sabato 23 Agosto 2025
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Il governo italiano ha chiesto un prestito da 14 miliardi per comprare armi

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Il governo italiano ha avanzato una richiesta per accedere al fondo europeo SAFE per la difesa, al fine di ricevere finanziamenti nel settore bellico. La richiesta prevedrebbe l’accesso a 14 miliardi di euro in cinque anni, con rimborsi da spalmare in 45 anni. Il fondo SAFE è una delle iniziative previste dal piano di riarmo lanciato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Esso prevede la raccolta di una somma fino a 150 miliardi di euro sui mercati, da erogare sotto forma di prestiti diretti agli Stati che ne fanno richiesta, e contempla l’avvio di procedure d’appalto comuni e semplificate. Hanno aderito al fondo altri 17 Paesi dell’UE, 12 dei quali hanno chiesto anche una deroga al Patto di Stabilità per aumentare i propri investimenti nell’industria delle armi al di fuori dei vincoli di debito da esso previsti.

La richiesta di adesione al fondo SAFE da parte dell’Italia sarebbe stata presentata nella notte di martedì 29 luglio, in seguito a un vertice tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, i vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini e, tra gli altri, il ministro della Difesa Guido Crosetto. L’arrivo della domanda è stato confermato dal Commissario Europeo alla Difesa, Andrius Kubilius, che ha annunciato il «forte interesse» dei Paesi UE verso il fondo. Da quanto comunica Kubilius, le richieste di adesione mobiliterebbero un totale di «almeno 127 miliardi di euro» in potenziali appalti di difesa. «La tempestiva manifestazione di interesse consentirà alla Commissione di valutare la domanda e di prepararsi alla raccolta di fondi sui mercati dei capitali», si legge nel comunicato della Commissione, che ricorda anche che il termine per la presentazione formale delle richieste di adesione a SAFE è fissato al 30 novembre 2025. I dettagli delle richieste dei singoli Paesi non sono ancora noti, ma secondo le anticipazioni della stampa l’Italia avrebbe avanzato domanda per accedere a 14 miliardi per finanziare programmi di difesa già pianificati nel quinquennio 2026-2030.

Il fondo SAFE è una delle misure principali del piano di riarmo della Commissione Europea. SAFE ha l’obiettivo di sostenere appalti congiunti tra gli Stati membri, incentivando la cooperazione industriale nel settore della difesa. I prestiti saranno erogati agli Stati che ne faranno richiesta sulla base di piani nazionali. Il piano si articola in due categorie principali di spese ammissibili: la prima riguarda munizioni, missili, sistemi di artiglieria e capacità di combattimento terrestre, inclusi droni e sistemi anti-drone; la seconda comprende difesa aerea e missilistica, capacità navali, trasporto aereo strategico, sistemi spaziali e tecnologie basate sull’intelligenza artificiale. Per richiedere i finanziamenti a un progetto, almeno il 65% del suo valore deve provenire da aziende del settore della difesa situate nell’UE, in Ucraina o in un Paese dello Spazio Economico Europeo o dell’Associazione Europea di Libero Scambio. La quota di componenti provenienti da Paesi terzi non potrà superare il 35%, a meno che non si tratti di subappalti inferiori al 15% del valore complessivo. In questo quadro, l’Unione ha aperto anche alla partecipazione di Paesi terzi selezionati, tra cui l’Ucraina e il Regno Unito.

Sono in tutto 18 i Paesi dell’UE che hanno chiesto l’accesso al fondo SAFE per la difesa; accanto all’Italia, figurano infatti anche Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Cipro, Croazia, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Lettonia, Lituania, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Spagna e Ungheria. A questi si aggiungono i 16 Paesi che hanno chiesto una deroga al Patto di Stabilità per aumentare la spesa per la difesa nei prossimi anni. Tale misura, anch’essa centrale nel piano di riarmo, prevede che i Paesi aumentino la spesa per la difesa fino all’1,5% del proprio prodotto interno lordo annuo per quattro anni, ignorando i vincoli del Patto di Stabilità e ricorrendo a nuovo debito. Tale sospensione, sostiene von der Leyen, potrebbe generare fino a 650 miliardi di euro nel prossimo quadriennio che, uniti ai 150 messi a disposizione con SAFE, porterebbero il totale delle risorse mobilitate per il piano a 800 miliardi. A chiedere l’accesso a questa seconda misura sono stati, precisamente, Belgio, Bulgaria, Repubblica Ceca, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Lettonia, Lituania, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Slovenia e Ungheria.

USA: sanzioni al giudice brasiliano che ha incriminato l’ex presidente

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Il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti d’America ha annunciato che il Paese imporrà sanzioni ad Alexadre de Moraes, giudice della Corte Suprema brasiliana, per avere perseguito l’ex presidente Bolsonaro. Bolsonaro è sotto processo con l’accusa di aver pianificato un golpe per impedire all’attuale presidente Lula di insediarsi nel gennaio 2023; Moraes ha ordinato misure restrittive nei suoi confronti, accusandolo di aver favorito interferenze straniere da parte di Trump. La Casa Bianca ha inoltre annunciato l’imposizione di dazi aggiuntivi del 40% su tutti i prodotti brasiliani in entrata, sostenendo che il Paese rappresenti una «minaccia alla sicurezza nazionale, alla politica estera e all’economia» degli USA.

Il Colorado sta costruendo un grande ponte per garantire l’attraversamento agli animali

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attraversamento faunistico colorado

Il Colorado sta costruendo un'infrastruttura che potrebbe rivoluzionare la sicurezza stradale per gli animali selvatici: un cavalcavia faunistico che, secondo i funzionari dei trasporti statali, sarà il più grande al mondo. Situato sulla Interstate 25, il tratto che collega Denver e Colorado Springs, questo passaggio permette alla fauna locale di attraversare la strada in sicurezza, riducendo significativamente il rischio di collisioni con i veicoli. Il progetto, del costo di 15 milioni di dollari, è un passo concreto per proteggere tanto la fauna selvatica quanto i conducenti, su una delle ar...

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Antitrust: indagine su Meta per abuso di posizione dominante

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L’Autorità garante della concorrenza, meglio nota con il nome di Antitrust, ha avviato una indagine contro Meta. Di preciso, il colosso tecnologico è indagato per abuso di posizione dominante, per avere introdotto una propria piattaforma di intelligenza artificiale sull’applicazione di messaggistica Whatsapp. Con l’avvio dell’indagine, l’Antitrust intende verificare che Meta non abbia avuto vantaggi sulla concorrenza sfruttando la diffusione dell’applicazione. L’assistente basato su tecnologie IA, infatti, è stato introdotto senza previa comunicazione agli utenti, e, secondo l’Autorità, potrebbe rendere i suoi utilizzatori «funzionalmente dipendenti».

Nel 2025 in Italia sono già andati bruciati 30.988 ettari di territorio

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Nei primi sette mesi del 2025 sono andati in fumo 30.988 ettari di territorio italiano, con il Sud duramente colpito – in particolare, Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata, Campania e Sardegna guidano la classifica. Nel complesso, sono stati registrati 653 incendi, di cui 81 che hanno interessato superfici superiori ai 100 ettari. Le cause principali sono attività dolose e l’azione delle ecomafie, cui si sommano disattenzioni, condizioni di temperatura e siccità sempre più favorevoli allo sviluppo e alla diffusione dei roghi e l’abbandono delle aree rurali. Preoccupano inoltre i ritardi nei Piani Antincendio Boschivo: 5 parchi nazionali sono ancora senza l’aggiornamento di questo essenziale documento.

Sono questi i dati del nuovo rapporto di Legambiente Italia in fumo, secondo cui dal primo gennaio al 18 luglio 2025 è stata registrata una media di 3,3 incendi al giorno con una superficie media bruciata di 47,5 ettari. Dei 30.988 ettari di territorio bruciati nei primi sette mesi del 2025, 18.115 hanno riguardato aree boscate, 12.733 ettari hanno interessato aree agricole, 120 ettari aree artificiali e 7 ettari aree di altro tipo. Preoccupano anche gli incendi scoppiati in aree naturali: su 30.988 ettari di territorio bruciati, oltre 6.200 hanno riguardo aree Natura2000, siti naturali protetti a livello comunitario, in 198 eventi incendiari. Per quanto riguarda gli eventi maggiormente distruttivi, ovvero quelli che hanno coinvolto una superficie superiore ai 100 ettari, il Cigno Verde mette al primo posto ancora la Sicilia con 49 incendi su un totale nazionale di 81, seguita da Puglia con 10 incendi, Basilicata, Sardegna, Campania tutte con rispettivamente 5 roghi. Maglia nera alla Sicilia anche in termini di ettari assoluti andati in fumo, (16.938 ettari in 248 roghi), seguono Calabria (3.633 ettari in 178 eventi incendiari), Puglia (3.622 ettari in 69 eventi), Basilicata (2.121 ettari in soli 13 roghi), Campania (1.826 ettari in 77 eventi) e Sardegna (1.465 ettari in 19 roghi). Tra le regioni del Centro e Nord Italia, la situazione peggiore la registrano il Lazio, la Provincia di Bolzano e la Lombardia.

Tra i più gravi, il recente rogo che ha colpito Villasimius, in Sardegna, dove decine di bagnanti sono stati costretti a fuggire via mare poiché le fiamme avevano già bloccato ogni altra vie di fuga e distrutto diversi veicoli. Questo e altri incendi si inseriscono quindi in una serie di emergenze causate dalle intense ondate di calore estive che stanno colpendo le regioni dell’Italia meridionale, già segnate dalla siccità. In ogni caso, è però spesso la mano di persone disattente, che gettano mozziconi di sigarette a terra, o di veri e propri criminali a fare la differenza. Secondo l’ultimo Rapporto Ecomafia, nel 2024 sono stati 3.239 i reati di “incendi boschivi e di vegetazione, dolosi, colposi e generici in Italia” contestati dalle forze dell’ordine, Carabinieri forestali e Corpi forestali regionali. Un dato in calo del 12,2% rispetto al 2023, ma che evidenzia ancora una volta la portata di fenomeno probabilmente sottostimato. Delle 459 persone denunciate, solo 14 sono state effettivamente arrestate (+16,7% rispetto al 2023). Anche guardando alle notizie di reato, ossia l’ipotesi che un reato potrebbe essere stato commesso, si conferma la prevalenza degli incendi di natura dolosa, 1.197 su 2.612, dei quali per il 95% contro ignoti. Sempre di origine prevalentemente dolosa sono le notizie di reato relative a incendi di vegetazione non boschiva, 294 su 423, anche in questo caso quasi sempre contro ignoti.

Gli incendi boschivi che ogni anno attanagliano il nostro e altri paesi del Mediterraneo provocano gravi danni ambientali, economici e sanitari. La perdita di biodiversità e la distruzione degli habitat sono tra gli effetti più immediati: vaste aree forestali vengono devastate, causando la morte della fauna e l’alterazione delle comunità vegetali. Le foreste mediterranee, già fragili a causa dei cambiamenti climatici, rischiano di trasformarsi in ecosistemi meno complessi, compromettendo produttività e capacità di assorbire CO2. L’erosione del suolo e le alterazioni del ciclo idrologico aumentano poi la vulnerabilità del territorio a frane e inondazioni, soprattutto dopo piogge intense. Gli incendi rilasciano inoltre grandi quantità di gas serra che aggravano il cambiamento climatico e di inquinanti associati a malattie cardiovascolari, respiratorie, tumori e riduzione delle funzioni cognitive. Sul piano socio-economico, gli incendi colpiscono sempre più spesso le cosiddette “aree di interfaccia”, zone di confine tra ambienti naturali e aree urbanizzate o industriali, mettendo a rischio abitazioni, infrastrutture e attività produttive.

Legambiente, contestualmente, ha presentato un pacchetto di 12 proposte che puntano a migliorare la gestione e la prevenzione degli incendi boschivi. Tra le richieste principali c’è il rafforzamento del coordinamento istituzionale per una gestione integrata degli incendi, con il coinvolgimento delle istituzioni competenti nella gestione delle foreste. Viene sottolineata inoltre l’importanza di integrare le strategie di adattamento climatico con la pianificazione forestale e quella antincendio. L’associazione invita a garantire una gestione sostenibile delle zone rurali per ridurre il rischio di incendio, proponendo anche l’adozione del pascolo prescritto come misura preventiva. Particolare attenzione viene data al coinvolgimento dei cittadini e delle comunità locali attraverso iniziative come le Fire smart community e i Fire smart territory. Tra le altre proposte ci sono la necessità di disporre di dati e statistiche aggiornate, mantenendo costantemente aggiornato il catasto delle aree percorse dal fuoco, e di favorire il ripristino ecologico e funzionale di queste aree. Infine, Legambiente chiede di integrare la pianificazione urbanistica con la prevenzione degli incendi boschivi, di potenziare i presidi dello Stato impegnati nella lotta contro gli incendi, di estendere le pene previste per il reato di incendio boschivo a tutte le tipologie di incendio, nonché di migliorare l’applicazione delle norme vigenti e rafforzare i divieti stabiliti dalle leggi nazionali e regionali.

La città di Genova ha riconosciuto lo Stato di Palestina

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Il Consiglio Comunale di Genova ha approvato una mozione per riconoscere lo Stato di Palestina. Il documento è stato presentato dalla consigliera di AVS Francesca Ghio e sostenuto dalla maggioranza formata dai Gruppi Consiliari Alleanza Verdi Sinistra, Movimento 5 Stelle, Partito Democratico e Lista Civica Silvia Salis. Il testo impegna l’amministrazione a sostenere il «riconoscimento dello Stato di Palestina quale Stato democratico e sovrano entro i confini del 1967 e con Gerusalemme quale capitale condivisa», e a inoltrare richiesta al governo perché faccia lo stesso. In sede di consiglio è stato anche approvato un emendamento che impegnerebbe il Comune a sospendere immediatamente la vendita di armamenti a Israele e a promuovere l’adozione di sanzioni contro lo Stato ebraico.

La mozione del Comune di Genova è stata approvata ieri, martedì 29 luglio, con 21 voti favorevoli, 13 contrari e un astenuto. In sede di discussione la minoranza ha chiesto un rinvio del voto per raggiungere un testo unitario, che ha costretto una temporanea sospensione della seduta. Ripartita la discussione, il Consiglio ha approvato la mozione e gli emendamenti della maggioranza. Il documento approvato impegna il Comune «a sostenere, anche congiuntamente con altre istituzioni, il riconoscimento dello Stato di Palestina», in conformità alle risoluzioni delle Nazioni Unite e alle indicazioni del Parlamento Europeo, nel rispetto del diritto internazionale; Genova, inoltre, si impegna a chiedere al governo di fare lo stesso, e a sostenere «il diritto inalienabile del popolo palestinese all’autodeterminazione», il suo diritto all’indipendenza e quello alla sovranità nazionale. Il Comune infine si impegna a chiedere che venga implementato un cessate il fuoco, che venga rispettato il diritto internazionale e che Israele faccia entrare aiuti nella Striscia di Gaza.

Da quanto comunicano i quotidiani locali, l’emendamento alla mozione sarebbe stato presentato la stessa mattina della discussione. Esso impegnerebbe il Comune a sollecitare il riconoscimento dello Stato di Palestina da parte dell’UE; a condannare il piano israeliano Carri di Gedeone come tentativo di annientamento sistematico del popolo palestinese; a sostenere il piano arabo per la ricostruzione di Gaza condannando il piano di deportazione proposto da Trump; a sospendere le autorizzazioni alla vendita di armi a Israele concesse prima dell’8 ottobre 2023 e a promuovere il blocco totale a livello europeo; a sospendere l’importazione di armamenti da Israele; a sostenere l’adozione di sanzioni UE contro il governo israeliano e i coloni; a richiedere la cessazione delle operazioni militari e dell’occupazione in Cisgiordania; a proporre la sospensione dell’accordo di associazione UE-Israele.

Con l’approvazione della mozione di ieri, Genova si unisce alla lista di comuni che hanno chiesto al governo di riconoscere lo Stato di Palestina. Il primo a farlo, il 15 dicembre 2023, era stato il Comune di Polistena, nella città metropolitana di Reggio Calabria, come riportato dalla stessa pagina ufficiale del Comune sulla piattaforma social Facebook. A Polistena era seguito il comune di Turano Lodigiano, il primo ad aderire alla campagna dell’Associazione Schierarsi, che promuove una legge che impegna l’Italia a riconoscere “lo Stato di Palestina con capitale Gerusalemme est come Stato sovrano e indipendente, conformemente alle risoluzioni delle Nazioni Unite e al diritto internazionale”. Dopo il comune lombardo, sono arrivati a ruota diversi altri enti e altrettante amministrazioni, tra cui il Comune di Napoli, che ha anche interrotto i rapporti con Israele.

Trump annuncia dazi del 25% all’India

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Trump ha dichiarato che imporrà una tariffa del 25% sulle merci importate dall’India a partire dal 1° agosto. Trump ha anche annunciato una «penalità» senza tuttavia specificare di cosa si tratti; le ragioni delle tariffe risiedono nel fatto che l’India compra idrocarburi dalla Russia: «Ricordate, sebbene l’India sia nostra amica, nel corso degli anni abbiamo fatto relativamente pochi affari con loro perché i loro dazi sono troppo alti», scrive Trump. «Inoltre, hanno sempre acquistato la stragrande maggioranza del loro equipaggiamento militare dalla Russia e sono il maggiore acquirente di energia della Russia, insieme alla Cina, in un momento in cui tutti vorrebbero che la Russia fermasse le uccisioni in Ucraina».

Consumare hummus fa bene alla salute: ecco perchè

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Nell’ultimo decennio l’hummus è diventato un alimento sempre più popolare anche da noi in Italia. Si tratta di una crema spalmabile di origine mediorientale, in particolare del Libano e di altri Paesi della regione, a base di ceci lessati, tahini (pasta di semi di sesamo), succo di limone, olio extravergine d’oliva, aglio, prezzemolo e spezie come cumino e paprika. Molti studiosi ritengono che si tratti di un alimento particolarmente salutare, per via delle sue proprietà nutrizionali, molto interessanti soprattutto per quanto riguarda la prevenzione dei tumori – in particolare quello al seno e alla prostata. 

Normalmente, l’hummus viene servito col pane e viene degustato come antipasto in accompagnamento a verdure crude. Si usa anche come ripieno per i wrap – in gastronomia, un tipo di cibo che consiste in una sfoglia morbida arrotolata attorno a un ripieno (che può includere carne, pesce, verdure e salse), simile ad altri piatti arrotolati come burrito e piadine. Questo tipo di soluzione è ideale da portare fuori casa per il pranzo in ufficio oppure per una merenda sana da dare ai bambini. Nulla vieta di usare l’hummus anche per farcire classici panini, ovviamente. Gli ingredienti che lo compongono sono stati ampiamente studiati nella ricerca medica e godono di un consenso molto forte, in quanto si tratta di sostanze in grado di contrastare le cellule tumorali. Mangiando l’hummus assumiamo infatti tre veri e propri superfood contro il cancro al seno. Il primo sono i ceci, che sono dei legumi e che hanno ottime proprietà nutritive, come tutti gli altri legumi. In uno studio recente è stato osservato come le donne che hanno assunto circa 30 grammi di legumi al giorno hanno il 46% di rischio in meno di cancro al seno. I ceci contengono composti unici chiamati inibitori della proteasi, recentemente scoperti per avere la caratteristica di rallentare drasticamente la crescita delle cellule tumorali sia al seno che alla prostata in vitro, e anche per eliminare il 64% delle formazioni precancerose del colon nei topi. Si tratta di benefici per la salute che si estendono anche alle persone: ampi studi sulla popolazione confermano che le persone che mangiano i legumi hanno il 32% di rischio in meno di cancro in generale, incluso il 57% in meno di cancro al colon e il 45% in meno di cancro alla prostata.

Il secondo ingrediente speciale dell’hummus è l’olio extravergine di oliva. Un altro studio ha dimostrato che solo 1,5 cucchiai di olio d’oliva extravergine al giorno (da non confondere con l’olio d’oliva, che invece è un olio raffinato e poco salubre) riduce il rischio di cancro al seno del 73%. 

Infine, c’è il tahini (o tahina), una purea di semi di sesamo. Contiene gli stessi nutrienti dell’olio di semi di sesamo, che è stato associato a un rischio di cancro al seno inferiore del 42% se usato regolarmente in cucina. L’uso quotidiano di hummus potrebbe fornire tutti questi benefici contemporaneamente. Viene da chiedersi quale potrebbe essere la riduzione del rischio combinata.

Specificamente per quanto riguarda il cancro al seno, ceci e sesamo offrono un bonus speciale: i lignani. Abbiamo bisogno di almeno 5 mg al giorno di lignani per ridurre il rischio di cancro, ma la maggior parte degli adulti occidentali ne assume solo 1 mg al giorno. Una singola porzione da 100 grammi di hummus fornisce ben 35 mg di lignani. In studi recenti è stato mostrato come le donne che consumavano più lignani correvano un rischio di contrarre il cancro al seno inferiore del 50%, mentre le pazienti affette da cancro al seno che consumavano più lignani avevano un sorprendente rischio ridotto del 71% di decesso durante il periodo di studio. Per queste ragioni, l’hummus potrebbe davvero essere un superfood e dovrebbe essere considerato parte di una dieta sana incentrata su alimenti naturali e cibi integrali.

L’hummus ha, inoltre, un basso indice glicemico: in uno studio clinico sull’alimentazione condotto su soggetti sani, è stato dimostrato che l’hummus ha un indice glicemico (IG) di appena 15 e un indice insulinico di appena 52, entrambi considerati piuttosto bassi. L’indice glicemico è una misura clinica che indica di quanto viene fatta alzare la glicemia nel sangue, a seconda dell’alimento che viene assunto nella dieta. L’indice glicemico dell’hummus è basso quindi questo alimento è ottimale anche per le persone che soffrono di diabete. Una dieta incentrata su questi alimenti sani come l’hummus di ceci o i legumi può contribuire a ridurre il rischio di diabete di tipo II e di malattie cardiovascolari.

Infine, va detto che si tratta di un alimento estremamente semplice da preparare a casa: basta unire tutti gli ingredienti in un frullatore. In rete troverete tante ricette per l’hummus di ceci, basta seguire le quantità che vengono indicate oppure variare leggermente secondo i propri gusti. È possibile trovare anche l’hummus già pronto nei supermercati, una soluzione tuttavia non raccomandabile in quanto si tratta generalmente di prodotti che contengono anche grassi non sani come l’olio di girasole e amidi addensanti, oltre che conservanti. In alternativa, sarà sufficiente trovare un buon ristorante di cucina libanese e andate a gustarlo lì con il loro pane arabo servito caldo, la pita. Sarà di sicuro un’esperienza molto gratificante.

Nel silenzio generale Israele concretizza i piani per la “Riviera di Gaza”

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Nel silenzio generale dei media internazionali, la scorsa settimana si è tenuta una conferenza nel Parlamento israeliano concernente i piani per trasformare la Striscia di Gaza in una città turistica, una volta liberata dalla presenza di chi nell’enclave ci abita da sempre: i palestinesi. Alla conferenza, dal titolo “La riviera di Gaza: dalla visione alla realtà”, hanno partecipato diversi politici israeliani – tra cui alcuni ministri del governo Netanyahu – e i coloni israeliani, da sempre propensi a rimpossessarsi della Striscia, abbandonata da Israele nel 2005. La conferenza si è tenuta proprio in occasione del ventesimo anniversario del ritiro israeliano dall’enclave palestinese. La rappresentante del movimento dei coloni Nachala, Daniella Weiss, ha dichiarato che «Il capitolo arabo di Gaza è chiuso» e che «A Gaza non ci sarà mai un governo arabo, internazionale o americano». Da parte sua, il ministro delle finanze israeliano Bezalel Smotrich ha affermato che Israele ha ricevuto «il via libera dal presidente degli Stati Uniti per trasformare Gaza in una striscia prospera, una località turistica con posti di lavoro», aggiungendo che «Occuperemo Gaza e la renderemo una parte inseparabile di Israele». Per ora non ci sono stati commenti da parte degli Stati Uniti su queste dichiarazioni.

Il piano discusso nella conferenza alla Knesset riecheggia la proposta di Trump di evacuare la striscia dai suoi abitanti per costruire un grande resort turistico di lusso, una Dubai affacciata sul Mediterraneo orientale. Non controllata però dagli Stati Uniti, bensì da Israele: secondo Smotrich si tratta di una «grande opportunità» che alcuni chiamano «annessione per motivi di sicurezza». Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, minacciare l’annessione di Gaza sarebbe un modo per fare pressione sul movimento palestinese Hamas facendolo così tornare ai negoziati. Tuttavia, durante la conferenza, non solo i discorsi che incitavano alla presa di Gaza sono stati accolti con applausi e ovazioni, ma è stato anche presentato un piano dettagliato per l’insediamento ebraico nell’enclave palestinese. «Siamo qui per presentare una visione chiara di come Gaza diventerà un luogo fiorente», ha affermato Lital Slonim, membro di Nachala insieme a Daniella Weiss. Nachala è uno dei movimenti di coloni più noti in Israele e costruisce da decenni insediamenti illegali nella Cisgiordania occupata. All’inizio di quest’anno la Corte Internazionale di Giustizia ha stabilito che l’occupazione israeliana dei territori palestinesi, iniziata nel 1967, è illegale e deve cessare il prima possibile. Nonostante ciò, il movimento e lo stesso Stato di Israele non sembrano intenzionati a rispettare il diritto internazionale, ma al contrario, hanno esteso le loro mire anche su Gaza.

Nel dettaglio, il piano redatto da Nachala prevede – come riporta il media Middle East Eye – la costruzione di circa 300.000 unità abitative, la maggior parte delle quali dovrebbe trovarsi nelle due principali aree residenziali nella parte settentrionale e meridionale della striscia. Il territorio potrebbe ospitare circa un milione e 200 mila ebrei e dovrebbe essere dotato di spazi verdi, trasporti, zone industriali, hotel, un’università e persino un porto. Secondo il piano «Il diritto del popolo israeliano alla Striscia di Gaza è lo stesso di quello a Gerusalemme, Hebron e Tel Aviv». Nel capitolo intitolato «Migrazione civile come conseguenza delle guerre – Attuazione nella regione di Gaza», si afferma che «alla popolazione di Gaza è stata revocata la legittimità di continuare a vivere in quest’area». Di conseguenza, «l’allontanamento della popolazione civile, per scelta e/o nell’ambito di un accordo, è una fase necessaria per l’evacuazione del campo di battaglia e la sua trasformazione in uno spazio di vita ebraica, agricoltura, industria, turismo e insediamento».

Non è la prima volta che in Israele si tengono riunioni di questo tipo né è la prima volta che il governo e la società civile israeliana mostrano apertamente la loro volontà di occupare Gaza: già nel gennaio 2024 si era svolta una conferenza organizzata dai coloni e dalla destra israeliana con il medesimo scopo di ricostruire gli insediamenti ebraici nella striscia e espellere i palestinesi dai loro territori. Riguardo al destino dei palestinesi, inoltre, era stato pubblicato già nel novembre del 2023 un “piano finale” dettagliato e pensato nei minimi particolari per risolvere definitivamente il problema della presenza palestinese a Gaza, attraverso una vera e propria pulizia etnica. Il rapporto, ora non più accessibile al pubblico, era stato redatto da uno dei più influenti think tank israeliani con un titolo inequivocabile: “Un piano per il reinsediamento e la riabilitazione definitiva in Egitto dell’intera popolazione di Gaza”.

La conferenza svoltasi la scorsa settimana alla Knesset, dunque, conferma le ambizioni di Israele e dei coloni. Ambizioni di cui il silenzio internazionale della stampa e della politica si rende complice: pochi media, infatti, hanno messo in risalto l’evento, così come pochi capi politici l’hanno condannato. Tra i governi che hanno criticato il piano ci sono Spagna, Francia e Cina, mentre molti non si sono espressi a riguardo. Intanto, continua la mattanza a Gaza, dove la fame sta diventando quasi più letale delle bombe e il cibo viene lanciato con i paracadute a causa delle condizioni disperate della popolazione e della difficoltà a fare entrare gli aiuti e i beni di prima necessità. Dall’ottobre 2023, Israele ha ucciso più di 59.100 palestinesi, la maggior parte dei quali donne e bambini, e la maggior parte degli edifici, delle infrastrutture e degli ospedali è ridotto in macerie. È su questa desolazione che dovrebbe sorgere la “Riviera di Gaza”.

Mattarella “russofobo”: la Farnesina convoca l’ambasciatore russo dopo le accuse di Mosca

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Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha convocato l’ambasciatore russo in Italia dopo che Mosca ha inserito il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, lo stesso Tajani e il ministro della Difesa Guido Crosetto nella lista di presunti “russofobi”. Il ministro ha definito l’azione «provocatoria» e offerto la propria solidarietà al presidente Mattarella. A suscitare le accuse di “russo-fobia” sarebbe stato un discorso pronunciato dal presidente lo scorso febbraio all’Università di Marsiglia, quando paragonò la Russia al Terzo Reich.