martedì 1 Luglio 2025
Home Blog Pagina 53

ONU: 300 milioni di persone soffrono di fame acuta

0

Al 2024 circa 300 milioni di persone si trovavano in uno stato di fame acuta: 14 milioni di persone in più rispetto al 2023, per un dato in crescita per il sesto anno di fila. Sono stati monitorati 65 Paesi, 53 dei quali risultati colpiti da una grave insicurezza alimentare, riguardante il 22,6% della popolazione. A diffondere i dati del Food Security Information Network (FSIN) è stata la Rete globale contro le crisi alimentari di Nazioni Unite, Unione europea e agenzie non governative.

La Colombia entra nella Via della Seta e allontana il Sudamerica dalla sfera di influenza USA

1

La Colombia di Gustavo Petro ha firmato questa settimana l’adesione alla “nuova Via della Seta” cinese, nell’ambito della quarta riunione ministeriale Cina-Celac (Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribenos), che comprende 33 Stati dell’America Latina e dei Caraibi, svoltasi a Pechino. La decisione rappresenta una svolta importante nella politica estera della Colombia, che negli ultimi decenni era stato un alleato chiave e affidabile degli Stati Uniti in America Latina, contribuendo così ad allontanare il continente sudamericano dalla sfera d’influenza statunitense. «La storia delle nostre relazioni estere sta cambiando. D’ora in poi la Colombia interagirà col mondo intero su un piano di uguaglianza e libertà», ha scritto su X il presidente colombiano Petro, la cui amministrazione è entrata in contrasto con il governo Trump. Mentre il capo della Casa Bianca era impegnato nel suo viaggio in Medio Oriente, dunque, la Cina era intenta a rafforzare i suoi legami commerciali con l’intera America Latina, annunciando un nuovo piano di investimenti del valore di 9,2 miliardi. L’accordo con la Colombia guarda proprio in questa direzione: come ha dichiarato Edwin Palma, Ministro delle Miniere e dell’Energia colombiano, «Non si tratta di una questione tra i due Paesi, ma di un piano importante che coinvolge la Cina e l’intera America Latina. Attraverso una cooperazione specifica, possiamo superare l’influenza esercitata dagli Stati Uniti sulla Colombia».

Palma ha dichiarato al giornale cinese Global Times che l’accordo garantirà alla Colombia maggiori opportunità nei trasporti e nel settore della connettività: «Faciliterà la crescita delle esportazioni del nostro Paese verso l’Asia, in particolare nelle aree in cui la Colombia ha potenziale. Soprattutto, questo guiderà lo sviluppo dell’economia del futuro», ovvero «l’economia basata sulla conoscenza», ha affermato. L’adesione alla nuova Via della seta (in inglese BRI, Belt and Road Initiative) inoltre, dovrebbe contribuire anche allo sviluppo dell’intelligenza artificiale, dei data center e delle infrastrutture interne. In particolare, la Cina potrebbe svolgere un ruolo importante nello sviluppo del sistema ferroviario della Nazione sudamericana, collegando diverse regioni del Paese, soprattutto le aree remote, come ha dichiarato il ministro dei Trasporti colombiano, Mamria Fernanda. All’evento che ha inaugurato la cooperazione commerciale tra Cina e Colombia, svoltosi mercoledì a Pechino, hanno partecipato circa 40 aziende cinesi, tra cui importanti società come Huawei, BYD e State Grid.

La cooperazione tra Cina e Colombia rappresenta un passaggio fondamentale nei rapporti tra Cina e America Latina e, in generale, è un passo avanti per lo sviluppo del cosiddetto Sud globale: «La Cina e i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi sono membri importanti del Sud del mondo. Indipendenza e autonomia sono la nostra gloriosa tradizione. Sviluppo e rivitalizzazione sono un nostro diritto intrinseco. E l’equità e la giustizia sono la nostra ricerca comune», ha affermato il presidente cinese durante il discorso di apertura del forum Cina-Celac. Con un implicito, ma chiaro riferimento, agli Stati Uniti, Global Times sottolinea come “La Cina e i paesi dell’America Latina e dei Caraibi hanno dimostrato, attraverso una cooperazione pragmatica, che l’America Latina non è il “cortile di casa” di nessuno, né un “campo di battaglia a somma zero” per la rivalità tra grandi potenze”. Oltre due terzi dei paesi dell’America Latina fanno già parte della BRI, l’enorme progetto infrastrutturale e commerciale annunciato dal presidente cinese Xi Jinping nel 2013 che prevede l’investimento di centinaia di miliardi di dollari per le infrastrutture in Africa, Asia e America Latina. L’obiettivo è quello di implementare il commercio globale secondo la logica cinese “win-win” su un piano di parità e nell’ottica del multilateralismo. La maggior parte delle nazioni occidentali, però, considera il progetto solamente in un’ottica di competitività sul piano dell’influenza che può esercitare sulla nazioni in via di sviluppo.

La Colombia di Gustavo Petro si è allontanata recentemente dall’orbita statunitense in seguito a contrasti con l’amministrazione Trump, avvenuti nelle prime settimane del nuovo governo USA: Bogotà aveva rifiutato di fare atterrare due aerei statunitensi con a bordo migranti colombiani espulsi dall’amministrazione statunitense. Come ritorsione, gli USA hanno imposto dazi del 25% e il governo di Petro era stato costretto a inviare aerei per recuperare i cittadini colombiani in territorio statunitense. Da quel momento il governo di Bogotà ha deciso di rivedere i suoi rapporti commerciali con Washington e non ha perso occasione per allacciare più strette relazioni con altri attori geopolitici internazionali come Pechino, aderendo alla BRI. Già nel 2024 gli scambi tra Cina e Colombia hanno raggiunto i 149,63 miliardi di yuan nel 2024, con un aumento del 13,1% rispetto all’anno precedente, mentre nei primi quattro mesi del 2025 hanno raggiunto il record di 48,34 miliardi di yuan (6,7 miliardi di dollari). La decisione di Petro rappresenta un chiaro segnale di discontinuità rispetto alla politica estera seguita fino a poco tempo fa dalla Colombia e un messaggio preciso all’amministrazione Trump sulle posizioni geostrategiche e commerciali che intende perseguire il governo colombiano. Una situazione che avvantaggia Pechino nel suo piano di espansione commerciale e di influenza politica sui Paesi della regione.

La Banca Mondiale si impegnerà a riparare i danni ambientali e sociali dei suoi progetti

0

La Banca Mondiale ha pubblicato per la prima volta un quadro normativo finalizzato a gestire e riparare i danni ambientali e sociali causati dai progetti finanziati attraverso le sue filiali dedicate al settore privato, prime fra tutte la International Finance Corporation (IFC) e la Multilateral Investment Guarantee Agency (MIGA). Entrambe queste realtà sono note per finanziare iniziative che, in diversi casi, hanno avuto ripercussioni negative sulle comunità o l’ambiente. Con il nuovo Remedial Action Framework, pubblicato ad aprile, la Banca Mondiale intende facilitare il processo di riparazione. Ma le criticità non mancano. A partire dal fatto che il quadro non si applica ai casi passati e non stabilisce chi dovrà effettivamente risarcire i danni.

La Banca Mondiale è da tempo oggetto di critiche per i danni sociali e ambientali generati dai progetti che sostiene e per la lentezza con cui affronta le denunce. Ad ogni modo, è una decisione storica. «Per la prima volta l’IFC riceve un mandato chiaro: se un progetto che finanzia causa un danno, allora l’IFC deve fornire un rimedio», ha dichiarato a Mongabay Carla García Zendejas, direttrice del programma People, Land and Resources. L’IFC è stata più volte ritenuta negligente dal proprio meccanismo indipendente di valutazione, il Compliance Advisor Ombudsman (CAO). Un caso emblematico è quello della Salala Rubber Corporation in Liberia, e il relativo investimento in una piantagione di gomma, finanziata dall’IFC. Le indagini del CAO hanno confermato gran parte delle denunce dei residenti, tra cui acquisizioni irregolari di terre, violenze di genere, inquinamento delle acque e profanazione di tombe. Il CAO ha evidenziato come l’IFC non abbia consultato adeguatamente le comunità né valutato i rischi dell’investimento, raccomandando misure per rimediare alle violazioni. Tuttavia, in assenza di un quadro operativo per la riparazione, l’IFC ha fatto ben poco. Se non nulla.

Il nuovo quadro, tuttavia, non affronterà i casi passati, quindi, si applicherà esclusivamente a nuove denunce legate a nuovi progetti. In un’email a Mongabay, un portavoce dell’IFC che ha chiesto l’anonimato ha chiarito che il Remedial Action Framework si applica solo ai “piani d’azione gestionali futuri sottoposti al Board nell’ambito dei casi del CAO”. L’efficacia del nuovo quadro dipenderà quindi dalla sua applicazione nei nuovi casi. Il provvedimento non prevede nemmeno un risarcimento diretto da parte dell’IFC. Piuttosto, l’istituzione si impegna a far sì che le aziende private da essa finanziate offrano rimedi concreti alle comunità colpite. Un cambio di rotta importante dal punto di vista etico e procedurale, ma che non comporta un’assunzione di responsabilità finanziaria diretta da parte della Banca Mondiale per i danni causati dai soggetti privati beneficiari dei suoi fondi. Piuttosto, obbliga l’IFC a garantire che ci sia un piano di azione per il rimedio, che potrebbe includere misure da parte del soggetto privato finanziato. In altre parole, l’IFC dovrà assicurarsi che le aziende che finanzia abbiano meccanismi per affrontare e rimediare ai danni. Se non lo fanno, teoricamente l’IFC dovrebbe intervenire per garantire comunque una soluzione.

Per molti Paesi del Sud globale, la Banca Mondiale rappresenta un attore chiave nel finanziamento dello sviluppo sociale. Attraverso le sue branche private come l’IFC e la MIGA, finanzia direttamente aziende private, come multinazionali, società agricole, minerarie, infrastrutturali. I progetti da queste portate avanti possono però causare, e hanno già causato, danni sociali, quali espropri illegittimi, abusi e violenze. Risale a meno di anno fa il caso di un accordo mediato dal tribunale del Delaware tra l’IFC e alcuni attivisti honduregni che hanno subito violenze per mano delle forze di sicurezza presumibilmente legate alla Dinant Corporation, una società centroamericana di olio di palma a cui la Banca Mondiale aveva prestato 30 milioni di dollari nel 2009. L’IFC ha accettato di patteggiare e di pagare quasi 5 milioni di dollari in risarcimenti, senza alcuna ammissione di responsabilità. Storicamente, l’IFC non si è mai assunta responsabilità diretta quando eventi dannosi come questo si verificavano, sostenendo che era compito dell’azienda. Con il nuovo Remedial Action Framework, l’IFC deve assumere per la prima volta un dovere istituzionale. Una responsabilità operativa sì, ma non giuridica o finanziaria diretta in tutti i casi.

Oltre ai già menzionati danni alle comunità, una parte delle attività finanziate dalla Banca Mondiale può poi avere impatti negativi direttamente sulla biodiversità. Un’analisi dei progetti finanziati tra il 1995 e il 2014, pubblicata su Global Environmental Change, ha rivelato che le attività potenzialmente dannose tendono a collocarsi proprio in zone ad elevata biodiversità, come Biodiversity Hotspot, Key Biodiversity Areas e aree con alta concentrazione di specie minacciate a livello globale. In generale, non sono nemmeno emerse prove solide che le attività siano sistematicamente collocate per evitare la sovrapposizione con tali aree. I risultati sollevano quindi dubbi sull’efficacia delle misure ambientali adottate nel prevenire impatti diretti sulle aree ecologicamente più sensibili, nonché mettono in dubbio il ruolo di riferimento per le buone pratiche internazionali che la Banca Mondiale riveste. Con il nuovo quadro le cose cambieranno? È presto per dirlo.

USB: “Sciopero dei treni rimandato al 23 maggio”

0

Lo sciopero nazionale dei ferrovieri previsto per sabato 17 maggio è stato ufficialmente posticipato a venerdì 23. Lo ha annunciato Usb Lavoro Privato, spiegando che la decisione è arrivata per evitare disagi durante l’insediamento di Papa Leone XIV, previsto per domenica 18. «Un gesto di responsabilità», ha commentato la Commissione di garanzia, che aveva sollecitato la revoca per garantire la sicurezza e la libertà di circolazione. D’altra parte i sindacati ribadiscono che la protesta resta attiva e determinata, con al centro il rinnovo del contratto nazionale e la partecipazione dei lavoratori.

Kneecap: il gruppo rap nord-irlandese indagato dall’antiterrorismo perché sta con la Palestina

0

Negli ultimi giorni una band irlandese dell’Ulster sta occupando le prime pagine dei giornali di tutto il mondo, per ragioni che c’entrano poco con la musica e tanto con la Palestina. La questione risale allo scorso aprile, quando il trio hip-hop dei Kneecap si è esibito sui palchi del Coachella, uno dei festival musicali più importanti del mondo, lanciando critiche allo Stato di Israele e denunciando il genocidio in Palestina: «I palestinesi non hanno nessun posto dove andare nella loro stessa terra, e vengono bombardati dai cieli. Se non lo chiamate genocidio, come c***o lo chiamate?». Il discorso del trio, accompagnato dalla proiezione di frasi di denuncia nei confronti di USA e Israele, ha scatenato un’ondata di indignazione dal mondo della musica, che ha portato alla cancellazione di diversi appuntamenti della band in giro per il mondo. Poco dopo, si è espresso lo stesso Regno Unito, aprendo una indagine di terrorismo contro il trio per delle frasi pronunciate in passato in sostegno ai gruppi di resistenza palestinesi e libanesi e contro i parlamentari britannici.

La polemica che sta interessando i Kneecap è sorta dopo la loro esibizione sui palchi del Coachella, festival musicale che si tiene nell’omonima vallata californiana. Il Coachella è un festival annuale nato nel 1999, che dal 2001 a oggi ha acquisito sempre più popolarità, diventando una delle manifestazioni musicali più partecipate e seguite al mondo. L’edizione di quest’anno si è tenuta dall’11 al 13 aprile e dal 18 al 20 aprile e ha ospitato artisti noti su scala mondiale quali Lady Gaga, e i Green Day. Per dare un’idea della popolarità del palcoscenico, si pensi che già ora sono disponibili i biglietti per l’edizione del 2026 (che si terrà tra il 10 e il 12 aprile e tra il 17 e il 19 aprile), e che l’accesso ordinario a uno dei due fine settimana costa 549 dollari, con biglietti speciali che superano i 10mila dollari di prezzo. L’esibizione dei Kneecap si è tenuta in occasione del secondo fine settimana di festival.

«Gli irlandesi non troppo tempo fa erano perseguitati per mano dei britannici; ma non venivamo bombardati dai cazzo di cieli senza nessun posto dove andare», ha detto uno dei tre artisti, mentre sullo sfondo venivano proiettate frasi di denuncia contro Israele e Stati Uniti: «Fanculo Israele, Palestina libera», e «Israele sta commettendo un genocidio contro il popolo palestinese. Sta venendo permesso dal governo statunitense che arma e finanzia Israele nonostante i suoi crimini di guerra», recitavano queste ultime. Dopo l’esibizione della band, sui giornali di tutto il mondo è scoppiato il caos. In molti hanno iniziato a chiedere a Goldenvoice, organizzatrice del festival, di prendere le distanze dalle frasi dei Kneecap. Naturalmente le critiche sono arrivate anche agli stessi Kneecap, tanto che negli USA c’è chi, come Sharon Osbourne – produttrice e conduttrice televisiva – ha chiesto che venisse ritirato il visto lavorativo della band. L’agenzia di booking statunitense Independent Artist Group, che ha sponsorizzato i loro visti di lavoro negli Stati Uniti, ha annunciato di avere rescisso il contratto con il trio; in Germania e Inghilterra, invece, sono state cancellate almeno 3 date in cui dovevano esibirsi.

Proprio il Regno Unito è il Paese dove la polemica si è concentrata in maggior misura: dopo la forte ondata di critiche, infatti, l’antiterrorismo britannico ha fatto sapere di avere aperto una indagine contro la band per delle passate frasi. Di preciso, l’indagine riguarda due distinti episodi: il primo, di presunto inneggiamento a Hamas e a Hezbollah; il secondo un invito rivolto al pubblico a non fidarsi dei politici e a «sparare ai propri parlamentari locali». Quest’ultimo episodio ha sollevato parecchia indignazione nel Regno Unito facendo riemergere nel dibattito due casi di omicidio di politici risalenti al 2021. La band ha pubblicato un messaggio in cui sostiene che le frasi ripescate dall’antiterrorismo siano state decontestualizzate, prendendo le distanze dalle organizzazioni palestinese e libanese e scusandosi con le famiglie dei parlamentari uccisi. Poco dopo, il manager dei Kneecap, invitato a parlare alla televisione nazionale, ha ribadito la posizione della band: «questa storia non ha nulla a che fare coi Kneecap», ha dichiarato. «L’obiettivo di questa campagna è meramente quello di togliere forza agli artisti. Di dire alla prossima giovane band che non si può parlare di Palestina».

I Kneecap non sono nuovi a questo genere di uscite, ed è proprio sull’attivismo politico che hanno costruito parte della loro fama. Lo stesso nome del trio è volutamente provocatorio: Kneecap è infatti il termine inglese per “rotula” che a partire dagli anni ’70, nel contesto del conflitto nordirlandese, ha iniziato a venire utilizzato per quella pratica che in italiano definiamo gambizzazione. Con i musicisti si sono schierati diversi artisti che hanno condiviso una lettera aperta per difendere la loro libertà di espressione. I Kneecap, invece, hanno ribadito il loro sostegno alla causa palestinese, e hanno iniziato a diffondere sempre più contenuti di denuncia contro lo Stato di Israele.

Libia, migliora la situazione a Tripoli dopo il ritiro delle milizie

0

A Tripoli la situazione si sta lentamente normalizzando dopo i recenti scontri armati tra le forze del Governo di unità nazionale e le potenti milizie locali. Le parti in conflitto si sono ritirate nei rispettivi quartier generali e il traffico è tornato regolare. Le autorità confermano la de-escalation, ma avvertono dei rischi legati a sabotaggi e infiltrazioni ostili. I cittadini sono invitati alla vigilanza, specialmente nelle aree sensibili. Intanto, alcune proteste contro il governo sono state disperse con colpi d’arma da fuoco in aria. Rimangono pattuglie e controlli nei quartieri critici e nei pressi dell’aeroporto Mitiga.

L’Italia raggiunge il 2% della spesa per la Difesa, ma la NATO vuole di più

1

L’Italia ha raggiunto l’obiettivo NATO del 2% del PIL destinato alla difesa, come annunciato dal ministro Antonio Tajani durante un vertice in Turchia. Ma la soglia, stabilita nel 2014, potrebbe non essere più sufficiente: il nuovo segretario generale dell’Alleanza, Mark Rutte, spinge infatti per portare la spesa al 5%, suddivisa tra 3,5% per difesa e 1,5% per sicurezza. Tajani si dice aperto al dialogo, ma propone un approccio “3 più 2” più equilibrato. Nel 2024, 22 dei 32 membri Nato hanno raggiunto il 2%, rispetto ai soli tre del 2014. Polonia e Baltici superano il target, mentre Belgio e Spagna restano indietro. L’Italia ribadisce l’impegno per la sicurezza, anche in chiave infrastrutturale e cibernetica.

Nel corso del vertice tra ministri degli Esteri svoltosi ieri ad Antalya, il segretario generale dell’Alleanza, Mark Rutte, è tornato a ribadire che l’obiettivo del 2% «non è affatto sufficiente», in quanto in futuro saranno necessari «maggiori investimenti nei nostri requisiti militari di base e di ulteriori investimenti più ampi dedicati alla difesa, tra i quali le infrastrutture e la resilienza». Insistendo sulla necessità di «mantenerci al sicuro» e garantire la difesa da future aggressioni, Rutte ha dichiarato che «la maggior parte degli alleati è ora pronta a raggiungere l’obiettivo iniziale di spendere il 2% del PIL per la difesa quest’anno e molti hanno già annunciato piani per andare molto oltre».

Secondo quanto dichiarato dal ministro Crosetto, la soglia del 2% costituisce per l’Italia solamente «il punto di partenza», con l’obiettivo finale di assecondare le richieste dell’Alleanza e del presidente statunitense Donald Trump. Poco dopo il suo insediamento, infatti, Trump aveva chiesto che gli alleati arrivassero a spendere il 5% del PIL per il potenziamento del settore della difesa. Un obiettivo che l’Italia si affretta a raggiungere: per la prima volta nella storia, sotto la guida del governo Meloni, quest’anno il nostro Paese supererà la soglia dei 30 miliardi di spesa per il settore bellico, grazie soprattutto al taglio dei fondi per tutti gli altri ministeri.

Il summit svoltosi ieri costituisce comunque solamente un incontro preparatorio in vista del meeting ufficiale dell’Alleanza, previsto dal 24 al 26 giugno. Qui i Paesi renderanno conto nel dettaglio delle proprie manovre e dei piani di spesa per il riarmo.

Gaza, raffica di raid israeliani: almeno 54 morti nella notte

0

Sono almeno 54 le persone rimaste uccise nella notte nella Striscia di Gaza a causa di pesanti e prolungati bombardamenti dell’esercito israeliano. Lo ha riportato nelle ultime ore il quotidiano israeliano Haaretz. Nello specifico, le IDF hanno colpito le aree di Jabalya e Beit Lahiya, nel nord dell’enclave, dove è stata presa di mira una scuola da poco riconvertita in rifugio per i palestinesi sfollati. Lì i militari israeliani hanno anche effettuato vari arresti. Bombardamenti e raid anche ad Al Qarara, a nord di Khan Yunis, nel sud della Striscia, dove si sono verificati anche attacchi contro tende.

Più alberi, meno morti: perché il verde urbano può salvare milioni di vite

0

Aumentare le aree verdi nelle città non è solo una questione estetica o ambientale, ma una vera e propria strategia salvavita. Ad attestarlo è un nuovo studio della Monash University di Melbourne, che ha rivelato come incrementare del 30% la vegetazione urbana avrebbe potuto prevenire oltre un terzo delle morti globali legate a patologie aggravate dal caldo nel periodo compreso tra il 2000 e il 2019. In termini concreti, si parla di 1,16 milioni di vite potenzialmente salvate in vent'anni, grazie alla semplice presenza di più alberi, erba e piante nelle città. Lo studio non conferma soltanto i...

Questo è un articolo di approfondimento riservato ai nostri abbonati.
Scegli l'abbonamento che preferisci 
(al costo di un caffè la settimana) e prosegui con la lettura dell'articolo.

Se sei già abbonato effettua l'accesso qui sotto o utilizza il pulsante "accedi" in alto a destra.

ABBONATI / SOSTIENI

L'Indipendente non ha alcuna pubblicità né riceve alcun contributo pubblico. E nemmeno alcun contatto con partiti politici. Esiste solo grazie ai suoi abbonati. Solo così possiamo garantire ai nostri lettori un'informazione veramente libera, imparziale ma soprattutto senza padroni.
Grazie se vorrai aiutarci in questo progetto ambizioso.

Funivia del Faito, 25 indagati per la tragedia del 17 aprile

0

Sono 25 le persone indagate dalla Procura di Torre Annunziata per la caduta della cabina della funivia del Faito, costata la vita a quattro persone. Tra gli indagati figurano il presidente dell’Eav, Umberto De Gregorio, e referenti della ditta Franz Part, che curava la manutenzione. Le accuse, a vario titolo, sono di omicidio colposo, lesioni colpose e condotte omissive. A 14 tecnici viene contestato di aver attestato l’assenza di criticità nell’impianto prima della riapertura. Il 23 maggio verrà conferito l’incarico ai periti per gli accertamenti tecnici irripetibili.