Immagini che ritraggono Donald Trump insieme a Jeffrey Epstein sono state proiettate sulle mura del Castello di Windsor da un gruppo di attivisti, poche ore prima dell’arrivo in visita di Stato del Presidente USA. Quattro persone sono state arrestate dalla polizia della Thames Valley, accusate di “comunicazioni malevole”. L’iniziativa, firmata dal collettivo “Led by Donkeys”, mostrava articoli di cronaca sul caso Epstein, immagini delle vittime, una foto in cui Trump e il criminale pedofilo appaiono sorridenti insieme e la riproduzione di una presunta lettera di compleanno attribuita a Trump per i 50 anni del finanziere, la cui autenticità è stata smentita dalla Casa Bianca. Secondo la polizia, il Presidente USA e la First Lady Melania non erano presenti al castello al momento della proiezione, ma sono attesi per gli eventi ufficiali con re Carlo III e la regina Camilla.
Il ritrovamento di antiche statuette racconta il ruolo della Sardegna nel Mediterraneo antico
Un enigma che ha affascinato gli studiosi per decenni sembra aver finalmente trovato una risposta: la provenienza dei metalli con cui furono realizzati i celebri bronzetti nuragici, ovvero piccole statuette raffiguranti guerrieri, divinità e animali, simbolo della Sardegna dell’età del bronzo, era principalmente la Sardegna stessa, anche se talvolta venivano effettuati miscugli con metalli importati dalla penisola Iberica. È quanto emerge da un nuovo studio condotto da un team internazionale, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista PLOS One. Analizzando 48 bronzetti e tre lingotti di rame provenienti da importanti santuari nuragici con un innovativo approccio chiamato “multi-proxy”, i ricercatori hanno chiarito che non vi fu impiego di rame dal Levante e che lo stagno doveva invece essere importato. «I risultati mostrano che i bronzetti erano realizzati principalmente con rame proveniente dalla Sardegna», spiega Daniel Berger, spiegando che la miscela dei metalli seguiva scelte strategiche.
Nell’età del bronzo la Sardegna era spesso considerata periferica nel panorama mediterraneo, vista più come destinataria di metalli che come produttrice e nodo commerciale. L’ipotesi prevalente attribuiva un ruolo centrale a Cipro e ad altre regioni orientali, ridimensionando l’apporto dell’isola. A complicare il quadro erano le difficoltà nel distinguere le firme isotopiche del rame sardo da quelle iberiche o levantine, oltre all’incertezza sull’uso effettivo delle miniere locali. Il nuovo studio, però, ritiene di aver superato questi limiti con un approccio multi-proxy – cioè l’integrazione di diverse analisi chimiche e isotopiche – che ha combinato isotopi di rame, stagno, piombo e osmio. Quest’ultimo, raramente applicato in archeometallurgia, si è rivelato decisivo per escludere con chiarezza l’uso di metalli provenienti dal Levante, ovvero l’area orientale del Mediterraneo comprendente Israele e Giordania. Le analisi, spiegano gli autori, hanno così permesso di tracciare i flussi di approvvigionamento e di mostrare come le scelte metallurgiche della cultura nuragica fossero più articolate e consapevoli di quanto si pensasse.
Il cuore della ricerca è stato lo studio dei bronzetti provenienti da tre santuari principali: Su Monte di Sorradile, Abini di Teti e Santa Vittoria di Serri. In questi luoghi, veri centri politici e religiosi, le statuette erano offerte votive e simboli identitari. Le analisi hanno mostrato che il rame utilizzato proveniva in gran parte dalle miniere locali del distretto Iglesiente-Sulcis, talvolta mescolato con rame importato dalla Penisola Iberica. Al contrario, altri metalli disponibili sull’isola, come stagno e piombo, non furono impiegati: lo stagno necessario per la lega bronzea era importato, probabilmente dalla Penisola Iberica, mentre il piombo locale non venne utilizzato. Secondo i ricercatori, il metallo lavorato nei diversi santuari mostra firme chimiche molto simili, segno di una strategia comune nella produzione. «I metodi archeologici costituiscono una solida base che i più recenti metodi scientifici possono perfezionare e spiegare. Questo porrà fine a vecchie discussioni. Nel nostro caso, le più recenti conoscenze geochimiche indicano l’origine del metallo in specifiche aree geografiche e in determinate miniere. In diversi casi è anche possibile tracciare una miscela strategica di rame di origini diverse, presumibilmente per ottenere determinati effetti come il colore e la resistenza del prodotto», commenta Helle Vandkilde, che ha coordinato lo studio. L’indagine suggerisce inoltre legami con l’Europa settentrionale: «Grazie alle nuove conoscenze sulla provenienza del metallo siamo un passo più vicini a mappare i collegamenti tra Sardegna e Scandinavia», conclude Heide Wrobel Nørgaard.
Gaza, 400 mila in fuga dopo l’inizio dell’offensiva israeliana
Sono 400 mila i cittadini di Gaza City in fuga dopo che, nella notte tra lunedì 15 e martedì 16 settembre, l’esercito israeliano ha iniziato l’assalto di terra alla città, intensificando gli attacchi contro edifici e civili. Solamente da stamattina sarebbero almeno 17 le persone uccise, oltre un centinaio nelle ultime 24 ore. Lunghe code di persone in fuga verso il sud si sono formate lungo la costa, mentre fonti dell’esercito avrebbero riferito ai media che l’operazione dovrebbe durare “diversi mesi”.
Zelensky presenta il conto all’UE: altri 100 miliardi per le armi, anche in caso di pace
Meno di un mese dopo aver commissionato agli Stati Uniti ordini di armi per 90 miliardi che saranno pagati dagli alleati europei, Kiev ha presentato all’Unione Europea un nuovo, mastodontico conto. Il ministro della Difesa ucraino, Denys Shmyhal, ha infatti dichiarato che l’Ucraina avrà bisogno di oltre 100 miliardi di euro per finanziare la sua difesa nel 2026. La richiesta è stata presentata alla conferenza annuale sulla strategia europea con una precisazione che non ammette repliche: tale somma sarà necessaria sia nel caso in cui la guerra continui, sia ove si arrivasse a un accordo di pace. L’invito del governo ucraino mette sotto pressione bilanci già tesi e riapre il dibattito in Europa su quanto sostenere Kiev nel medio termine.
Dal momento che gli sforzi di pace restano in una fase di stallo, «se la guerra continua, avremo bisogno di almeno 120 miliardi di dollari per il prossimo anno», ha affermato Shmyhal in occasione della conferenza. A ogni modo, anche se i combattimenti cessassero, «avremo bisogno di una somma leggermente inferiore per mantenere il nostro esercito in buone condizioni» in caso di un nuovo attacco russo, ha aggiunto il capo del dicastero ucraino. Una richiesta che equivale a chiedere all’Europa di farsi carico a tempo indefinito del bilancio della difesa di un paese terzo, in uno scenario di pace come di guerra. Secondo la deputata Roksolana Pidlasa, «L’Ucraina spende il 31 per cento del suo PIL per la difesa, la quota più alta al mondo», e a suo parere «un giorno di guerra costa attualmente all’Ucraina 172 milioni di dollari» rispetto ai 140 milioni di dollari di un anno fa.
Per far fronte a questa emorragia finanziaria, le autorità ucraine sostengono da tempo l’utilizzo dei circa 250 miliardi di euro di beni russi congelati in Occidente dall’inizio dell’invasione. Tuttavia, nonostante il disappunto di Kiev, l’Europa si è finora rifiutata di procedere con una confisca diretta, consapevole che si tratterebbe di una violazione senza precedenti del diritto internazionale con ripercussioni devastanti sugli investimenti. L’ex presidente russo Dmitry Medvedev ha rincarato la dose minacciando rappresaglie: «Se ciò accadesse, la Russia perseguiterà gli Stati dell’UE, così come gli eurodegenerati di Bruxelles e i singoli Paesi dell’UE che cercheranno di confiscare le nostre proprietà, fino alla fine dei tempi».
La richiesta ucraina sta già creando tensioni e fratture all’interno dei Paesi membri. In Germania, il ministro della Difesa Boris Pistorius ha segnalato la necessità di un fabbisogno aggiuntivo di oltre 10 miliardi di euro nei prossimi due anni per il sostegno militare a Kiev, rispetto alle risorse già approvate. Un documento interno del ministero, citato da Bild, rivela che per rispettare i tetti di spesa, «diverse misure con scadenza 2027 sono state stralciate o ridimensionate». La leader dell’Alleanza Sahra Wagenknecht (BSW) ha lanciato un forte allarme, sostenendo che l’attuale governo tedesco «sta imprudentemente trascinando il Paese verso un conflitto con la Russia» e avvertendo che un’escalation porterebbe a conseguenze catastrofiche, inclusa la minaccia di un conflitto nucleare. In Italia, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha ammesso che «gli impegni internazionali, le spese in Difesa e il sostegno all’Ucraina non sono gratis», sottintendendo la necessità di trovare risorse anche a scapito di altre promesse elettorali.
A Bruxelles l’Alto rappresentante (e alcuni esponenti UE) puntano invece a strumenti già disponibili: Kaja Kallas ha richiamato il Fondo europeo per la pace (EPF) come leva per rimborsare gli Stati per gli acquisti di armi, ricordando che «se riuscissimo a sbloccare i 6,6 miliardi dell’Epf, questo potrebbe fare la differenza». Ma lo sblocco è bloccato da veti e timori politici, e resta incerta la disponibilità complessiva dell’Unione a trasformare un sostegno emergenziale in un impegno strutturale. Si è dunque davanti a un bivio: sostenere incondizionatamente Kiev con cifre che fisiologicamente impatteranno sui bilanci e sulle politiche sociali europee o cercare una via più prudente che riduca i costi ma esponga l’Ucraina a un indebolimento militare.
Occorre inoltre ricordare che le forniture di armamenti statunitensi all’Ucraina, incluso l’acquisto da 90 miliardi di dollari recentemente richiesto, sono interamente finanziate dagli alleati europei. Come rivelato dal Segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent, gli Stati Uniti applicano un ricarico del 10% su queste vendite, trattenendo così una commissione sui trasferimenti. Questo meccanismo si inserisce in un contesto di impegni finanziari europei ben più ampi verso Washington, che includono 600 miliardi di investimenti negli USA, l’acquisto di energia per 750 miliardi e l’aumento delle spese militari con acquisti di armamenti americani, delineando un rapporto dove l’onere finanziario della difesa ucraina grava interamente sull’Europa, con un chiaro vantaggio economico per gli Stati Uniti.
Groenlandia, Danimarca guida esercitazioni con alleati NATO
La Danimarca ha avviato l’esercitazione “Arctic Light 2025” in Groenlandia con oltre 550 militari di Francia, Germania, Norvegia e Svezia, affiancati da osservatori di Stati Uniti, Regno Unito e Canada. Le manovre, che includono operazioni navali e simulazioni di combattimento con F-16, mirano a rafforzare la prontezza delle forze danesi e groenlandesi in un’area di crescente rilevanza strategica. Il generale Søren Andersen ha ribadito le solide relazioni con Washington, nonostante le tensioni sorte quando l’amministrazione Trump manifestò l’interesse a ottenere la giurisdizione sull’isola.
Bending Spoons: la ditta tech italiana che sta scalando il mercato
La società milanese Bending Spoons ha messo in campo 1,38 miliardi di dollari per acquisire Vimeo, celebre piattaforma statunitense di videostreaming quotata in Borsa. Vimeo si aggiunge così a un portafoglio che comprende già realtà internazionali di grande portata quali Remini, Hopin (proprietaria a sua volta di StreamYard), Meetup e WeTransfer, rafforzando l’influenza di un’azienda considerata da molti come l’“unicorno” più rilevante dell’imprenditoria italiana.
L’operazione, legata a una transazione interamente in denaro, riconosce agli attuali investitori di Vimeo 7,85 dollari per azione, pari a un premio del 91% rispetto al prezzo medio ponderato per volume degli ultimi 60 giorni di contrattazione. L’intesa prevede inoltre che Vimeo diventi una società privata a partire dal 2026, con il conseguente ritiro dal mercato azionario. Un bottino ragguardevole che sembra aver fatto la felicità di ambo le parti.
Fondata nel 2013, Bending Spoons è spesso descritta – non senza pareri discordanti – come il secondo unicorno nato dall’imprenditoria italiana dopo Yoox, ovvero una delle poche startup del Paese a superare la valutazione simbolica del miliardo di dollari. Seconda in ordine di nascita, ma prima sul piano dell’importanza, soprattutto perché, proprio in queste settimane, Yoox ha annunciato la procedura di licenziamento collettivo. Nata come agenzia informatica, Bending Spoons aveva manifestato la sua presenza sul grande pubblico già nel 2020. Magari non in maniera consapevole, ma sicuramente in una prospettiva capillare: i suoi sviluppatori hanno infatti realizzato Immuni, l’app di tracciamento usata per monitorare le infezioni di Covid-19 in Italia.
Con il tempo Bending Spoons ha cambiato pelle, allontanandosi progressivamente dalle sue radici più prettamente tech per tradursi in un conglomerato che opera con logiche vicine a quelle della private equity. Il modello di business è ormai incentrato più sull’acquisizione e gestione di aziende terze, che sulla produzione creativa interna, un approccio che spesso si accompagna a significative riduzioni di personale. La società ristrutturato Filmic dopo appena un anno dalla sua acquisizione, un destino che è toccato anche allo staff di Evernote e, più recentemente, il 75% del personale di WeTransfer, celebre piattaforma per la condivisione dei file. Quest’ultima, parallelamente, ha brevemente introdotto – salvo poi ritirarla a seguito delle forti proteste degli utenti – una modifica alle policy che le avrebbe virtualmente consentito di utilizzare i file caricati dagli utenti per addestrare modelli di intelligenza artificiale.
Nel corso della sua crescita, Bending Spoons ha potuto contare sul supporto di importanti investitori, attuali e passati, tra cui la holding H14 legata a Fininvest e a Luigi, Barbara ed Eleonora Berlusconi, Tamburi Investment Partner (TIP), Nuo Capital, Cherry Bay Capital, Baillie Gifford, NB Renaissance e Cox Enterprises. A questi si è aggiunto il sostegno finanziario di celebrità d’alto profilo come il tennista Andre Agassi, il rapper/influencer Fedez, l’attore hollywoodiano Ryan Reynolds, il regista Taika Waititi e Andrea Wong, manager che siede nel consiglio di amministrazione di Roblox.