USA, maltempo estremo nel weekend ha provocato 36 morti
In Toscana quattro vigili del fuoco potrebbero essere morti a causa degli PFAS
Quattro uomini, una stessa tragica diagnosi. Tra l’ottobre del 2022 e il dicembre 2023, Antonio Ralli, Mario Marraghini, Maurizio Ponti e Roberto Parlascino, vigili del fuoco operativi per anni nella caserma di Arezzo, sono morti per glioblastoma di IV grado, un tumore cerebrale raro. Una coincidenza inquietante, tanto più se si considera che la patologia colpisce in media solo 3-4 persone ogni 100mila abitanti. E ora le famiglie dei quattro pompieri vogliono vederci chiaro, chiedendo a gran voce risposte. Potrebbe infatti esserci un legame tra i decessi e l’esposizione agli PFAS, sostanze chimiche tossiche presenti in schiume antincendio e tute protettive da essi utilizzate.
Il caso, sollevato inizialmente dai quotidiani locali, ha presto guadagnato rilevanza nazionale, spingendo il Dipartimento centrale dei Vigili del Fuoco ad avviare un’indagine interna. Anche il sindacato Conapo ha rilanciato l’allarme, ricordando che già nel 2021 aveva sollecitato verifiche senza ottenere riscontri. Nel frattempo, il comandante provinciale Fabrizio Baglioni ha assicurato che gli equipaggiamenti attuali sono più sicuri, ma saranno analizzate le dotazioni utilizzate in passato per accertare eventuali contaminazioni da PFAS. Gli elementi sospetti sono molteplici. I quattro vigili avevano operato negli stessi anni e utilizzato le medesime attrezzature, tra cui schiume antincendio in uso fino al 2020 e divise protettive impermeabilizzate con PFAS, sostanze note per la loro tossicità. Recentemente, una ricerca americana su 135 pompieri aveva già rilevato elevati livelli di PFAS nel sangue, mentre l’International Agency for Research on Cancer (IARC) ha ipotizzato un possibile legame tra queste sostanze e i tumori cerebrali, sebbene abbia concluso che saranno necessari ulteriori studi.
Sul fronte istituzionale, il Ministero dell’Interno ha confermato l’avvio di accertamenti e ha annunciato che il caso sarà seguito con la massima attenzione. Saranno condotti monitoraggi ambientali e analisi del sangue su base volontaria, partendo dall’Emilia-Romagna per poi estendersi ad altre regioni, inclusa la Toscana. L’Università di Bologna collaborerà alle indagini epidemiologiche, mentre l’ARPA esaminerà aria e acqua nelle caserme della provincia di Arezzo. Nel frattempo, tre parlamentari del PD hanno presentato un’interrogazione per chiedere risposte rapide e trasparenti. Il sindacato Conapo, oltre a sollecitare uno studio epidemiologico, ha proposto l’istituzione di un registro nazionale delle malattie professionali per i vigili del fuoco, per monitorare in modo sistematico l’incidenza di patologie sospette legate all’attività operativa.
I PFAS sono sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche, sviluppate negli anni ’40, usate in settori strategici grazie alla loro stabilità e resistenza. Tuttavia, nei decenni successivi la ricerca scientifica ha svelato effetti tossici che li hanno associati a cancro, disturbi ormonali e altre malattie. Anche per questo, nel 2020 Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia hanno proposto all’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) di adottare un divieto non solo su alcuni specifici PFAS, ma su tutti i composti appartenenti a questa categoria chimica. Nonostante gli effetti dei PFAS siano noti da decenni, la battaglia a riguardo è ancora alle fasi iniziali. In Italia, negli ultimi anni, sono emerse numerose vicende controverse a riguardo, come la grave contaminazione di acqua potabile scoperta in Lombardia, gli esami effettuati ad Alessandria che hanno riscontrato una positività totale di PFAS nel sangue e anche come l’incredibile ammissione della Regione Veneto, che ha sospeso indagini epidemiologiche a riguardo per risparmiare. Una recente indagine chiamata “Forever Lobbying Project”, che ha coinvolto 18 esperti in 16 paesi e 46 giornalisti, ha attestato che i provvedimenti per limitare l’uso di PFAS sarebbero ostacolati dalle pressioni dei lobbisti dell’industria chimica e, anche se si fermasse improvvisamente la produzione, servirebbero comunque fino a 100 miliardi di euro l’anno per cancellarne gli effetti.
[di Stefano Baudino]
Trump bombarda gli Houthi per punirli del supporto ad Hamas e isolare l’Iran
Sale la tensione in Yemen, dove gli Stati Uniti hanno lanciato un vasto bombardamento, uccidendo almeno 53 persone e ferendone un centinaio. In risposta, il movimento yemenita degli Houthi ha colpito la portaerei statunitense Harry S. Truman, costringendola a fermare un attacco che si sarebbe abbattuto sul Paese. L’attacco degli USA arriva dopo che il movimento yemenita ha annunciato la ripresa del blocco del transito delle navi collegate a Israele nel Mar Rosso in sostegno alla Palestina. A ordinarlo è stato lo stesso presidente Trump, che con un post sul social Truth ha minacciato di «far piovere l’inferno» su di loro. Trump ha poi lanciato un messaggio all’Iran, intimandogli di «cessare immediatamente il supporto ai terroristi»; proprio l’Iran sembrerebbe uno degli obiettivi indiretti del presidente statunitense, che ha recentemente inviato una lettera a Teheran per ridiscutere la sua dottrina nucleare.
Gli attacchi degli USA agli Houthi sono stati ordinati da Trump nella serata di sabato 15 marzo. Ad essere prese di mira sono state diverse località dello Yemen. In totale, gli USA hanno eseguito più di 47 attacchi aerei, prendendo di mira la capitale Sana’a e le province di Ibb, Al-Bayda, Al-Jawf, Dhamar, Hajja, Ma’rib, Sa’da e Ta’izz. I bombardamenti hanno provocato danni in gran parte dell’area del Paese controllata dagli Houthi: nella capitale, sono stati segnalati almeno otto raid, uno dei quali ha colpito una zona residenziale, uccidendo almeno 15 persone; a Sa’da, colpita da una dozzina di raid, un attacco alla centrale elettrica di Dahyan ha causato un blackout; a Ta’izz, invece, è stato colpito un sito militare. In totale sono morte almeno 53 persone, ma il numero delle vittime non sembra ancora definitivo e continua a salire.
Ieri, in risposta all’offensiva statunitense, gli Houthi hanno condotto un’operazione contro la portaerei statunitense USS Harry S. Truman e le sue navi da guerra di accompagnamento nel Mar Rosso settentrionale, utilizzando un numero indefinito di droni, e 18 missili balistici e da crociera. Dopo la controffensiva, gli Houthi hanno rilasciato una dichiarazione per rivendicare l’attacco, annunciando che «affronteremo l’escalation con l’escalation» e avvertendo gli USA che eventuali attacchi non rimarranno senza risposta. Successivamente, gli USA hanno lanciato altri attacchi di minore intensità contro le località controllate dagli Houthi, e il movimento yemenita ha risposto attaccando nuovamente la portaerei USS Harry S. Truman, costringendo i caccia statunitensi decollati dalla nave a rientrare.
Nel suo post su Truth, Trump ha motivato l’attacco contro gli Houthi sostenendo che «hanno condotto una campagna incessante di pirateria, violenza e terrorismo contro navi, aerei e droni americani e di altri Paesi». Martedì 11 marzo, il gruppo ha rilasciato una dichiarazione in cui annunciava che, alla luce delle continue violazioni del cessate il fuoco a Gaza da parte di Israele e dell’interruzione della rete elettrica e dell’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia, avrebbero ripreso a pattugliare lo stretto di Bab al-Mandab, sul Mar Rosso, «ripristinando il divieto di passaggio per tutte le navi israeliane». Prima degli attacchi statunitensi, comunque, non si erano registrati movimenti ostili degli Houthi nei confronti di navi israeliane.
Il post di Trump menziona anche l’Iran, che sembrerebbe un altro dei bersagli indiretti del presidente. Recentemente, gli USA hanno mandato una lettera a Teheran per riaprire il dialogo sul suo programma nucleare, intimando alla Repubblica islamica di rivederlo. L’obiettivo dichiarato del presidente era quello di «impedire all’Iran di acquisire armi nucleari» e «scongiurare una possibile azione militare»: «Ci sono due modi in cui l’Iran può essere gestito», aveva dichiarato Trump poco dopo l’invio della lettera. «Militarmente, o se si fa un patto. Io preferirei fare un patto». L’Ayatollah Ali Khamenei aveva definito la lettera un «inganno per l’opinione pubblica», sostenendo di non potersi fidare degli Stati Uniti e di non avere alcuna intenzione di dotare il Paese di testate nucleari; Khamenei aveva poi detto che non avrebbe negoziato con gli USA se questi avessero continuato ad assumere un atteggiamento «da bulli», riservandosi il diritto di rispondere a eventuali attacchi di Washington.
[di Dario Lucisano]
Ucraina, Zelensky sostituisce il Capo di Stato Maggiore
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha sostituito il Capo di Stato Maggiore dell’esercito del Paese, Anatoliy Barhylevych, nominando al suo posto Andrii Hnatov. Il ministero della Difesa ucraino ha spiegato che il cambio di vertice è avvenuto perché l’Ucraina sta «trasformando in maniera sistematica» le proprie forze armate, per «rafforzarne l’efficacia in combattimento». L’annuncio arriva in un periodo difficile per l’Ucraina, che sta perdendo sempre più terreno nella regione russa del Kursk, contro cui ha lanciato un’offensiva militare lo scorso agosto. Secondo mappe pubblicate recentemente dall’Ucraina, ora Kiev nella regione controllerebbe circa 110 chilometri quadrati contro i circa 1.400 del periodo di picco.
USA contro il divieto della Corte: trasferite 250 persone a El Salvador
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha ordinato il trasferimento di oltre 250 persone a El Salvador, andando contro un divieto imposto da una Corte federale. Per opporsi al divieto, che ha bloccato rimpatri e trasferimenti per due settimane, Trump ha fatto appello a un decreto del 1798, che gli permette di trasferire rapidamente i migranti ritenuti parte di una “invasione o incursione predatoria”. Secondo quanto riferiscono i media, tra le persone trasferite ci sarebbero membri di gang venezuelane e salvadoregne. L’agenzia di stampa Associated Press riporta che il governo degli Stati Uniti avrebbe concordato di pagare 6 milioni di dollari al governo di El Salvador per imprigionare 300 migranti.
Russia, le truppe avanzano nel Kursk
L’esercito moscovita continua a scacciare i soldati ucraini dalla regione russa del Kursk, restringendo sempre più l’area sotto controllo di Kiev. Ieri, le forze russe hanno dichiarato di aver conquistato le località di Rubanshchina e Zaoleshenka, distruggendo carri armati e attrezzature militari ucraine. Lo Stato maggiore di Kiev non ha commentato la presunta perdita degli avamposti. Oggi, tuttavia, ha pubblicato una mappa che mostra il progressivo arretramento delle proprie truppe, che ora controllerebbero circa 110 chilometri quadrati contro i circa 1.400 del periodo di picco. L’Ucraina ha inoltre confermato il ritiro da Sudzha, città chiave nella regione.
Gaza, 9 morti a Beit Lahia. In Yemen 31 morti per attacco USA
Continuano le violazioni israeliane del cessate il fuoco a Gaza, dove ieri almeno nove palestinesi sono stati uccisi in un attacco a Beit Lahia, nel nord della Striscia. Le vittime erano due giornalisti e una squadra di operatori umanitari, colpiti da un attacco aereo israeliano. Si tratta del raid più mortale dall’entrata in vigore del cessate il fuoco. Nel frattempo, è emerso anche il primo bilancio degli attacchi statunitensi e britannici in Yemen, che hanno colpito diverse località del Paese. Secondo le stime parziali del ministero della Salute di Sana’a sarebbero morte almeno 31 persone e almeno altre 101 sarebbero rimaste ferite.
Serbia, trecentomila in piazza contro il governo
Dopo giorni di marcia verso Belgrado, a quattro mesi dall’inizio delle proteste, gli studenti serbi hanno organizzato una massiccia manifestazione antigovernativa, alla quale hanno preso parte centinaia di migliaia di persone. La protesta si è svolta sotto lo slogan “15 per 15”, in ricordo dei civili morti dopo il crollo della tettoia della stazione di Novi Sad lo scorso 1 novembre. Vista la sempre maggiore partecipazione, gli studenti hanno alzato la posta in gioco e ora chiedono che a rispondere del disastro sia lo stesso presidente Vučić. Proprio in occasione delle proteste, il presidente ha rilasciato un messaggio televisivo: dopo aver presentato il bilancio di feriti e arresti di quella che i media stanno descrivendo come la più grande manifestazione mai avvenuta nel Paese, Vučić ha parlato della necessità di un «cambiamento», e ha aperto alla possibilità di indire elezioni, senza tuttavia annunciare propriamente le dimissioni.
Gli studenti, accompagnati da insegnanti e cittadini, hanno iniziato a marciare verso Belgrado almeno due giorni prima della manifestazione, che si è tenuta ieri, sabato 15 marzo. È difficile definire il numero esatto di presenti. Secondo fonti governative, la folla di dimostranti sarebbe arrivata a circa 107.000 persone, ma media e osservatori parlano di numeri almeno tre volte superiori. Alcuni giornali serbi parlano addirittura di una folla di oltre mezzo milione di persone. Nel corso della protesta, i dimostranti hanno osservato 15 minuti di silenzio per onorare le vittime del crollo della tettoia di Novi Sad. La manifestazione, inoltre, ha registrato qualche scontro che ha portato al ferimento di alcuni dei dimostranti e ad arresti. Secondo quanto dichiarato dal presidente Vučić, almeno 44 persone sarebbero rimaste ferite e 22 sarebbero state arrestate per aggressione alla polizia e violazione di proprietà. Vučić ha parlato anche della distruzione di centinaia di trattori. I manifestanti hanno accusato la polizia di avere fatto uso di cannoni sonori, accusa smentita dal presidente. I media serbi hanno pubblicato dei video a sostegno della vicenda.
Le richieste dei manifestanti serbi sono all’incirca le stesse che portano avanti da quattro mesi. In particolare, gli studenti, che guidano la protesta da mesi, hanno quattro richieste: la pubblicazione di tutti i documenti riguardanti la ristrutturazione della stazione ferroviaria di Novi Sad; l’incriminazione di tutti coloro che sono stati coinvolti nell’attacco a studenti e professori durante le loro proteste per il disastro e il loro licenziamento nel caso in cui si dimostri che si tratta di funzionari pubblici; la sospensione dell’incriminazione degli studenti arrestati durante le proteste; un aumento del 20% del budget per l’istruzione superiore. Tutte le richieste sono state accolte o accolte solo in parte. La documentazione segreta non è ancora stata pubblicata, funzionari pubblici come il sindaco di Novi Sad e il primo ministro hanno rassegnato le dimissioni, ed è in programma un aumento del budget per il ministero dell’istruzione. Col tempo e la partecipazione sempre più ampia, gli studenti hanno iniziato a chiedere anche le dimissioni di Vučić e la programmazione di nuove elezioni. In seguito alla protesta, Vučić è apparso in televisione, e ha lanciato un messaggio di parziale apertura nei confronti dei manifestanti. «Ora, le autorità devono cogliere il messaggio portato dalle persone che sono arrivate oggi nella capitale», ha detto il presidente. «Dobbiamo cambiare e cambiare tutto ciò che ci circonda». Vučić ha aperto alla possibilità di incontrare i manifestanti e di indire un referendum e nuove elezioni, rimanendo però vago sulla possibile data.
[di Dario Lucisano]