Thailandia e Cambogia hanno concordato un cessate il fuoco immediato e incondizionato per fermare gli scontri armati iniziati il 24 luglio in una zona di confine contesa. L’intesa, mediata dalla Malesia e annunciata oggi, lunedì 28 luglio, nella residenza del premier malese Anwar Ibrahim vicino Kuala Lumpur, entrerà in vigore a mezzanotte (le 19 in Italia). I primi ministri Hun Manet e Phumtham Wechayachai si sono impegnati a proseguire il dialogo per una soluzione definitiva. Il conflitto, causato da una disputa storica su templi indù contesi, ha provocato oltre 30 morti e 180.000 sfollati.
Allarme PFAS nella Pedemontana veneta: rischio ambientale imminente
La Pedemontana veneta, una delle arterie viarie più importanti per l’economia del Veneto, è al centro di un grave allarme ambientale. Le agenzie ambientali Ispra e Arpav hanno infatti rilevato la presenza di sostanze perfluoroalchiliche PFAS nelle acque di scolo delle sue gallerie. La contaminazione, attribuibile all’uso di un accelerante di presa contenente PFBA, starebbe dunque minacciando l’ecosistema e le fonti idriche potabili di Vicenza e Padova. Il Ministero dell’Ambiente ha ricevuto una relazione tecnica di oltre 70 pagine, mentre la Regione Veneto ha attivato i controlli e segnalato il caso alla Procura. Il caso risulta ancora più emblematico dal momento che, proprio in Veneto, nel 2013 è stata scoperta la più grande contaminazione di una falda acquifera, che ha coinvolto oltre 350 mila cittadini in diverse province e portato al processo contro i dirigenti della ex Miteni, sfociato in numerose condanne in primo grado per danno ambientale.
Nello specifico, la questione è emersa in seguito a un esposto del Comitato Veneto Pedemontana Alternativa (Covepa), che un anno e mezzo fa ha sollecitato il Ministero dell’Ambiente a indagare sugli scarichi di acque di drenaggio provenienti dalle gallerie della superstrada. Dopo mesi di approfondimenti, il ministero ha chiesto un’indagine tecnico-scientifica. La relazione ha rivelato la presenza di PFBA (acido perfluoro-butanoico), un composto della famiglia dei PFAS, che ha contaminato le acque di falda. Il composto è stato utilizzato in fase di costruzione per accelerare la presa del calcestruzzo nelle gallerie di Malo e Sant’Urbano, e la sua demolizione, interrata nel terreno, avrebbe favorito la diffusione nel sottosuolo. «Le acque di drenaggio in uscita dalle gallerie di Malo e di Sant’Urbano rappresentano delle fonti, tuttora attive, di inquinamento da PFBA delle acque superficiali e sotterranee e, inoltre, il PFBA è individuabile come fattore di potenziale danno ambientale alle acque superficiali, in quanto suscettibile di incidere sullo stato ecologico delle stesse, nonché sullo stato di qualità delle acque sotterranee destinate ad uso potabile», ha scritto Ispra. L’istituto non ha rilevato ad ora un «danno o minaccia imminente di danno ambientale», ma una potenziale «minaccia imminente».
In risposta alla situazione, il gruppo del Pd in Consiglio regionale ha presentato una mozione urgente, con le parole della capogruppo Vanessa Camani che rimarcano i pericoli per la salute dei cittadini: «La Pedemontana rischia di avere anche un impatto sulla salute dei cittadini, in particolare del Vicentino e del Padovano». La Regione Veneto, pur ammettendo la gravità della situazione, ha fatto sapere che gli impianti di trattamento sono costantemente monitorati e che dal 2021 sono stati introdotti filtri a carboni attivi per ridurre la contaminazione. Tuttavia, le preoccupazioni persistono. Andrea Zanoni, consigliere regionale di Europa Verde, ha sollevato il problema già nel gennaio 2024, chiedendo interventi di bonifica e una risposta chiara sul coinvolgimento di Sis, il concessionario della superstrada. Lo stesso ha lamentato la mancanza di una risposta ufficiale. In un’intervista, Claudio Dogliani, amministratore delegato di Sis, ha difeso la sua azienda e negato che la contaminazione fosse causata dai materiali utilizzati per la costruzione della galleria, sostenendo che non ci siano prove che colleghino l’accelerante di presa al PFBA.
L’allarme sollevato è ancora più inquietante se si considera quanto accaduto in Veneto negli ultimi anni in relazione alla questione PFAS. La vicenda giudiziaria legata all’inquinamento da PFAS nella Regione è iniziata nel 2013 con la scoperta della contaminazione di una vasta falda acquifera che ha coinvolto circa 350mila cittadini nelle province di Vicenza, Verona e Padova. Tra il 2015 e il 2016, rilevazioni a campione spinte da associazioni ambientaliste hanno evidenziato livelli elevati di PFAS nel sangue dei residenti, portando nel 2018 alla dichiarazione dello stato di emergenza e all’istituzione di una zona rossa in 30 comuni, con divieto di utilizzo dell’acqua potabile. Uno studio dell’Università di Padova, pubblicato su Environmental Health, ha rilevato in quest’area un aumento di mortalità per malattie cardiovascolari e neoplastiche tra il 1985 e il 2018. A fine giugno si è chiuso in primo grado il processo contro gli ex dirigenti della Miteni di Trissino (Vicenza) per il disastro provocato dai PFAS, che ha visto la condanna di 11 imputati fino a 17 anni di carcere. Le pene inflitte hanno superato di vent’anni le richieste dell’accusa, arrivando complessivamente a 141 anni di carcere contro i 121 chiesti dalla Procura.
Lettera di 48 ex ambasciatori a Meloni: “L’Italia riconosca subito lo Stato di Palestina”
Dopo che, nel corso di un’intervista, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dichiarato che, per il momento, l’Italia non riconoscerà lo Stato di Palestina, in quanto la mossa potrebbe risultare «controproducente» per la causa palestinese stessa, 48 ex ambasciatori italiani hanno sottoscritto una lettera nella quale chiedono il governo di ripensare la propria posizione. Secondo i diplomatici, è urgente che il nostro Paese metta in atto una serie di misure, dall’interruzione dei rapporti con Israele al sostenere vere e proprie sanzioni, oltre ad un «immediato riconoscimento dello Stato di Palestina, in vista della Conferenza internazionale sull’attuazione della soluzione a due Stati», prevista per oggi all’ONU.
«Ci sono momenti nella storia in cui non sono più possibili ambiguità né collocazioni intermedie»: inizia così il testo della missiva indirizzata alla capo di governo dai 40 diplomatici in congedo, secondo i quali «ormai da molti mesi non ci sono più giustificazioni possibili o argomentazioni convincenti sulla condotta delle operazioni militari israeliane a Gaza». «Gli esecrabili attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023 non hanno più alcuna relazione, né quantitativa né qualitativa, con l’orrore perpetrato nella Striscia da Israele nei confronti della stragrande maggioranza di civili inermi, che non ha nulla a che vedere con il diritto di Israele all’autodifesa e che non è affatto improprio qualificare in termini di pulizia etnica, mentre la Corte Internazionale di Giustizia esamina gli estremi del genocidio». Per questo motivo, «non servono più le dichiarazioni», ma è necessario passare a fatti concreti: interruzione di ogni forma di cooperazione con Israele, sanzioni e riconoscimento formale dello Stato di Palestina,
In una intervista rilasciata lo scorso sabato 26 luglio a Repubblica, Meloni aveva dichiarato che riconoscere lo Stato palestinese quando questo esiste solo sulla carta potrebbe portare a pensare che il problema sia risolto, quando, in realtà, non lo è. «Quanto ho detto è la ragione per la quale essendo favorevolissima allo Stato della Palestina, non sono favorevole al suo riconoscimento a monte di un processo per la sua costituzione», ha dichiarato la presidente del Consiglio. Una posizione volta a mantenere ben saldo l’asse con l’alleato Netanyahu, nonchè in piena linea con la posizione statunitense sul tema. Intanto, nel mondo sono già 147 (su 193) i Paesi delle Nazioni Unite che riconoscono lo Stato di Palestina. A questi si dovrebbe aggiungere la Francia, come annunciato nei giorni scorsi dal presidente Macron.
Germania, treno deraglia a Riedlingen: 3 morti e diversi feriti gravi
Ieri sera, domenica 27 luglio, un treno regionale è deragliato nel sud della Germania, vicino alla città di Riedlingen, provocando la morte di tre persone e diversi feriti gravi. A bordo si trovavano circa 100 passeggeri quando almeno due carrozze sono uscite dai binari in una zona boschiva intorno alle 18:10. Le immagini mostrano i vagoni rovesciati, mentre i soccorritori operano tra i rottami per prestare aiuto. Le cause dell’incidente, avvenuto a circa 158 km da Monaco, restano sconosciute. Né la polizia federale né Deutsche Bahn hanno ancora rilasciato dichiarazioni ufficiali.
Israele sequestra nuovamente la nave della Freedom Flotilla, a bordo due italiani
A circa 50 miglia nautiche dalla costa di Gaza, la nave Handala, della Freedom Flotilla Coalition, il movimento che si batte per rompere l’assedio israeliano su Gaza, è stata fermata illegalmente e sequestrata dalle autorità israeliane. La nuova Freedom Flotilla è stata intercettata in acque internazionali e successivamente condotta fino al porto di Ashdod, dove l’equipaggio è stato fatto sbarcare e arrestato. L’imbarcazione, partita da Siracusa con a bordo 21 attivisti di 12 nazionalità, mirava a portare aiuti simbolici alla popolazione palestinese. L’equipaggio si trova ora di fronte a due possibilità: firmare e rientrare nel Paese di provenienza, oppure rifiutare e rimanere in stato di trattenimento in attesa di espulsione. Tra i fermati figurano anche due italiani: lo skipper barese Tony La Piccirella, che risulta ancora detenuto, e il giornalista siciliano Antonio Mazzeo, che dovrebbe essere rimpatriato.
Le forze israeliane hanno intercettato Handala alle 22:43 di sabato 26 luglio, mentre la nave si trovava a 49,1 miglia nautiche da Gaza, in acque internazionali. In un video condiviso sulle piattaforme social del gruppo si vedono i 21 attivisti seduti uno di fianco all’altro con le mani alzate e i giubbotti di salvataggio indosso, mentre le imbarcazioni israeliane si avvicinano alla nave umanitaria per fare salire un gruppo di circa dieci soldati tutti armati di fucile. Dopo essere stata fermata, la nave è stata condotta al porto di Ashdod e agli attivisti è stata data l’opzione di scegliere se venire rimpatriati subito o venire detenuti. Il giorno dopo, il centro legale per i diritti delle minoranze arabe in Israele, Adalah, ha dichiarato di avere incontrato 17 dei 21 attivisti affermando di averli trovati in «condizioni relativamente stabili». Adalah ha spiegato che Israele sta trattando gli attivisti come persone entrate clandestinamente sul proprio territorio, malgrado siano stati arrestati mentre si trovavano all’infuori da esso. Il centro legale ha inoltre reso noto che, degli attivisti incontrati, tre, tra cui Antonio Mazzeo, hanno deciso di venire rimpatriati, 12, tra cui Tony La Piccirella, hanno deciso di venire arrestati, e due, entrambi di cittadinanza israelo-statunitense, sono stati interrogati e rilasciati e risultano ora sotto custodia di Adalah.
La Handala era partita da Siracusa il 13 luglio con a bordo latte in polvere per i bambini di Gaza, cibo, acqua e medicine. Il 20 luglio, la nave è salpata dalla Puglia per arrivare a Gaza. Nel corso dell’intero viaggio, scrive il gruppo sui suoi canali social, l’imbarcazione è stata seguita da droni di Frontex (l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera) e da quelli greci; arrivata attorno a novanta miglia nautiche dalla costa gazawi, invece, Israele ha mobilitato direttamente i propri droni. Il gruppo ha inoltre reso noto che, quando si trovava a bordo dell’imbarcazione, l’equipaggio ha iniziato uno sciopero della fame per chiedere ai propri governi di interrompere tutte le proprie relazioni con Israele.
Quella di sabato non è la prima volta che Israele ferma, sequestra o attacca una nave della Freedom Flottilla. La prima volta è capitato alla nave Conscience, attaccata in piena notte da droni al largo delle coste di Malta. In seguito all’attacco, le voci di condanna da parte della comunità internazionale sono state particolarmente deboli, e il Parlamento europeo ha rifiutato di discutere dell’accaduto, malgrado le richieste di alcuni deputati. Dopo Conscience, è stata la volta di Madleen, a bordo della quale si trovava anche la nota attivista ambientale Greta Thunberg. I fatti di Madleen sono stati analoghi a quelli che hanno coinvolto Handala: la nave era partita da Catania, carica di cibo e aiuti umanitari. Nel corso del viaggio, la nave era stata sorvegliata ripetutamente da droni; nella notte tra l’8 e il 9 giugno è stata fermata dall’esercito israeliano, nonostante si trovasse in acque internazionali, dove Israele non ha giurisdizione. La nave è stata sequestrata e dirottata verso le coste israeliane, e gli attivisti sono stati arrestati. Alcuni di essi hanno firmato delle carte per essere rimpatriati, mentre altri sono rimasti in Israele in attesa di processo e sono stati detenuti in carcere. Il 16 giugno, tutti gli attivisti presenti sull’imbarcazione sono stati rimpatriati.
Sardegna, incendio a Villasimius: bagnanti fuggono via mare
Nella giornata di ieri, decine di bagnanti a Villasimius, in Sardegna, sono stati costretti a fuggire via mare quando un grande incendio è scoppiato vicino alla spiaggia, bloccando altre vie di fuga. Il fumo nero era visibile dalla costa, mentre i forti venti hanno ostacolato le operazioni di soccorso. Diversi veicoli sono andati distrutti a causa delle fiamme. Questo incendio si inserisce in una serie di emergenze causate dalle intense ondate di calore estive che stanno colpendo le regioni dell’Italia meridionale, segnate dalla siccità.
Spazio: dall’Italia il primo modulo abitativo permanente che atterrerà sulla Luna
Thales Alenia Space Italia (TAS) ha firmato con l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) l’accordo per lo sviluppo preliminare del Multi‑Purpose Habitation module (MPH), il primo avamposto umano permanente destinato ad accogliere gli equipaggi sulla superficie lunare nell’ambito del programma Artemis della NASA. Il modulo MPH, interamente progettato e realizzato a Torino negli stabilimenti di TAS, offrirà un ambiente abitativo e di lavoro per astronauti, supporterà esperimenti scientifici sia in presenza di equipaggio sia in modalità robotica e potrà spostarsi autonomamente sulla superficie lunare tramite un sistema di mobilità integrato. In pratica, un camper spaziale pronto a solcare la Luna.
«MPH rappresenta una ennesima sfida scientifica per l’Italia e per l’ASI», ha dichiarato Teodoro Valente, presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana, sottolineando l’elevato livello di coinvolgimento che la ricerca italiana ambisce a raggiungere su scala globale. «La firma odierna conferma l’importante e continuo impegno del Governo Italiano nel sostenere lo sviluppo della Space Economy e nel supportare le eccellenze italiane riconosciute nel mondo».
Sul fronte politico, durante il comizio di due giorni Spazio Made in Italy promosso da Fratelli d’Italia, il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha sottolineato enfaticamente che «con il modulo MPH l’Italia realizzerà la prima vera casa per la permanenza degli astronauti sulla Luna: un habitat mobile, dedicato alla ricerca scientifica e all’esplorazione. Questo è il risultato di una visione politica chiara: fare dell’Italia una potenza spaziale».
L’Italia intende far leva su questo traguardo per candidarsi a un ruolo di primo piano nella nuova corsa spaziale, puntando a diventare un hub europeo per l’esplorazione umana oltre l’orbita terrestre. A livello puramente contrattuale, il progetto del modulo abitativo si inserisce in una fitta rete di collaborazioni internazionali e rientra in un accordo biennale nel quale Thales Alenia Space svolge il ruolo di operatore principale, venendo affiancato da Altec, società partecipata sia da ASI (36,25%) che da TAS stessa (63,75%). Thales Alenia Space Italia rappresenta poi a sua volta una joint venture composta dall’azienda italiana della Difesa, Leonardo (33%), l’Agenzia Spaziale Italiana e la francese Thales (67%).
Dal punto di vista operativo, il modulo dovrà garantire la resistenza alle condizioni estreme del suolo lunare: sbalzi termici fino a centinaia di gradi, elevati livelli di radiazione, abrasività delle polveri e micrometeoriti, nonché il regime di gravità ridotta. La prima fase di progettazione includerà lo sviluppo di tecnologie critiche quali la protezione termica, i sistemi di supporto vitale e il controllo della polvere lunare, con la fase di progettazione preliminare che dovrebbe essere terminata entro il 2027.
Successivamente, ASI e NASA coordineranno i test a terra dei prototipi e definiranno le fasi di integrazione, fino al lancio previsto da Cape Canaveral nel 2033, con un ciclo di vita progettuale minimo di dieci anni. Sin da subito si delineano però degli ostacoli: proprio in questi giorni, la NASA ha confermato che si alleggerirà di più del 20% della sua forza lavoro. 3870 dipendenti hanno infatti accolto gli incentivi governativi all’esodo, un alleggerimento pensato formalmente nell’ottica di rendere più efficiente l’infrastruttura dell’Agenzia spaziale. Un presupposto scomodo per il programma Artemis, il quale è già vittima di molteplici ritardi e contrattempi.
USA e Unione Europea si sono accordati sui dazi
Dopo mesi di trattative, Donald Trump e Ursula von der Leyen hanno annunciato un accordo tra USA ed UE. I dettagli ufficiali sono ancora scarsi, ma, secondo quanto dichiarato in conferenza stampa dai due leader, sono stati confermati i dazi al 15% ipotizzati alla vigilia. Von der Leyen si è anche impegnata a garantire 600 miliardi di dollari di investimenti europei negli USA e ad acquistare 750 miliardi in energia. Trump ha inoltre dichiarato che l’Europa comprerà dagli USA «un’enorme quantità di equipaggiamento militare». Resta tuttavia poco chiaro cosa abbia ottenuto in cambio la presidente della Commissione europea. I dazi su acciaio e alluminio, infatti, resteranno al 50%, mentre alla vigilia si ipotizzava che l’UE avrebbe accettato l’accordo solo in cambio di una loro riduzione al 15%, come per gli altri prodotti. Primo via libera anche per la facilitazione delle esportazioni di beni alimentari statunitensi in Europa (prodotti con OGM e ormoni vietati nell’UE), per cui von der Leyen ha preannunciato dazi «zero su zero», che verranno definiti nei giorni a venire.
L’intesa tra Trump e von der Leyen è stata raggiunta ieri, 27 luglio. Le discussioni per il raggiungimento di un accordo si sono tenute presso il resort di golf del presidente statunitense a Turnberry, in Scozia. Dall’annuncio congiunto e dalla conferenza stampa tenuta da von der Leyen poco dopo il vertice con Trump non è ancora stato pubblicato nessun documento o comunicato che chiarisca in maniera più dettagliata i contenuti dell’accordo, e sembra che parte dei contenuti dovranno essere definiti nei prossimi giorni. In generale, gli USA imporranno sull’UE una tariffa universale del 15% su tutti i beni in entrata, salvo alcune eccezioni. Trump ha dichiarato che i dazi sui prodotti in acciaio e alluminio rimarranno invariati, mentre von der Leyen ha annunciato «dazi zero» su aerei e componenti, prodotti chimici, alcuni semiconduttori, alcuni prodotti agricoli e non meglio precisate «risorse naturali» e materie prime critiche. Per quanto concerne i prodotti agricoli, von der Leyen ha detto che la lista dei prodotti che verranno esentati dalle tariffe verrà discussa con gli altri leader europei a partire da questa settimana. Poco chiara, invece, la situazione con i prodotti farmaceutici: durante la conferenza stampa congiunta, Trump ha annunciato che essi non saranno oggetto di esenzione, ma poco dopo von der Leyen ha dichiarato ai giornalisti che per alcuni farmaci non ci saranno tariffe. L’UE, invece, ha detto Trump, non imporrà alcuna tariffa sui beni importati dagli USA.
Oltre ai dazi generalizzati su tutti i prodotti europei, Trump è riuscito a strappare un accordo per incrementare gli investimenti europei negli USA e l’acquisto di armi e gas liquefatto da parte dell’Europa. Per quanto riguarda gli investimenti, Trump ha dichiarato che l’UE investirà 600 miliardi di dollari nell’industria statunitense, senza tuttavia specificare né i settori che verranno coinvolti, né il periodo di tempo in cui verrà condotto tale investimento; nemmeno von der Leyen ha fornito dettagli al riguardo. Sulle importazioni di idrocarburi statunitensi, invece, von der Leyen ha spiegato che l’UE acquisterà 750 miliardi di dollari di GNL statunitense nell’arco di tre anni, per un totale di 250 miliardi di spesa all’anno. Le importazioni di gas liquefatto, ha spiegato von der Leyen, servirebbero a tagliare definitivamente le importazioni energetiche dalla Russia, e procedono di pari passo con un aumento dei volumi acquistati da altri Paesi produttori. Sulle armi, Trump è stato particolarmente vago, affermando che l’UE acquisterà «un’enorme quantità di equipaggiamento militare», per un valore nell’ordine delle «centinaia di miliardi di dollari», ma ha specificato che la cifra esatta non è ancora stata stabilita.
Trump ha descritto l’intesa con l’Unione Europea come «il più grande accordo di sempre». Visti i termini annunciati, malgrado essi siano ancora generici, l’entusiasmo di Trump è comprensibile: l’UE aumenterà gli investimenti e gli acquisti negli USA per oltre un migliaio di miliardi di dollari, ha ceduto il passo sulle tariffe e ha compiuto il primo passo per spalancare la porta ai beni alimentari statunitensi, che sono soggetti a molti meno controlli di quelli europei e, se introdotti nel mercato del Vecchio Continente, rischiano di sbaragliare la concorrenza dei prodotti comunitari, a scapito della garanzia della qualità per i consumatori. Se, insomma, risulta chiaro dove gli USA ci abbiano guadagnato, non si può dire lo stesso per l’UE: i dazi sulle auto, sebbene inferiori a quanto originariamente annunciato, aumentano rispetto a quelli in vigore durante l’amministrazione Biden, i prodotti in acciaio e alluminio restano al 50%, e se da una parte viene ridotta la dipendenza dal gas russo, dall’altra aumenta quella dall’energia statunitense, più costosa e impattante a livello ambientale. Von der Leyen ha detto di avere puntato sul mantenimento del commercio e sulla «prevedibilità», in modo da garantire stabilità. Questa, tuttavia, sembra destinata a essere tesa verso un rafforzamento degli Stati Uniti, a detrimento dei consumatori e dei produttori comunitari.
Annunciati colloqui di pace tra Thailandia e Cambogia
Oggi, 28 luglio, si terranno colloqui di pace diretti tra i premier di Thailandia e Cambogia. L’incontro si svolgerà in Malesia e mira a ristabilire la pace tra i due Paesi dopo gli scontri militari scoppiati nella notte del 23 luglio, che hanno già causato la morte di 34 soldati e lo sfollamento di circa 200.000 civili residenti nelle zone di confine. Il conflitto, finora non dichiarato e mantenuto entro limiti contenuti, arriva dopo mesi di tensioni, con la Thailandia che accusa la Cambogia di aver collocato mine antiuomo nel proprio territorio, provocando il ferimento di diversi militari. Sullo sfondo, le annose dispute territoriali per alcune aree di confine.