domenica 7 Dicembre 2025
Home Blog Pagina 61

Nelle carceri italiane stanno aprendo le prime stanze dell’affettività

2

Nelle carceri italiane stanno aprendo le prime stanze dedicate ai colloqui intimi, in osservanza della sentenza della Corte Costituzionale che, quasi due anni fa, ha dichiarato illegittimo il divieto assoluto di affettività in carcere. Seguendo l’esempio degli istituti di Padova e Terni, il Lorusso e Cotugno di Torino si doterà, a partire dal primo novembre, di una stanza per gli incontri affettivi. Questi ultimi, proprio come per i colloqui, potranno essere richiesti dai detenuti una volta al mese, per una durata di un’ora. L’utilizzo del locale, privo della supervisione della polizia penitenziaria, è disciplinato da ordinanze interne che si rifanno alle linee guida del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP). Secondo quanto stabilito da quest’ultimo, non potranno accedere alla misura i reclusi sottoposti a isolamento sanitario o a regime di 41bis e coloro che hanno commesso durante la detenzione un’infrazione disciplinare o violato la legge, possedendo ad esempio microtelefoni o sostanze stupefacenti.

“L’ordinamento giuridico tutela le relazioni affettive della persona nelle formazioni sociali in cui esse si esprimono, riconoscendo ai soggetti legati dalle relazioni medesime la libertà di vivere pienamente il sentimento di affetto che ne costituisce l’essenza. Lo stato di detenzione può incidere sui termini e sulle modalità di esercizio di questa libertà, ma non può annullarla in radice”. Così si era espressa la Corte Costituzionale nel gennaio del 2024, con una sentenza che, richiamando la funzione educativa della pena, la serenità della famiglia e la salute psicofisica del detenuto, ha scardinato un tabù della società italiana: l’affettività in carcere. La sentenza, oltre ad avvicinare l’Italia a diversi Paesi europei, ha sancito che il detenuto ha il diritto di incontrare riservatamente non soltanto il coniuge, ma anche la parte dell’unione civile o la persona stabilmente convivente, riferendosi dunque anche alle coppie di fatto o omosessuali.

Il primo istituto penitenziario ad adeguarsi alla strada tracciata dalla Consulta è stato quello di Terni, seguito da Padova e Torino. Le stanze dedicate agli incontri intimi sono arredate con un letto e annessi servizi igienici, non sono chiudibili dall’interno e la sorveglianza del personale di polizia penitenziaria è limitata all’esterno del locale. L’accesso da parte dei detenuti è regolamentato da ordinanze interne, compatibili con le disposizioni del DAP. Quest’ultimo è stato criticato dal sindacato di polizia OSAPP per il suo lavoro «fulmineo nell’applicare la sentenza della Corte Costituzionale e nell’organizzare l’intimità con una velocità che stupisce».

Dagli ultimi dati disponibili, la platea di potenziali beneficiari dei colloqui intimi è di circa 17mila detenuti. Sono esclusi quelli sottoposti a regime di 41bis e coloro che sono stati sospesi con sostanze stupefacenti, telefoni cellulari e oggetti atti a offendere. Per chi ha commesso un’infrazione disciplinare l’accesso è inibito per almeno sei mesi. L’ultima previsione, come rilevato da una parte della dottrina, rischia di attribuire alla misura una funzione disciplinare: sospendere un diritto in caso di infrazione introduce infatti una logica premiale, quando non apertamente punitiva.

Fincantieri: l’azienda italiana di Stato si butta nel business dei droni di sorveglianza

2

Fincantieri, gruppo controllato dallo Stato e conosciuto per le sue navi militari e da crociera, ha firmato un’intesa strategica con la start-up italiana Defcomm, fondata dall’imprenditore Federico Zarghetta e specializzata nei droni per il settore marittimo, per accelerare lo sviluppo di unità navali autonome e droni di superficie destinati a missioni di sorveglianza, pattugliamento e raccolta dati. Il messaggio è chiaro: l’Italia non solo si riaffaccia sul mercato globale dei sistemi senza equipaggio, ma lo fa attraverso una società pubblica radicata nel tessuto economico nazionale, aprendo nuovi scenari industriali e politici.

L’accordo prevede un cofinanziamento per accelerare la produzione delle piattaforme navali sviluppate da Defcomm, mezzi che – secondo quanto dichiarato da Fincantieri – hanno già superato test di lunga durata. I droni potranno operare in modo completamente autonomo, oppure, essere controllati a distanza, e saranno integrabili sulle unità navali del gruppo. L’obiettivo è duplice: servire clienti italiani e stranieri e, allo stesso tempo, rafforzare la cosiddetta “sovranità tecnologica” del Paese. Il progetto rientra nella più ampia strategia di modernizzazione della cantieristica nazionale, che punta sempre più verso la produzione militare e la difesa avanzata. Il nodo critico è evidente. In un momento in cui il dibattito pubblico in Italia si interroga sulla crescita della spesa militare e sul ruolo delle aziende di Stato nel settore della difesa, la mossa di Fincantieri segna un’ulteriore accelerazione verso una visione in cui sicurezza e industria diventano strettamente intrecciate. Non si tratta solo di innovazione tecnologica: è un segnale politico. L’Italia vuole inserirsi nella catena produttiva mondiale della sorveglianza marittima, un comparto che supera la costruzione navale tradizionale e tocca questioni geopolitiche, economiche e morali.

La presenza dello Stato in questa scelta industriale ne amplifica la portata e le responsabilità. Da un lato, lo sviluppo interno di tecnologie autonome rappresenta un passo verso una maggiore indipendenza strategica e un rafforzamento dell’apparato industriale nazionale, dall’altro, evidenzia una tendenza ormai consolidata: la progressiva concentrazione di risorse pubbliche e competenze nel settore militare, a scapito di altri ambiti essenziali come la sanità, la ricerca civile o l’istruzione. La scelta di Fincantieri si inserisce in una strategia che privilegia la sicurezza e la difesa come assi portanti dello sviluppo economico. Questo modello, che intreccia sempre più strettamente Stato e industria bellica, rischia di ridefinire le priorità del Paese, orientandolo verso una logica di potenziamento militare e controllo tecnologico. La sfida per l’Italia sarà quella di mantenere un equilibrio tra innovazione, autonomia e responsabilità sociale, evitando che la corsa alla sicurezza diventi un motore esclusivo di crescita a discapito della dimensione civile e democratica.

 

Siria: il Regno Unito rimuove HTS dalle organizzazioni terroristiche

0

Il governo britannico ha rimosso Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), il gruppo che ha guidato il rovesciamento dell’ex presidente Bashar al-Assad lo scorso dicembre, dalla sua lista di organizzazioni terroristiche. HTS è stato inserito nella lista di organizzazioni terroristiche del Regno Unito nel 2017 perché affiliato ad Al Qaeda. La scelta britannica ha lo scopo di avvicinare il Paese al nuovo governo siriano, guidato proprio dal leader di HTS, Al Sharaa. Essa segue un’analoga misura presa dagli USA lo scorso luglio.

Perdite di quasi mezzo miliardo: Elkann si prepara a vendere Repubblica e La Stampa

6

Dopo anni di cure dimagranti, John Elkann, patron di Stellantis e della holding Exor, cassaforte della famiglia Agnelli, sembra pronto a lasciare gli ultimi pezzi editoriali pregiati: le testate La Repubblica e La Stampa. Le trattative sono ben vive, con potenziali compratori già allo studio. Per La Stampa, la cui vendita appare in fase più avanzata, è in piedi da tempo una trattativa con il Gruppo Nem guidato da Enrico Marchi. Per Repubblica, invece, è allo studio una proposta greco-saudita del gruppo guidato da Kyriakos Kyriakou. A spingere verso la cessione sono i conti in rosso: le perdite accumulate ammontano a quasi mezzo miliardo, un dato che supporta quelle che in molti ritengono essere le intenzioni dell’imprenditore di disfarsi dei due giornali.

Alta è la preoccupazione dei giornalisti dei due quotidiani. Mercoledì 15 ottobre, in un comunicato, l’assemblea delle giornaliste e dei giornalisti di Repubblica ha affermato di seguire «con grande attenzione le insistenti indiscrezioni riguardanti la cessione di attività del gruppo Gedi e dello stesso quotidiano». I giornalisti hanno proseguito ritenendo «fondamentale chiarire che, a prescindere dall’esito di qualsivoglia trattativa, Repubblica è anzitutto un patrimonio delle sue lettrici e dei suoi lettori, un presidio di informazione autonoma e critica, fondamentale nel sistema democratico del Paese. La proprietà del gruppo Gedi – hanno concluso – deve sapere che il nostro giornale può essere in vendita, ma non sarà mai in vendita il nostro giornalismo».

Allo stesso modo, il 18 ottobre il Cdr de La Stampa ha pubblicato un comunicato: «Le voci sulla possibile cessione de La Stampa e la sua eventuale separazione dal gruppo Gedi creano allarme e grande preoccupazione nelle redazioni. In gioco c’è infatti il destino di centinaia di posti di lavoro giornalistici e non». L’assemblea di redazione, «dopo un approfondito dibattito e nell’intenzione di poter lavorare senza ulteriori destabilizzazioni», ha chiesto un incontro con la proprietà, «perché sia l’azionista Exor a chiarire la situazione e a fornire le necessarie garanzie e prospettive». Il Cdr ha messo in chiaro che «questa o qualunque altra proprietà dovranno garantire gli attuali livelli occupazionali, la conferma e lo sviluppo dei progetti in cantiere o già in essere e gli investimenti necessari a sostenere il nostro lavoro in uno scenario sempre più competitivo».

Gli eloquenti numeri sembrano spiegare la determinazione di Elkann. Il quadro è drammatico: Repubblica, il giornale fondato da Eugenio Scalfari, ha perso, solo nel 2024, oltre 191.000 lettori (-6 per cento), scendendo a 98.400 copie cartacee con una perdita del 10,7 per cento. La Stampa ne ha salutati quasi 313.000 (-15,8 per cento), precipitando a 60.300 copie. Il digitale non offre sollievo: Repubblica ha quasi dimezzato le copie (da 36.975 a poco più di 20.000). Il gruppo Gedi nel 2024 ha chiuso con 224 milioni di fatturato e 15 milioni di perdite. Secondo le stime più recenti, il valore de La Stampa si aggirerebbe intorno ai 50 milioni di euro, mentre il totale di Gedi varrebbe 118 milioni. Nel frattempo Elkann investe lontano da Torino e Milano, costruendo un portafoglio di investimenti internazionale e sovente orientato verso il lusso e i beni di alto valore: da Louboutin a Hermès, da Philips all’Economist.

Il posto delle fragole e la scure del TAV

0

La voce del fiume e del vento, un  lento cadere di foglie, il rosso, l’oro, le tinte brunite dell’autunno e lo splendore dei prati ancora verdi, disseminati di giallo tarassaco, in questa mattina che sa di primavera. Come ogni giorno, insieme a Gigio, il mio vecchio, amato cane, cammino lungo il sentiero che si dirama in mille varianti tra la fitta vegetazione del bosco fluviale. In questo che per me è diventato “il posto delle fragole”. ho visto, giorno dopo giorno, avvicendarsi le stagioni con i loro doni di fiori, frutti ed erbe. Ho colto la presenza furtiva degli animali della selva, la vita delle tane scavate in alto sopra il fiume, nella sabbia pietrificata. Dal folto dei rami le voci degli uccelli mi hanno raccontato di amori, nidi e addii; piccole, alate creature, merli, passeri, cinciallegre, tornate come sempre a svernare nei pruneti del fondovalle…

Accanto  alla selva, oltre il confine dei boschi, la campagna con i lavori agricoli, l’irrigazione dei prati nella canicola d’agosto, le fienagioni e il profumo del fieno, i voli dei corvi ed ora, dopo l’ultimo taglio dell’erba, le mucche al pascolo, ritornate dagli alpeggi alle stalle di pianura.

Bellezza, tenerezza che consola, e rabbia al pensiero che tutto questo può finire, inghiottito dalla grande, mala, inutile, costosissima opera che si chiama TAV.

Qui, proprio qui, su questa terra amata è previsto il raccordo tra la linea ferroviaria storica e la progettata linea ad Alta velocità Torino – Lyon, con un mastodontico ponte, nuovi fasci di binari, l’ennesima desertificazione, la stessa che ha devastato i castagneti e le foreste della Clarea ed ora scende lungo la Valle con i suoi cantieri di morte.

Oggi ho con me le mappe (reperite a fatica, da privati, perché neppure i Comuni vengono avvertiti dell’inizio ed entità degli interventi) dei futuri sondaggi geognostici, propedeutici all’inizio dei lavori sul territorio di Bussoleno. 

Ho portato anche la bandiera NO TAV , per piantarla sui terreni minacciati.

La bandiera sarà un grido, un segno di ribellione: la rassegnazione non abita questa Valle, perché nella resistenza del movimento NO TAV continuano a vivere la ragione e la forza della lotta partigiana e ridiventano attuali le istanze delle lotte operaie, sociali e ambientali del passato.

Lo sventolio della bandiera col treno crociato mi segue di lontano per un lungo tratto, mentre percorro la via del ritorno. 

Intorno, lo sguardo  si allarga alle case lungo la ferrovia e si alza alle frazioni – Falceagna, Pietrabianca, Lorano, Meisonetta – che costellano i pendii, fino alla cima del Rocciamelone già imbiancato dalla prima neve.  

Le montagne sembrano abbracciare, assorte e protettive, questo lembo di mondo che per noi è casa e vita.

Azerbaijan: rimossi i limiti al transito merci all’Armenia

0

L’Azerbaigian ha rimosso tutte le restrizioni al transito merci verso l’Armenia, e inaugurato la prima spedizione dal Paese verso Erevan. Il transito di merci azere in Armenia è stato interrotto verso la fine degli anni ’80, quando iniziarono a emergere le frizioni che portarono alla guerra del Nagorno-Karabakh. La scelta di rimuovere le restrizioni da parte dell’Azerbaijan segue un accordo di pace raggiunto lo scorso agosto, che istituisce un corridoio tra l’Azerbaijan e la regione di Nakhchivian, exclave azera in territorio armeno. L’accordo non è ancora stato ratificato, e presenta ancora diversi nodi da sciogliere, tra cui la richiesta dell’Azerbaigian di modificare la costituzione dell’Armenia.

L’UE prepara il 19esimo pacchetto di sanzioni e il blocco totale al gas russo

8

L’Europa chiude i rubinetti al gas russo. I ministri dell’Energia dell’Unione europea hanno approvato a maggioranza la proposta della Commissione UE per lo stop alle importazioni di gas e GNL da Mosca. La misura, destinata a entrare in vigore in più fasi, segna uno spartiacque nella politica energetica comunitaria: dal 1° gennaio 2026 sarà vietato stipulare nuovi contratti con la Russia, gli accordi a breve termine ancora in corso dovranno cessare entro il 17 giugno 2026, mentre quelli a lungo termine saranno definitivamente chiusi entro il 1° gennaio 2028. La serie di regole è stata rinominata dal ministro per il Clima danese, Lars Aagaard, “Pacchetto della libertà”, perché allontana le cancellerie europee dalla dipendenza energetica da Mosca.

La proposta di regolamento, spiega il Consiglio in una nota, costituisce un elemento centrale della tabella di marcia REPowerEU dell’UE: con questa decisione, l’UE compie un passo decisivo verso l’autonomia dalle forniture di Mosca: attualmente circa il 13% del gas consumato in Europa proviene ancora da Mosca. Solo Ungheria e Slovacchia si sono opposte, denunciando gravi rischi per la sicurezza energetica. I due Paesi senza sbocco sul mare stanno, infatti, lottando da tempo per mantenere le forniture russe esistenti. Da Budapest sono arrivate le critiche più dure: «Per noi l’approvvigionamento energetico non ha nulla a che fare con la politica. L’impatto reale di questo regolamento è che la nostra fornitura verrà uccisa. Non parlo dell’aumento dei prezzi. Parlo della sicurezza dell’approvvigionamento per le nostre famiglie», ha dichiarato il ministro degli Esteri Peter Szijjarto, presente a Lussemburgo per il voto, ribadendo che il Paese non intende rinunciare al gas russo senza alternative concrete. In risposta alla posizione ungherese, è intervenuto l’omologo polacco, Miłosz Motyka, che ha invitato a forme di “solidarietà europea” per sostenere le forniture di Budapest e Bratislava.

In due anni, i flussi energetici provenienti dalla Russia saranno chiusi, mentre Bruxelles si prepara a introdurre anche il 19° pacchetto di sanzioni contro il Cremlino. L’Alta rappresentante per la politica estera, Kaja Kallas, ha confermato che l’approvazione del nuovo pacchetto potrebbe arrivare «già questa settimana», segnando l’avvio di una fase di ulteriore pressione economica e politica nei confronti di Mosca, i cui risultati, lungi dalla retorica e dalle aspettative europee, tardano ad arrivare. Il pacchetto di sanzioni colpirà diversi settori: istituti bancari russi, piattaforme di criptovalute, profitti derivanti dall’export energetico e una “flotta ombra” del Cremlino attiva nell’elusione delle restrizioni. Per la Russia, la mossa rappresenta un colpo pesante nei confronti delle sue fonti di finanziamento e della capacità di esportare combustibili fossili verso l’Europa, con implicazioni che vanno al di là dell’energia per toccare l’ambito geopolitico e finanziario. Nel frattempo, Mosca ha reagito con una nota diplomatica rivolta all’Italia: «Non considerate di usare i nostri asset congelati», ha avvertito, segnalando che la contromisura potrebbe colpire interessi e beni russi all’estero. L’Europa appare dunque pronta a intensificare la pressione economica, ambientale e politica verso il Cremlino, proprio mentre sullo scacchiere globale si respira un’aria di distensione in attesa dell’incontro tra il presidente statunitense Donald Trump e il presidente russo Vladimir Putin.

Nonostante le sanzioni, la Russia non appare piegata come sperato da Bruxelles e Washington. L’economia di Mosca ha dimostrato una resilienza sorprendente, mostrando una tenuta maggiore del previsto: le sanzioni hanno imposto costi reali – il prodotto interno lordo russo è stimato essere circa il 10-12 % sotto la traiettoria prevista senza guerra e restrizioni. La caduta non ha, però, generato un collasso economico o il tracollo immediato dell’apparato statale: dopo una breve recessione nel 2022, l’economia russa ha registrato un boom nei due anni successivi e la ripresa nel 2023, i redditi in crescita, i salari reali ai massimi storici, la disoccupazione ai minimi e il controllo rigido dei flussi di capitale suggeriscono che Mosca ha saputo adattarsi. Sull’altro fronte, per l’Europa lo stop del gas russo comporta costi che rischiano di essere trasferiti sui consumatori: l’aumento della volatilità nei prezzi del gas è già documentato, con il benchmark europeo che si è attestato ben al di sopra dei livelli pre-crisi e con la dipendenza da fattori geopolitici e meteo più marcata che mai. La riduzione delle forniture e la necessità di importare GNL da Stati Uniti e Qatar a prezzi più elevati potrebbero spingere nuovamente verso l’alto le bollette energetiche. L’Italia, fortemente dipendente dal mercato spot e dalle infrastrutture di rigassificazione ancora limitate, rischia oscillazioni dei prezzi più marcate nei mesi invernali. Gli esperti avvertono che la transizione energetica non potrà compensare in tempi brevi la chiusura dei rubinetti russi. Così, mentre Mosca riorienta la propria economia e mantiene la leva energetica sul mercato globale, l’Europa si trova a fare i conti con l’altra faccia delle sanzioni: la prospettiva di un inverno più caro e un equilibrio energetico ancora fragile.

Slovacchia, condannato a 21 anni l’uomo che sparò al premier Fico

0

Il tribunale di Banská Bistrica, in Slovacchia, ha condannato a 21 anni di carcere per terrorismo Juraj Cintula, poeta 72enne che il 15 maggio 2024 aveva sparato al primo ministro Robert Fico, ferendolo gravemente. L’attentato avvenne a Handlová durante un incontro politico: Cintula esplose quattro colpi da circa un metro, colpendo Fico all’addome, all’anca, alla mano e al piede. Il premier fu dimesso dopo 16 giorni di ricovero. Il giudice Igor Kralik ha ritenuto l’imputato colpevole di terrorismo, avendo agito per ostacolare il governo. Cintula ha affermato di non voler uccidere Fico ma fermarne le politiche.

In Italia parte la mobilitazione contro la pistola taser della polizia

0

Un fronte di associazioni e cittadini ha lanciato un appello per la «immediata messa al bando» della pistola taser, definendola senza mezzi termini uno «strumento di tortura e crimine di pace». Contro la sua diffusione, sponsorizzata anche da rappresentanti del governo e proposta a singoli sindaci per la polizia locale, è nato un comitato nazionale che chiede una moratoria immediata di cinque anni e un radicale ripensamento delle strategie di ordine pubblico. Il movimento, che ha già avviato un “archivio/osservatorio” per documentare gli effetti dello strumento, contesta le motivazioni a suo favore, le giudica «del tutto infondate», affermando che l’uso del taser è una «roulette russa» che colpisce soprattutto le persone più vulnerabili. La richiesta di bando si inserisce in un progetto più ampio che punta a interventi «a basso/nullo impatto sanitario e psicosociale».

Il comitato basa la sua ferma opposizione su una serie di argomenti che metterebbero in luce i rischi letali e l’inaccettabilità etica dell’arma. «Quella principale è che la pistola taser viene usata contro persone di cui l’utilizzatore non sa nulla circa la eventuale condizione di vulnerabilità; questo è del tutto inaccettabile sul piano etico e dal punto di vista sanitario». Tale «uso “al buio”» viene paragonato a una «roulette russa», con un rischio di morte secondo il produttore dello «0.25% (un decesso su 400 persone colpite)», stima però considerata inaffidabile poiché proveniente da un «soggetto in conflitto di interessi». Il comunicato cita i casi italiani recenti, affermando che «negli ultimi mesi abbiamo purtroppo assistito in Italia al decesso di 4 persone dopo l’uso della pistola taser (Olbia, Genova, Reggio Emilia e Napoli)». Pur riconoscendo che una successione di eventi non prova automaticamente un nesso causale, il comitato sostiene che «la evidenza epidemiologica pare lampante» e che, per le persone vulnerabili, il taser può essere «la concausa determinante del decesso oppure la causa unica della morte». Oltre ai danni fisici, la «letteratura medica evidenzia anche effetti e postumi di tipo psicologico fino al disturbo post-traumatico da stress».

La proposta del comitato non si limita al divieto, ma chiede un cambio di paradigma. Il bando del taser deve essere inserito in una «strategia sistemica complessiva», propiziata da solide «linee guida», che miri a «interventi a basso o se possibile nullo impatto sanitario e psicologico». Questo nuovo approccio punta su «capacità di negoziazione, formazione del personale nel campo delle tecniche non violente» e su un uso della forza più proporzionato: «meglio un livido che una aritmia ventricolare mortale; ma se possibile dobbiamo evitare anche il livido». L’appello si conclude con una serie di richieste precise: al Presidente della Repubblica di aprire un dibattito per la «dismissione totale» del taser, investigare non solo gli operatori ma anche chi ha «”sdoganato” e legittimato la dotazione», e, in subordine, l’istituzione di una «moratoria totale, per tutti i corpi di polizia, per 5 anni».

Solo nell’ultimo periodo sono state almeno quattro le persone decedute in seguito all’utilizzo della pistola elettrica da parte delle forze dell’ordine: il caso più recente è quello di Anthony Ihaza Ehogonoh, colpito dai carabinieri lo scorso 6 ottobre col taser nella sua abitazione – in evidente stato di agitazione – dopo la segnalazione di una lite in famiglia e deceduto in ambulanza. Prima la stessa sorte era toccata a Claudio Citro, 41 anni, morto a Reggio Emilia il 15 settembre, a Gianpaolo Demartis, 57 anni, anche lui spirato durante il trasporto in ambulanza, a Olbia, dopo essere stato fermato in stato di agitazione e sotto effetto di droghe, e ad Elton Bani, 41 anni, morto a Manesseno (Genova), dopo essere stato colpito dal taser per tre volte. Poche settimane prima era toccato a Riccardo Zappone, 30 anni, deceduto il 3 giugno in ospedale a Pescara poco dopo l’arresto. In molti casi le indagini sono ancora aperte: secondo quanto è stato fino ad ora reso noto, ad esempio, nel caso di Gianpaolo Demartis il consulente della procura di Tempio Pausania, Salvatore Lorenzoni, avrebbe escluso il taser come causa del decesso, ipotizzando invece una morte dovuta al consumo di droghe, ma per avere dei risultati certi è necessario attendere l’esame tossicologico, che dovrebbe arrivare a fine ottobre.

Il mese scorso, sull’utilizzo del taser è stata sollevata un’interrogazione parlamentare da parte del deputato di +Europa Riccardo Magi, il quale ha ricordato che l’ex Garante dei diritti delle persone private della libertà, Mario Palma, ha più volte raccomandato di utilizzare il taser solo come extrema ratio, mentre una Commissione ONU nel 2007 ne aveva addirittura evidenziato le potenzialità come strumento di tortura. A ciò si aggiungono preoccupazioni di carattere tecnico: le forze di polizia sarebbero dotate del modello Taser X2, che esperti e osservatori considerano «inadeguato rispetto ai più recenti standard tecnologici» sviluppati dalla stessa azienda produttrice, Axon. Nell’interrogazione, Magi ha ricordato che un’indagine giornalistica de l’Espresso ha recentemente rivelato come il Ministero dell’Interno sarebbe da tempo a conoscenza di tali criticità, tant’è che un appalto per 4.780 nuovi taser è stato bloccato dopo che alcuni dispositivi hanno mostrato malfunzionamenti durante i test di gara.

Dalle parole ai fatti: L’Indipendente passa a Banca Etica

10

L’Indipendente è diventato socio di Banca Etica, trasferendo presso questo istituto tutti i propri conti. In linea con i princípi del consumo etico che da sempre costituiscono un pilastro tra i valori del nostro giornale, abbiamo deciso di trasformare in azioni concrete i buoni intenti. Sin dal principio della nostra attività ci siamo infatti dedicati a denunciare la complicità di banche e istituti finanziari con il settore bellico e dell’industria fossile. In un contesto simile, l’arma che abbiamo in mano, come cittadini, per opporci a queste politiche è una: decidere come spendere e dove mettere i nostri soldi. D’altronde, il movimento BDS lo ha dimostrato chiaramente: il boicottaggio economico funziona e costringe i potenti a riorientare le proprie scelte. Perchè proprio Banca Etica? Perchè è l’unico ente, nel panorama italiano, a dare garanzie sull’eticità delle proprie scelte.

Nata nel 1999, Banca Etica è una banca popolare cooperativa il cui impegno è stato sin da subito quello di creare un istituto di credito basato unicamente sui princípi della finanza etica: tra questi, trasparenza, partecipazione e attenta valutazione degli impatti non economici delle attività economiche. Per garantire ai propri soci la fedeltà a tali valori, Banca Etica pubblica sul proprio sito l’elenco completo dei finanziamenti concessi a organizzazioni e imprese, oltre a un Report d’Impatto annuale nel quale vengono misurati impatti sociali e ambientali di tutti gli attivi della banca e di tutti i crediti erogati.

Nel 2025, gli istituti finanziari nel mondo hanno destinato quasi mille miliardi di dollari all’industria della difesa. Soldi appartenenti alla società civile, in buona parte contraria alla retorica bellicista e guerrafondaia dei governi odierni. E tuttavia, grazie a politiche favorevoli e normative opache, le banche possono decidere di investire nei settori più remunerativi – come quello della guerra, o dei combustibili fossili – senza dover rendere conto ai propri clienti. Le banche italiane non sono esenti da questo schema: come una nostra inchiesta vi ha mostrato, istituti quali Intesa San Paolo o Unicredit traggono profitti miliardari da questi settori. Poco importa se questi enormi flussi di denaro scorrano grazie al sangue versato dai palestinesi, dai curdi o di qualsiasi altra popolazione nel mondo sia vittima della violenza armata.

In questo contesto, Banca Etica fa una scelta diversa: l’industria degli armamenti rientra tra i settori categoricamente esclusi da finanziamenti e investimenti, così come quella delle fonti fossili, preferendo piuttosto investire in progetti che supportino non solo l’energia rinnovabile, ma anche il risparmio energetico, la protezione della biodiversità e il contenimento dei rifiuti. Nel 2009, insieme ad altre banche etiche europee, l’istituto fonda la Global Alliance for Banking Values (GABV), rete indipendente di istituti nel mondo impegnati a seguire i principi della finanza etica, che nel 2024 (su proposta proprio di Banca Etica) ha sottoscritto il Manifesto per una finanza di pace, schierandosi a lato di tutte le persone che lavorano per la pace e a sostegno dei popoli vittime di conflitti armati.

La banca è poi impegnata a escludere qualsiasi tipo di finanziamento diretto a tutte quelle attività che violano i diritti umani e dei lavoratori, che emarginano le minoranze o discriminano intere categorie, agli allevamenti intensivi e agli esperimenti su soggetti non tutelati o animali, alla mercificazione del sesso e al gioco d’azzardo. Tutti settori sui quali anche L’Indipendente, con inchieste, interviste e articoli, punta a tenere alta l’attenzione.

Come già avvenuto con la nostra guida Boicottare Israele, il nostro intento è quello di essere un giornale che, oltre a denunciare le malefatte di governi e potenti, agisce concretamente per muovere il mondo verso una direzione diversa. Dimostrando così ai nostri lettori che, nonostante le difficoltà che questo può comportare, si può essere coerenti con quello che si racconta.