domenica 23 Novembre 2025
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Pericolo salmonella nei pomodorini siciliani? Come stanno realmente le cose

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In questi giorni sta circolando su tutti i giornali e media europei una notizia abbastanza sorprendente: in Europa sarebbe in corso un “focolaio transfrontaliero prolungato” di casi di infezione da Salmonella Strathcona, che avrebbe provocato diversi casi di intossicazione in 17 Paesi dell’UE. I dati raccolti nel monitoraggio degli ultimi tre anni (2023-2025) avrebbero identificato addirittura un colpevole preciso come fonte dell’infezione: i pomodorini prodotti in Sicilia (datterino e ciliegino). Lo scrive in un report europeo l’ECDC (Agenzia UE dedicata alla prevenzione e al controllo delle malattie infettive). Un rapporto ripreso ampiamente da decine di testate giornalistiche e rilanciato con titoli allarmisti. Al solito, su L’Indipendente ci siamo presi il tempo necessario per leggere tutto il rapporto e non ricopiare i lanci delle agenzie di stampa. E, al solito, è emerso che le cose sono piuttosto diverse da come i più hanno riportato.

Cosa sappiamo di preciso

Nel 2025, 14 Stati hanno segnalato 93 nuovi casi confermati di infezioni gastrointestinali da Salmonella Strathcona. I tre Stati con il maggior numero di casi nel 2025 sono Austria (22), Germania (16) e Italia (25). In totale, dal 1° gennaio 2023 al 30 settembre 2025, sono stati identificati 437 casi confermati in 17 Paesi UE: Austria (76), Francia (43), Germania (113) e Italia (123) hanno registrato il numero maggiore di casi. E dal momento che fra tutti i Paesi europei l’Italia risulta quello in cui sono stati effettuati la maggior parte dei viaggi da parte di cittadini europei che hanno avuto un episodio di infezione gastrointestinale, le indagini si stanno concentrando su veicoli di infezione (in particolare di tipo alimentare) la cui origine sarebbe italiana.

Se la notizia che circola da giorni è che in Europa c’è un focolaio transfrontaliero di infezioni gastrointestinali dovute ad un particolare tipo di Salmonella proveniente dai pomodorini siciliani, allora ci si aspetta che esista un forte nesso di causalità tra questo alimento prodotto in Sicilia e le infezioni che sono presenti in tutta Europa. Se questo legame causa-effetto ad oggi però non esiste, allora si tratta solo di becero allarmismo e sensazionalismo. Cerchiamo di capire meglio dunque se davvero questi pomodorini prodotti in Sicilia sono da imputare per i casi di tossinfezioni gastrointestinali sparse in giro per l’Europa.

Cosa si è trovato in Italia nelle indagini microbiologiche

Piantagione di datterini

Le autorità sanitarie italiane responsabili della sicurezza alimentare (Ministero della Salute e ASL locali) hanno avviato alcune procedure di controllo nel territorio italiano, prelevando e analizzando in laboratorio dei campioni di pomodorini sia direttamente tra quelli in vendita sul mercato, sia tra quelli di alcuni siti produttivi in varie regioni italiane e specialmente in Sicilia. Complessivamente, sono stati raccolti 122 campioni, nel periodo compreso tra il 30 settembre e il 10 dicembre 2024. I 122 campioni ufficiali consistevano in 71 pomodorini e 51 pomodorini datterini. Il numero più elevato di campioni è stato raccolto in Sicilia, seguita dalle altre regioni italiane. Dei 122 campioni di pomodoro, un campione proveniente dalla Sicilia e rilevato nell’Italia settentrionale, è risultato positivo alla Salmonella Infantis. Si tratta di uno dei centinaia di tipi di Salmonella, tuttavia non corrisponde alla S. Strathcona di cui si sospetta una epidemia estesa.

L’analisi di tracciabilità del campione risultato positivo a S. Infantis ha permesso l’identificazione del produttore siciliano, che è stato ulteriormente ispezionato. Il campionamento ufficiale effettuato presso questo produttore primario ha portato al rilevamento, nel gennaio 2025, di S. Strathcona da un campione di acqua di irrigazione prelevato da un pozzo. I produttori siciliani di pomodori controllati sono stati 12, e il numero complessivo di controlli su terreni, acqua di irrigazione, fertilizzanti e piante di pomodoro sono stati 328 (Tabelle 2 e 4 del Report ECDC). I test hanno rilevato la presenza di Salmonella Strathcona soltanto nel sito produttivo di un singolo produttore (nel pozzo dell’acqua di irrigazione). Nel sito produttivo di altri 2 produttori sono state trovate tracce di salmonella ma si trattava di un tipo diverso dalla Strathcona. Su 12 produttori siciliani dunque soltanto in un sito produttivo è stato rilevato questo particolare tipo di salmonella, ma ciò non significa ovviamente che poi tutti i casi segnalati in Europa di intossicazioni alimentari dovuti a Salmonella Strathcona siano da ricondurre a questo produttore siciliano o ad altri produttori della Sicilia, e questo è evidente per almeno due aspetti:

  • l’infezione di salmonella che ha colpito alcune persone in vari Paesi europei può essere dovuta in primis anche ad altri alimenti che essi hanno ingerito assieme o separatamente ai pomodorini italiani, dal momento che non è stato riferito di persone che abbiano mangiato solo i pomodorini e poi abbiano avuto un episodio di infezione intestinale. Altri alimenti come latticini, conserve come pesto, cereali, carni crude o poco cotte, pesce, uova, ma anche frutta e ortaggi di vario tipo, sono tutti possibili veicoli di salmonella.
  • La proliferazione di salmonella può essere avvenuta anche in un secondo momento lungo la filiera di produzione, trasporto, stoccaggio e consumo dei pomodorini siciliani, e non necessariamente nel sito produttivo in Sicilia. Vale a dire che un pomodorino siciliano può essere esente da contaminazione batterica nel momento in cui lascia il sito di produzione, ma poi lungo il percorso che fa per giungere in Germania, Danimarca, Austria o altre regioni italiane diverse dalla Sicilia, può benissimo essere oggetto di contaminazione e proliferazione di salmonella. 

I due focolai di salmonellosi in Italia del 2024

Pomodorini ciliegini

I casi più rilevanti di infezioni gastrointestinali si sono registrati proprio in Italia nel 2024, ma con la particolarità di riguardare sempre dei pasti somministrati in mense scolastiche, che hanno coinvolto specificatamente 2 regioni italiane: Umbria e Toscana. Nel dettaglio si tratta di 224 casi nelle scuole di Firenze e provincia nell’Ottobre 2024, in cui il veicolo di infezione è stato identificato in un pasto a base di farro, pesto verde e pomodorini, consumato in diverse mense scolastiche del territorio toscano. Le ASL di riferimento hanno parlato di «possibile mancato o sbagliato lavaggio dei pomodorini consumati crudi», ma in realtà alla data odierna non vi è certezza che sia stato proprio questo alimento a trasmettere il batterio, infatti anche i cereali come il farro o le conserve come il pesto, se conservati o manipolati secondo regole igieniche scorrette, possono subire proliferazioni batteriche di salmonella. Nessuno ad oggi ha escluso che i 224 casi della Toscana siano dovuti al farro o al pesto verde, anziché ai pomodorini. Il pasto è stato preparato da una cooperativa toscana, che ha lavorato tutti e 3 questi cibi (e ovviamente anche altri alimenti e sostanze alimentari), ma non ci sono dati tecnici tossicologici certi ad indicare quale di questi alimenti fosse effettivamente contaminato da Salmonella Strathcona. Anzi sappiamo che, al contrario, si è riusciti a tracciare la provenienza dei pomodorini di questo pasto e che sono state fatte analisi microbiologiche nei siti di produzione. Il risultato? Leggo testualmente dal report europeo:

«Le indagini di tracciabilità condotte dall’Autorità per la sicurezza alimentare in Italia hanno identificato due produttori di pomodori (il produttore italiano C e il produttore italiano D). I controlli ufficiali effettuati presso i locali del produttore italiano D non hanno rilevato alcuna non conformità nello stabilimento. Durante l’ispezione, sono stati campionati i pomodori della serra. I pomodori sono stati raccolti direttamente dalla coltura e l’analisi microbiologica ha prodotto un risultato negativo per Salmonella. Nel dicembre 2024 sono stati raccolti anche due campioni ufficiali di acqua di irrigazione, i quali sono risultati negativi alla Salmonella». L’altro produttore siciliano fornitore della partita di pomodori (produttore C) è stato ispezionato a Dicembre 2024 e non è stata trovata traccia di salmonella nel suo sito produttivo, come mostrato nel report ECDC nella tabella 2. 

Nessuna evidenza dunque che fossero i pomodorini arrivati dalla Sicilia il vettore di infezione dei casi in Toscana. Come ho già detto, la contaminazione può benissimo essere avvenuta in un secondo momento, successivo alla produzione, lungo la filiera e il trasporto/stoccaggio del prodotto. Fra l’altro nel report europeo ECDC si legge che i pomodorini hanno fatto la spola fra vari grossisti e rivenditori prima di giungere agli operatori del settore alimentare, e questo non è un caso isolato ma la prassi oggigiorno per qualsiasi materia prima di origine alimentare. Più i tempi sono lunghi, più il prodotto passa di mano in mano lungo la filiera, e più aumentano le probabilità di contaminazioni e proliferazioni batteriche, ovviamente.

L’altro caso è quello dell’Umbria, avvenuto tra Settembre e Ottobre del 2024, ha riguardato 63 casi di infezioni in gran parte fra i bambini che avevano mangiato alla mensa scolastica. E anche in questo caso, secondo i campionamenti effettuati dai tecnici della Asl, l’elemento che ha scatenato il focolaio sarebbe riconducibile alla fornitura dei pomodorini usati in una mensa che forniva pasti alle diverse scuole. Ma anche in questo caso, come in Toscana, il pasto incriminato era un piatto di pasta fredda condito con pomodorini, come risulta dal report europeo ECDC. Anche in questo caso si è potuti risalire ai produttori siciliani del pomodorino e non è stata trovata alcuna traccia di Salmonella nei siti di produzione.

Impossibile quindi addebitare l’intera faccenda ai pomodorini siciliani, come invece stanno facendo tutti ma proprio tutti i siti di informazione e quotidiani italiani in questi giorni, con titoli perentori e accusatori del tipo Focolaio di salmonella, l’Europa punta il dito contro i pomodorini siciliani (QuiFinanza.it) o Salmonella nei pomodorini siciliani, la Ue conferma l’ipotesi: tre anni di casi e indagini in 17 Paesi (Corriere.it). 

Il Report europeo dell’ECDC, in realtà, come abbiamo appena visto, non conferma definitivamente l’ipotesi e sostiene che sono necessari ulteriori accertamenti e verifiche sull’intero sistema alimentare e sul processo di controlli. Queste le conclusioni testuali dal report europeo: «Questi risultati hanno inoltre evidenziato la necessità di una strategia multidisciplinare per mitigare il rischio di contaminazione da Salmonella. Tale necessità è confermata anche dal rilevamento del ceppo epidemico in altre matrici connesse agli ambienti acquatici (ad es. fiume, molluschi bivalvi, acqua corrente, acqua di irrigazione). Ulteriori indagini dovranno proseguire per verificare l’ipotesi che i pomodorini siciliani siano il veicolo delle nuove infezioni segnalate in tutti i Paesi, poiché anche altri alimenti potrebbero essere coinvolti nella trasmissione».

Infine va sottolineato con chiarezza che le contaminazioni e proliferazioni batteriche – come avviene anche per quelle dei virus di cui siamo tutti venuti a conoscenza negli ultimi tempi – fanno parte di un quadro generale che non chiama in causa solo le tecniche agricole. Infatti sono dovute a un insieme e di variabili che agiscono spesso sinergicamente: cambiamenti climatici, siccità, stress idrici e alluvioni sono citati dagli esperti come fattori che possono favorire la contaminazione delle acque per esempio, specie in aree agricole ad alta intensità. Non un problema locale, quindi, ma sistemico, che richiede investimenti e tracciabilità sempre più precise e accurate. Accusare i produttori siciliani in blocco in questa vicenda appare a chi scrive come la cosa più ignobile e scorretta che i mass media possano fare. Serve invece precauzione nelle affermazioni onde evitare inutili allarmismi, e sospensione del giudizio fino a che il quadro non sia un po’ più chiaro di quello che ad oggi abbiamo di fronte.

USA, è morto l’ex vicepresidente Dick Cheney

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È morto a 84 anni Dick Cheney, ex vicepresidente degli Stati Uniti e figura chiave della politica americana contemporanea, a causa di complicazioni dovute a una polmonite. Considerato il più influente vice presidente dell’era moderna, fu insieme a George W. Bush l’artefice della “guerra al terrorismo” seguita all’11 settembre, che portò all’invasione dell’Iraq. Al potere per due mandati, dal 2001 al 2009, Cheney ha esercitato un’enorme influenza a Washington. Negli ultimi anni era stato emarginato dal Partito Repubblicano per le sue dure critiche a Donald Trump, definito un «codardo» e la più grave minaccia alla democrazia americana.

Trump, ultimatum al Venezuela: “il presidente Maduro ha le ore contate”

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Nel corso di un’intervista rilasciata all’emittente CBS, il presidente statunitense Donald Trump ha lanciato al Venezuela un ultimatum: alla domanda della giornalista «I giorni di Maduro come presidente sono contati?», il presidente ha risposto «Sì, direi di sì». Le dichiarazioni arrivano dopo che, nel corso del finesettimana, Washington ha schierato il più imponente dispiegamento navale dalla crisi dei missili di Cuba del 1962 e dopo che Trump ha ammesso di aver autorizzato la CIA a condurre operazioni segrete, anche «letali», in Venezuela – e aprendo alla possibilità anche di attacchi via terra. Nelle ultime settimane, sono decine le persone uccise dagli attacchi statunitensi, condotte contro le imbarcazioni, in quanto sospettate di essere trafficanti di droga.

Alla domanda diretta della giornalista, Trump ha negato che gli Stati Uniti si stiano infilando in una guerra con Caracas. «Si tratta di fermare il traffico di droga o di liberarsi del presidente Maduro?» ha poi chiesto la giornalista al presidente, il quale ha risposto che la ragione principale delle mosse USA è il fatto che il Venezuela è un Paese che «svuota le sue carceri nel nostro Paese». Secondo Trump, dunque, i giorni del presidente Maduro sono contati. Pur dubitando dell’eventualità di un’aggressione militare, gli Stati Uniti si stanno già infilando, di fatto, sul suolo venezuelano. Lo stesso presidente ha infatti ammesso di aver autorizzato la CIA a compiere operazioni segrete anche «letali» nel Paese, per fare pressioni sul presidente Maduro, alludendo anche alla possibilità di attacchi terresti. Nell’ultimo finesettimana, inoltre, Washington ha schierato nel Mar dei Caraibi la più grande portaerei della flotta USA insieme ad altre tre navi da guerra, per un totale di circa 4 mila militari. I mezzi si aggiungono alle navi lanciamissili dotate di Tomahawk, caccia F/A-18 e aerei da guerra elettronica EA-18 Growler che stanno pattugliando la regione e ai bombardieri B-52 e B-1 che hanno effettuato missioni di ricognizione sulle coste e che hanno spinto la vicina Repubblica di Trinidad e Tobago a mettere il proprio esercito in stato di allerta. Sono decine, inoltre, i “sospetti trafficanti” uccisi nelle ultime settimane: l’ultimo, avvenuto lo scorso finesettimana, è stato condotto contro un’imbarcazione che si ipotizza stesse trafficando droga. Tre persone sono state uccise: per il governo si trattava di appartenenti a un cartello del quale, però, non è stato fatto il nome.

Nel frattempo, la premio Nobel per la pace Maria Corina Machado, leader dell’opposizione in Venezuela, ha ribadito il proprio completo sostegno alle operazioni di Trump, in particolare alla decisione del governo di imporre una taglia di 50 milioni di dollari sulla testa del presidente Maduro. Ribadendo le accuse di vittoria fraudolenta di Maudro, Machado ha dichiarato a Fox News che «la popolazione venezuelana sostiene Trump». «Renderemo il Venezuela il miglior alleato degli Stati Uniti», ha assicurato.

Perù-Messico, crisi diplomatica dopo asilo concesso a ex premier Chávez

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Il governo del Perù ha interrotto le relazioni diplomatiche con il Messico dopo che l’ex prima ministra peruviana Betssy Chávez, sotto processo per incitamento alla ribellione per il tentato golpe del 2022 di Pedro Castillo, ha ottenuto asilo nell’ambasciata messicana a Lima. Chávez, già arrestata nel 2023 e poi rilasciata, rischia fino a 25 anni di carcere. Il ministro degli Esteri peruviano ha definito l’asilo «un atto ostile», mentre il presidente José Jerí ha accusato il Messico di interferenze politiche. Città del Messico ha replicato di aver agito nel rispetto del diritto internazionale.

Eolico fermo, trivelle avanti: il paradosso della transizione nell’Adriatico

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Quando si parla di parchi eolici in Italia, emergono due principali obiezioni. La prima riguarda il possibile impatto paesaggistico, ossia i cambiamenti che l’installazione delle turbine potrebbe comportare sul territorio. La seconda critica riguarda invece i progetti promossi da società estere, accusate di sfruttare le risorse locali senza generare benefici concreti per la comunità. Esiste però un progetto interamente sostenuto da investitori italiani, che punta a realizzare uno dei più grandi hub energetici dedicati alle rinnovabili nel mare Adriatico, a circa 12 miglia dalla costa di Ravenna, dove le pale eoliche non avrebbero alcun impatto sul paesaggio. Tuttavia, la costruzione dell’impianto è ferma da mesi a causa dell’indecisione del governo, che ne rallenta l’avvio operativo. Si tratta del progetto AGNES Romagna, due impianti eolici offshore da 600 megawatt in totale integrati da un parco fotovoltaico galleggiante. L’obiettivo è costruire nel mare Adriatico un polo energetico completamente rinnovabile, capace di fornire energia pulita a circa 500mila famiglie. Un contributo più che rilevante per la Regione Emilia-Romagna, che punta a raggiungere 6,3 gigawatt di energia rinnovabile entro il 2030.

Eppure, a più di un anno dall’autorizzazione ambientale ottenuta nel luglio 2024, tutto è ancora fermo. «Abbiamo ricevuto la Valutazione di Impatto Ambientale, ma il sistema delle aste non è partito – ha spiegato all’Indipendente Alberto Bernabini, amministratore delegato di AGNES – Ci sono stati 130 progetti in Italia, ma solo quattro sono stati autorizzati. Senza aste non possiamo procedere, perché i passi successivi sono molto costosi. Quindi aspettiamo di capire cosa vuole fare il governo».

Alla base dello stallo c’è il meccanismo delle aste pubbliche, gestito dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. Il sistema funziona così: lo Stato fissa un prezzo di riferimento per l’energia prodotta da fonti rinnovabili, e i progetti che partecipano alla gara competono offrendo un prezzo inferiore. Vince chi propone di fornire energia al costo più basso.

Questo meccanismo garantisce che i progetti più efficienti e competitivi ottengano il sostegno economico necessario per avviare la costruzione. Tuttavia, le ultime due aste nazionali non hanno incluso l’eolico offshore. «Il risultato – osserva Bernabini – è che tutto il settore è in stallo. La nostra tecnologia è matura, ma senza la possibilità di partecipare alle aste non possiamo ottenere la tariffa che ci permetterebbe di partire. In altri Paesi, come il Regno Unito, le aste vengono differenziate tra impianti a fondazioni fisse e galleggianti, con tariffe calibrate sui costi reali. In Italia, invece, questo processo non è nemmeno iniziato».

Manca una legge, sostiene il governo, per poter introdurre tariffe differenziate tra impianti a fondazioni fisse e galleggianti. Una distinzione che in molti Paesi europei è già realtà, ma che in Italia non ha ancora nemmeno avviato il suo iter normativo. «Per modificare la legge – spiega Bernabini – servirebbe almeno un anno, ma al momento non ci risulta che sia partito nulla. È assurdo: su 133 progetti presentati, solo due riguardano impianti fissi come il nostro, entrambi in Emilia-Romagna. Cambiare la normativa per due progetti non dovrebbe essere un problema, eppure tutto resta fermo».

La situazione è tanto più paradossale se si considera che, mentre il progetto AGNES attende un segnale politico, il governo ha riaperto le licenze per nuove trivellazioni di gas in mare, mentre pochi mesi fa, proprio al largo di Ravenna, è stato installato il rigassificatore, anche questo approvato a tempo di record: «Non siamo contrari alle trivelle in sé — chiarisce Bernabini — ma non ha senso rallentare la transizione energetica per tornare al gas. I consumi di gas in Italia sono in calo costante da vent’anni: la gente passa alle pompe di calore, le industrie cambiano processi, e la domanda diminuisce ogni anno. Investire su nuove estrazioni significa guardare al passato». Dietro la prudenza dell’esecutivo si nasconde anche un problema di strategie altalenanti: «Ogni tre o quattro anni il governo cambia gli obiettivi e questo è devastante per chi lavora in un settore che richiede pianificazioni a dieci anni. Non si può investire miliardi se le regole cambiano di continuo».

Eppure, l’impianto ravennate potrebbe rappresentare un tassello fondamentale nella corsa italiana alla neutralità climatica. Secondo Legambiente, l’Italia dispone di un potenziale eolico offshore elevatissimo, in particolare per quanto riguarda la tecnologia galleggiante: uno studio citato dall’associazione stima fino a 20 GW installabili entro il 2050. Peccato che al momento ci sia solo un impianto operativo: il parco near-shore di Taranto entrato in funzione nel 2022.

Un dato che mostra con chiarezza il ritardo italiano in un settore che, altrove in Europa, è ormai una colonna portante della transizione energetica. Il risultato è un paradosso tutto nazionale: un Paese circondato dal mare, con la tecnologia e le risorse per produrre energia pulita, che continua a tenere ferme le pale mentre riaccende le trivelle.

Israele: procuratrice dell’esercito arrestata per aver denunciato le torture sui palestinesi

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La polizia israeliana ha arrestato, nella notte di lunedì 3 novembre, la procuratrice generale dell’esercito, Yifat Tolmer-Yerushalmi. La militare si era dimessa lo scorso 31 ottobre, dopo aver ammesso di aver autorizzato la diffusione, lo scorso anno, di un video nel quale si vedono alcuni soldati israeliani che torturavano un detenuto palestinese nella prigione di Sde Teiman, nel deserto del Negev. Secondo le prime informazioni, la diffusione delle immagini avrebbe avuto lo scopo di difendere l’operato dell’ufficio che stava indagando sugli abusi commessi nel penitenziario, mentre l’estrema destra israeliana negava che questi fatti fossero mai avvenuti. La donna è scomparsa domenica per alcune ore, ma è stata successivamente arrestata a seguito di una imponente operazione di ricerca che ha coinvolto polizia, esercito e soccorsi.

Le indagini sulla diffusione del video sono iniziate l’ultima settimana di ottobre. Secondo quanto riferito dal media israeliano Times of Israel, queste avrebbero preso il via dopo che un ufficiale dell’ufficio del procuratore generale avrebbe fallito un test di routine con la macchina della verità, durante il quale erano state effettuate domande proprio in merito alla diffusione del video. Poco dopo, il 31 ottobre, Tomer-Yerushalmi ha consegnato una lettera di dimissioni nella quale ha scritto esplicitamente di aver autorizzato la diffusione del video: «ho approvato la divulgazione del media nel tentativo di contrastare la falsa propaganda diretta contro le autorità militari preposte all’applicazione della legge», riportano i media israeliani. Poco dopo, il ministro della Difesa Israel Katz ha dichiarato che la militare non sarebbe tornata al suo incarico e assicurato che sarà «fatta giustizia» contro chiunque abbia «contribuito alla calunnia» contro i soldati israeliani.

Il video era stato trasmesso dal canale di informazione israeliano Channel 12 nell’agosto del 2024, ma i fatti sono avvenuti il mese precedente. In esso si vedevano i soldati dell’IDF prelevare un detenuto sdraiato a terra a faccia in giù e, mentre alcuni di essi coprivano la scena con gli scudi antisommossa, altri abusavano di lui. Successivamente, era emerso che il detenuto era stato torturato e violentato e che aveva riportato fratture e gravi lesioni interne. I fatti avevano portato all’incriminazione di cinque soldati israeliani, ma i politici di estrema destra avevano avanzato l’ipotesi che il video fosse falso e che nella prigione non avvenissero abusi: proprio per evitare che il proprio dipartimento, che stava conducendo le indagini, fosse screditato, Tomer-Yerushalmi avrebbe diffuso il video.

Che all’interno delle carceri israeliane i palestinesi siano sistematicamente sottoposti a torture e trattamenti inumani è ormai un fatto accertato. Nell’ambito dello scambio di ostaggi concordato nell’ambito del cessate il fuoco tra Hamas e Israele, sui corpi di almeno 135 palestinesi (quasi tutti provenienti proprio dalla prigione di Sde Teiman) sono state rinvenute fratture, segni di corde al collo, occhi bendati, mani e piedi legati. Molti dei sopravvissuti alla detenzione nel carcere hanno raccontato di essere stati sottoposti a pestaggi regolari, scosse elettriche, privazione di cibo e sonno e svariati altri tipi di tortura. Anche i casi di violenza sessuale (compresa quella di gruppo) sono diffusi. In questo contesto, guardie carcerarie e personale medico si rifiutano puntualmente di prestare soccorso, anche quando è a rischio la sopravvivenza stessa dei soggetti.

Si tratta di una prassi perfettamente in linea con la linea definita dal ministero della Sicurezza Nazionale di Itamar Ben-Gvir: al momento del suo insediamento nel 2024, infatti, il nuovo commissario del Servizio carcerario israeliano, il tenente generale Koby Yaakoby, ha dichiarato che la propria priorità è proprio il peggioramento delle condizioni di detenzione dei detenuti palestinesi. Dopo il 7 ottobre, il numero dei detenuti nelle carceri israeliane è aumentato esponenzialmente: secondo l’ONU, sono almeno 75 i palestinesi morti durante la detenzione in carcere dall’inizio dell’aggressione israeliana nel 2023 al 31 agosto 2025. L’ente ha quindi intimato Israele di «porre fine con urgenza alla tortura sistematica e ad altri maltrattamenti nei confronti dei palestinesi detenuti». L’ennesimo appello caduto nel vuoto.

Roma, morto un operaio coinvolto nel crollo della Torre dei Conti

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È deceduto l’operaio che ieri, dopo il crollo della Torre dei Conti, a Roma, era rimasto intrappolato per ore sotto le macerie. Si tratta di Octay Stroicu, lavoratore romeno di 66 anni, il quale era giunto in arresto cardiocircolatorio al Policlinico Umberto I dopo essere stato estratto dai detriti. Sul crollo, che ieri mattina ha coinvolto 4 dei 9 operai impiegati nel restauro della torre, indagano i Carabinieri del Comando di Piazza Venezia e della Compagnia di Roma Centro, insieme al Nucleo Ispettorato del Lavoro Carabinieri e Asl. La Procura capitolina ha aperto un’inchiesta per omicidio e disastri colposi.

La deforestazione sta diminuendo a livello globale

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Per la prima volta dopo decenni, la deforestazione sta rallentando in modo significativo in tutto il mondo. A confermarlo è il nuovo rapporto della FAO, Global Forest Resources Assessment 2025, presentato a Bali durante la plenaria della Global Forest Observations Initiative. Secondo i dati raccolti, il pianeta ha perso in media 10,9 milioni di ettari di foreste ogni anno nell’ultimo decennio. Una cifra ancora alta, ma in calo rispetto ai 13,6 milioni del decennio precedente e ai 17,6 milioni degli anni ’90.
Con “deforestazione” si intende la perdita o la conversione permanente di aree boschiv...

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Sciopero dei bancari in Tunisia: bloccate le transazioni

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Oggi, lunedì 3 novembre, i dipendenti di banca tunisini hanno lanciato uno sciopero di due giorni. Durante lo sciopero, i bancari hanno interrotto l’erogazione dei servizi di transazione, bloccato gli sportelli di prelievo e disertato dal lavoro. Lo sciopero, spiega il sindacato UGTT, che ha organizzato la protesta, mira a chiedere un aumento salariale, in un contesto di difficoltà economica per i cittadini del Paese; il costo della vita, ha spiegato il sindacato, sta aumentando troppo velocemente, e gli stipendi non starebbero aumentando di pari passo.

Dal 7 ottobre Israele ha condotto quasi 40 mila attacchi in Cisgiordania

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In questi ultimi due anni di genocidio, mentre Israele bombardava a tappeto la Striscia di Gaza, le violazioni del diritto internazionale in Cisgiordania da parte dello Stato ebraico non si sono mai arrestate; secondo un ultimo rapporto della Commissione per la Colonizzazione e la Resistenza (CWRC), dal 7 ottobre 2023, Israele ha condotto 38.359 attacchi e aggressioni nei confronti della popolazione palestinese cisgiordana; questi non contano le centinaia di incendi e migliaia di strutture demolite che hanno portato allo sfollamento di intere comunità. Le aggressioni si collocano all’interno di un progetto coloniale che, «approfittando delle circostanze belliche», punta a «rimodellare sistematicamente la geografia palestinese». In soli due anni Israele ha eretto 243 nuove barriere militari, legalizzato un totale di 46 entità coloniali, istituito 114 avamposti, creato 25 zone cuscinetto, e sequestrato 5.500 ettari ai palestinesi, con l’obiettivo di «trasformare la presenza militare dell’occupazione in una presenza civile permanente».

Il rapporto della CRWC è uscito lo scorso 5 ottobre e non tiene conto delle ultime violazioni dei coloni e dell’esercito israeliano in Cisgiordania; va a tal proposito rimarcato che a ottobre è iniziata la tradizionale raccolta delle olive, su cui il CRWC ha redatto un ulteriore documento: dall’inizio della stagione di raccolta, nella prima settimana di ottobre, Israele ha condotto 259 attacchi contro la popolazione palestinese. Dal 7 ottobre 2023 al 5 ottobre 2025, invece, le aggressioni sono state 38.359: il Governatorato in cui sono stati condotti più attacchi è Hebron, con 6.451 violazioni; seguono Ramallah con 5.684 e Gerusalemme con 4.915. Delle quasi 40.000 aggressioni, 7.154 sono state effettuate da coloni: in cima a questa lista figurano Nablus con 1.688 violazioni ed Hebron con 1.504. Agli attacchi si devono aggiungere anche gli incendi: dal 7 ottobre, Israele e i coloni hanno appiccato 767 incendi, di cui 221 su proprietà dei cittadini e 546 su campi e terreni agricoli; la maggior parte dei roghi – 244 – sono stati appiccati a Ramallah. Gli incendi hanno causato lo sfollamento di 33 comunità beduine, composte da 455 famiglie e un totale di 3.853 persone; hanno inoltre distrutto o danneggiato 48.728 alberi, di cui 37.237 ulivi.

Secondo il CRWC le violazioni e aggressioni israeliane vanno inquadrate alla luce del progetto coloniale di Tel Aviv. «Il governo israeliano sta sfruttando la guerra e il genocidio in corso contro il nostro popolo nella Striscia di Gaza e in tutti i territori palestinesi per imporre nuove realtà sul territorio e frammentare la geografia palestinese», si legge nel rapporto. L’obiettivo è «annettere il territorio, cancellare l’identità palestinese e privare il popolo palestinese dei suoi diritti fondamentali». A tal proposito, il rapporto si sofferma proprio su tutte quelle iniziative del governo israeliano volte – da una parte – a limitare la presenza palestinese in Cisgiordania e – dall’altra – a consolidare quella israeliana. Sul primo versante, negli ultimi due anni, Israele ha portato avanti 1.014 operazioni di demolizione che hanno coinvolto un totale di 3.679 strutture, la maggior parte delle quali a Gerusalemme(880), a Hebron (529) e a Tulkarem (464).

Parallelamente, lo Stato ebraico ha eretto 243 nuove barriere e posti di blocco militari nella regione, portando il totale delle strutture di tale genere a 916. Tel Aviv ha sequestrato 5.500 ettari di terra ai palestinesi, e ha avanzato 355 piani regolatori per costruire 37.415 edifici e unità coloniali che interessano altri 3.800 ettari palestinesi; la maggior parte dei piani (148) ha interessato il Governatorato di Gerusalemme, che si trova inoltre al centro del piano di insediamento E1, progetto con l’obiettivo dichiarato di spaccare in due la Cisgiordania. Israele ha inoltre creato 25 nuove zone cuscinetto, legalizzato 11 colonie già esistenti e 13 quartieri coloniali, ha autorizzato la costruzione di altre 22 colonie e ha istituito 114 nuovi avamposti, di cui 30 a Ramallah, 25 a Hebron e 18 a Nablus. Ha anche potenziato gli insediamenti già esistenti, approvando la costruzione di infrastrutture per 68 colonie. Visti in termini generali, i dati forniti dal CRWC mostrano come negli ultimi due anni, Israele ha aumentato le iniziative volte a confiscare e distruggere proprietà ai palestinesi, costruire avamposti coloniali e militarizzare la Cisgiordania, accelerando al contempo il processo di approvazione formale per tali operazioni.