mercoledì 2 Luglio 2025
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Referendum cittadinanza e lavoro, niente quorum: alle urne solo il 30%

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È fallita con ampio margine la corsa al quorum nei cinque referendum abrogativi su cittadinanza e lavoro. Secondo i dati del Viminale, che ha quasi chiuso i conteggi, tra domenica 8 e lunedì 9 giugno ha votato su ognuno dei cinque quesiti circa il 30% per cento degli aventi diritto di voto in Italia (serviva il 50% + 1). Complessivamente, il numero dei “sì” ha superato ampiamente quello dei “no”. Secondo le prime rilevazioni sui voti espressi, la forbice è assai larga nei quesiti sul lavoro (ad ora i “sì” risultano tra l’86 e l’89 per cento), mentre quello sulla cittadinanza segna al momento il 64% dei “sì” e il 36% dei “no”.

In alcuni comuni lombardi tornerà la DAD per non disturbare le Olimpiadi di Milano-Cortina

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Le Olimpiadi Invernali Milano-Cortina 2026 si avvicinano e continuano a fare discutere. Tra le misure per mitigare l’impatto logistico e sulla viabilità che inevitabilmente l’evento avrà sui territori, è infatti spuntata la decisione di ricorrere alla didattica a distanza (DAD) per gli studenti delle scuole superiori nelle aree coinvolte. È quanto stabilito dall’Ufficio Scolastico Regionale (USR) della Lombardia che ha deciso che, dal 6 al 22 febbraio 2026, la continuità didattica potrà essere assicurata anche attraverso il ripescaggio delle normative pandemiche per «ragioni logistiche e di sicurezza». Nonostante, ad anni di distanza, siano ormai noti e provati i danni che la didattica a distanza ha provocato sul livello di apprendimento e sul benessere psico-fisico degli studenti.

Una tensione tra le esigenze organizzative dell’evento e il diritto a una continuità didattica di qualità che solleva interrogativi sulla priorità accordata a eventi straordinari rispetto alle ordinarie necessità formative. Inoltre, in molti hanno sottolineato come interventi ritenuti speciali in altri contesti (come in quello pandemico, in cui ogni decisione straordinaria di questo genere è stata presa in ottica emergenziale) divengono normali dispositivi da poter applicare ogniqualvolta si ritenga necessario.

Durante i periodi di picco dell’evento olimpico, con un afflusso massiccio di persone, problemi di traffico, trasporti e gestione della sicurezza, limitare gli spostamenti di chi deve recarsi a scuola mitigherebbe la circolazione di persone della zona. In questo scenario, la DAD viene presentata come una soluzione pragmatica per evitare il caos e garantire la sicurezza degli studenti e del personale. Tuttavia, la sua applicazione non è affatto indolore e riaccende vecchi spettri di un modello didattico che ha mostrato tutti i suoi limiti formativi, sociali, pedagogici e psicologici (già tre anni fa ne scrivevamo in maniera approfondita).

Secondo USR Lombardia, la soluzione della didattica a distanza sarebbe efficace perché consentirebbe di preservare il calendario scolastico, garantire la qualità dell’offerta formativa, tutelare il diritto allo studio e alleggerire il traffico nei giorni delle competizioni. Le opposizioni locali si dicono fortemente contrarie. Il PD locale, il 1° giugno scorso, ha emesso un comunicato stampa con cui si contestata l’idea che la DAD sia una soluzione accettabile, richiamando le difficoltà riscontrate durante la pandemia, quando la didattica a distanza ha spesso acuito disuguaglianze sociali e digitali, compromettendo la qualità dell’apprendimento e la socialità degli studenti. L’argomentazione è chiara: non si può sacrificare la scuola sull’altare di un evento sportivo, per quanto prestigioso.

La teoria più diffusa sul destino della nostra galassia potrebbe essere sbagliata

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La collisione tra la Via Lattea e la galassia di Andromeda, ipotizzata da oltre un secolo e prevista per tra circa 4,5 miliardi di anni, potrebbe in realtà non avvenire affatto: è quanto emerge da un nuovo studio condotto da un team internazionale di ricercatori, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato su Nature Astronomy, secondo cui la probabilità che le due galassie si scontrino in un impatto frontale nei prossimi dieci miliardi di anni sarebbe solo del 50%, mentre lo scenario considerato più probabile finora – una fusione completa in 4-5 miliardi di anni – avrebbe appena il 2% di possibilità. I ricercatori, guidati dall’astronomo Till Sawala dell’Università di Helsinki, hanno fatto la scoperta prendendo in esame oltre centomila simulazioni al computer basate su dati dei telescopi spaziali Gaia e Hubble. «Fino ad ora pensavamo che questo fosse il destino che attendeva la nostra galassia, la Via Lattea. Ora sappiamo che ci sono ottime probabilità di poter evitare quel destino spaventoso», commentano i coautori, aggiungendo che lo studio ribalta le precedenti certezze e mostra che il destino della nostra galassia resta, per ora, tutto da scrivere.

Per comprendere la portata del nuovo risultato, occorre fare un passo indietro. Fin dal 1912 si sospettava che Andromeda – allora ritenuta solo una nebulosa – stesse viaggiando in direzione della Via Lattea. Le misurazioni più precise erano giunte un secolo dopo, grazie al telescopio spaziale Hubble, che aveva rilevato un moto laterale trascurabile da parte di Andromeda, lasciando intendere che un impatto diretto fosse inevitabile. Le simulazioni condotte allora indicavano una fusione galattica prevista tra circa 4,5 miliardi di anni, e questo scenario era stato ulteriormente rafforzato nel 2012 da uno studio che analizzava i dati di Hubble raccolti in un intervallo di cinque-sette anni. Tuttavia, i nuovi dati forniti dalla missione Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea e da successive osservazioni Hubble hanno permesso di sviluppare simulazioni più complete, capaci di tenere conto dell’incertezza associata a ogni parametro osservativo. I ricercatori hanno infatti utilizzato un approccio di tipo Monte Carlo, che consente di valutare gli effetti congiunti di numerose variabili, tra cui la massa, la posizione e la velocità delle galassie del cosiddetto Gruppo Locale.

In particolare, gli autori hanno osservato che la traiettoria della Via Lattea è fortemente influenzata da galassie più piccole ma massicce, come la Grande Nube di Magellano (LMC), che orbita attorno a essa, e M33, satellite di Andromeda. Si tratta di corpi celesti che esercitano forze gravitazionali sufficienti a deviare il moto reciproco delle due galassie maggiori, riducendo così la probabilità di una fusione imminente. «La massa extra della galassia satellite di Andromeda, M33, attira la Via Lattea un po’ più verso di sé. Tuttavia, la Grande Nube di Magellano la allontana dal piano orbitale e da Andromeda», commentano infatti i coautori. Nelle simulazioni, circa metà degli scenari mostrano un avvicinamento tra le due galassie seguito da un lento decadimento orbitale dovuto all’attrito dinamico tra i loro aloni di materia oscura, che solo in alcuni casi porta alla fusione dopo diversi miliardi di anni. Nell’altra metà delle simulazioni, però, le galassie non si disturbano affatto e passano vicine senza mai collidere o continuano a orbitarsi attorno per tempi indefiniti. Un’ultima osservazione, più rassicurante che cosmica, riguarda il fatto che anche nel remoto caso in cui Via Lattea e Andromeda si fondessero, la Terra probabilmente non ne subirebbe effetti diretti. Lo stesso Sole, infatti, diventerà una gigante rossa tra circa 5 miliardi di anni, inghiottendo con ogni probabilità anche il nostro pianeta: «Il destino della nostra galassia rimane una questione aperta, con probabilità quasi uguali per una fusione o per una sopravvivenza reciproca. La risposta breve è che la fine del Sole sarà molto peggiore per il nostro pianeta della collisione con Andromeda».

Gaza, proseguono i massacri: 47 morti in 24 ore

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Il ministero della Sanità di Gaza ha reso noto che 47 palestinesi sono stati uccisi e 388 sono rimasti feriti nelle ultime 24 ore in seguito ai raid effettuati dall’esercito israeliano (IDF) nella Striscia di Gaza. Il bilancio dal 7 ottobre 2023 sale così a 54.927 morti e 126.615 feriti, è stato scritto in un comunicato stampa pubblicato su Telegram. Inoltre, secondo l’ufficio stampa del governo di Gaza, in sole due settimane 130 persone sono state uccise e altre 1.000 sono rimaste ferite nei pressi dei siti di aiuti gestiti dal GHF, definita un «braccio dell’occupazione israeliana».

Los Angeles: in migliaia contro le politiche migratorie di Trump, centinaia di arresti

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È stato un fine settimana di durissimi scontri a Los Angeles, con i cittadini scesi in strada per protestare contro le politiche antimigratorie del presidente Donald Trump. Venerdì sera gli agenti dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE) – l’agenzia federale che si occupa di frontiere e immigrazione – hanno arrestato più di 40 persone per presunte violazioni delle leggi sull’immigrazione, per poi fermarne oltre un centinaio nelle ore successive. L’ultima di una lunga serie di operazioni diventate la normalità sotto l’amministrazione Trump, cui i cittadini di Los Angeles hanno deciso di ribellarsi dando vita a scene di guerriglia urbana, tra lanci di pietre verso i poliziotti, barricate di fortuna e sabotaggi. Trump ha firmato un ordine esecutivo per inviare 2mila agenti della Guardia Nazionale, mentre il segretario alla Difesa Peter Hegseth ha fatto sapere che sono pronti a intervenire anche i marines. Decine i manifestanti arrestati fino ad ora dalla polizia.

Gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine sono stati violenti. Centinaia di persone sono scese in strada per protestare contro le misure sull’immigrazione. Manifestazioni spontanee si sono moltiplicate in vari quartieri della città. In Downtown, l’intero centro è stato sgomberato e ogni assembramento dichiarato illegale, mentre i manifestanti hanno bloccato arterie strategiche come la Highway 101 e Figueroa Street. Alcuni hanno lanciato bottiglie e altri oggetti contro gli agenti. La polizia e la Guardia Nazionale hanno risposto con gas lacrimogeni, granate stordenti e proiettili di gomma sparati ad altezza degli occhi e delle gambe. Almeno 56 persone sono state arrestate, con accuse che vanno dal lancio di molotov contro gli agenti all’utilizzo di motociclette per speronare i cordoni di polizia. Tre agenti sono rimasti feriti. Anche alcuni giornalisti sono rimasti feriti: il fotografo inglese Nick Stern ha raccontato al Guardian: «Alcuni manifestanti sono venuti ad aiutarmi, mi hanno portato in braccio e ho notato che mi colava sangue lungo la gamba». La giornalista australiana Lauren Tomasi è stata colpita da un proiettile di gomma mentre stava documentando le cariche della polizia.

L’invio della Guardia Nazionale, verificatosi senza il consenso del governatore, rappresenta la prima applicazione unilaterale di questa misura in California dal 1965. Quest’azione ha scatenato una crisi politica e istituzionale, con il governatore della California Gavin Newsom e la sindaca della città Karen Bass che hanno apertamente contestato l’intervento federale. Newsom ha annunciato l’intenzione di ricorrere per vie legali contro quella che ha definito «una violazione della sovranità dello Stato della California»: «Questi sono gli atti di un dittatore, non di un presidente», ha dichiarato. Anche la sindaca Bass ha chiesto formalmente a Trump di revocare l’intervento militare e ha invitato i manifestanti a mantenere la calma: «Non date a Trump ciò che vuole – ha scritto – restate calmi, restate pacifici. Non cadete nella trappola. Non usate mai la violenza e non fate del male alle forze dell’ordine». Bass ha inoltre sottolineato che «quando si fanno irruzioni nei supermercati e nei luoghi di lavoro, quando si dividono genitori e figli e quando si fanno circolare blindati per le nostre strade, si crea paura e si crea panico», definendo lo schieramento della Guardia Nazionale «una escalation pericolosa». Sul fronte legale, il Titolo 10 del Codice delle Forze Armate richiederebbe che l’impiego della Guardia Nazionale avvenga su richiesta del governatore. La Casa Bianca, però, ha giustificato l’intervento parlando di «ribellione» in corso.

Le proteste sono scoppiate dopo una serie di raid dell’Immigration and Customs Enforcement (ICE), in particolare nel distretto di Paramount, dove sono stati arrestati molti migranti. Gli agenti federali hanno fatto irruzione in abitazioni e luoghi di lavoro, provocando paura e panico tra la popolazione. L’area è a forte presenza latinoamericana: nelle proteste in corso a Los Angeles contro i raid dell’ICE spiccano infatti tra la folla numerose bandiere messicane. Il New York Times le ha definite «un simbolo» delle manifestazioni. Molti dei partecipanti sono cittadini statunitensi di origine messicana — 26,6 milioni secondo il Pew Research Center — che rivendicano con orgoglio le proprie radici.

Nel frattempo, il Pentagono ha messo in stato di massima allerta anche i Marines di Camp Pendleton. Il capo della Difesa Pete Hegseth ha avvertito che, in caso di ulteriore violenza, saranno mobilitati. Trump, dal canto suo, ha rincarato la dose su Truth Social, definendo i manifestanti «istigatori e facinorosi spesso prezzolati» e invocando l’arresto immediato di chi protesta con il volto coperto. Ha accusato Newsom e Bass di essere incompetenti e di averlo costretto ad agire per ristabilire l’ordine. «Rendiamo di nuovo grande l’America!», ha scritto il presidente, alimentando ulteriormente lo scontro.

Giappone, incidente in base militare USA: 4 feriti

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Quattro soldati giapponesi sono rimasti feriti in un’esplosione avvenuta in un deposito di ordigni bellici inesplosi presso una base militare statunitense a Okinawa. L’incidente è avvenuto mentre i militari lavoravano in un sito per l’immagazzinamento di vecchi ordigni rinvenuti sull’isola, teatro di pesanti bombardamenti durante la Seconda guerra mondiale. Le Forze di autodifesa giapponesi stanno indagando per chiarire la dinamica dell’esplosione, che si sarebbe verificata nella base aerea di Kadena. A Okinawa restano sepolti numerosi ordigni inesplosi, spesso ritrovati durante lavori di costruzione.

Freedom Flotilla: Israele dirotta e sequestra l’equipaggio che portava aiuti a Gaza

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È stata assaltata nella notte da mezzi dell’esercito israeliano (IDF) la Madleen, l’imbarcazione della Freedom Flotilla salpata lo scorso 1° giugno da Catania per tentare di rompere l’assedio di Gaza e portare aiuti umanitari alla popolazione della Striscia. Intorno alle 2 di notte (ora italiana), l’imbarcazione è stata intercettata prima da droni e poi da motoscafi israeliani mentre si trovava in acque internazionali, nelle quali Tel Aviv non ha alcuna giurisdizione. Successivamente, l’esercito ha sequestrato l’intero equipaggio e dirottato l’imbarcazione verso le coste israeliane. Prima che i contatti fossero interrotti, l’equipaggio ha dichiarato che dai droni è stata sparata una sostanza bianca, simile a vernice, con effetti urticanti – non è ancora chiaro di cosa si trattasse. Il ministero degli Esteri israeliano ha fatto sapere questa mattina che tutti i membri verranno fatti rientrare nei propri Paesi.

«Siamo circondati dalle loro navi» ha dichiarato Thiago Avila, capitano dell’imbarcazione, in un video apparso sui social della Flotilla intorno all’una di notte di lunedì 9 giugno. «Non abbiamo paura di loro, ma un crimine di guerra sta avvenendo proprio ora. Per favore, diffondete l’allarme». Circa un’ora dopo, droni quadricotteri hanno cominciato a sorvolare la Madleen e, poco dopo, il segnale radio e quello dei cellulari è stato bloccato, impedendo ai membri dell’equipaggio di chiedere aiuto. Nel frattempo, dai droni è stata spruzzata una sostanza bianca urticante, che ha costretto i volontari a coprirsi il volto e ritirarsi all’interno della nave – anche per il timore che i droni potessero sparare proiettili. Subito dopo l’attacco israeliano, le pagine social della Freedom Flotilla hanno pubblicato una serie di messaggi preregistrati dell’equipaggio, nei quali si invitano i vari governi a fare pressione su Israele in caso di aggressione da parte di Tel Aviv.

Secondo quanto dichiarato da Francesca Albanese, che è rimasta al telefono con il capitano fino a che il segnale non è stato interrotto, poco dopo la mezzanotte di ieri (ora italiana) cinque imbarcazioni israeliane avevano raggiunto la Flotilla e le stavano girando intorno. Il capitano ha dato istruzioni di stare calmi e seduti, con i giubbotti salvavita indosso. «Li sento parlare con soldati israeliani mentre scrivo questo post» riporta Albanese, che riferisce di aver registrato l’intera conversazione, «stanno dicendo che portano aiuti umanitari e che arrivano pacificamente». Intorno alle due, la comunicazione è stata interrotta.

Sono 12 gli attivisti a bordo della Madleen: Greta Thunberg, attivista svedese; Rima Hassan, europarlamentare franco-palestinese; Yasemin Acar, tedesca; Baptiste Andre, Omar Faiad, Pascal Maurieras, Yanis Mhamdi e Reva Viard dalla Francia; Thiago Avila, brasiliano; Suayb Ordu, turco; Sergio Toribio, spagnolo; Marco van Rennes, olandese. Al momento dell’arresto, la Madleen si trovava in acque internazionali, motivo per cui il loro arresto è «illegale», ha dichirato ad Al Jazeera l’organizzatrice della spedizione, Huwaida Arraf. «Tutti coloro che sono a bordo sono stati rapiti. Sono stati presi contro la loro volontà mentre stavano navigando pacificamente in acque internazionali. Bisogna che sia estremamente chiaro che Israele non ha giurisdizione nè autorità legale per prendere il controllo dell’imbarcazione».

Intorno alle due di notte, il ministero dell’Interno israeliano ha dichiarato che la marina era in comunicazione con «lo yacht dei selfie», come è stato rinominata dagli israeliani l’imbarcazione, e alle 10 di questa mattina ha riferito che sta navigando verso le coste di Israele, che tutto l’equipaggio è al sicuro e che ciascun membro sarà rispedito al proprio Paese d’origine. «Il piccolo quantitativo di aiuto che non è stato consumato da queste “celebrità” sarà trasferito a Gaza attraverso veri canali umanitari». Tuttavia, l’unico canale autorizzato da Israele a distribuire aiuti umanitari nella Striscia – la Gaza Humanitarian Foundation, ONG americana – ha sospeso le attività dopo nemmeno una settimana dopo le stragi di civili avvenute per mano dell’IDF durante le operazioni di distribuzione. Il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha inoltre fatto sapere di aver dato istruzioni ai soldati che hanno sequestrato l’equipaggio della Flotilla di costingere «l’antisemita Greta e i suoi compagni sostenitori di Hamas» a visionare video «del massacro del 7 ottobre» una volta giunti al porto israeliano di Ashdod.

L’attacco ha ricevuto la condanna di alcuni governi, tra i quali quello iraniano che ha parlato di «atti di pirateria» da parte di Israele, e di quello turco. Anche un senatore australiano ha parlato di «violazione delle norme internazionali» da parte di Israele, mentre gruppi ebrei australiani hanno condannato le azioni di Tel Aviv. Al momento, tuttavia, la reazione dei governi europei – la Svezia, Paese d’origine di Greta Thunberg, ha dichiarato che offrirà aiuto ai membri dell’equipaggio della Madleen, se necessario. Dal governo italiano, nemmeno a dirlo, non è giunto alcun segnale.

La NATO chiede spese militari al 5% del Pil: per l’Italia + 66 miliardi l’anno

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I ministri della Difesa dei 32 Paesi membri della NATO si sono accordati sui nuovi obiettivi per le spese militari. Non ha usato mezzi termini il segretario americano alla Difesa Pete Hegseth quando, prima della riunione ministeriale, ha detto che «ogni Paese deve contribuire con il 5% del PIL». Una posizione sposata dai Paesi Baltici ma osteggiata — seppur timidamente — dagli altri Alleati, su tutti la Spagna. Si è arrivati così a un compromesso: aumentare le capacità nazionali della Difesa al 3,5% del PIL, aggiungendo un ulteriore e più discrezionale 1,5% in investimenti correlati, tra cui le infrastrutture e la cybersicurezza. Da Roma è già partito il tentativo di convincere gli Alleati a inserire in queste ultime la costruzione del Ponte sullo Stretto. Mani avanti poi sui tempi di raggiungimento del nuovo obiettivo — non prima del 2035, fa sapere il ministro Guido Crosetto. Per raggiungere appieno gli obiettivi richiesti dalla NATO, l’Italia dovrebbe investire circa 66 miliardi di euro in più all’anno nella Difesa – i quali, a meno di miracoli economici, si tradurrà in tagli alla spesa sociale, indebitamenti e privatizzazioni.

L’obiettivo del piano concordato dai ministri degli Esteri membri della NATO è costruire un’Alleanza «più forte, equa e letale», in grado di garantire «la prontezza bellica negli anni a venire». L’Italia ha dichiarato di aver raggiunto quest’anno l’obiettivo del 2%, che il ministro Crosetto aveva già definito solamente un «punto di partenza», con l’obiettivo finale di arrivare a soddisfare le richieste dell’Alleanza. Tuttavia, secondo quanto dichiarato dal ministro stesso alla stampa nelle scorse ore, l’Italia potrebbe aver bisogno di altri 10 anni di tempo per giungere all’obiettivo del 3,5%. «Abbiamo sposato la tesi inglese di spostare al 2035 il raggiungimento degli obiettivi di capacità che vengono richiesti» ha dichiarato il ministro. Un investimento che dovrebbe portare nelle casse del ministero della Difesa ulteriori 33 miliardi di euro circa all’anno, che vanno raddoppiati per arrivare all’obiettivo finale richiesto dalla NATO (considerato il valore del PIL italiano nel 2024, pari a 2.192.182 milioni di euro).

Già ora, per far quadrare i conti l’Italia ha chiesto all’UE di poter inserire nel bilancio per la Difesa opere strategiche quali il Ponte sullo Stretto di Messina, per il governo un’infrastruttura «imperativa e prevalente per l’interesse pubblico» in quanto potrebbe dover essere necessaria per «il passaggio di truppe e mezzi della NATO». Come riscontrato dall’Osservatorio Milex, infatti, per raggiungere gli obiettivi di spesa richiesti l’Italia è costretta a inserire nel bilancio altre voci fino ad ora non considerate – e questo già solamente per raggiungere l’obiettivo del 2%. Al quale, in base alle richieste attuali, vanno ora aggiunte altre decine di miliardi di euro.

Russia, Putin approva un importante rinnovamento della marina

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Il presidente russo Vladimir Putin ha approvato una nuova strategia navale che mira a ripristinare completamente la posizione della Russia come una delle principali potenze marittime mondiali. Lo ha reso noto il consigliere del Cremlino Nikolai Patrushev, il quale non ha fornito ulteriori dettagli. Secondo la maggior parte delle classifiche pubbliche, la Russia ha la terza marina più potente al mondo, dopo Cina e Stati Uniti. I dati open source suggeriscono che la Russia abbia 79 sottomarini, inclusi 14 sottomarini con missili balistici a propulsione nucleare, e 222 navi da guerra.

L’ONU ha stabilito che le comunità Maya devono essere ricompensate per i danni coloniali

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Il Guatemala non sta attuando gli accordi di reinsediamento e le altre misure di riparazione raggiunte con il popolo Maya per i loro continui trasferimenti forzati. A denunciarlo è il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite, a margine di indagini condotte sin dal 2021, quando 269 membri dei popoli Maya K'iche', Maya Ixil e Maya Kaqchikel hanno chiesto all'organismo ONU di far valere i propri diritti. Nella sua decisione, il Comitato ha concluso che le vittime sono state violentemente sradicate dai loro territori e costrette a cercare rifugio nella capitale. In un ambiente culturale es...

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