domenica 11 Maggio 2025
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UE, sanzioni a individui ruandesi per il coinvolgimento in Congo

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L’Unione Europea ha sanzionato nove persone e una raffineria d’oro legati al Ruanda e al movimento ribelle M23, a causa dell’avanzamento delle truppe ribelli nel Paese. Le sanzioni, nello specifico, prendono di mira il leader politico dell’M23, Bertrand Bisimwa, e alcuni comandanti dell’esercito ruandese, accusato di sostenere direttamente e indirettamente il movimento. Analoghe sanzioni sono state applicate anche al direttore esecutivo di Rwanda Mines, Petroleum and Gas Board, e alla raffineria Gasabo Gold Refinery di Kigali, che l’UE ha accusato di aver esportato illecitamente risorse naturali dal Congo. Il Ruanda, intanto, ha annunciato che romperĂ  le relazioni diplomatiche con il Belgio perchĂ© «schierato» nel conflitto con la RdC.

Uno studio fa luce sull’origine dei misteriosi impulsi cosmici che attraversano la Via Lattea

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Per circa dieci anni, gli scienziati hanno rilevato impulsi radio enigmatici provenienti dall’interno della Via Lattea, che si ripetevano ogni due ore e duravano tra i 30 e i 90 secondi. Ora, grazie all’analisi degli archivi dei telescopi e allo sviluppo di un nuovo metodo di identificazione, è stata individuata la loro origine: una coppia di stelle strettamente legate in un’orbita ravvicinata. La scoperta, descritta in uno studio sottoposto a revisione paritaria e guidato da ricercatori dell’Università di Oxford, è stata pubblicata sulla rivista Nature Astronomy. Si tratta di una novità che apre una nuova finestra sulla comprensione degli impulsi radio, spiegano gli autori, poiché fenomeni simili finora erano stati attribuiti solo alle stelle di neutroni, i densi resti di supernove: «Per la prima volta abbiamo stabilito quali stelle producono gli impulsi radio in una misteriosa nuova classe di “transitori radio a lungo periodo”. Grazie a questa scoperta, ora sappiamo che oggetti compatti diversi dalle stelle di neutroni sono in grado di produrre emissioni radio intense», commentano i coautori.

I segnali radio transitori non sono una novità nel panorama astronomico. Negli ultimi anni, per esempio, gli scienziati hanno individuato i Fast Radio Bursts (FRB), lampi di onde radio brevissimi e intensi, spesso provenienti da galassie lontane. I FRB sono eventi ancora poco compresi e talvolta si ripetono, ma differiscono significativamente dagli LPT, ovvero transienti radio di lungo periodo, che risultano molto più lunghi e meno energetici. Finora, i lunghi impulsi radio osservati nella Via Lattea erano stati attribuiti alle pulsar – stelle di neutroni che ruotano rapidamente e generano fasci di onde radio intermittenti – ma la coppia chiamata nel nuovo studio ILTJ1101 ha dimostrato che tale teoria è incompleta: gli LPT possono originarsi anche da sistemi binari come quello analizzato, che comprende una nana bianca – oggetto molto meno denso e con caratteristiche magnetiche differenti – e una nana rossa, il tipo di stella più comune del cosmo. Per svelare e confermare questo mistero, il team di ricerca ha utilizzato l’archivio del telescopio Low-Frequency Array (LOFAR), il più grande radiotelescopio europeo, sviluppando un nuovo metodo per identificare segnali di durata intermedia. L’autrice principale dello studio, la dott.ssa Iris de Ruiter dell’Università di Sydney, ha individuato il primo impulso analizzando dati del 2015 e, focalizzandosi sulla stessa regione di cielo, ha trovato altri sei segnali compatibili. Le osservazioni di follow-up, condotte con telescopi ottici avanzati come l’MMT in Arizona e l’Hobby-Eberly in Texas, hanno permesso di confermare la presenza di una nana bianca in orbita stretta attorno a una nana rossa, situata a 1.600 anni luce dalla Terra.

Secondo i risultati ottenuti, il moto reciproco delle due stelle – con un periodo orbitale di 125,5 minuti – coincide con la periodicità degli impulsi radio, il che ha spinto i ricercatori a formulare due ipotesi sulla loro origine: la fonte dei segnali potrebbe essere il forte campo magnetico della nana bianca oppure l’interazione tra i campi magnetici delle due stelle. Entrambe le teorie saranno approfondite quando sarà possibile osservare il sistema a raggi X durante un evento a impulsi, ha spiegato il coautore de Ruiter. In ogni caso, sottolinea il radioastronomo Kaustubh Rajwade dell’Università di Oxford, la scoperta offre nuovi elementi per comprendere gli LPT, che «stanno emergendo nei dati radio», e «ci dice qualcosa di nuovo sugli oggetti astrofisici estremi che possono creare l’emissione radio che vediamo».

[di Roberto Demaio]

Il ministro Urso annuncia un piano per collegare il settore auto a quello militare

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Tra le sempre piĂą pressanti discussioni sul riarmo, il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, ha annunciato un possibile piano per convertire le fabbriche del settore auto in industrie per la difesa. La crisi dell’auto, aggravata dalla transizione all’elettrico e dal disimpegno di Stellantis, impone secondo il governo una riconversione industriale che, dicono nell’esecutivo, potrebbe trovare nel comparto militare un’opportunitĂ  di crescita. «Siamo un governo responsabile», ha detto Urso, spiegando che l’obiettivo sarebbe quello di «mettere in sicurezza le imprese e tutelare i lavoratori» al Tavolo Nazionale Automotive. Eppure, si sono sollevate aspre critiche da parte di sindacati e forze di opposizione, le quali considerano il progetto di Urso come un preoccupante passo verso un’economia di guerra. Il piano sembra in fase di lavorazione, ma entro giugno dovrebbe essere presentato all’Unione Europea.

La strategia governativa punta sulla riconversione industriale per rispondere alla crisi del settore, colpito da un calo della produzione di autovetture del 63,4% nel mese di gennaio 2025 rispetto all’anno precedente, secondo i dati di Anfia. Presiedendo il Tavolo Automotive a Palazzo Piacentini, il ministro ha sottolineato come il comparto auto, con le sue componenti e le sue lavorazioni meccaniche, abbia da tempo affinitĂ  con il settore della difesa, promuovendo l’ottica del “dual use” (l’utilizzo delle stesse tecnologie per scopi civili e militari): «Un microchip può servire per un’auto o per un satellite, una scheda elettronica funziona sia in un veicolo urbano che in un elicottero, un cingolato muove un trattore come un blindato», ha detto. Urso ha annunciato che il piano sarĂ  dettagliato a giugno con la presentazione del «primo documento di strategia industriale dopo trent’anni». Intanto, ha confermato che dal 2025 al 2027 saranno investiti 2,5 miliardi di euro nel settore auto, di cui 1,6 miliardi solo nel 2025, destinati a contratti di sviluppo, accordi di innovazione e incentivi per veicoli di nuova generazione. Tuttavia, ha ribadito che l’Ecobonus non sarĂ  rinnovato, definendolo «inefficace» e proponendo un piano europeo per incentivi piĂą uniformi.

Il piano di Urso si inserisce nel piĂą ampio contesto del progetto “ReArm Europe”. Sponsorizzato dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, approvato a inizio marzo dal Consiglio Europeo e successivamente appoggiato dall’Eurocamera, esso prevede investimenti per 800 miliardi di euro nei prossimi quattro anni per la difesa, con gli Stati membri che potranno aumentare significativamente le spese militari senza incorrere nelle restrizioni del Patto di stabilitĂ  e crescita. Anche la Germania sta valutando la riconversione di impianti automobilistici alla produzione bellica, con Rheinmetall pronta ad acquistare uno stabilimento Volkswagen per la produzione di carri armati. In tale contesto, il piano di Urso potrebbe rappresentare un cambio di paradigma per l’industria del Belpaese. In Italia, Stellantis ha una lunga tradizione di collaborazione con il settore della difesa, con la sua divisione Iveco Defence Vehicles specializzata in veicoli militari. Inoltre, a ottobre 2024 è nata la joint venture Leonardo Rheinmetall Military Vehicles, con sede operativa a La Spezia, per lo sviluppo di veicoli da combattimento avanzati.

La reazione dei sindacati all’annuncio di Urso non si è fatta comunque attendere ed è stata tutt’altro che entusiasta. La Fiom-Cgil ha bocciato l’idea come «assurda dal punto di vista etico, industriale e occupazionale», mentre la Uilm l’ha definita «non realistica». PiĂą cauta la Fim-Cisl, favorevole a «cogliere opportunità», ma contraria alla chiusura di impianti per destinare risorse alla produzione bellica. Critiche aspre sono arrivate anche dalle opposizioni. Luana Zanella, capogruppo di Avs alla Camera, ha parlato di «trovata agghiacciante, priva di un vero ragionamento economico», mentre il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte ha definito la proposta «una follia», accusando il governo di voler trasformare l’Italia in un’economia di guerra per mascherare il fallimento della politica industriale.

Nel frattempo, Stellantis resta al centro dell’attenzione. Urso ha elogiato il gruppo per gli ultimi annunci diramati, tra cui quello sulla nuova produzione dei cambi per le auto ibride a Termoli e l’anticipo dell’avvio della produzione della 500 ibrida a Mirafiori, chiedendo al contempo «un’accelerazione sugli investimenti». I sindacati restano scettici, con la Fiom che ha avviato una raccolta firme negli stabilimenti per chiedere un piano di integrazione salariale. Nel frattempo, mercoledì 19 marzo il presidente John Elkann sarà ascoltato in Parlamento per chiarire le strategie future del colosso automobilistico.

[di Stefano Baudino]

Siria e Libano, scoppiano scontri tra truppe ed Hezbollah lungo il confine

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Lungo il confine tra Libano e Siria sono scoppiati scontri dopo che tre soldati siriani sono rimasti uccisi. Le truppe libanesi sono state dispiegate in gran numero nella zona. I media statali siriani, citando un funzionario del Ministero della Difesa, hanno affermato che l’esercito siriano ha bombardato «raduni di Hezbollah» lungo il confine. Il governo ad interim siriano ha accusato i combattenti di Hezbollah di aver attraversato il Libano nordorientale in Siria sabato, rapendo tre soldati e uccidendoli sul suolo libanese. Hezbollah ha negato qualsiasi coinvolgimento.

 

L’industria musicale intensifica la lotta contro l’archivio di internet

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Internet Archive (AI) è nota per i suoi preziosi progetti di conservazione del web, tuttavia i suoi interventi si estendono a tutto ciò che è digitale: dagli ebook alla sfera discografica, l’organizzazione non-profit si prefigge l’obiettivo di creare un archivio multimediale che possa resistere al trascorrere del tempo. Proprio un suo progetto musicale è però al centro di una disputa legale, con le principali lobby discografiche che chiedono un risarcimento che diventa ogni giorno sempre più salato e, potenzialmente, letale.

La causa in questione è stata avviata nell’agosto del 2023 per volontà di UMG Recordings, Capitol Records, Concord Bicycle Assets, CMGI, Sony Music Entertainment e Arista Music, ovvero le più potenti e influenti etichette discografiche del mondo. Soggetto del loro scontento è il Great 78 Project, un programma che Internet Archive aveva lanciato nel 2006 al fine di digitalizzare 3 milioni di tracce musicali reperite da vinili da 78 giri commercializzati tra il 1898 e gli anni Cinquanta. 

Secondo l’accusa, l’organizzazione starebbe violando le leggi sul copyright, danneggiando i profitti della vendita delle licenze ai servizi di streaming e promuovendo la diffusione gratuita di brani musicali nella speranza di ricevere un maggior flusso di donazioni. Dal canto suo, IA sostiene che il suo operato sia funzionale alla conservazione di sonorità che andrebbero altrimenti perse e che il pubblico di riferimento del suo progetto non coincida col consumatore occasionale che frequenta Spotify e affini.

La disputa sembra ancora lontana dal giungere a conclusione. Anzi, le case discografiche stanno aumentando la pressione su Internet Archive: Ars Technica evidenzia che, giovedì 6 marzo 2025, l’accusa avrebbe chiesto al giudice di aggiornare la lista delle canzoni considerate trafugate, facendo lievitare i costi di risarcimento richiesti all’accusato. Se la richiesta venisse accolta, il valore della riparazione finirebbe con l’ammontare a circa 700 milioni di dollari. Una somma che molti sospettano potrebbe mandare in bancarotta la non-profit.

Nel 2023, Internet Archive aveva dovuto risolvere con un accordo amichevole una causa omologa portata avanti dal mondo editoriale. I dettagli finanziari della faccenda non sono mai stati resi pubblici, tuttavia i carteggi rivelano che l’organizzazione abbia dovuto coprire “sostanzialmente” tutti i costi di cui si sono fatti carico i gruppi editoriali. All’epoca, si era però stimato che l’azione legale sarebbe potuta costare fino a 19 milioni di dollari, una cifra che, affidandosi ai dati raccolti da ProPublica, rappresentava circa la metà del budget 2019 della non-profit.

Lo scontro tra etichette discografiche e Internet Archive sta sviluppando un dibattito pubblico estremamente divisivo, con preoccupazioni che si estendono ben oltre al solo campo musicale. L’eventuale scomparsa di IA farebbe naufragare il progetto di archiviazione di internet, un servizio estremamente utile che aiuta a frenare l’avanzata del “link rot”, ovvero il decadimento e la scomparsa delle pagine oggi presenti sul web. Un problema suscita forse scarso interesse nel grande pubblico, ma che preoccupa storici, ricercatori e giornalisti.

Secondo il Pew Research Center, risulta ormai irreperibile il 38% delle web page pubblicate prima del 2013, il 23% dei contenuti giornalisti presenti online contengono link che si sono corrotti e il 54% dei rimandi di Wikipedia portano a portali che non esistono piĂą. Con la progressiva digitalizzazione della parola scritta, la distruzione di questi contenuti rischia di logorare la percezione e lo studio della storia recente, creando un vuoto le cui ripercussioni future sono difficili da stimare.

[di Walter Ferri]

Gaza: stallo nei colloqui di pace mentre Israele continua a violare il cessate il fuoco

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Proseguono senza sosta le violazioni da parte di Israele del cessate il fuoco a Gaza: nelle ultime ore, infatti, almeno tre palestinesi sono stati uccisi e altri tre feriti dopo raid aerei israeliani condotti nelle zone del centro e del sud della Striscia, secondo quanto riportato da giornalisti presenti sul posto. Gli attacchi seguono quelli dei giorni scorsi e, in particolare, il massacro portato a termine a Beit Lahia, nel nord della Striscia, nel quale sono rimasti uccisi tre giornalisti e una squadra di operatori umanitari. Quest’ultimo costituisce il raid piĂą mortale dall’entrata in vigore del cessate il fuoco, lo scorso 15 gennaio. Nel frattempo, i colloqui per passare alla fase due del cessate il fuoco sembrano in stallo: dopo aver mostrato apertura per la liberazione dell’ostaggio israelo-statunitense, Hamas ha infatti chiesto il rispetto degli accordi inizialmente concordati tra le parti, che prevedrebbero il ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia e l’implementazione di una tregua permanente. Israele e Stati Uniti hanno definito «inaccettabili» le condizioni poste da Hamas.

Corrispondenti di Al Jazeera a Rafah hanno denunciato questa mattina il bombardamento, da parte di un drone israeliano, di Al-Janina, cittĂ  a est di Rafah. Poco prima, l’agenzia di stampa Wafa ha riportato il bombardamento di un raduno di civili a Wadi Gaza. Gli attacchi, che costituiscono violazioni del cessate il fuoco in corso, avvengono nel pieno del mese sacro del Ramadan. Secondo quanto riferito da un giornalista di Al Jazeera, aggressioni come queste avvengono in maniera frequente nella Striscia di Gaza, dal nord dell’enclave fino a Rafah. Il Centro per la Protezione dei Giornalisti Palestinesi (PJPC) ha dichiarato che i giornalisti uccisi a Beit Lahia sabato 15 marzo stavano documentando i lavori di soccorso umanitario a favore delle persone colpite dagli attacchi israeliani. «Prendere di mira i giornalisti ostacola il flusso di informazioni» e costituisce un «crimine di guerra» scrive l’organizzazione, che invita la comunitĂ  internazionale a prendere provvedimenti contro questo tipo di violazioni. Nel mirino di Israele è finita ieri anche la giornalista Latifa Abdel Latif, arrestata ieri a Gerusalemme.

Il massacro di Beit Lahia è stato condannato con forza da Hamas, che ha commentato come questo, insieme alle «uccisioni indiscriminate» e ai «barbari attacchi in corso nella Striscia di Gaza», sancisca «la determinazione dell’occupazione a minare l’accordo di cessate il fuoco e sabotare intenzionalmente ogni opportunitĂ  di attuare pienamente l’accordo e finalizzare lo scambio di prigionieri», chiamando anche le Nazioni Unite e la comunitĂ  internazionale ad assumersi le responsabilitĂ  politiche di quanto sta accadendo. Le forze armate israeliane (IDF) hanno giustificato le uccisioni di Beit Lahia dichiarando che i giornalisti erano in realtĂ  «terroristi che operavano sotto copertura» in possesso di un drone «destinato a compiere attacchi terroristici contro le truppe dell’IDF che operavano a Gaza».

In questo contesto, i dialoghi sul cessate il fuoco faticano a fare progressi. Mentre infatti Hamas starebbe chiedendo il rispetto dei termini dell’accordo stipulato lo scorso 15 gennaio (mediato dall’amministrazione uscente di Joe Biden) e il passaggio alla seconda fase, Israele, con il supporto degli Stati Uniti, sembra voler forzare il movimento palestinese a proseguire con lo scambio di prigionieri senza mettere in atto la fase II, che prevedrebbe la fine totale delle ostilitĂ  e il ritiro israeliano dalla Striscia. In particolare, Israele starebbe cercando di far accettare ad Hamas una proposta presentata dall’inviato speciale degli Stati Uniti Steve Witkoff, che prevedrebbe il rilascio di 11 prigionieri ed estenderebbe la fase I dell’accordo di cessate il fuoco fino a metĂ  aprile, per negoziare successivamente le fasi di un cessate il fuoco permanente. Tuttavia, tale proposta sarebbe stata rifiutata da Hamas, che avrebbe definito il blocco messo in atto da Tel Aviv un «ricatto» finalizzato ad esercitare pressione sul gruppo. Israele ha infatti imposto, a partire dallo scorso 2 marzo, il blocco degli aiuti umanitari. A questo si aggiunge il taglio dell’elettricitĂ  disposto dal ministro dell’Energia e delle Infrastrutture Eli Cohen lo scorso 9 marzo, il quale ha causato l’interruzione del funzionamento di un impianto di desalinizzazione di cruciale importanza per la potabilizzazione dell’acqua. In questo contesto, secondo l’UNICEF, è messa a rischio la sopravvivenza di almeno un milione di bambini, oltre che del resto della popolazione. E la possibilitĂ  di vedere la fine del massacro si allontana sempre piĂą.

[di Valeria Casolaro]

USA, maltempo estremo nel weekend ha provocato 36 morti

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Alcune zone della Pennsylvania, di New York e degli stati del Medio Atlantico e del Sud-Est sono stati colpiti nel fine settimana da violenti tempeste e sono ancora sotto osservazione da parte del National Weather Service. Il bilancio delle vittime è salito a 36 persone in sei diversi Stati. Il Missouri ha registrato il numero piĂą alto di decessi, 12 vittime in cinque contee. Il governatore Mike Kehoe ha dichiarato che nello Stato c’è ancora una persona dispersa. Le tempeste che hanno colpito il Sud e il Midwest si sono dirette verso est domenica, lasciando oltre 340mila persone senza corrente nel tardo pomeriggio.

In Toscana quattro vigili del fuoco potrebbero essere morti a causa degli PFAS

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Quattro uomini, una stessa tragica diagnosi. Tra l’ottobre del 2022 e il dicembre 2023, Antonio Ralli, Mario Marraghini, Maurizio Ponti e Roberto Parlascino, vigili del fuoco operativi per anni nella caserma di Arezzo, sono morti per glioblastoma di IV grado, un tumore cerebrale raro. Una coincidenza inquietante, tanto piĂą se si considera che la patologia colpisce in media solo 3-4 persone ogni 100mila abitanti. E ora le famiglie dei quattro pompieri vogliono vederci chiaro, chiedendo a gran voce risposte. Potrebbe infatti esserci un legame tra i decessi e l’esposizione agli PFAS, sostanze chimiche tossiche presenti in schiume antincendio e tute protettive da essi utilizzate.

Il caso, sollevato inizialmente dai quotidiani locali, ha presto guadagnato rilevanza nazionale, spingendo il Dipartimento centrale dei Vigili del Fuoco ad avviare un’indagine interna. Anche il sindacato Conapo ha rilanciato l’allarme, ricordando che già nel 2021 aveva sollecitato verifiche senza ottenere riscontri. Nel frattempo, il comandante provinciale Fabrizio Baglioni ha assicurato che gli equipaggiamenti attuali sono più sicuri, ma saranno analizzate le dotazioni utilizzate in passato per accertare eventuali contaminazioni da PFAS. Gli elementi sospetti sono molteplici. I quattro vigili avevano operato negli stessi anni e utilizzato le medesime attrezzature, tra cui schiume antincendio in uso fino al 2020 e divise protettive impermeabilizzate con PFAS, sostanze note per la loro tossicità. Recentemente, una ricerca americana su 135 pompieri aveva già rilevato elevati livelli di PFAS nel sangue, mentre l’International Agency for Research on Cancer (IARC) ha ipotizzato un possibile legame tra queste sostanze e i tumori cerebrali, sebbene abbia concluso che saranno necessari ulteriori studi.

Sul fronte istituzionale, il Ministero dell’Interno ha confermato l’avvio di accertamenti e ha annunciato che il caso sarà seguito con la massima attenzione. Saranno condotti monitoraggi ambientali e analisi del sangue su base volontaria, partendo dall’Emilia-Romagna per poi estendersi ad altre regioni, inclusa la Toscana. L’Università di Bologna collaborerà alle indagini epidemiologiche, mentre l’ARPA esaminerà aria e acqua nelle caserme della provincia di Arezzo. Nel frattempo, tre parlamentari del PD hanno presentato un’interrogazione per chiedere risposte rapide e trasparenti. Il sindacato Conapo, oltre a sollecitare uno studio epidemiologico, ha proposto l’istituzione di un registro nazionale delle malattie professionali per i vigili del fuoco, per monitorare in modo sistematico l’incidenza di patologie sospette legate all’attività operativa.

I PFAS sono sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche, sviluppate negli anni ’40, usate in settori strategici grazie alla loro stabilità e resistenza. Tuttavia, nei decenni successivi la ricerca scientifica ha svelato effetti tossici che li hanno associati a cancro, disturbi ormonali e altre malattie. Anche per questo, nel 2020 Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia hanno proposto all’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) di adottare un divieto non solo su alcuni specifici PFAS, ma su tutti i composti appartenenti a questa categoria chimica. Nonostante gli effetti dei PFAS siano noti da decenni, la battaglia a riguardo è ancora alle fasi iniziali. In Italia, negli ultimi anni, sono emerse numerose vicende controverse a riguardo, come la grave contaminazione di acqua potabile scoperta in Lombardia, gli esami effettuati ad Alessandria che hanno riscontrato una positività totale di PFAS nel sangue e anche come l’incredibile ammissione della Regione Veneto, che ha sospeso indagini epidemiologiche a riguardo per risparmiare. Una recente indagine chiamata “Forever Lobbying Project”, che ha coinvolto 18 esperti in 16 paesi e 46 giornalisti, ha attestato che i provvedimenti per limitare l’uso di PFAS sarebbero ostacolati dalle pressioni dei lobbisti dell’industria chimica e, anche se si fermasse improvvisamente la produzione, servirebbero comunque fino a 100 miliardi di euro l’anno per cancellarne gli effetti.

[di Stefano Baudino]

Trump bombarda gli Houthi per punirli del supporto ad Hamas e isolare l’Iran

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Sale la tensione in Yemen, dove gli Stati Uniti hanno lanciato un vasto bombardamento, uccidendo almeno 53 persone e ferendone un centinaio. In risposta, il movimento yemenita degli Houthi ha colpito la portaerei statunitense Harry S. Truman, costringendola a fermare un attacco che si sarebbe abbattuto sul Paese. L’attacco degli USA arriva dopo che il movimento yemenita ha annunciato la ripresa del blocco del transito delle navi collegate a Israele nel Mar Rosso in sostegno alla Palestina. A ordinarlo è stato lo stesso presidente Trump, che con un post sul social Truth ha minacciato di «far piovere l’inferno» su di loro. Trump ha poi lanciato un messaggio all’Iran, intimandogli di «cessare immediatamente il supporto ai terroristi»; proprio l’Iran sembrerebbe uno degli obiettivi indiretti del presidente statunitense, che ha recentemente inviato una lettera a Teheran per ridiscutere la sua dottrina nucleare.

Gli attacchi degli USA agli Houthi sono stati ordinati da Trump nella serata di sabato 15 marzo. Ad essere prese di mira sono state diverse localitĂ  dello Yemen. In totale, gli USA hanno eseguito piĂą di 47 attacchi aerei, prendendo di mira la capitale Sana’a e le province di Ibb, Al-Bayda, Al-Jawf, Dhamar, Hajja, Ma’rib, Sa’da e Ta’izz. I bombardamenti hanno provocato danni in gran parte dell’area del Paese controllata dagli Houthi: nella capitale, sono stati segnalati almeno otto raid, uno dei quali ha colpito una zona residenziale, uccidendo almeno 15 persone; a Sa’da, colpita da una dozzina di raid, un attacco alla centrale elettrica di Dahyan ha causato un blackout; a Ta’izz, invece, è stato colpito un sito militare. In totale sono morte almeno 53 persone, ma il numero delle vittime non sembra ancora definitivo e continua a salire.

Ieri, in risposta all’offensiva statunitense, gli Houthi hanno condotto un’operazione contro la portaerei statunitense USS Harry S. Truman e le sue navi da guerra di accompagnamento nel Mar Rosso settentrionale, utilizzando un numero indefinito di droni, e 18 missili balistici e da crociera. Dopo la controffensiva, gli Houthi hanno rilasciato una dichiarazione per rivendicare l’attacco, annunciando che «affronteremo l’escalation con l’escalation» e avvertendo gli USA che eventuali attacchi non rimarranno senza risposta. Successivamente, gli USA hanno lanciato altri attacchi di minore intensitĂ  contro le localitĂ  controllate dagli Houthi, e il movimento yemenita ha risposto attaccando nuovamente la portaerei USS Harry S. Truman, costringendo i caccia statunitensi decollati dalla nave a rientrare.

Nel suo post su Truth, Trump ha motivato l’attacco contro gli Houthi sostenendo che «hanno condotto una campagna incessante di pirateria, violenza e terrorismo contro navi, aerei e droni americani e di altri Paesi». Martedì 11 marzo, il gruppo ha rilasciato una dichiarazione in cui annunciava che, alla luce delle continue violazioni del cessate il fuoco a Gaza da parte di Israele e dell’interruzione della rete elettrica e dell’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia, avrebbero ripreso a pattugliare lo stretto di Bab al-Mandab, sul Mar Rosso, «ripristinando il divieto di passaggio per tutte le navi israeliane». Prima degli attacchi statunitensi, comunque, non si erano registrati movimenti ostili degli Houthi nei confronti di navi israeliane.

Il post di Trump menziona anche l’Iran, che sembrerebbe un altro dei bersagli indiretti del presidente. Recentemente, gli USA hanno mandato una lettera a Teheran per riaprire il dialogo sul suo programma nucleare, intimando alla Repubblica islamica di rivederlo. L’obiettivo dichiarato del presidente era quello di «impedire all’Iran di acquisire armi nucleari» e «scongiurare una possibile azione militare»: «Ci sono due modi in cui l’Iran può essere gestito», aveva dichiarato Trump poco dopo l’invio della lettera. «Militarmente, o se si fa un patto. Io preferirei fare un patto». L’Ayatollah Ali Khamenei aveva definito la lettera un «inganno per l’opinione pubblica», sostenendo di non potersi fidare degli Stati Uniti e di non avere alcuna intenzione di dotare il Paese di testate nucleari; Khamenei aveva poi detto che non avrebbe negoziato con gli USA se questi avessero continuato ad assumere un atteggiamento «da bulli», riservandosi il diritto di rispondere a eventuali attacchi di Washington.

[di Dario Lucisano]

Ucraina, Zelensky sostituisce il Capo di Stato Maggiore

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Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha sostituito il Capo di Stato Maggiore dell’esercito del Paese, Anatoliy Barhylevych, nominando al suo posto Andrii Hnatov. Il ministero della Difesa ucraino ha spiegato che il cambio di vertice è avvenuto perchĂ© l’Ucraina sta «trasformando in maniera sistematica» le proprie forze armate, per «rafforzarne l’efficacia in combattimento». L’annuncio arriva in un periodo difficile per l’Ucraina, che sta perdendo sempre piĂą terreno nella regione russa del Kursk, contro cui ha lanciato un’offensiva militare lo scorso agosto. Secondo mappe pubblicate recentemente dall’Ucraina, ora Kiev nella regione controllerebbe circa 110 chilometri quadrati contro i circa 1.400 del periodo di picco.