mantenere la pace e la sicurezza internazionale e risolvere pacificamente le controversie», per infine «implorare una rapida fine del conflitto e sollecitare inoltre una pace duratura tra Ucraina e Federazione Russa». In sede di votazione, Francia e Regno Unito, gli unici Paesi europei a essere membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, si sono astenuti e non hanno esercitato il diritto di veto. Anche l’Europa, insomma, ha acconsentito tacitamente alla linea Trump, mettendo fine alla politica del sostegno incrollabile all’Ucraina fino alla vittoria.

La mozione statunitense è stata approvata con 10 voti a favore e 5 astensioni, provenienti da Danimarca, Francia, Grecia, Regno Unito e Slovenia. Prima del voto, la rappresentante degli Stati Uniti ha affermato che il Consiglio si trova «sul precipizio della storia con un compito solenne: creare le condizioni per porre fine alla guerra più sanguinosa nel continente europeo» dalla creazione dell’organo. La risoluzione, ha sottolineato, si limita a essere «un simbolico, semplice primo passo verso la pace», e «non è un accordo di pace». Esso, però, ha continuato la rappresentante USA, getterebbe le basi per arrivare a un accordo. Il rappresentante della Federazione Russa, da parte sua, ha detto di considerare il testo: «un’iniziativa di buon senso», definendo gli emendamenti dell’UE come «l’ennesimo ultimatum anti-russo». Il testo non è ancora stato pubblicato, ma da quanto riporta il sito delle Nazioni Unite è stato approvato senza emendamenti e dovrebbe dunque corrispondere alla bozza.

Ieri, prima della votazione del Consiglio di Sicurezza, lo stesso testo era passato al vaglio dell’Assemblea Generale, che lo aveva approvato con l’aggiunta di un emendamento dell’UE. Quest’ultimo riaffermava l’impegno per la «sovranità, l’indipendenza, l’unità e l’integrità territoriale dell’Ucraina all’interno dei suoi confini riconosciuti a livello internazionale». Tale passaggio era contenuto in un’altra risoluzione, anch’essa approvata dall’Assemblea Generale, proposta da UE e Ucraina. Questa seconda mozione faceva esplicito riferimento all’aggressione russa e dava più responsabilità alla Federazione, a cui chiedeva di «ritirare immediatamente, completamente e incondizionatamente tutte le sue forze militari dall’Ucraina». Entrambe le mozioni avevano trovato l’opposizione di Russia e Stati Uniti. Contrariamente alle risoluzioni dell’Assemblea Generale, quelle approvate dal Consiglio di Sicurezza hanno valore vincolante, e il loro contenuto deve dunque essere applicato. Non avendo la risoluzione statunitense effettivi risvolti pratici, essa, come sottolineata dalla rappresentante statunitense, non cambia davvero le carte in tavola.

[di Dario Lucisano]

Gaza, altri bimbi morti per il freddo: famiglie dormono all’aperto

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Nelle ultime ore, tre bambini sono morti a causa del freddo intenso a Gaza. Lo rende noto Al Jazeera. L’accordo di cessate il fuoco tra Hamas e Israele ha infatti permesso a oltre 60mila palestinesi di tornare alle loro città e ai loro villaggi d’origine, dove hanno però trovato aree inabitabili. Israele, finora, non ha consentito l’ingresso nella Striscia di un numero sufficiente di rifugi mobili e tende. Molti bambini erano già morti prima del cessate il fuoco a causa del freddo a Gaza, dove vivevano con le loro famiglie in tende improvvisate.

 

La Norvegia ha messo al bando gli allevamenti di animali per le pellicce

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La Norvegia ha ufficialmente posto fine all’allevamento di animali per la produzione di pellicce. Sebbene il divieto fosse stato annunciato nel 2018, concedendo agli allevatori un periodo di transizione fino a febbraio 2025, il processo di chiusura degli ultimi allevamenti rimasti è ora sul punto di concludersi definitivamente. Con la cessazione delle attività, scompaiono quindi anche gli ultimi 200-250 allevamenti, che fino a oggi ospitavano circa 61.000 visoni e 150.000 volpi.
L’allevamento di pellicce in Norvegia ha una lunga storia, risalente agli inizi del XX secolo, quando il paese era u...

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Ucraina, Assemblea ONU approva risoluzione per l’integrità territoriale: USA votano contro

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Oggi, lunedì 24 febbraio, in occasione del terzo anniversario della guerra in Ucraina, l’Assemblea generale dell’ONU ha approvato una risoluzione per promuovere «una pace giusta e duratura» nel Paese, riaffermandone «l’integrità territoriale» e condannando l’aggressione russa. Da parte degli USA è arrivato un voto contrario. Washington aveva infatti proposto una mozione che si concentrava unicamente sulla promozione della pace, mancando di riconoscere i confini internazionali ucraini e di addossare responsabilità alla Russia. A votare a favore, invece, sono stati 93 Paesi, tra cui l’intero blocco europeo, esclusa l’Ungheria, che ha votato contro. Tra le astensioni di peso, infine, si notano quelle della Cina, dell’Iran, dell’Arabia Saudita e in generale del blocco BRICS, ad eccezione dell’Indonesia, che ha votato a favore.

La risoluzione dell’Assemblea Generale votata oggi è stata preparata dall’Ucraina e dagli Stati membri dell’UE. Il documento chiede la de-escalation, una cessazione anticipata delle ostilità e una «risoluzione pacifica» della guerra in Ucraina. Riafferma l’impegno per la «sovranità, l’indipendenza, l’unità e l’integrità territoriale dell’Ucraina all’interno dei suoi confini riconosciuti a livello internazionale» e ribadisce la richiesta alla Russia di «ritirare immediatamente, completamente e incondizionatamente tutte le sue forze militari dall’Ucraina». Al momento della stesura, la bozza di risoluzione ha avuto 57 co-sponsor.

Il voto contrario degli USA è arrivato poco prima della discussione di un’altra bozza di risoluzione, proposta dagli stessi Stati Uniti. Quest’ultima risulta molto più breve e non contiene alcun riferimento né all’aggressione russa né all’impegno per la sovranità dell’Ucraina, limitandosi a lanciare un appello per la pace. La risoluzione statunitense è stata approvata dopo l’inserimento di un emendamento di matrice europea, che ha aggiunto tra le premesse l’impegno alla sovranità e all’indipendenza di Kiev, come formulato nell’altra risoluzione. A votare a favore sono stati gli stessi 93 Paesi che hanno votato il documento ucraino, mentre gli USA si sono astenuti.

[di Dario Lucisano]

In Italia si consumano oltre 6 mila litri di acqua per persona al giorno

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L’acqua è una risorsa preziosa, ma in Italia i numeri del consumo idrico fanno riflettere: ogni cittadino consuma in media 6.300 litri al giorno, un dato che ci colloca al settimo posto tra i Paesi dell’Unione Europea. Lo ha reso noto uno studio condotto da The European House – Ambrosetti (TEHA) e presentato alla VI riunione della Community Valore Acqua per l’Italia. Se questa cifra sembra sorprendente, il motivo risiede nell’impronta idrica complessiva, che comprende sia i consumi diretti, come quelli per uso domestico, sia quelli indiretti, ovvero l’acqua necessaria per produrre beni e servizi di cui usufruiamo quotidianamente. I quali, combinati assieme, fotografano una situazione tutt’altro che rosea per il nostro Paese.

La ricerca svolta da TEHA attesta che il consumo medio diretto di ogni italiano arriva a 215 litri al giorno. Solo Grecia (324 litri) e Irlanda (252 litri) registrano dati superiori all’interno dell’UE. Applicando un coefficiente di moltiplicazione – che per l’Italia è pari a 29 e va da un minimo di 14 per l’Irlanda a un massimo di 40 del Portogallo – si ottiene la quota di impatto complessivo sulla risorsa idrica, ovvero 6.300 litri giornalieri per abitante, che comprende anche i prodotti che ogni italiano consuma. A livello europeo, l’Italia si posiziona dietro a Lussemburgo e Portogallo (6.900 litri), Spagna (6.700), Cipro e Ungheria (6.500) e Grecia (6.400). Molto più virtuosi risultano invece Paesi come la Francia (4.900 litri), la Germania (3.900 litri) e il Regno Unito (3.400 litri). Il quadro diventa però ancora più critico se si guarda al consumo annuo complessivo. L’Italia utilizza infatti 130 miliardi di metri cubi d’acqua ogni anno, il valore più alto in Europa. A seguire ci sono Germania (120 miliardi), Francia (110 miliardi) e Spagna (100 miliardi). Un elemento particolarmente preoccupante è il peso dell’impronta idrica grigia, ovvero il volume di acqua dolce necessario per diluire gli inquinanti generati nei processi industriali, agricoli e domestici. In Italia, questa componente rappresenta il 23,9% del totale dell’impronta idrica, un valore che evidenzia la necessità di politiche più incisive per la riduzione dell’inquinamento e per un uso più efficiente delle risorse idriche.

Secondo l’ultimo rapporto dell’ISTAT dedicato alla rete idrica italiana, uscito nella Primavera dell’anno scorso, nel solo 2022 l’acqua dispersa nelle reti comunali di distribuzione del Paese avrebbe soddisfatto le esigenze idriche di 43,4 milioni di persone per un intero anno. Le statistiche, condivise dall’Istituto Nazionale di Statistica, vanno di pari passo con i dati che emergono dal lungo Libro Bianco Valore Acqua 2024, redatto ancora da TEHA. Nel report viene infatti dettagliatamente analizzata la questione dell’emergenza idrica in Italia che, tra situazioni di siccità alimentate dai cambiamenti climatici e gestione delle risorse, rileva non poche criticità. Secondo The European House – Ambrosetti, che ha preso come riferimento l’anno precedente a quello oggetto delle analisi ISTAT, l’infrastruttura idrica italiana, «inefficiente ed obsoleta», disperderebbe nella fase di distribuzione il 41% dell’acqua prelevata pari a 8308m3/km, posizionando lo Stivale in fondo alla classifica europea per perdite idriche.

[di Stefano Baudino]

Bangladesh e Pakistan riprendono commercio diretto dopo oltre 50 anni

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Il Bangladesh ha ripreso il commercio diretto con il Pakistan per la prima volta dalla sua indipendenza nel 1971, con la prima spedizione di 50mila tonnellate di riso in partenza da Port Qasim nell’ambito di un accordo tra governi. L’intesa ha fatto seguito a un miglioramento delle relazioni diplomatiche dopo l’insediamento di un governo ad interim in Bangladesh, guidato dal premio Nobel Muhammad Yunus, in seguito alle proteste che avevano costretto l’allora Primo Ministro Sheikh Hasina a lasciare il Paese. Il nuovo accordo prevede che il Bangladesh acquisti riso bianco dal Pakistan a 499 dollari a tonnellata tramite la Trading Corporation of Pakistan.

La Pedemontana è costata ai cittadini veneti 47 milioni in appena nove mesi

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In soli nove mesi di gestione la Superstrada Pedemontana Veneta ha già generato nelle casse della Regione Veneto un buco di 47 milioni di euro. La stima è stata certificata da un referto della Sezione di controllo della Corte dei Conti del Veneto: da marzo a novembre 2024, la Regione Veneto ha incassato 93,5 milioni di euro dai pedaggi, ma ha dovuto sborsare 140,8 milioni di euro alla società costruttrice SIS, come canone di utilizzo. Si tratta, oltretutto, di debiti destinati ad aggravarsi, dal momento che il canone di utilizzo, in base agli accordi contrattuali, crescerà progressivamente fino a toccare i 332,3 milioni di euro nel 2059. La Pedemontana Veneta è da tempo nel mirino della Corte dei Conti, che già nel 2022 aveva denunciato che l’opera avrebbe potuto provocare un buco complessivo di 12 miliardi di euro.

L’opera, lunga 94 chilometri con ulteriori 68 chilometri di opere complementari, collega Vicenza e Treviso. Celebrata come un’infrastruttura strategica per la mobilità regionale, essa si sta però rivelando un pesante fardello per le casse pubbliche. Uno degli aspetti più preoccupanti riguarda i costi futuri. Il canone annuo che la Regione dovrà versare alla SIS è destinato ad aumentare progressivamente: dai 165 milioni di euro della prossima annualità fino a un massimo di 435,5 milioni nel penultimo anno di gestione, per poi stabilizzarsi a 332,3 milioni nell’ultima annualità. La relazione della sezione di controllo della Corte dei Conti non si limita a evidenziare il deficit economico, segnalando anche altre criticità. Una delle principali raccomandazioni dei magistrati contabili è l’applicazione delle sanzioni per i ritardi accumulati nel completamento dell’opera, dal momento che la consegna della Pedemontana era prevista per il 2020, ma – tra ostacoli burocratici e problemi infrastrutturali – l’ultima tratta è stata aperta solo il 29 dicembre 2023, mentre l’interconnessione con la A4 è stata completata a maggio 2024. Resta poi aperto il  il tema dei 20 milioni di euro versati dalla Regione al concessionario ma non dovuti, nonché il nodo della possibile riclassificazione della superstrada, che consentirebbe di aumentare il limite di velocità da 110 a 130 km/h, equiparandolo a quello delle autostrade. La questione sta alimentando polemiche politiche. I consiglieri regionali di Europa Verde, Andrea Zanoni e Renzo Masolo, hanno attaccato la gestione dell’opera, esortando il presidente della Regione Luca Zaia a rinegoziare la convenzione con SIS. «Se Zaia non vuole essere ricordato come il presidente che ha lasciato buchi finanziari sulla pelle dei veneti, deve intervenire subito», hanno dichiarato.

L’opera fu inserita nel piano regionale dei trasporti del Veneto nel 1990: negli anni a venire è stata protagonista di numerosi scandali, ricorsi, esposti di comunità intere contro la sua realizzazione, valutata più volte come «inutile, dannosa e costosissima» soprattutto per via dell’alto consumo di suolo. Già nel bilancio di previsione 2023/25 della regione Veneto si evidenziava come ci si aspettasse che la Pedemontana potesse provocare un buco di decine di milioni di euro nelle casse regionali per i successivi tre anni. A parlare delle criticità nella realizzazione della Superstrada, in particolare sul versante finanziario e contrattuale, era stato in un’intervista a L’Indipendente il progettista Nicola Troccoli, che aveva individuato diverse criticità nella realizzazione della Pedemontana Veneta. A suo avviso, infatti, la terza convenzione siglata tra Regione Veneto e la concessionaria SIS ha ribaltato il rischio d’impresa dal privato al pubblico, garantendo alla società costruttrice un canone di disponibilità indipendentemente dagli incassi dell’infrastruttura. Troccoli ha poi sottolineato come la convenzione abbia permesso al concessionario di ottenere quota del canone di disponibilità anche con l’apertura di tratte parziali, dilazionando così il termine effettivo dei 38 anni di concessione e favorendo ulteriori ritardi. Il progettista ha inoltre evidenziato che sarebbe stato molto più vantaggioso per la Regione far completare il finanziamento dell’opera allo Stato o all’ANAS, evitando l’accordo con SIS, in modo tale da ridurre drasticamente i costi di realizzazione e permettendo ai cittadini veneti di utilizzare l’infrastruttura gratuitamente.

[di Stefano Baudino]