giovedì 9 Ottobre 2025
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Blocchiamo tutto: lunedì sarà sciopero generale per Gaza, manifestazioni in 25 città

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Lunedì 22 settembre l’Italia si prepara a una giornata di mobilitazione nazionale senza precedenti, proclamata dall’Unione Sindacale di Base (USB), promossa con lo slogan “Blocchiamo tutto”. Il fine è manifestare solidarietà verso Gaza, chiedere la rottura con quello che USB definisce «lo Stato terrorista di Israele», denunciare la corsa al riarmo, sostenere la missione umanitaria della Global Sumud Flotilla e, più in generale, affermare un impegno militante, civile e politico «con la Palestina nel cuore». Lo sciopero riguarderà l’intera giornata e coprirà settori pubblici e privati: trasporti, scuola, logistica, commercio, energia, portualità, così come i settori industriali, con la partecipazione prevista di lavoratori, studenti e cittadini. Porte via, valichi, trasporti pubblici, bus, metro saranno fermi in molte città; i ferrovieri sono chiamati a dare «un segnale di grande compattezza». Le piazze si riempiranno con manifestazioni che in molte realtà punteranno a «circondare le grandi stazioni ferroviarie».

USB rivolge l’appello a quanti finora sono rimasti silenziosi: «Ora devono far vedere che dicono e fanno qualcosa». Il movimento invoca sanzioni, embargo, rottura dei rapporti diplomatici e commerciali con Israele come misure concrete, cui si somma la richiesta di cessare il “massacro” e ogni forma di complicità da parte dei governi occidentali. Già sono state rese note decine di città che ospiteranno le manifestazioni: Milano, Roma, Napoli, Torino, Genova, Bari, Palermo, e molte altre (in tutto almeno 25) con ritrovi fissati in luoghi simbolo come porti, stazioni, prefetture. Questa scelta radicale si inserisce in un più ampio contesto sindacale e politico che ha visto altre mobilitazioni recenti. La CGIL ha indetto una giornata di mobilitazione per venerdì 19 settembre con ore di sciopero da parte di alcune categorie (metalmeccanici, terziario) e manifestazioni territoriali, chiedendo che il governo sospenda ogni accordo commerciale con Israele e che si ponga fine all’escalation militare. Ma USB va oltre: propone uno sciopero totale, che blocchi i servizi – salvo le restrizioni previste dalla legge – e che impegni la società civile nella coralità della protesta. Le istituzioni reagiscono con preavvisi di disagi, soprattutto nel settore dei trasporti; le autorità di garanzia ricordano che per servizi essenziali, come scuola, sanità, trasporti pubblici, vigono limiti, ma USB sostiene che lo sciopero sarà regolare, salvo quei settori specifici. Si annunciano, dunque, giorni di forti contrapposizioni, non solo nel merito della politica estera italiana, ma sul ruolo del sindacato come soggetto politico, sulla legittimità del dissenso tramite lo sciopero, e sulla capacità di una protesta sociale di rovesciare equilibri consolidati. La posta in gioco è alta: fermare le relazioni economiche e diplomatiche con Israele, porre la Palestina al centro del dibattito pubblico, e farlo con uno sciopero che, nelle intenzioni degli organizzatori, «rompa gli argini».

La Commissione UE ammette: vaccini Covid rilasciati senza dati sulla sicurezza completi

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La Commissione Europea ha ammesso che i vaccini contro il Covid-19 sono stati messi in circolazione e somministrati ai cittadini in assenza di dati completi sulla sicurezza. Nel documento del Berliner Zeitung, emerge che l’eurodeputato austriaco Gerald Hauser (FPÖ) ha chiesto in una dichiarazione: «Perché la Commissione non ha informato i cittadini che l’efficacia e la sicurezza dei vaccini – come stabilito nel Trattato – non erano garantite?». Nella risposta arrivata a fine agosto, la Commissione ha spiegato: «L’approvazione condizionata è stata concessa per i primi vaccini Covid. Questo tipo speciale di autorizzazione facilita l’accesso ai farmaci che devono colmare una lacuna nelle cure mediche in situazioni di emergenza come la pandemia di Covid, mentre non è ancora disponibile un dossier completo dei dati». L’ammissione segna un momento di rottura rispetto alla narrazione prevalente che ha sostenuto fin dall’inizio dell’emergenza sanitaria che questi vaccini fossero stati approvati seguendo standard regolatori consueti e condizioni di urgenza giustificata.

I contratti tra la Commissione Europea e le case farmaceutiche imponevano standard severi di efficacia e sicurezza. Eppure, al momento dell’autorizzazione condizionata, parte di quei dati non era stata ancora raccolta o valutata. L’accordo siglato il 20 novembre 2020 con BioNTech-Pfizer, pubblicato in versione parzialmente oscurata, è rivelatore: nei “consideranda” si ammette che lo sviluppo fosse accelerato, che il percorso clinico potesse fallire, che l’approvazione regolatoria non fosse garantita e che le caratteristiche stesse del prodotto fossero ancora da definire. Il documento chiariva inoltre che il produttore non poteva assicurare né la piena disponibilità del vaccino né la sua efficacia nel prevenire l’infezione, né tantomeno escludere la comparsa di effetti collaterali gravi. Gli Stati membri, consapevoli di queste incognite, accettarono di condividere i rischi, anche attraverso indennizzi al produttore e ai partner industriali coinvolti. La Commissione, dal canto suo, ricorse a procedure straordinarie – rolling review e autorizzazioni condizionali – giustificate dall’urgenza della pandemia. Resta il fatto che, al momento dell’immissione sul mercato, mancavano ancora dati completi: studi clinici di lungo periodo, follow-up estesi e valutazioni definitive sugli effetti. Nonostante ciò, l’EMA ritenne che i benefici disponibili superassero i rischi, basandosi sulle evidenze raccolte fino a quel momento. Già nell’ottobre del 2022, al Parlamento europeo, Janine Small, presidente della sezione di Pfizer dedicata allo sviluppo dei mercati internazionali, aveva ammesso che il vaccino non era stato testato per fermare la trasmissione del virus prima che entrasse sul mercato.

Le implicazioni di questa ammissione sono molteplici e l’ammissione della Commissione apre scenari delicati. I contratti con le case farmaceutiche parlavano di sicurezza ed efficacia, ma l’assenza di dati completi ne ridimensiona la portata. La trasparenza è mancata: i cittadini non sapevano che molte verifiche erano ancora in corso. L’urgenza della pandemia è stata usata come giustificazione, ma il risultato è stato un dossier incompleto, con test condotti di fatto sulla pelle della popolazione. Le rolling review hanno permesso un monitoraggio in corsa, senza però la solidità di un percorso sperimentale ordinario. Intanto, nonostante il muro di gomma istituzionale, sono emersi e stanno continuando a emergere segnalazioni di effetti avversi che hanno colpito anche i giovani o le categorie vulnerabili mai pienamente tutelate. Le istituzioni europee ora dovranno rispondere a domande precise: quali vaccini specifici sono stati approvati con dati incompleti, su quale base è stata ritenuta accettabile tale carenza, quali sono le misure adottate per colmare queste lacune e come sono state adottate le procedure di compensazione per chi ha subito effetti avversi. È in gioco la definizione di un modello regolatorio per le emergenze future: senza trasparenza e responsabilità, ogni decisione si traduce in un esperimento sanitario, in cui a pagare non sono le aziende o i governi, ma i cittadini.

 

 

Preservare la foresta amazzonica tutela la salute delle popolazioni: lo studio

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La conservazione delle foreste amazzoniche non risulta solo cruciale per il clima e la biodiversità, ma risulta collegata a benefici per la salute di milioni di persone: è quanto emerge da un nuovo studio condotto da un team di scienziati locali, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista Communications Earth & Environment. Analizzando vent’anni di dati su 27 malattie, tra cui malaria, malattia di Chagas e hantavirus, in otto paesi del bioma amazzonico, gli autori hanno scoperto che i comuni vicini a foreste intatte situate in territori indigeni legalmente riconosciuti presentano un rischio significativamente minore di contrarre malattie. Inoltre, secondo l’indagine le foreste sono associate ad una diminuzione dei problemi respiratori e cardiovascolari legati al fumo degli incendi boschivi, oltre alla diminuzione delle malattie diffuse quando la deforestazione porta l’uomo a un contatto più stretto con animali e insetti. «Le foreste indigene dell’Amazzonia apportano benefici alla salute a milioni di persone», afferma Paula Prist, coordinatrice senior del programma foreste e praterie presso l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, aggiungendo che la loro protezione è indispensabile anche per il benessere umano.

La ricerca chiarisce un punto che la scienza sospettava da tempo: la salute pubblica e la salute delle foreste risultano strettamente interconnesse. L’elemento chiave, spiegano gli autori è rappresentato dalle particelle sottili prodotte dagli incendi, il cosiddetto PM2.5, ovvero materiale con diametro inferiore a 2,5 micrometri che, una volta inalato, può provocare malattie cardiovascolari, respiratorie e persino tumori. Gli incendi in Amazzonia sono spesso il risultato della siccità, della crisi climatica e delle pratiche agricole che utilizzano il fuoco per disboscare. Analizzando oltre 28 milioni di casi registrati tra il 2001 e il 2019, i ricercatori hanno messo in relazione la diffusione di patologie con la presenza di foreste e con il grado di frammentazione degli ecosistemi. È emerso che comunità circondate da aree forestali estese e poco frammentate hanno una minore esposizione alle conseguenze sanitarie degli incendi e un rischio più basso di malattie zoonotiche – ossia trasmesse da animali o insetti – come malaria e leishmaniosi. Il fattore decisivo, aggiungono, sembra essere il riconoscimento legale dei territori indigeni: dove questo è garantito, la copertura forestale rimane più ampia e continua, riducendo in modo significativo i rischi sanitari. Viceversa, i territori non riconosciuti risultano più esposti agli incendi e ai problemi di salute che ne derivano.

Le testimonianze raccolte nelle comunità amazzoniche, inoltre, aiuterebbero a rendere concreti i dati emersi. «È devastante: compromette tutte le funzioni e i benefici che le foreste offrono alle comunità indigene. Influiscono sull’aria che respiriamo e causano infezioni respiratorie, irritazioni oculari e infiammazioni alla gola», racconta il guardiaparco boliviano Marcos Uzquiano. Ana Filipa Palmeirim, coautrice dello studio, sottolinea che «anche quando gli incendi si verificano in aree remote, i venti diffondono l’inquinamento in lungo e in largo, creando emergenze sanitarie pubbliche mortali». A confermare la gravità della situazione sono anche alcune comunità direttamente colpite: Isabel Surubí Pesoa, sfollata dalla sua casa nelle pianure orientali della Bolivia, ha affermato: «La foresta è la nostra casa, è dove troviamo le medicine, dove piantiamo i raccolti, dove troviamo ossigeno pulito da respirare. Quando la foresta brucia, arrivano le malattie», mentre la sorella Verónica aggiunge che nella loro comunità diversi giovani sono morti per complicazioni polmonari dopo aver combattuto gli incendi. Per questo, spiegano gli autori, garantire diritti territoriali sicuri agli indigeni sarebbe «una delle strategie più efficaci per proteggere le foreste in Amazzonia» e, di conseguenza, la salute delle persone.

Călin Georgescu accusato in Romania di tentato colpo di Stato

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L’ex candidato presidenziale Călin Georgescu è stato incriminato per “attentato all’ordine costituzionale” dai pubblici ministeri rumeni. La procura lo accusa, insieme ad altre 21 persone, di aver pianificato un colpo di Stato in seguito all’annullamento delle elezioni del novembre 2024, invalidate dalla Corte costituzionale dopo le accuse di violazioni elettorali e per sospette “interferenze russe”. Georgescu, filorusso e contrario agli aiuti a Kiev, era arrivato al primo turno con il 23% dei voti, ma era stato escluso dalla nuova tornata vinta a maggio dal pro-UE Nicușor Dan. Secondo gli inquirenti, avrebbe discusso con l’imprenditore e mercenario Horațiu Potra, ora latitante, un piano per trasformare le proteste in rivolta. Georgescu rischia fino a 20 anni di carcere se riconosciuto colpevole.

Dopo tre morti in un mese Genova blocca il taser alla polizia

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Il periodo di sperimentazione per l’impiego dei taser da parte delle forze dell’ordine a Genova non partirà. Lo ha annunciato l’assessora alla Sicurezza Arianna Viscogliosi in consiglio comunale, chiarendo che l’amministrazione guidata dalla sindaca Silvia Salis non intende proseguire la procedura avviata nel 2022 dalla precedente giunta di centrodestra. Una scelta arrivata in un contesto nazionale reso ancora più teso da tre morti avvenute in poche settimane dopo l’uso della pistola a impulsi elettrici da parte delle forze dell’ordine.

In Italia, l’iter per l’introduzione dell’utilizzo della pistola a impulsi elettrici è iniziato nel 2014, con l’autorizzazione a dare l’arma in dotazione alla polizia contenuta nel dl 119/2014. Successivamente, l’art. 19 del dl 113/2018 ha previsto l’estensione della dotazione anche alla polizia locale in tutti i capoluoghi di provincia e i Comuni al di sopra dei 100 mila abitanti, per un periodo di prova non superiore ai sei mesi (previa adozione di un apposito regolamento comunale). Un emendamento al dl Milleproroghe approvato quest’anno ne ha poi ulteriormente esteso l’utilizzo in forma sperimentale a tutti i Comuni, a prescindere dal numero di abitanti. L’arma, definita «non letale», funziona attraverso una scarica elettrica da 50 mila volt, che induce una paralisi temporanea nel soggetto che la riceve. Gli effetti, su persone con malfunzionamenti cardiaci o con l’attività cardiaca compromessa dall’uso di droghe, possono essere molto gravi, se non letali.

Di fatto, il periodo di sperimentazione a Genova non è mai iniziato. I dispositivi erano stati acquistati, un protocollo era stato firmato con la ASL per la formazione degli agenti, ma il passaggio necessario per avviare la sperimentazione – l’approvazione del regolamento comunale – non è mai stato completato. E, secondo quanto dichiarato dall’assessora Viscogliosi durante un’interrogazione in Comune, non lo sarà in futuro, anche alla luce degli ultimi fatti di cronaca. Il più recente risale al 15 settembre ed è accaduto a Reggio Emilia, dove un uomo è deceduto poco dopo essere stato colpito da un taser. Altri due decessi si erano verificati ad agosto, a Ostia e a Manesseno, alle porte di Genova. In entrambi i casi, i carabinieri coinvolti sono stati iscritti nel registro degli indagati per omicidio colposo. Anche alla luce di questi fatti, l’assessora Viscogliosi ha confermato che l’iter avviato sotto la precedente amministrazione si è interrotto e non verrà ripreso.

Il taser è infatti in uso in varie parti del mondo sin dall’inizio degli anni Duemila ed il suo impiego è accompagnato da decine di studi che ne confermano il rischio di morte. Amnesty International stima che tra il 2001 e il 2018 solo negli Stati Uniti e in Canada oltre mille persone siano morte dopo l’uso di taser. Nel 90% di questi casi, a essere colpite erano state persone disarmate. La stessa azienda produttrice ammette un rischio di morte, seppur basso, legato al dispositivo. Secondo studi come quello condotto dall’Università di Cambridge, inoltre, l’introduzione dei taser ha in alcuni casi aumentato il rischio di aggressioni contro gli agenti e l’uso eccessivo della forza. 

Non è la prima volta che progetti di questo genere naufragano a Genova. Prima del taser, nel capoluogo ligure c’era già stato un tentativo (fallito) di dotare la polizia locale del bolawrap, un dispositivo in grado di immobilizzare a distanza la persona mediante un laccio lanciato verso gambe o tronco. Un progetto naufragato dopo una fase di test.

Camera, ok alla riforma della giustizia: tensioni in aula

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La Camera ha approvato la riforma della giustizia che introduce la separazione delle carriere dei magistrati e nuove regole per l’elezione del Csm. Il provvedimento, accolto con 243 voti favorevoli e 109 contrari, passa ora al Senato. Dopo il voto, un lungo applauso della maggioranza e dei membri del governo ha acceso tensioni con l’opposizione: alcuni deputati sono scesi al centro dell’emiciclo e il presidente di turno Sergio Costa ha sospeso la seduta. Critico il vicepresidente dell’Anm Marcello De Chiara, secondo cui la riforma ridimensiona il potere giudiziario creando «un quarto potere».

Nuove ombre sulla storia dei “droni russi” in Polonia, uno era un missile difettoso di Varsavia

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Non sarebbe stato un drone russo, ma un missile polacco difettoso, sparato da un caccia F-16 durante un’operazione di difesa aerea contro droni russi penetrati nello spazio aereo nazionale, a colpire a colpire il tetto e a sfondare il soffitto di un’abitazione nel villaggio Wyryki-Wola, nella regione di Lublino, lo scorso 10 settembre. È quanto rivela Rzeczpospolita, che cita fonti vicine ai servizi di sicurezza polacchi. Secondo la ricostruzione del quotidiano, il missile aria-aria AIM-120 AMRAAM non avrebbe attivato la testata, limitandosi a danneggiare la struttura della casa. Il viceministro della Difesa nazionale Cezary Tomczyk ha ammesso la scorsa settimana l’abbattimento di tre droni, senza però fornire la posizione. La procura di Lublino, incaricata delle indagini, non ha confermato né smentito la tesi del missile polacco, limitandosi a parlare di un oggetto che «non è stato identificato né come drone né come suoi frammenti» e dichiarando per mezzo del procuratore Agnieszka Kępka, che «tutte le versioni devono essere prese in considerazione». Restano dunque aperti scenari diversi: errore tecnico, residuo di un drone, frammento di un ordigno difensivo o altro. L’episodio aveva fatto salire la tensione internazionale in seguito all’accusa del governo polacco nei confronti di Mosca di sconfinamento.

La ricostruzione di Rzeczpospolita ha suscitato numerose tensioni interne con l’opposizione che ha chiesto trasparenza e chiarimenti al governo. L’Ufficio per la Sicurezza Nazionale, il BBN e il presidente Karol Nawrocki, hanno chiesto al governo «chiarezza immediata» sull’accaduto. A quanto si apprende, né il presidente polacco né l’Ufficio per la Sicurezza Nazionale erano mai stati informati dal governo guidato da Donald Tusk che al vaglio ci fosse anche la possibilità di un errore dell’aeronautica polacca. Il presidente Nawrocki, pur sostenendo la necessità di difendere il Paese da intrusioni esterne, ha richiesto una relazione dettagliata sull’incidente e sulla gestione della catena di comando quella notte. Il premier Tusk ha provato a contenere le polemiche e ha ribadito che l’evento rientrerebbe in una strategia di Mosca per testare le difese polacche e seminare insicurezza lungo il fianco orientale della NATO: «Tutta la responsabilità per i danni alla casa di Wyryki ricade sui responsabili della provocazione dei droni, ovvero la Russia», ha scritto su X. Il premier ha comunque assicurato che i risultati dell’indagine saranno resi pubblici appena terminata, ma ha sottolineato l’urgenza di investimenti supplementari nella difesa aerea e di un coordinamento ancora più stretto con gli alleati occidentali. Il caso si inserisce così anche in uno scontro politico interno: da un lato l’esecutivo, intenzionato a mantenere la responsabilità sulla Russia, dall’altro chi teme che un’ammissione di errore tecnico indebolisca la credibilità delle istituzioni e dell’esercito. Il dibattito riguarda anche la comunicazione pubblica. L’accusa immediata contro Mosca, lanciata in assenza di prove definitive, ha attirato l’attenzione dei media internazionali e ha alimentato letture contrastanti. Non è la prima volta che un evento di confine genera tensioni: basti ricordare l’episodio del novembre 2022 a Przewodów, quando un missile cadde in territorio polacco causando due morti. In un primo momento l’accusa fu rivolta a Mosca, salvo poi scoprire che si trattava di un ordigno antiaereo ucraino.

L’episodio di Wyryki-Wola non è un fatto isolato, ma il sintomo di un contesto più ampio. Negli ultimi due anni, la Polonia si è trasformata nel bastione orientale della NATO, moltiplicando il proprio impegno a sostegno di Kiev e assumendo un ruolo di avamposto strategico. Con un accordo miliardario firmato il 1° agosto a Gliwice, nel cuore industriale della Slesia, la Polonia ha ufficialmente imboccato la strada per diventare, entro il 2030, la prima potenza corazzata d’Europa. La pressione al confine con Ucraina e Bielorussia, le continue incursioni nello spazio aereo e il rischio di incidenti hanno reso Varsavia il punto più fragile e al tempo stesso più esposto della regione. Parallelamente, in un clima da assedio permanente, la retorica antirussa pervade il dibattito pubblico e il giornalismo mainstream, mentre il volontariato territoriale e le esercitazioni delle forze di difesa locali vengono incentivate e normalizzate. In questo scenario, la gestione della comunicazione diventa parte integrante della strategia: attribuire subito la colpa a Mosca non è solo una reazione politica, ma un atto che rafforza l’idea di una minaccia costante e legittima l’accelerazione della militarizzazione dell’Est Europa. L’accelerazione del riarmo, le missioni come la “Sentinella dell’Est”, il dispiegamento di truppe lungo i confini con Russia e Bielorussia trovano così una giustificazione immediata. L’incidente di Wyryki-Wola dimostra anche quanto sia sottile la linea di confine tra un errore tecnico, un incidente militare e un attacco deliberato, e quanto sia alto il rischio che la narrazione politica preceda, e sostituisca, l’accertamento dei fatti, piegandosi a interessi geopolitici.

Francia, al via lo sciopero nazionale contro la manovra finanziaria

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In Francia è partita la giornata di mobilitazione indetta dai sindacati contro le misure di austerità della Finanziaria 2026, con forti ripercussioni su scuole e trasporti. Nel primo pomeriggio sono previsti grandi cortei in molte città, mentre il bilancio dei fermi supera quota 50: sette nell’area di Parigi e 44 nel resto del Paese. Registrati 170 tentativi di corteo e 63 blocchi stradali. A Parigi, studenti hanno bloccato il liceo Maurice-Ravel, mentre a Marsiglia la polizia ha disperso manifestanti con lacrimogeni. Attesi fino a 900.000 partecipanti, riportando la protesta ai livelli del 2023.

Rischio botulino nelle conserve, nuovi sequestri: i prodotti coinvolti

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Il Ministero della Salute ha ufficialmente segnalato il ritiro in via precauzionale di diverse conserve vegetali sott’olio, comprendenti diversi lotti di friarielli alla napoletana, melanzane alla brace e scarole in olio tutti a marchio Vittoria. La decisione riguarda il rischio di una sospetta contaminazione biologica, spiega la nota, e segue altri provvedimenti che hanno già interessato lo stesso produttore. Già in passato, infatti, l’azienda che confeziona per il distributore dei prodotti era stata coinvolta in richiami legati a un focolaio di botulino in Calabria. Le raccomandazioni ai consumatori restano tuttavia quelle di non utilizzare i prodotti e restituirli al punto vendita. Ecco la lista dei lotti degli alimenti segnalati:

  • Friarielli alla napoletana (vaso da 1 kg) – Lotti: 310125 (TMC 31/01/2028), 060325 (TMC 06/03/2028), 150225 (TMC 15/02/2028), 130225 (TMC 13/02/2028), 280325 (TMC 28/03/2028), 160525 (TMC 16/05/2028), 050625 (TMC 05/06/2028), 110725 (TMC 11/07/2028), 040825 (TMC 04/08/2028);
  • Melanzane alla brace (vaso da 1 kg) – Lotti: 130325 (TMC 13/03/2028), 150525 (TMC 13/05/2028);
  • Scarole in olio (vaso da 1 kg) – Lotto: 140225 (TMC 14/02/2028);

I vasetti richiamati sono stati prodotti da Terra Mia di Amura Stefano per il distributore del marco Vittoria Ciro Velleca Srl, nello stabilimento di Scafati (provincia di Salerno).

Tali prodotti e lotti si aggiungono a quelli già segnalati per contaminazione biologica e botulino negli scorsi mesi sempre dal Ministero della Salute, i quali hanno portato anche a intossicazioni alimentari e due vittime in Sardegna e Calabria:

  • Avocado Metro Chef, confezione surgelata venduta in confezione da 1 kg
  • Spicchi di carciofi grigliati in olio, in vasi di vetro da 500 grammi, con il numero di lotto 051224 e il termine minimo di conservazione (TMC) 05/12/2027;
  • Scarole in olio, in vasi di vetro da 500 grammi, con il numero di lotto 220224 e il TMC 22/02/2027;
  • Funghi grigliati in olio, in vasi di vetro da 500 grammi, con il numero di lotto 061224 e il TMC 06/12/2027;
  • Carciofi grigliati in olio, in vasi di vetro da 500 grammi, con il numero di lotto 270924 e il TMC 27/09/2028.
  • Mozzarella Valbontà Penny Market, in confezioni da 4×125 grammi con il numero di lotto N5205E e la data di scadenza 17/08/2025;
  • Mozzarella Latbri, in confezioni da 125 grammi, con il numero di lotto N5205D e la data di scadenza 22/08/2025;
  • Mozzarella Conad, in confezioni da 3×125 grammi e da 125 grammi, con il numero di lotto N5205D e la data di scadenza 15/08/2025;
  • Mozzarella maxi pack Carrefour Classic, in confezioni da 3×125 grammi, con il numero di lotto N5205E e la data di scadenza 18/08/2025;
  • Friarielli alla napoletana Vittoria, lotti 290425 e il 280325 con scadenza rispettivamente il 29/04/2028 e il 28/03/2028
  • Friarielli alla napoletana Bel Sapore, lotti 280325 e 060325 con scadenza rispettivamente il 20/03/2028 e il 06/03/2028

Nonostante la sospetta contaminazione biologica recente non sia ancora ben specificata, è utile fornire un quadro chiaro riguardo al botulino, visti i precedenti tutt’altro che rassicuranti a riguardo. Il botulino è una tossina prodotta dal batterio Clostridium botulinum, capace di provocare il botulismo, una grave forma di intossicazione alimentare. Questo microrganismo si sviluppa soprattutto in ambienti privi di ossigeno, come appunto i prodotti sott’olio, dove può proliferare se le conserve non sono state preparate e conservate in maniera corretta. L’ingestione della tossina può causare sintomi come nausea, vomito e difficoltà respiratorie, fino a compromettere seriamente le funzioni neurologiche. Pur trattandosi di casi rari, il botulismo è considerato un’emergenza medica che richiede cure immediate. Per questo motivo, i richiami precauzionali rappresentano uno strumento fondamentale per ridurre il rischio: anche solo il sospetto di contaminazione porta le autorità sanitarie a intervenire con il ritiro dal mercato, a tutela dei consumatori.

La Commissione UE approva sanzioni cosmetiche contro Israele: niente contro armi e colonie

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Dopo due anni di genocidio in Palestina, 65 mila morti accertati (che potrebbero diventare centinaia di migliaia, una volta rimosse le macerie di Gaza), oltre 420 persone morte di fame, milioni di sfollati e infiniti appelli della società civile, la Commissione Europea mette sul tavolo il primo pacchetto di sanzioni contro lo Stato di Israele. Lo fa probabilmente più per accontentare la popolazione civile, stanca dell’inazione dei governi di fronte al più grande massacro in diretta streaming della storia, che per imporre effettive ritorsioni contro Tel Aviv. Nel pacchetto non vi è infatti nulla che possa effettivamente fermare il genocidio o l’occupazione illegale dei territori in Cisgiordania: nessuna misura contro il commercio di armi, né contro la collaborazione di aziende e università europee nei progetti di ricerca a scopi finti civili (ma in realtà usati per sorvegliare e colpire i palestinesi) da parte dello Stato sionista.

Tra le misure proposte dalla Commissione vi è innanzitutto la sospensione del trattamento di favore concesso a Israele nelle relazioni commerciali e definito nel quadro dell’Association Agreement tra UE e Israele. Se la proposta verrà approvata, saranno dunque applicati dazi doganali pari a quelli applicati a qualsiasi altro Paese terzo con il quale l’UE non abbia accordi di libero scambio. Ciò, scrive la Commissione, inciderà sulle dotazioni annuali tra il 2025 e il 2027, oltre che sui progetti di cooperazione istituzionale in corso e sui progetti finanziati nell’ambito della cooperazione regionale. Nel 2024 le importazioni dell’UE da Israele sono ammontate a 15,9 miliardi le esportazioni a 26,7 miliardi, rendendo l’UE il principale partner commerciale di Tel Aviv. Secondo quanto riferito da membri della commissione a Reuters, Israele vedrà l’imposizione di dazi su circa 5,8 miliardi di euro di merci, pari ad appena 227 milioni all’anno di tasse.

L’imposizione deriva dal fatto che l’UE ha rilevato violazioni, da parte di Israele, dell’art. 2 dell’Accordo, che lo vincola al rispetto dei diritti umani e dei principi democratici. «In particolare, tale violazione si riferisce al rapido deterioramento della situazione umanitaria a Gaza a seguito dell’intervento militare di Israele, al blocco degli aiuti umanitari, all’intensificarsi delle operazioni militari e alla decisione delle autorità israeliane di portare avanti il piano di insediamento nella cosiddetta zona E1 della Cisgiordania, che compromette ulteriormente la soluzione dei due Stati», riporta il documento della Commissione. La decisione, per essere resa effettiva, dovrà superare la votazione degli Stati con una maggioranza qualificata. Ad ogni modo, della sospensione del commercio di armi o di materiale militare nemmeno l’ombra.

La Commissione propone poi sanzioni contro Hamas, «coloni violenti» e «ministri estremisti» del governo israeliano, ovvero Itamar Ben-Gvir (ministro della Sicurezza nazionale) e Bezalel Smotrich (ministro delle Finanze). La decisione, che per diventare effettiva dovrà essere approvata dal Consiglio all’unanimità, segue la decisione di Israele di bloccare gli aiuti umanitari (ormai in vigore da sei mesi) e «dei continui bombardamenti, delle operazioni militari, degli sfollamenti di massa e del collasso dei servizi di base» (iniziati l’8 ottobre 2023). Vi sono infatti indicazioni dell’Alto Rappresentante degli Affari Esteri UE, infatti, secondo le quali così facendo Israele violerebbe «diritti umani e principi democratici». Una «grave violazione», sottolinea la Commissione.

Per poter diventare effettive le due misure dovranno ottenere rispettivamente la maggioranza qualificata e la maggioranza assoluta tra gli Stati membri. Un traguardo che pare difficile, se non impossibile da raggiungere, considerato che difficilmente Paesi come l’Italia, la Germania e l’Ungheria daranno il proprio via libera. Ad ogni modo, si tratta di misure che hanno più un valore politico che altro, dal momento che non si traducono in un effettivo ostacolo per l’economia di occupazione e di genocidio dello Stato. Ma a due anni dall’inizio del massacro della popolazione civile, è comunque, finalmente, qualcosa di concreto.