Oltre 100 persone sono morte a causa dell’alluvione che negli scorsi giorni ha colpito un villaggio vicino alle rive del lago Tanganica, nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo (RDC). Lo hanno riferito funzionari locali. Le inondazioni si sono verificate tra giovedì e venerdì, quando piogge torrenziali e forti venti hanno causato l’esondazione del fiume Kasaba. Le autorità locali hanno affermato che l’area colpita era accessibile solo tramite il lago Tanganica e non era coperta dalla rete di telefonia mobile, il che potrebbe ritardare gli sforzi di soccorso umanitario.
Stati Uniti e Cina annunciano il raggiungimento di un primo accordo sui dazi
Stati Uniti e Cina hanno annunciato stamane la stipula di un accordo storico per la riduzione reciproca dei dazi doganali, segnando un’importante svolta nelle relazioni commerciali tra le due maggiori economie mondiali in un momento assai critico. L’intesa, raggiunta dopo intensi negoziati a Ginevra, prevede che, da mercoledì 14 maggio, Washington e Pechino sospenderanno per 90 giorni una parte dei loro dazi doganali punitivi. Secondo quanto confermato dal Segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent, le tariffe saranno ridotte di oltre 100 punti percentuali, portando l’aliquota di base al 10%. Una mossa che rappresenta un’inversione di rotta rispetto all’approccio aggressivo adottato in precedenza dall’amministrazione Trump, che aveva innalzato i dazi fino al 145%, provocando ritorsioni da parte di Pechino.
Le informazioni sull’effettiva portata dell’accordo sono ancora lacunose, ma ciò che sappiamo con certezza è contenuto in una dichiarazione congiunta rilasciata alla stampa, in cui si legge che il governo della Repubblica Popolare Cinese e quello statunitense si impegnano ad adottare una serie di azioni «entro il 14 maggio». In primis, gli USA «modificheranno l’applicazione dell’aliquota aggiuntiva ad valorem sui dazi doganali di origine cinese (inclusi quelli delle regioni speciali di Hong Kong e Macao), sospendendo 24 punti percentuali di tale aliquota per un periodo iniziale di 90 giorni, mantenendo al contempo la restante aliquota ad valorem del 10% su tali articoli». Contestualmente, la Cina «modificherà l’applicazione dell’aliquota aggiuntiva ad valorem sui dazi doganali sugli articoli degli Stati Uniti», sospendendo «24 punti percentuali di tale aliquota per un periodo iniziale di 90 giorni e mantenendo al contempo la restante aliquota aggiuntiva ad valorem del 10% su tali articoli», adottando inoltre «tutte le misure amministrative necessarie per sospendere o rimuovere le contromisure non tariffarie adottate nei confronti degli Stati Uniti dal 2 aprile 2025». Nel testo si scrive che, successivamente, le parti «istituiranno un meccanismo per proseguire le discussioni sulle relazioni economiche e commerciali», che «potranno svolgersi alternativamente in Cina e negli Stati Uniti, o in un Paese terzo, previo accordo tra le Parti». Se necessario, inoltre, USA e Cina «potranno condurre consultazioni a livello operativo su questioni economiche e commerciali pertinenti».
L’annuncio ha avuto un impatto immediato sui mercati finanziari, con i futures statunitensi in rialzo di oltre il 2%. L’indice Hang Seng di Hong Kong è salito di quasi il 3% e i benchmark in Germania e Francia sono entrambi aumentati dello 0,7%. Intervenuto dopo i colloqui con i funzionari cinesi a Ginevra, il Segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent ha affermato che «entrambi i Paesi hanno rappresentato molto bene i loro interessi nazionali» e aggiungendo che le parti in causa hanno «interesse a un commercio equilibrato», con gli Stati Uniti che «continueranno a muoversi in quella direzione». «Ci auguriamo che gli Stati Uniti continuino a collaborare con la Cina per incontrarsi a metà strada sulla base di questo incontro, correggere radicalmente la pratica errata degli aumenti tariffari unilaterali, rafforzare costantemente la cooperazione reciprocamente vantaggiosa, mantenere uno sviluppo sano, stabile e sostenibile delle relazioni economiche e commerciali tra Cina e Stati Uniti e iniettare congiuntamente maggiore certezza e stabilità nell’economia mondiale», ha dichiarato invece un portavoce del ministero del Commercio cinese.
In questa fase, gli Stati Uniti appaiono dunque intenzionati a portare avanti trattative mirate con alcuni dei Paesi che, almeno a parole, erano stati colpiti dai dazi annunciati da Trump. Negli scorsi giorni, gli USA hanno siglato un intesa con il Regno Unito che ha azzerato i dazi fissati al 25% su acciaio e alluminio, mentre quelli sulle auto sono stati ridotti al 10% (tariffa base che rimane per tutti i Paesi). «Grazie alla nostra lunga storia e alla nostra fedeltà reciproca, è un grande onore avere il Regno Unito come nostro PRIMO annuncio», ha scritto lo scorso 8 maggio Donald Trump sul suo social Truth. «Seguiranno molti altri accordi, attualmente in fase avanzata di negoziazione!», ha aggiunto.
La svolta storica dei curdi è ufficiale: il PKK si scioglie e abbandona la lotta armata
Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) ha annunciato lo scioglimento e la fine della lotta armata. La notizia arriva a seguito della dichiarazione finale del 12° congresso del partito, convocato dallo storico leader Abdullah Öcalan con una lettera dal carcere. La soluzione raggiunta dal partito ricalca quanto richiesto dallo stesso Öcalan: superare la retorica «ultranazionalista» di costituire uno Stato curdo in favore di una riorganizzazione «democratica» in cui curdi e turchi possano vivere sotto la stessa bandiera. Con la dichiarazione giunge così a compimento il più grande tentativo di riconciliazione mai avviato tra Turchia e PKK, in quella che è una delle più longeve lotte per la liberazione degli ultimi decenni.
Il Congresso del PKK si è tenuto dal 5 al 7 maggio, in due diverse sedi. Agli incontri hanno partecipato 232 delegati, che hanno discusso temi quali «la leadership, i martiri, i veterani, l’esistenza organizzativa del PKK e il metodo per porre fine alla lotta armata e costruire una società democratica». Alla chiusura del congresso, sono stati preannunciati lo scioglimento e l’abbandono delle armi da parte del PKK, confermati oggi, lunedì 12 maggio, con la pubblicazione della dichiarazione ufficiale. Con essa, il partito ripercorre la propria storia di lotta sin dalle origini, spiegando come, a partire dalla nuova apertura dei dialoghi, sia emersa l’esigenza di superare la prospettiva tradizionale del nazionalismo curdo, puntando piuttosto a realizzarne i principi all’interno della stessa Turchia. «Il PKK ha rotto la politica di negazione e anti-demolizione, ha portato il problema curdo verso una soluzione e ha completato la sua missione storica», si legge nella dichiarazione.
Con lo scioglimento del partito, il popolo curdo «costruirà la propria organizzazione in tutti i campi sotto la guida delle donne e dei giovani, si organizzerà con le proprie lingue, le proprie identità e le proprie culture su basi sufficienti, potrà difendersi dagli attacchi e costruire una vita democratica e comunitaria con lo spirito di mobilitazione», prosegue la dichiarazione. Non sono ancora chiare le modalità con cui verranno portati avanti questi obiettivi, ma perché ciò avvenga occorre che «il leader Apo [ndr. nome con cui viene chiamato Öcalan] gestisca e diriga il processo» e che vengano assicurati «il riconoscimento dei diritti della politica democratica e una sana garanzia legale» al popolo curdo. Per tale motivo, l’Assemblea Nazionale della Turchia ricopre un ruolo cruciale di «responsabilità storica», e con essa tutte le istituzioni civili, politiche e religiose, verso cui il PKK ha lanciato un appello. Su questa stessa base, il PKK ha esteso l’appello anche ai movimenti internazionali.
L’annuncio del PKK arriva al termine di un processo di riapertura dei dialoghi iniziato nella fine del 2024. Tutto è partito con un’apertura da parte di Devlet Bahçeli, leader del Partito del Movimento Nazionalista, il più grande alleato esterno del presidente turco. Bahçeli ha chiesto a Erdoğan di aprire un colloquio con Öcalan per porre fine al conflitto, che durava da oltre trent’anni, suggerendo la possibilità di liberare il fondatore del PKK in cambio di un suo eventuale ordine di deporre le armi. A dicembre, è stato ufficialmente rotto l’isolamento del leader del PKK, che ha ricevuto una visita di due deputati di DEM, il principale partito curdo del Paese. I colloqui si sono così fatti sempre più serrati, fino a quanto il 27 febbraio, dal carcere, Öcalan ha lanciato uno storico annuncio in cui ha chiesto a tutte le firme curde di abbandonare le armi e indire un congresso per deliberare uno scioglimento. Poco dopo, il PKK ha annunciato un cessate il fuoco temporaneo e organizzato il congresso richiesto da Öcalan.
Il conflitto tra Turchia e popolo curdo va avanti da 40 anni e ha causato circa 55.000 morti. Esso ha ampie ripercussioni sull’intera regione mediorientale, e in particolare sulla Siria, dove dodici anni fa è iniziata la rivoluzione del Rojava con la rivolta della città di Kobane. Il Kurdistan è infatti una regione montuosa compresa tra Turchia, Siria, Iraq e Iran. I curdi costituiscono il più vasto popolo senza nazione al mondo (sono circa 30 milioni) e non sono riconosciuti dalla Turchia, che fino agli anni ’90 li chiamava “turchi di montagna”.
Gaza, raid israeliani causano almeno 29 morti in 24 ore
Nelle ultime 24 ore, sono almeno 29 i palestinesi rimasti uccisi negli attacchi israeliani effettuati a Gaza, mentre altri 94 sono rimasti feriti. Lo ha attestato il Ministero della Salute dell’enclave, che ha aggiunto che nei giorni scorsi sono stati recuperati anche quattro corpi di persone uccise in precedenti raid. Secondo quanto affermato dal ministero in una dichiarazione su Telegram, i massacri israeliani nella Striscia hanno causato la morte di 52.862 persone e il ferimento di altre 119.648 dal 7 ottobre 2023. Da quando Israele ha violato il cessate il fuoco il 18 marzo di quest’anno, almeno 2.749 palestinesi sono stati uccisi e altri 7.607 sono rimasti feriti..
Giovedì si svolgeranno i primi colloqui di pace diretti tra Russia e Ucraina
Brusca accelerata diplomatica nel percorso per cercare di porre fine alla guerra in Ucraina. Sabato, il presidente ucraino Zelensky aveva proposto a Putin un cessate il fuoco senza condizioni della durata di 30 giorni a partire da oggi, lunedì 12 maggio. Putin ha risposto ieri con una controproposta: un incontro diretto da tenersi giovedì prossimo a Istanbul. Kiev ha reiterato la propria richiesta di iniziare la tregua oggi, ma, dopo le esortazioni di Trump, ha accettato: «Sarò in Turchia questo giovedì 15 maggio e mi aspetto che anche Putin venga in Turchia. Personalmente», ha scritto Zelensky in un post su X. Malgrado le tensioni inziali, insomma, il colloquio a Istanbul dovrebbe tenersi, anche se ancora si attendono le risposte di Trump e Putin.
La proposta di tregua di Zelensky è arrivata sabato 10 maggio dopo un incontro tenutosi a Kiev tra il presidente ucraino e i leader di Francia, Germania, Polonia e Regno Unito. In seguito al vertice, i rappresentanti dei vari Stati hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui annunciano la loro proposta per un cessate il fuoco «pieno e incondizionato a partire da oggi». Nella dichiarazione, i leader suggeriscono che «qualora la Russia rifiutasse un cessate il fuoco completo e incondizionato, dovrebbero essere applicate sanzioni più severe ai suoi settori bancario ed energetico, con particolare attenzione ai combustibili fossili, al petrolio e alla flotta ombra», e annunciano di avere già concordato il 17° pacchetto di sanzioni dell’UE contro la Russia, da coordinare con le sanzioni imposte dal Regno Unito e dalla Norvegia, nonché dagli «Stati Uniti». Alla prima proposta di Kiev, è seguita quella di Putin, che ha avanzato l’ipotesi di riesumare i colloqui diretti a Istanbul «senza alcuna precondizione». «La Russia è pronta a condurre negoziati seri con l’Ucraina: l’obiettivo è eliminare le cause profonde del conflitto», si legge in un comunicato riportato dall’agenzia di stampa statale russa TASS. «Putin non ha escluso l’ipotesi di un accordo di cessate il fuoco durante i negoziati con Kiev».
Il presidente turco Erdogan ha accettato di buon grado la proposta di Putin, e ha invitato le parti a riprendere i colloqui «da dove si erano interrotti» nel 2022. In un primo momento, dopo la controproposta russa, l’Ucraina sembrava volere accettare la ripresa dei colloqui solo a condizione che prima venisse implementato il cessate il fuoco di 30 giorni. Questa richiesta era inizialmente sostenuta dall’inviato speciale degli USA per la questione Ucraina, Keith Kellogg, ma dopo una dichiarazione di Trump sembrano essere cambiate le cose: «L’Ucraina dovrebbe accettare immediatamente. Almeno saranno in grado di determinare se un accordo è possibile o meno, e se non lo è, i leader europei e gli Stati Uniti sapranno a che punto è la situazione e potranno procedere di conseguenza», si legge nel post di Trump. Qualche ora dopo, è arrivata la risposta affermativa di Zelensky a Putin. La Russia non si è ancora espressa sulla possibilità di istituire un cessate il fuoco temporaneo a partire da oggi, ma per come stanno le cose ora sembra che i colloqui si dovrebbero svolgere a prescindere dall’entrata in vigore della tregua. Resta ignoto anche chi prenderà parte ai colloqui.
Bangladesh, bandite le attività del partito della deposta premier
Il governo ad interim del Bangladesh ha vietato tutte le attività della Lega Awami, il partito politico di Sheikh Hasina, l’ex premier deposta l’anno scorso in seguito alle proteste studentesche. La decisione del governo arriva dopo un moto di protesta guidato dal National Citizen Party, partito studentesco nato dalla rivolta dello scorso anno. Il partito di Hasina è stato messo fuori legge sulla base delle leggi antiterrorismo del Paese, per questioni di sicurezza nazionale.
Iran-USA: continuano i colloqui sul nucleare
Si è concluso il quarto round dei colloqui tra Iran e Stati Uniti sullo sviluppo nucleare di Teheran. «Colloqui difficili ma utili per capire meglio le rispettive posizioni e per trovare ragionevoli e realistici modi per affrontare le differenze», ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri, Email Baghaei. Sul tavolo c’è la fine delle sanzioni americane, da subordinare a un contenimento del programma nucleare iraniano. I colloqui proseguiranno, fanno sapere fonti vicine a entrambe le delegazioni.
Papa Leone XIV, primo Regina Coeli: “mai più la guerra”
Centomila fedeli riuniti a Piazza San Pietro per il primo Regina Coeli di Papa Leone XIV. «Nell’odierno scenario drammatico di una terza guerra mondiale a pezzi, come più volte detto da Papa Francesco, mi rivolgo anche io ai grandi del mondo, ripetendo un appello sempre attuale: mai più la guerra», ha detto il nuovo Pontefice. Invocato il cessate il fuoco a Gaza, il soccorso umanitario alla stremata popolazione civile e la liberazione di tutti gli ostaggi. Appello per «una pace autentica, giusta e duratura in Ucraina» e per il raggiungimento di un accordo durevole tra India e Pakistan.