sabato 23 Agosto 2025
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Terremoto di grado 8.8 in Russia: passata la minaccia Tsunami

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Nella notte tra martedì 29 e mercoledì 30 luglio, un violento terremoto di magnitudo 8.8 ha colpito la regione della Kamchatka in Russia, causando diversi feriti e provocando uno tsunami in tutta la zona del Pacifico settentrionale. Le prime ondate hanno toccato la costa del Giappone durante la notte. Un allarme tsunami è stato emesso anche per Taiwan, le Filippine, le Hawaii e le isole Aleutine dell’Alaska, oltre che per gran parte della costa pacifica statunitense e sudamericana. La nostra diretta.


La segretaria per la sicurezza nazionale statunitense Kristi Noem ha dichiarato ai giornalisti che la minaccia di un «grave tsunami» per gli Stati Uniti è passata, e che da ora in avanti il Paese prevede un «impatto minimo».


L’Accademia russa delle scienze ha annunciato che il vulcano Klyuchevskoy, in Kamchatka ha iniziato a eruttare dopo il terremoto di stamattina, mentre le scosse di assestamento continuavano a far tremare la zona.

Un’immagine dell’eruzione condivisa dai media russi.

L’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) ha dichiarato di essere in contatto con le autorità giapponesi, ma che non sembra esservi alcun rischio per la sicurezza delle centrali nucleari lungo la costa del Pacifico.


Tutti gli stati della costa occidentale statunitense (Washington, Oregon e California) segnalano un innalzamento del livello del mare, ma per ora non risultano segnalazioni di danni. Nel frattempo l’allerta ha raggiunto anche alcune aree della Colombia e della Polinesia francese, dove si stima che le onde potrebbero raggiungere i 4 metri di altezza; le Filippine, invece, hanno ritirato l’emergenza.


Il Servizio Meteorologico Nazionale di Los Angeles, nello stato della California, afferma che a Port San Luis è attualmente in corso «un’ondata rapida e distruttiva» di onde, e che la marea è passata da bassa ad alta nell’arco di qualche minuto. Le autorità hanno ricordato che le prossime onde potrebbero essere ancora più alte, intimando i cittadini a rimanere lontano dalle aree inondate anche dopo che le acque si saranno ritratte.


L’ambasciata degli Stato Uniti a Port Moresby ha diramato un’allerta tsunami per Papua Nuova Guinea, Isole Salomone e Vanuatu, avvertendo di «potenziali pericolose inondazioni costiere e forti e insolite correnti pericolose per chi si trova in acqua o nelle immediate vicinanze». Ridotta invece l’allerta per diverse isole del Pacifico (Guam, Rota, Tinian e Saipan), così come nelle Hawaii. Nel frattempo, anche Cina, Nuova Zelanda e Perù hanno diramato allerte.


Secondo quanto riporta il Servizio Meteorologico Nazionale (NWS) statunitense, la costa di Monterrey, in California, è stata raggiunta dalle prime onde. Monterrey ha emesso un ordine di evacuazione per le aree limitrofe al porto. Il NWS riporta che le prime onde hanno raggiunto anche San Francisco. Il NWS ricorda che la segnalazione delle prime onde non corrisponde all’arrivo dei picchi massimi e che le prossime onde potrebbero essere più pericolose, intimando ai cittadini di non avvicinarsi alla costa.


Le Hawaii hanno interrotto il traffico di aerei negli scali di Hilo e Kahului. I voli previsti in entrambi gli aeroporti sono stati cancellati e se a Hilo i passeggeri sono stati evacuati, a Kahului si sono rifugiati all’interno della struttura. L’Inouye International Airport è stato invece chiuso temporaneamente, ma ha ripreso le attività.


L’allarme tsunami si è esteso anche al Cile, fino a ora il Paese che affaccia sul Pacifico più lontano dalla Russia ad avere lanciato una allerta. In seguito a una riunione di emergenza del Comitato Nazionale per la Gestione del Rischio di Disastri, le autorità del Paese hanno lanciato un’allerta gialla che si estende dalla regione di Arica e Parinacota (nel nord del Paese) a quella di Los Lagos (nel Cile meridionale), e hanno deciso di evacuare le aree costiere al di sotto dei 30 metri di altezza; in queste medesime aree sono state sospese le lezioni scolastiche.


Il team di risposta alle eruzioni vulcaniche della regione russa della Kamchatka (KVERT) ha riferito che il vulcano Klyuchevskoy ha espulso cenere fino a 3 km sul livello del mare. Il pennacchio di cenere si sarebbe esteso fino a 60 km a est. Il cratere del vulcano si sta riempiendo di lava e si attendono eruzioni.


Le autorità russe della regione di Sakhalin hanno dichiarato lo stato di emergenza nelle isole Kuril, dove lo tsunami ha causato danni agli edifici e inondazioni.

Torino, la repressione si abbatte sul movimento per Gaza: 47 indagati e 7 richieste di arresto

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Dopo il fallimento del processo per associazione a delinquere contro decine di attivisti, la Questura di Torino apre un nuovo capitolo nella repressione contro le realtà di resistenza. Nei giorni scorsi è stato infatti notificato a decine di persone un faldone di 250 pagine, risultato di indagini concluse nel dicembre dello scorso anno e riguardanti diverse iniziative di protesta svoltesi tra il 2023 e il 2024. Sono una cinquantina in tutto gli indagati, 7 le richieste di custodia cautelare in carcere o ai domiciliari e decine i divieti di dimora e gli obblighi di firma. La notizia è giunta a ridosso della chiusura del Festival dell’Alta Felicità, organizzato ogni anno dal Movimento No TAV e finito anch’esso in varie occasioni nel mirino delle forze dell’ordine.

Tra le manifestazioni incriminate, la gran parte costituivano iniziative contro la guerra condotta da Israele in Palestina, come il presidio svoltosi di fronte alla sede della RAI il 7 ottobre 2024 o la manifestazione nazionale del 5 ottobre 2024 tenutasi a Roma. Nel corso di quest’ultima, alla quale presero parte migliaia di persone provenienti da tutta Italia nonostante il divieto della Questura di manifestare a sostegno di Gaza, le tensione in piazza è stata alta anche grazie alla presenza di oltre 1.500 agenti. Nel mirino delle forze dell’ordine anche la protesta del dicembre 2023 svoltasi presso il polo universitario del Campus Einaudi contro il volantinaggio del FUAN, collettivo neofascista, nel corso della quale una docente (Alessandra Algostino, che pochi mesi dopo definì Torino un «laboratorio di repressione») ha ricevuto una manganellata ed è finita in ospedale con un trauma cranico. In mezzo ci sono anche le proteste svoltesi a Torino contro Giorgia Meloni, in visita a Torino in occasione del Festival delle Regioni nell’ottobre 2023, e Giuseppe Valditara. In ciascuna di queste, i partecipanti hanno denunciato uno spropositato uso della violenza da parte della polizia, spesso intervenuta con il lancio indiscriminato di fumogeni e idranti per gestire la folla. Gli interrogatori degli attivisti incriminati hanno iniziato a svolgersi lunedì 28 luglio e termineranno domani, 31 luglio.

I movimenti denunciano come il tentativo della Questura e della procura sia quello, come già successo altre volte (ad esempio nell’ambito del processo per associazione a delinquere), di individuare una regia violenta dietro alle proteste, depoliticizzandone il contesto per ridurle alla stregua di una lotta violenta fine a sè stessa. L’obiettivo sarebbe quello di «delegittimare le esperienze collettive radicate, come le mobilitazioni in solidarietà al popolo palestinese o la difesa degli spazi universitari dai gruppi fascisti». I fatti contestati, sottolineano gli attivisti, riguardano infatti situazioni di lotta nelle quali i movimenti hanno rivendicato la responsabilità collettiva. «Una strategia comunicativa e politica che non si limita a reprimere le proteste, ma punta a delegittimare culturalmente il dissenso stesso, svuotandolo di senso e presentandolo come una minaccia all’ordine e non come ciò che realmente è: un’esigenza collettiva».

Nel mondo sempre meno persone soffrono la fame cronica

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fame nel mondo

Nel 2024, la fame cronica ha registrato una diminuzione continua, segnando un miglioramento per la sicurezza alimentare globale. Secondo l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite, per il terzo anno consecutivo si sono registrati progressi, in particolare in Sud America e Asia meridionale. Questi miglioramenti sono stati possibili grazie a politiche agricole più efficaci e a iniziative sociali, come i programmi di pasti scolastici, che hanno aumentato l'accesso al cibo e contribuito a ridurre il tasso di fame. In Sud America, la percentuale di persone che soffrono di fame è scesa al 3,8% nel 2024, ...

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Aeroporto di Catania, voli sospesi per rogo nelle vicinanze

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Nel pomeriggio di oggi, martedì 29 luglio, l’aeroporto di Catania è stato temporaneamente chiuso a causa di un incendio nelle sue vicinanze, che ha portato all’interdizione dello spazio aereo. L’incendio, sviluppatosi nella zona sud della città, ha reso pericolose le condizioni per il traffico aereo a causa della fitta coltre di fumo, sebbene le infrastrutture aeroportuali non siano state danneggiate. Tutti i voli sono stati sospesi e ai passeggeri è stato chiesto di contattare le compagnie aeree. Le operazioni di spegnimento sono state supportate da velivoli antincendio, Vigili del Fuoco e Polizia Municipale.

Anche secondo due ONG israeliane a Gaza è in corso un genocidio

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Le ONG israeliane B’Tselem e Physicians for Human Rights (PHRI), da tempo attive per i diritti dei palestinesi, hanno pubblicato due distinti rapporti in cui sostengono che ciò che Israele sta compiendo a Gaza è un genocidio. Dal 7 ottobre, è la prima volta che la società civile israeliana accusa il proprio Paese di genocidio. B’Tselem si concentra su tre aspetti: la vita sotto il regime di apartheid, l’uso sistemico della violenza contro i palestinesi, e il meccanismo istituzionalizzato di disumanizzazione del popolo palestinese. PHRI, invece, propone una analisi legale incentrata sulla questione sanitaria, che dimostra il «deliberato e sistematico smantellamento del sistema di sostentamento della vita a Gaza», attraverso attacchi agli ospedali e al personale medico-sanitario, e la negazione dell’entrata di aiuti umanitari. Entrambi i rapporti concludono che le azioni israeliane a Gaza violano la convenzione internazionale per la prevenzione del crimine di genocidio; i documenti segnano un primo momento di presa di coscienza da parte della società israeliana, e arrivano a qualche giorno da una manifestazione per chiedere al governo di fermare i bombardamenti a Gaza.

Il rapporto di B’Tselem si intitola Il nostro genocidio. Esso muove i primi passi dalla definizione del termine genocidio, inquadrandolo dal punto di vista giuridico e rimarcando come la commissione del crimine non implica necessariamente il tentativo di distruggere tutti i membri di un gruppo. «Il regime israeliano», si legge nel rapporto, ha mostrato «inequivocabilmente» il proprio intento genocida – elemento chiave per l’individuazione del crimine – nei confronti della popolazione palestinese. Il quadro risulta chiaro dalle dichiarazioni di ufficiali militari, funzionari e politici israeliani, e dai bombardamenti su aree civili, infrastrutture, zone umanitarie e ospedali. Il genocidio palestinese, sostiene B’Tselem, viene portato avanti in diversi modi: in primo luogo, uccidendo e provocando problemi di natura mentale alla popolazione civile palestinese; a riprova di questo primo punto, B’Tselem porta numerose figure ed esempi, primo fra tutti il numero di uccisioni dirette condotte dall’esercito israeliano a Gaza. L’ONG cita inoltre diversi studi che mostrano come la maggioranza (circa il 96%) dei bambini di Gaza avrebbe bisogno di supporto psicologico per i traumi subiti. Come a Gaza, anche in Cisgiordania e nelle proprie carceri Israele ha ucciso centinaia di civili, condotto attacchi aerei, e arrestato, umiliato e torturato i rappresentanti del palestinesi.

Accanto alle uccisioni e ai traumi provocati da Israele, vi è la sistematica distruzione delle condizioni di vita che, tanto a Gaza quanto in Cisgiordania e in Israele, si manifesta da ben prima del 7 ottobre, attraverso un autentico sistema di apartheid. A Gaza, la maggior parte della popolazione vive in condizioni di carestia, e le persone bisognose di cure sono private della possibilità di accedere a un sistema sanitario funzionante; in generale in tutta la Palestina, scrive B’Tselem, Israele controlla e limita la distribuzione di acqua, l’erogazione di elettricità, demolisce case e abitazioni, abbatte campi coltivati e danneggia direttamente le capacità economiche del popolo palestinese. Israele, inoltre, continua i rapporto, provoca deliberatamente lo sfollamento della popolazione civile tanto nel proprio territorio quanto in quello palestinese, porta avanti un genocidio culturale e sociale cancellando l’identità e la storia del popolo palestinese e porta avanti quello che il rapporto definisce «genocidio come processo» che affonda le proprie radici nella stessa nascita dello Stato di Israele: «Il genocidio è il risultato di uno sviluppo graduale», scrive il gruppo, un processo che avanza per fasi, a partire dalla disumanizzazione di un gruppo passando per la sua trasformazione in una minaccia esistenziale, per giungere infine alla giustificazione della sua cancellazione. Un processo, sostiene il gruppo, che Israele porta avanti da ottant’anni, e che nel 7 ottobre non ha fatto che trovare «l’elemento scatenante» per avviare la macchina genocidaria.

Se B’Tselem fornisce un quadro generale sul genocidio palestinese, soffermandosi su diversi aspetti, PHRI si focalizza su uno solo dei tanti crimini israeliani, arrivando alla medesima conclusione. Secondo PHRI, l’uccisione dei palestinesi, la negazione delle cure e degli aiuti, la distruzione degli ospedali e delle strutture rivolte alla maternità, rispondono ad almeno tre delle definizioni di genocidio delineate dalla Convenzione: l’uccisione di membri del gruppo oggetto del crimine, il causare danni mentali e fisici e l’inflizione deliberata di danni volti a distruggerlo. Proprio quest’ultimo è il punto maggiormente analizzato dal gruppo, che, a supporto della propria tesi, porta una lunga lista di casi in ordine cronologico e geografico. Il rapporto delle due ONG, che si battono da tempo per i diritti del popolo palestinese, arrivano a qualche giorno da una manifestazione contro l’esecutivo del Paese in cui i cittadini israeliani hanno sfilato mostrando foto di bambini di Gaza, chiedendo al proprio governo di fermare i massacri e permettere l’entrata di aiuti umanitari nella Striscia.

A Palermo importanti boss mafiosi sono tornati in libertà: l’antimafia in allerta

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Numerosi mafiosi di spicco stanno tornando in libertà a Palermo. Si tratta di personaggi apicali nelle gerarchie di Cosa Nostra, i quali, dopo aver scontato le loro pene, possono reinsediarsi nelle loro aree di influenza: tra questi, ci sono Calogero Lo Piccolo e Giovanni Sirchia, cui furono messe le manette nell’ambito di un’indagine incentrata sulla ricostituzione della Commissione mafiosa – organo di vertice della consorteria – in seguito alla morte di Totò Riina. Ma sono presenti anche Rosario Lo Bue, ex capomafia di Corleone, e Patrizia Messina Denaro, sorella di Matteo, che ebbe un ruolo attivo nella super-latitanza del boss. Il tutto avviene dopo che, negli scorsi mesi, hanno ottenuto la libertà vigilata – senza passare dalla collaborazione con la giustizia – molti altri esponenti di Cosa Nostra, tra cui killer spietati e addirittura un boss stragista. E ora, nel capoluogo siciliano, la preoccupazione torna ai massimi livelli.

A fare ritorno a casa, come rivelato da Salvo Palazzolo sull’edizione palermitana di Repubblica, sarà Calogero Lo Piccolo, figlio del “barone” Salvatore, importante capomandamento di San Lorenzo. Calogero era stato arrestato nel 2019 nell’ambito dell’indagine “Cupola 2.0”, con l’accusa di aver preso le redini del mandamento e di essere stato attivo nella ricostituzione della Commissione di Cosa Nostra. Quest’ultima, negli anni precedenti, era infatti stata decimata dagli arresti ed era scevra di una vera leadership. Dopo la morte di Riina, deceduto in carcere nel novembre 2017, Lo Piccolo – più volte arrestato e appena uscito dal carcere per un’altra condanna – era stato promotore e partecipe del primo meeting per ristrutturare le alleanze interne all’associazione mafiosa e rendere più efficiente il coordinamento tra le famiglie, alcune delle quali sull’orlo di un conflitto. Un altro personaggio che ha finito di scontare la sua pena è Giovanni Sirchia. Anche lui fu arrestato nell’ambito della medesima inchiesta, con l’accusa di avere organizzato logisticamente la riunione in cui i boss sancirono la rifondazione della Cupola. In tale cornice, venne eletto il nuovo capo di Cosa Nostra, il gioielliere palermitano Settimo Mineo, arrestato insieme a decine di altri mafiosi.

In questa lista spicca la figura di Rosario Lo Bue, ex capomandamento di Corleone. Classe 1943, la sua carriera criminale si è sviluppata all’ombra di Totò Riina e Bernardo Provenzano, che si sarebbero poi succeduti alla guida di Cosa Nostra dopo la Seconda guerra di mafia. Il potere di Lo Bue si estendeva in particolare nei settori della compravendita di bestiame e della grande distribuzione, in cui beneficiava anche dei relativi contributi comunitari. Nel 2023, erano stati definitivamente confiscati alla famiglia Lo Bue rapporti bancari, abitazioni, terreni, polizze assicurative, complessi di beni aziendali e di un magazzino per un valore complessivo di oltre 3 milioni di euro. Eccellente è anche il nome di Anna Patrizia Messina Denaro, tornata a Castelvetrano – feudo di suo fratello Matteo e, prima ancora, del capomafia Francesco, suo padre – dopo aver passato in galera gli ultimi 12 anni della sua vita. La donna era stata arrestata nel 2013 e successivamente condannata per i reati di associazione mafiosa ed estorsione, avendo gestito in prima persona le comunicazioni del superlatitante. Quest’ultimo venne catturato il 16 gennaio del 2023, morendo poi di cancro in carcere otto mesi dopo. Si andava dai tradizionali “pizzini” alle chat sui social network, anche grazie all’utilizzo di account fake.

La portata di questa vicenda risulta amplificata se si pensa che, negli ultimi mesi, è stata concessa la semilibertà a mafiosi responsabili di efferati omicidi che non hanno mai aperto bocca davanti ai magistrati sui loro pesanti trascorsi criminali. Tra loro, gli spietati killer di mafia Raffaele Galatolo e Paolo Alfano, lo storico capomandamento Ignazio Pullarà e ad altri mafiosi di spicco come Franco Bonura, Gaetano Savoca e Tommaso Lo Presti, che hanno potuto fare ritorno a Palermo. Ma anche il boss stragista Giovanni Formoso, punito con l’ergastolo per aver caricato l’autobomba utilizzata nell’attentato di via Palestro a Milano, il 27 luglio 1993, che causò 5 morti. Anche lui ha ottenuto la semilibertà – è la prima volta per un boss mafioso condannato per strage e mai pentitosi –, ma, almeno per ora, con il divieto di tornare in Sicilia. Il tutto è avvenuto a causa di un approccio giurisprudenziale molto più permissivo rispetto al passato, segnato da dirimenti sentenze della Corte Europea dei Diritti Umani e della Corte Costituzionale, che hanno reso non più assoluto il divieto di benefici penitenziari per la mancata collaborazione con la giustizia dei condannati.

Dentro l’accordo sui dazi: i punti della resa europea

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Sotto il cielo plumbeo della Scozia sud-occidentale, tra le colline di Turnberry, è andato in scena l’atto finale di una trattativa che si è trascinata per mesi e che, sotto la patina della “cooperazione transatlantica”, cela uno dei più clamorosi rovesci geopolitici per l’Unione Europea degli ultimi anni. Mentre la Casa Bianca ha celebrato l’accordo sui dazi definendolo «storico» e «colossale», Ursula von der Leyen si è limitata a parlare di «un buon accordo» e di «trattative difficili» e il commissario UE per il Commercio, Maroš Šefčovič ha spiegato che si è evitata l’escalation e che, senza...

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Angola, proteste per l’aumento del carburante: 4 morti e 500 arresti

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A Luanda, in Angola sono scoppiate violente proteste per un aumento del prezzo del carburante deciso dal governo, che hanno causato la morte di quattro persone e l’arresto di oltre 500 persone. Le proteste sono scoppiate ieri, e sono andate avanti anche nella giornata di oggi. Assieme alle manifestazioni dei cittadini, in cui sono stati registrati episodi di saccheggio, attacchi contro banche e veicoli privati, e scontri con la polizia, le associazioni minibus e taxi hanno lanciato uno sciopero che continuerà anche nella giornata di domani.

Il TAR della Campania boccia le zone rosse di Piantedosi

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Con una sentenza emessa questa mattina, martedì 29 luglio, il TAR della Campania ha annullato l’ordinanza del prefetto di Napoli che prorogava il divieto di stazionamento nelle cosiddette “zone rosse” del capoluogo. La misura era stata introdotta dopo che, nel dicembre dello scorso anno, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi aveva inviato una direttiva ai prefetti italiani, al fine di spingerli ad adottare apposite ordinanze che individuassero le aree urbane nelle quali vietare la presenza di «soggetti pericolosi» o con precedenti penali. Secondo il governo, la misura avrebbe dovuto garantire la tutela della sicurezza urbana e degli spazi pubblici cittadini. Questa mattina, invece, come riferito dal Coordinamento No Zone Rosse Napoli in un comunicato stampa, «il TAR ha giudicato l’esercizio del potere prefettizio privo dei necessari presupposti, illegittimo e lesivo dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale». Secondo il Tribunale non sussiste, infatti, alcuna emergenza o motivazione «idonea a giustificare l’uso reiterato di poteri prefettizi straordinari».

Il ricorso era stato presentato lo scorso 6 giugno dalle associazioni che formano la rete – tra le quali figurano ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione), A Buon Diritto e Libridazioni, oltre a cittadini e residenti. Secondo i ricorrenti, il provvedimento rappresenta una grave violazione dei diritti del singolo cittadino, in quanto adotta «misure limitative sulla base di meri indizi o segnalazioni, senza la necessità di un accertamento giudiziario, configurando una presunzione di pericolosità giuridicamente inammissibile». Il team legale che ha presentato il ricorso ha festeggiato la sentenza definendola «una vittoria dello Stato di diritto», per mezzo della quale si sancisce che «il potere straordinario non può diventare regola ordinaria».

La direttiva di Piantedosi, che mirava a sfruttare tutte le possibilità del cosiddetto “DASPO urbano” introdotto dal dl 14/2017, è già stata implementata in molte delle principali città italiane, tra le quali Milano, Roma, Bologna e Firenze. L’obiettivo è quello di vietare, nei pressi delle stazioni o delle aree dove si concentra la movida, lo stazionamento di «soggetti pericolosi», ovvero con precedenti per reati penali contro il patrimonio o la persona, ma anche di persone condannate in via non definitiva nel corso dei cinque anni precedenti per reati analoghi. La norma è contenuta nello stesso decreto Sicurezza, approvato poche settimane fa dal governo. «Nessuna direttiva ministeriale può derogare, neanche di fatto, ai principi di uguaglianza, legalità, presunzione di innocenza e proporzionalità» scrivono le associazioni, che definiscono quella del TAR come «una sentenza che difende la democrazia».

Pechino, forti piogge causano almeno 30 morti

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Forti piogge a Pechino e nelle aree circostanti hanno causato almeno trenta morti. Lo riporta l’agenzia di stampa cinese Xinhua. Il maltempo, iniziato sabato, ha colpito soprattutto i distretti rurali e montuosi di Miyun e Yanquing, e la provincia di Hebei, causando frane e gravi danni alle infrastrutture. Più di 80mila persone sono state evacuate, mentre numerosi villaggi sono isolati. Le informazioni sono limitate, a causa delle restrizioni del governo cinese sulla diffusione di notizie riguardanti disastri naturali. Altri decessi sono stati segnalati nelle province di Shanxi e nella città di Jinan.