sabato 18 Ottobre 2025
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Sono entrati in vigore i nuovi dazi USA sui pacchi postali

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Da oggi negli Stati Uniti entrano in vigore nuovi dazi sulle importazioni, che colpiscono anche i pacchi di valore inferiore a 800 dollari, finora esenti. Restano esclusi solo i regali sotto i 100 dollari e i beni personali portati dai viaggiatori fino a 200 dollari. Per sei mesi i dazi potranno essere calcolati anche con importi fissi tra 80 e 200 dollari. La misura, voluta da Donald Trump, mira a contrastare l’uso dell’esenzione per aggirare i dazi e facilitare traffici illegali. L’impatto sarà forte sull’e-commerce, in particolare su piattaforme come Shein e Temu.

Progetto Oasi Marina: come Ischia sta facendo rinascere il suo fondale marino

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A Ischia è in corso un esperimento concreto per ricostruire il fondale marino danneggiato. Al centro del progetto c’è la Posidonia oceanica, pianta simbolo del Mediterraneo e fondamentale per la salute dell’ecosistema costiero. Dopo anni di degrado, torna a crescere grazie a un’operazione di riforestazione nelle acque protette dell’isola. A coordinare questo intervento è il Centro di Educazione e Ricerca Marina dell’isola, con il sostegno della Regione Campania e la partecipazione di biologi, subacquei, operatori locali e cittadini volontari. Il progetto si chiama Oasi Marina e ha un obiettivo...

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Pakistan, oltre un milione gli evacuati per le alluvioni

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Nel nord-est del Pakistan, oltre un milione di persone è stato evacuato negli ultimi giorni a causa delle devastanti alluvioni che hanno colpito la provincia del Punjab, tra le peggiori degli ultimi anni. Le piogge monsoniche, unite al rilascio controllato di acqua da alcune dighe indiane, hanno provocato lo straripamento dei fiumi Sutlej, Ravi e Chenab, allagando più di 1.400 villaggi. La regione, cuore agricolo del Paese, con coltivazioni di grano, riso e cotone, è ora in ginocchio: oltre 1,4 milioni di abitanti sono coinvolti. Le vittime sono almeno 14 nelle ultime ore e oltre 800 dall’inizio delle piogge a giugno.

Scandalo o retorica proibizionista? La verità sulle pipe per il crack a Bologna

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Bologna pipe crack polemica riduzione del danno

A Bologna una semplice proposta del Comune, che va nella direzione della riduzione del danno del consumo di stupefacenti, è stata trasformata da esponenti del governo nazionale in uno scandalo mediatico dove, come al solito, tutto si è trasformato in una crociata moralista. Riavvolgiamo il nastro: il Comune di Bologna, guidato dal sindaco Matteo Lepore (PD), ha deciso di avviare una sperimentazione per distribuire circa 300 pipe in alluminio gratuite destinate ai consumatori abituali di crack, nell’ambito di politiche di riduzione del danno. L’iniziativa, tra l’altro, era già partita in forma sperimentale nel 2024. Il costo dell’operazione è di 3.500 euro e le pipe saranno distribuite con l’obiettivo di ridurre lesioni come sanguinamenti, tracheiti e infezioni causate dall’uso di materiali improvvisati e condivisi. Durante la sperimentazione del 2024, 40 persone hanno partecipato volontariamente. I risultati dopo 30 e 60 giorni, pubblicati sulla rivista scientifica Substance use & misuse, indicano miglioramenti nella riduzione del consumo della sostanza, evidenziando la scomparsa o diminuzione di problemi respiratori e orali (es. dolori alla gola, respirazione difficoltosa) e la diminuzione delle patologie secondarie come sanguinamenti, bruciature o irritazioni labiali.

Le reazioni? Stefano Cavedagna (europarlamentare FdI) ha annunciato una denuncia per «istigazione al consumo e allo spaccio di droghe». Marco Lisei (senatore FdI) ha definito l’iniziativa una scelta ideologica che «tiene i tossicodipendenti nella gabbia della droga». L’immancabile vicepremier Matteo Salvini ha definito l’operazione una «follia» e una «spesa dei contribuenti per incentivare l’uso di droga». Matilde Madrid – assessora bolognese al welfare responsabile della proposta – difende l’iniziativa, sostenendo che si fonda su basi scientifiche, come analoghe strategie di riduzione del danno, e che mira concretamente alla salute delle persone più marginali. Ma nessun commento è arrivato sul merito, solo frasi fatte buttate lì per solleticare gli istinti dell’elettorato facendo leva su pregiudizi reazionari. Dall’altro lato l’Associazione Luca Coscioni, da sempre molto attenta a queste tematiche, ha lodato Bologna per aver messo in pratica una politica di riduzione del danno riconosciuta tra i Livelli essenziali di assistenza (LEA), auspicando che l’esperimento venga replicato in altre città.

D’altra parte la misura bolognese si appoggia su una teoria che è portata avanti in molti Paesi europei da decenni perché ritenuta più efficace del proibizionismo: la riduzione del danno.

L’approccio della riduzione del danno è una strategia di sanità pubblica che parte da un presupposto realistico: alcune persone useranno sostanze comunque, anche se sono illegali, e l’obiettivo non può essere solo quello di “eliminare” il consumo, ma di ridurre i rischi immediati e a lungo termine per la salute individuale e collettiva. È stato adottato in vari paesi dagli anni ’80 e ’90 (soprattutto in risposta all’epidemia di HIV) e il fatto che in Italia faccia parte dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), significa che è un approccio riconosciuto come un diritto alla salute. Non solo, perché il tema della riduzione del danno sia stato inserito per la prima volta l’anno scorso in una risoluzione Onu approvata durante la 67essima sessione dei lavori della Commission on Narcotics Drug.

Secondo chi difende la strategia della riduzione del danno contro quella del proibizionismo, la guerra alla droga (che è l’impostazione internazionale derivata dagli ultimi 70 anni di proibizionismo sfrenato) anche se viene presentata come una battaglia contro il narcotraffico è una battaglia indirizzata essenzialmente contro chi la droga la consuma: non tocca gli enormi monopoli che mafie e criminali hanno sulla gestione degli stupefacenti e non si occupa dei cittadini che li assumono, se non per mandarli in galera pensando così di risolvere un problema che in realtà si autoalimenta in un circolo vizioso. Miliardi di euro spesi per controlli e repressione in quello che si è trasformato in un corto circuito sociale: al consumo di stupefacenti la risposta è la prigione, mentre la droga circola come in ogni società umana dall’alba dei tempi, i criminali guadagnano miliardi, e spendiamo soldi pubblici per inasprire i controlli e mandare semplici consumatori in galere sempre più sovraffollate. A giugno 2025 i dati raccontano di oltre 62mila detenuti nelle carceri italiane, a fronte di 51mila posti: il tasso di sovraffollamento è del 134,3%.

La maggioranza dei Paesi Onu, da anni, chiede di mettere fine a questa ideologia che venne imposta a partire dagli anni ’50 dagli Stati Uniti, optando per le depenalizzazioni per le droghe leggere e per approcci di riduzione del danno per quelle pesanti. Nel 2022 un lungo documento firmato dagli esperti dell’Onu nei diritti umani chiese la fine della guerra alla droga e di passare dalla repressione ai diritti. Nel settembre 2023 l’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (OHCHR) è tornato sull’argomento pubblicando un report in cui mette in evidenza innanzitutto che la guerra alla droga – lanciata in Usa dal Nixon nel 1971 – è diventata innanzitutto una guerra contro le persone che la utilizzano. La raccomandazione degli esperti dell’Onu è dunque quella di «adottare alternative alla criminalizzazione, alla tolleranza zero e all’eliminazione delle droghe, prendendo in considerazione la depenalizzazione dell’uso e una regolamentazione responsabile, per eliminare i profitti del traffico illegale, della criminalità e della violenza».

La misura presa dal Comune di Bologna, piaccia o meno, si inserisce in questa cornice e quindi non centra nulla con «l’incentivare il consumo di droga», a meno che non si creda al fatto che le persone inizieranno o smetteranno di utilizzare il crack a seconda che i servizi comunali mettano a disposizione o meno delle pipe sterili per non infettarsi.

Israele ha bombardato la capitale dello Yemen

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L’aviazione israeliana ha condotto un massiccio bombardamento aereo contro la capitale dello Yemen, Sana’a. In totale, sono stati scagliati dieci attacchi aerei; le navi da guerra israeliane avrebbero partecipato ai bombardamenti. L’attacco è avvenuto in contemporanea con un discorso del leader del movimento Ansar Allah, meglio noto con il nome di Houthi. Da quanto riporta l’esercito israeliano, gli attacchi avevano l’obiettivo di uccidere i vertici di politici e militari di Ansar Allah, radunati in uno dei luoghi colpiti con missili di precisione; per ora non sono state segnalate vittime. I media arabi riportano una affermazione del leader del movimento, che avrebbe affermato che l’operazione israeliana è stata «un fallimento».

No al “neocolonialismo scientifico”: Il Burkina Faso vieta le zanzare OGM di Bill Gates

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Con una decisione che ha fatto rumore ben oltre i confini nazionali, il governo del Burkina Faso ha ordinato la sospensione definitiva del progetto Target Malaria, iniziativa di ricerca sostenuta dalla Fondazione Gates e da Open Philanthropy e guidata dall’Imperial College di Londra, che prevedeva il rilascio di zanzare geneticamente modificate per combattere la malaria. Il governo di Ouagadougou ha ordinato la chiusura dei laboratori e la distruzione dei campioni, trasformando un atto tecnico in un gesto dal forte valore simbolico e geopolitico: riaffermare la propria sovranità nazionale e opporsi a quello che viene definito nel Paese come una forma di «neocolonialismo scientifico», in cui le popolazioni vulnerabili diventano cavie di tecnologie ad alto rischio. Le preoccupazioni relative all’influenza coloniale sono un tema ricorrente del governo di Ibrahim Traore: il leader panafricano, che ha preso il potere con il colpo di Stato del 30 settembre 2022, si è allontanato dall’Occidente, cercando di limitare sempre più il coinvolgimento straniero nella politica interna

Attivo in Burkina Faso dal 2012, Target Malaria si proponeva di ridurre la trasmissione della malaria intervenendo direttamente sui vettori della malattia: le zanzare Anopheles. La strategia più controversa è quella del gene drive, una tecnica di ingegneria genetica basata su CRISPR che forza la trasmissione di un tratto genetico in tutta la popolazione naturale, fino a renderlo dominante. In questo caso, il tratto serve a produrre solo maschi o a sterilizzare le femmine, con l’intento di ridurre drasticamente la popolazione delle zanzare. 

Secondo la sociologa e accademica canadese Linsey McGoey, Target Malaria «è un esempio emblematico del tecnoscientismo filantropico che traveste da bene comune l’interesse privato. Dietro la retorica della lotta alla malaria, si nasconde la volontà di imporre tecnologie radicali come il gene drive, con effetti potenzialmente irreversibili sugli ecosistemi e sulle comunità locali. Le popolazioni africane, spesso escluse dal dibattito, subiscono così le scelte di attori globali che dettano l’agenda della salute pubblica». Si tratta, infatti, di soluzione radicale, che promette di colpire alla radice la malattia, ma che suscita preoccupazioni per i suoi effetti ecologici imprevedibili e difficilmente controllabili sugli ecosistemi e solleva dilemmi etici su chi abbia la legittimità di decidere sul suo impiego, soprattutto quando gli esperimenti si svolgono in comunità vulnerabili del Sud globale. 

Già nel 2016 la National Academies of Sciences degli Stati Uniti aveva avvertito che gli organismi gene-drive non erano pronti per rilasci ambientali. L’OMS nel 2021 aveva raccomandato prudenza e un coinvolgimento reale delle comunità. Nel 2024 la Convenzione sulla Diversità Biologica aveva auspicato valutazioni più ampie su impatto socio-economico, culturale ed etico, soprattutto sulle comunità locali – in linea con il principio di precauzione e decisioni precedenti della COP e del Protocollo di Cartagena. Da segnalare anche i timori che la tecnologia possa essere sfruttata in futuro a fini commerciali (ad esempio, se sviluppata per controllare i parassiti agricoli) o persino come arma biologica.

La scelta del Burkina Faso non è solo scientifica ma geopolitica. Da un lato, c’è l’urgenza sanitaria: la malaria uccide ancora quasi 600.000 persone l’anno, perlopiù bambini africani. Dall’altro, c’è la volontà di non trasformarsi in “cavie” per la ricerca occidentale. Gli oppositori del Target Malaria sottolineano che i ceppi di zanzare modificate provengono da laboratori europei e che dietro il progetto ci sono fondazioni miliardarie occidentali che impongono la propria visione tecnologica senza un reale processo democratico locale. Ali Tapsoba, attivista della coalizione CVAB (Coalition pour le Suivi des Activités Biotechnologiques), ha parlato di tecnologia «altamente controversa, imprevedibile e potenzialmente irreversibile». Un capitolo spesso ignorato, ma essenziale per interpretare le ragioni dello stop a Target Malaria, è quello della finanziarizzazione della malaria, un fenomeno esposto con lucidità dall’African Centre for Biodiversity. In sintesi, il documento denuncia come la malaria – da emergenza sanitaria – si sia trasformata in opportunità finanziaria, sovvertendo il senso stesso della lotta alla malattia. Il Burkina Faso funge da “laboratorio vivente” in cui fondazioni cosiddette filantropiche, come quella di Gates, insieme a partenariati pubblico-privati, investono in tecnologie brevettate (vaccini, insetticidi, zanzare GM/gene-drive) attraverso modelli di sviluppo che privilegiano i profitti da royalties piuttosto che il rafforzamento dei sistemi sanitari nazionali. L’1% soltanto degli investimenti globali arriva alle istituzioni di ricerca locali, mentre il resto resta nelle sedi dei donatori. In questo schema, lo scenario è chiaro: i “risultati” più rischiosi di tecnologie sperimentali vengono testati sul continente africano e i danni – se ci saranno – peseranno sulle sue popolazioni, non su chi le ha finanziate o proposte.

Il rifiuto del Burkina Faso a Target Malaria non rappresenta solo la chiusura di un progetto scientifico, ma la dichiarazione di una volontà politica: sottrarsi al ruolo di laboratorio del mondo e rivendicare il diritto a decidere sul proprio destino. È un segnale di rottura verso il modello in cui l’Africa viene trattata come terreno di sperimentazione per i governi e le aziende occidentali. La salute pubblica del continente, secondo la nuova rotta intrapresa da Ouagadougou, non può essere subordinata agli interessi di fondazioni miliardarie, ma deve nascere da scelte condivise con le comunità locali, in nome della sovranità e dell’autodeterminazione. Il messaggio è chiaro: il futuro africano non sarà costruito da tecnologie imposte dall’alto, ma da soluzioni radicate nella conoscenza, nella cultura e nelle priorità delle popolazioni stesse.

L’Afghanistan convoca l’ambasciatore pakistano

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Il governo afghano ha convocato l’ambasciatore pakistano, accusando Islamabad di aver violato il proprio spazio aereo per condurre un attacco con droni. L’attacco avrebbe colpito le province di Nangarhar e di Khowst, distruggendo alcune abitazioni, uccidendo tre persone e ferendone altre sette. Le autorità pakistane non hanno risposto alle richieste di commenti. Gli attacchi arrivano in un momento teso per i due Paesi, con il Pakistan che accusa i talebani di fornire rifugio a milizie armate che operano nel proprio territorio. L’Afghanistan nega le accuse. Recentemente, i rappresentanti dei due Paesi si sono incontrati con la mediazione della Cina per rilanciare la lotta al terrorismo.

Uno studio attesta i vaccini mRNA come i farmaci più associati a infiammazioni cardiache

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Esistono dieci farmaci più frequentemente associati a miocarditi e pericarditi a livello globale, e i vaccini a mRNA contro il Covid-19 occupano il primo posto nella classifica: è quanto emerge da un nuovo studio ritenuto unico nel suo genere, condotto da un team internazionale guidato dai ricercatori della Kyung Hee University, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato su Scientific Reports del gruppo Nature. Utilizzando le informazioni del database globale di farmacovigilanza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e i dati riferiti alle segnalazioni di eventi avversi provenienti da più di 140 paesi, gli autori hanno stabilito che i vaccini a mRNA contro il Covid-19 risultano collegati ad infiammazioni cardiache nel 76,16% dei casi di miocardite e nell’88,15% dei casi di pericardite, seguiti da clozapina e da altri farmaci immunoterapici o antivirali. «Impossibile non notare come in questo momento gran parte della comunità scientifica sembri preferire ignorare quello che è successo e tutti i segnali d’allarme che sono presenti da tantissimo tempo», commenta a L’Indipendente Giovanni Frajese, endocrinologo e professore presso l’Università del Foro Italico di Roma.

La miocardite e la pericardite sono due infiammazioni che colpiscono rispettivamente il muscolo cardiaco e la membrana che avvolge il cuore. Possono insorgere per cause infettive, autoimmuni o tossiche, spiegano i ricercatori, ma anche come reazioni avverse a determinati farmaci o vaccini. Negli ultimi anni, soprattutto dopo la pandemia, l’attenzione si è concentrata sui possibili legami con i vaccini a mRNA, soprattutto dopo il loro inserimento all’interno dei bugiardini di tali farmaci. Per questo, continuano, la farmacovigilanza – cioè il sistema di raccolta e analisi delle segnalazioni di effetti collaterali – rappresenterebbe lo strumento principale per individuare segnali di rischio. Per quanto riguarda i metodi, invece, sono stati usati due indicatori statistici utili a valutare se un determinato farmaco ricorra più spesso del previsto nelle segnalazioni di un certo evento avverso, i quali hanno permesso di isolare i dieci farmaci più frequentemente utilizzati e segnalati.

Il grafico a torta comprendente i principali farmaci associati a miocardite (A) e pericardite (B). Credit: Myung Yang e Dong Keon Yon, Scientific Reports

Analizzando oltre 35.000 segnalazioni di miocardite e quasi 25.000 di pericardite in cui un farmaco era indicato come “sospetto” o “interagente” con la condizione sviluppata, è stata osservata una prevalenza maggiore nei maschi e nei giovani adulti, con tempo medio di insorgenza molto breve – mediana di un giorno dall’assunzione – e una elevata tendenza alla guarigione, visto che come riportano gli autori il tasso di mortalità riscontrato è stato generalmente inferiore del 10%. Tra le segnalazioni con esiti fatali, inoltre, tre anticorpi monoclonali – pembrolizumab, ipilimumab e nivolumab – hanno mostrato quasi il 20% dei decessi nelle segnalazioni di miocardite. Particolare attenzione, invece, è stata dedicata ai vaccini a mRNA contro il Covid-19: sono il farmaco che più spesso è stato associato ad entrambe le infiammazioni cardiache dal 1968 al 2024, e il tutto con un Reporting Odds Ratio (ROR) – l’indicatore statistico che, se maggiore di 1, indica che un evento avverso viene riportato in associazione ad un farmaco più spesso del previsto – di 38,30 per la miocardite e 55,95 per la pericardite, nonostante valori decisamente più alti siano stati registrati per il vaccino contro il vaiolo.

Si tratta di risultati che «sottolineano l’importanza della vigilanza clinica e della valutazione dei fattori individuali di rischio», spiegano gli autori, aggiungendo al contempo che lo studio fornisce correlazione – e non causalità – con qualche limite: «In alcuni casi, gli eventi segnalati potrebbero essere attribuibili ad una infezione concomitante o recente piuttosto che principalmente al farmaco». Inoltre, continuano, il database si basa su segnalazioni spontanee, il che significa che potrebbero esistere incongruenze nelle definizioni dei casi e che quindi il numero di effetti avversi potrebbe essere sovrastimato, anche se d’altra parte è possibile che sia stata anche una sottostima dovuta a tutti quei casi dove il danno c’è stato ma non è stato segnalato. «La farmacovigilanza attiva avrebbe identificato tutti i segnali velocemente. Basta considerare che secondo alcune ricerche persino le segnalazioni su Eudravigilance – il database dell’Agenzia europea dei medicinali (EMA) – sono significativamente sottostimate», commenta invece Frajese. Chiaramente, vi è anche il limite dovuto ai dati osservazionali che variano di Paese in Paese, così come secondo gli autori sono anche variati «consapevolezza pubblica, attenzione dei media e sospetto clinico», tutt’altro che irrilevanti nella costruzione del dataset. In conclusione, quindi, un altro caso di studio scientifico che rileva dati tutt’altro che indifferenti ma con correlazione e non causalità, un fattore su cui Frajese ha le idee chiare: «Nessuno studia il nesso di causalità perché non ci sono i fondi e si rischiano tagli ai finanziamenti, visto che si tratta di un argomento ancora tabù. Per indagare bisogna avere la capacità e soprattutto la volontà di farlo senza preconcetti».

Nigeria, epidemia di colera uccide otto persone e ne infetta oltre 200

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Nel distretto di Bukkuyum, nello stato di Zamfara (Nigeria nord-occidentale), un’epidemia di colera ha causato almeno otto morti e oltre 200 contagi in 11 comunità rurali. La malattia, trasmessa dall’acqua, si diffonde rapidamente in un contesto segnato da scarsità di acqua potabile e carenza di strutture sanitarie. Villaggi come Nasarawa-Burkullu, Gurusu e Adabka risultano tra i più colpiti: molti malati sono curati in casa per mancanza di assistenza adeguata. Secondo il capo di Gurusu, Muhammad Jibci, tre persone sono decedute durante il trasferimento al Nasarawa General Hospital.

Treviso chiede verità per Danilo: colpito col taser e morto in carcere a 17 anni

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Si chiamava Danilo Riahi e aveva 17 anni. È morto in carcere quattro giorni dopo l’arresto, effettuato da agenti che lo hanno immobilizzato con un taser, la pistola elettrica in dotazione alle forze dell’ordine. Dopo un tentativo di fuga dalla polizia, il ragazzo è stato immobilizzato con l’arma e, al posto di venire portato subito in ospedale, sarebbe stato condotto presso il carcere per minori di Treviso. La versione ufficiale parla di un tentato suicidio, ma per gli attivisti sono molti gli interrogativi rimasti aperti. Il Collettivo Rotte Balcaniche e i centri sociali locali hanno organizzato per oggi un presidio, che si terrà fuori dal carcere di Treviso in via Santa Bona Nuova alle 19, per chiedere verità sulla morte del ragazzo.

Danilo era arrivato in Italia l’anno scorso dal Mediterraneo. Il ragazzo è stato arrestato il 9 agosto, a Vicenza, dopo vari tentativi di furto e una fuga dalla polizia. In «evidente stato di agitazione», è stato colpito dagli agenti armati di taser e condotto presso il carcere minorile di Treviso dove, subito dopo, avrebbe tentato il suicidio. È morto il 13 agosto all’ospedale Ca’ Foncello dopo quattro giorni in terapia intensiva, mentre fuori dalla struttura il questore Vicenza celebrava «il lavoro encomiabile» delle forze dell’ordine. «Come mai è stato portato in un carcere minorile invece che in un ospedale? È stato visitato dopo essere stato colpito con il taser? Cosa (non) è stato fatto per accertarne le condizioni di salute psico-fisica prima di rinchiuderlo in un carcere? Per quanto tempo è stato privo di sorveglianza mentre tentava il suicidio?». Sono queste le tante domande che il Collettivo Rotte Balcaniche, il Centro Sociale Django di Treviso e il Centro Sociale Arcadia di Schio hanno posto dopo la sua morte.

Gli interrogativi rimasti aperti, insomma, sono tanti. Per tale motivo oggi, alle 19, è stato organizzato un presidio davanti al carcere minorile di Treviso per chiedere «verità e giustizia» per Danilo: «Le autorità dovranno rispondere delle loro azioni e delle loro omissioni, perché troppi punti di domanda rimangono aperti», scrivono gli organizzatori; «Vogliamo sapere esattamente che cosa è successo al momento dell’arresto, in carcere, in ospedale, perché un ragazzo di diciassette anni è morto mentre si trovava sotto la custodia dello Stato. Dalla questura di Vicenza alla polizia penitenziaria di Treviso, fino agli operatori dell’ospedale: chi ha avuto un ruolo in questa vicenda deve assumersene la responsabilità».

Secondo le linee guida sull’utilizzo del taser, «dopo ogni utilizzo del dispositivo, indipendentemente dalle condizioni fisiche in cui versa il soggetto attinto, lo stesso deve rimanere sotto il costante controllo degli operatori di polizia e va richiesto l’intervento di personale sanitario che dovrà rilasciare apposita certificazione medica descrittiva»; questo significa che ogni volta che le forze dell’ordine colpiscono una persona con la pistola elettrica, questa deve essere visitata da personale medico-sanitario che deve rilasciare una certificazione scritta sul suo stato di salute. Allo stesso modo, quando una persona detenuta viene identificata come soggetto a rischio di suicidio, deve venire sottoposta a supervisione medica, controlli regolari, e rimanere osservazione e vigilanza.