sabato 8 Novembre 2025
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La Commissione Europea andrà in tribunale per aver prorogato l’utilizzo del glifosato nei campi

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È l’inizio di una battaglia legale che potrebbe segnare un punto di svolta nella gestione dei pesticidi in Europa. Il Collettivo di sostegno alle vittime dei pesticidi in Occidente, Foodwatch, France Parkinson e UFC-Que Choisir si sono unite all’azione intentata da Pesticide Action Network (PAN) Europe e dai suoi membri ClientEarth, Générations Futures, GLOBAL 2000, Pesticide Action Network Germany e Pesticide Action Network Netherlands dinanzi al Tribunale dell’Unione europea che contesta alla Commissione UE il rifiuto di riesaminare la sua decisione di rinnovare per altri dieci anni l’approvazione del glifosato. Quest’ultimo è l’erbicida più utilizzato al mondo, inquadrato dalla Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’OMS come potenzialmente cancerogeno nel 2015 e sospettato di essere correlato a malattie neurodegenerative come il Parkinson.

Le associazioni che hanno sottoscritto l’azione contro la Commissione Europea sostengono che la controversa decisione, emessa nel novembre 2023, violi il principio di precauzione, un caposaldo del diritto europeo che impone di mettere al primo posto la tutela della salute e dell’ambiente rispetto agli interessi economici. A supporto delle loro affermazioni, viene citato il Global Glyphosate Study, il più grande progetto di ricerca al mondo sugli effetti dell’erbicida, che ha evidenziato impatti significativi sul microbioma, sulla riproduzione, sull’interferenza endocrina, nonché un aumento dell’insorgenza di neoplasie e di effetti neurotossici. Risultati che rafforzano le preoccupazioni circa l’uso prolungato del glifosato già emerse dopo la classificazione data dall’OMS.

Nello specifico, le associazioni affermano che Bruxelles avrebbe ignorato gran parte degli studi scientifici indipendenti, privilegiando ricerche finanziate dall’industria agrochimica. Tale scelta, secondo loro, ha prodotto una valutazione incompleta, priva di adeguate analisi sugli effetti a lungo termine del glifosato sull’ambiente e sulla salute umana. Nonostante le richieste formali di riesame avanzate a gennaio 2024, la Commissione ha ribadito la propria decisione a luglio 2024, costringendo le associazioni a ricorrere al Tribunale dell’Unione Europea per ottenere l’annullamento del provvedimento. Se il tribunale accoglierà il ricorso, potrebbe invertire una politica che molti considerano un grave rischio per la salute pubblica e l’ambiente. La vicenda solleva questioni fondamentali sulla trasparenza delle decisioni regolatorie e sulla capacità delle istituzioni europee di bilanciare interessi economici e il benessere collettivo, in un momento storico in cui la sostenibilità ambientale è al centro del dibattito politico europeo.

La Commissione Europea, nel novembre del 2023, ha stabilito che nel continente sarà consentito utilizzare il glifosato per altri 10 anni «sulla base di valutazioni complete della sicurezza condotte dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) e dall’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa)» assieme «agli Stati membri». Sebbene il glifosato sia stato indicato come potenzialmente cancerogeno dalla stessa Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’OMS, diverse multinazionali europee della chimica con importanti interessi commerciali nei confronti dell’erbicida avevano avanzato richiesta di proroga. E, nonostante la Commissione abbia messo nero su bianco che l’impiego del glifosato verrà subordinato «ad alcune nuove condizioni e restrizioni», hanno ottenuto il loro obiettivo.

Negli Stati Uniti, sempre più di frequente i tribunali stanno condannando il colosso della chimica Bayer a risarcire coloro che si sono ammalati a causa dell’esposizione al glifosato. Nell’ottobre del 2024, l’azienda è stata condannata da una giuria di Philadelphia a risarcire 78 milioni di dollari a un uomo della Pennsylvania che ha affermato di aver sviluppato un cancro a causa dell’uso prolungato di Roundup, erbicida a base di glifosato prodotto dalla multinazionale tedesca. Prima ancora, nel novembre 2023, la multinazionale è stata colpita da una sentenza in cui si è data ragione a tre delle migliaia di agricoltori che hanno intentato un’azione legale in questo senso. I giudici hanno infatti deciso che la Bayer dovrà risarcire per oltre 1,5 miliardi di dollari i coltivatori, che hanno dichiarato di essersi ammalati di cancro a causa dell’uso del Roundup. Bayer ha risolto nel 2020 la maggior parte delle cause pendenti sul diserbante, versando per vie extra-giudiziarie quasi 11 miliardi di dollari.

USA: la procura federale chiede la pena di morte per Luigi Mangione

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Il procuratore generale USA, Pam Bondi, ha ordinato ai procuratori federali di chiedere la pena di morte per Luigi Mangione, accusato dell’omicidio del CEO di UnitedHealthcare, Brian Thompson. La decisione segue un ordine esecutivo di Trump che impone la pena capitale per reati gravi. Mangione è stato incriminato a livello federale il 19 dicembre 2024 e il crimine è stato classificato come “violenza politica”. La condanna a morte sarebbe possibile in caso di verdetto unanime della giuria. Mangione, che ha rivendicato l’omicidio, è al centro di un vasto movimento di solidarietà popolare per aver agito per condannare le pratiche con le quali le assicurazioni sanitarie mandano sul lastrico i cittadini americani.

Era l’alba del 4 dicembre 2024 quando Brian Thompson, appena uscito dal suo hotel di lusso a Manhattan, veniva raggiunto da tre colpi di pistola. L’assassino, con il volto coperto, si dileguava rapidamente, facendo perdere le sue tracce. Tuttavia, la fitta rete di telecamere di New York ha permesso agli investigatori di risalire alla sua identità. Dopo un breve periodo di latitanza, Luigi Mangione è stato arrestato il 9 dicembre in un McDonald’s di Altoona, Pennsylvania, grazie alla segnalazione di un dipendente che lo aveva riconosciuto dalle immagini diffuse dalla polizia. Al momento dell’arresto, il giovane era in possesso di una pistola stampata in 3D, un silenziatore, documenti falsi e un manifesto in cui attaccava le compagnie assicurative private, definite «parassiti». Mangione ha dichiarato di aver agito per vendicare le sofferenze di chi non può permettersi cure adeguate negli Stati Uniti, Paese con il sistema sanitario più costoso al mondo ma al 42° posto per aspettativa di vita.

La decisione di Pam Bondi di chiedere la pena di morte per il giovane è coerente con la politica di Trump, che ha ripristinato la pena capitale per i reati più gravi dopo una moratoria federale durata dal 2021. «L’omicidio di Brian Thompson è stato un assassinio premeditato e a sangue freddo che ha scioccato l’America», ha dichiarato Bondi. Tuttavia, la pena capitale non è automatica: spetterà alla giuria di Manhattan decidere l’eventuale condanna. Mangione sta affrontando per lo stesso fatto due processi separati: a quello federale se ne aggiunge infatti un altro dello Stato di New York, dove l’imputato rischia una condanna all’ergastolo ostativo, essendo stata la pena di morte abolita nel 2007. Negli Stati Uniti, a differenza che nel nostro Paese, la medesima azione criminale può essere infatti perseguita contemporaneamente da due distinte autorità.

Luigi Mangione, noto per il suo passato brillante, ha sempre frequentato scuole prestigiose: si è diplomato da primo della classe alla Gilman School e ha poi conseguito laurea e master in informatica all’Università della Pennsylvania. Cresciuto nel comfort di una famiglia benestante, ha avuto un percorso accademico e professionale invidiabile. Tuttavia, la sua vita ha subito un drastico cambiamento quando, a seguito di un intervento chirurgico fallito per una spondilolistesi, il giovane ha attraversato una crisi personale che lo ha portato a isolarsi e a nutrire un profondo risentimento verso il sistema capitalistico. Nei suoi scritti, Mangione ha espresso ostilità verso le mutue private, definendole «mafiosi diventati troppo potenti» e accusandole di sfruttare il Paese per accumulare profitti a discapito della salute dei cittadini.

L’assassinio di Thompson ha avuto un forte impatto mediatico, dividendo l’opinione pubblica. Molti lo considerano un atto di terrorismo politico, mentre altri lo vedono come una forma estrema di protesta contro le speculazioni della sanità privata. La popolarità di Mangione ha superato i confini nazionali: una campagna di raccolta fondi per le sue spese legali ha raggiunto 775mila dollari. Sin dai primi istanti dopo la cattura di Luigi Mangione, l’assassino dell’amministratore delegato di UnitedHealthCare, dal web è emerso un ingente moto di solidarietà nei confronti del ragazzo. In rete hanno iniziato a circolare meme, battute, commenti di vicinanza e pagine dedicate al giovane informatico. C’è chi è arrivato a scrivere canzoni sulle sue azioni e chi ha disegnato magliette raffiguranti l’attimo che precede l’omicidio, stampato sotto le stesse parole incise sui proiettili che hanno colpito Brian Thompson. Non appena il nome di Mangione è uscito sui giornali del Paese, la popolarità del ragazzo è schizzata alle stelle. I suoi profili social hanno guadagnato centinaia di migliaia di follower e sui maggiori canali è esploso l’hashtag (una parola o frase preceduta dal simbolo del cancelletto, utilizzata per categorizzare e rendere facilmente ricercabili i contenuti) di tendenza #FreeLuigi.

Afta: l’Austria chiude confini in Slovacchia e Ungheria

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L’Austria chiuderà due valichi di frontiera al confine con la Slovacchia e ventuno al confine con l’Ungheria. La notizia arriva dal ministero dell’Interno austriaco, che ha avvisato che le frontiere saranno chiuse a partire da sabato. Il ministro ha spiegato che la decisione di chiudere le frontiere si configura come un tentativo di impedire l’accesso dell’afta nel Paese. L’afta epizootica è una malattia altamente contagiosa che colpisce ruminanti e suini. Sebbene non costituisca un pericolo per l’uomo, risulta particolarmente pericolosa per gli animali. Negli ultimi giorni, l’Ungheria è stata colpita da un’epidemia che ha costretto il Paese ad abbattere oltre 3.000 bovini.

Le catastrofi nucleari sfiorate nei mari italiani

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Una delle peggiori catastrofi nucleari che ha rischiato l’Italia, infinitamente peggio delle scorie velenose arrivate in silenzio da Chernobyl, è rimasta a bagnomaria per qualche giorno nel blu dipinto di blu del Mare Nostrum, prima di spostarsi altrove, a migliaia di miglia marine, dove è poi diventata un giallo internazionale che non è ancora arrivato all’ultima pagina. Correva il 1968, c’era la Guerra Fredda, il Muro di Berlino se ne stava lì, possente e minaccioso. Nel cuore dello Ionio, Taranto era già uno dei porti italiani abilitati al transito e all’attracco di unità navali a propulsio...

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Gaza, raffica di attacchi israeliani nella notte: decine di morti

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Non si fermano i pesanti attacchi dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza. Il raid più violento dell’IDF ha colpito una tenda che ospitava sfollati nella cosiddetta “zona umanitaria” dell’area di al-Mawasi, a ovest di Khan Younis. Al momento si contano almeno 41 morti. Da quando Israele ha ripreso gli attacchi su larga scala il 18 marzo, sono almeno 1.163 le persone uccise a Gaza. Stamane Israele è tornata a colpire anche la Siria, uccidendo in un bombardamento almeno nove civili nel governatorato di Deraa, sito nell’area meridionale del Paese.

Gli scienziati hanno scoperto un ecosistema sconosciuto sotto i ghiacci dell’Antartide

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Un intero ecosistema marino nascosto sotto un pezzo di ghiaccio grande come Chicago: si può riassumere così la scoperta effettuata recentemente dal team internazionale di scienziati dello Schmidt Ocean Institute, organizzazione no-profit che promuove la ricerca sull’ambiente marino. Un iceberg denominato A-84 si è recentemente staccato dalla piattaforma chiamata George VI, liberando un’area mai esplorata prima e ricca, secondo gli esperti, di specie marine potenzialmente ancora sconosciute.

Grazie a uno studio interdisciplinare e all’utilizzo di un veicolo robotico subacqueo telecomandato, gli scienziati hanno documentato un ecosistema ricco e inaspettatamente florido, con grandi coralli, spugne e una varietà di specie marine che, secondo quanto dichiarato, solleva interrogativi tutt’altro che trascurabili su come questi organismi abbiano potuto prosperare per secoli sotto una spessa coltre di ghiaccio, senza accesso diretto ai nutrienti superficiali.

«Non ci aspettavamo di trovare un ecosistema così bello e fiorente. In base alle dimensioni degli animali, le comunità che abbiamo osservato sono lì da decenni, forse anche da centinaia di anni», ha dichiarato la co-scienziata capo della spedizione, la dott.ssa Patricia Esquete del Centre for Environmental and Marine Studies (CESAM) e del Department of Biology (DBio) presso l’Università di Aveiro, in Portogallo.

Christian Aldea (scienziato presso l’Università di Magallanes) esamina un ofiuroide al microscopio nel laboratorio chimico della nave. Credit: Schmidt Ocean Institute

La spedizione è stata coordinata e finanziata dallo Schmidt Ocean Institute, un’organizzazione no-profit dedicata all’esplorazione e alla ricerca oceanografica, fondata nel 2009 da Eric e Wendy Schmidt per «catalizzare le scoperte necessarie per comprendere il nostro oceano, sostenere la vita e garantire la salute del nostro pianeta attraverso la ricerca scientifica di impatto e l’osservazione intelligente».

La missione ha avuto origine il 13 gennaio 2025, quando un iceberg delle dimensioni di Chicago, denominato A-84, si è staccato da uno degli enormi ghiacciai galleggianti ancorati alla calotta glaciale della Penisola Antartica. Per questo motivo, il team internazionale ha deciso di raggiungere il fondale marino appena esposto, diventando ufficialmente il primo a studiare un’area che non era mai stata accessibile agli esseri umani.

Le analisi si sono basate su uno studio interdisciplinare della geologia, dell’oceanografia e della biologia del fondale appena emerso, effettuato anche grazie alle immersioni del ROV SuBastian, un veicolo subacqueo telecomandato in grado di scendere a grandi profondità per registrare immagini dettagliate e raccogliere campioni.

«Abbiamo colto l’attimo, cambiato il nostro piano di spedizione e ci siamo lanciati, in modo da poter osservare cosa stava accadendo nelle profondità sottostanti», ha commentato la dott.ssa Esquete.

Una grande spugna, un gruppo di anemoni e altre forme di vita visibili a quasi 230 metri di profondità. Credit: Schmidt Ocean Institute

Durante l’esplorazione, durata ben otto giorni, i ricercatori hanno osservato una sorprendente biodiversità a profondità fino a 1.300 metri. Tra le specie individuate – molte delle quali potenzialmente nuove – figurano pesci del ghiaccio, ragni marini giganti e polpi, insieme a imponenti formazioni di coralli e spugne che sostengono intere comunità di organismi. Il tutto racchiuso in un ecosistema che, secondo gli esperti, solleva nuove domande sulla capacità di sopravvivere in condizioni di isolamento totale dai nutrienti superficiali — questione che ha spinto i ricercatori a ipotizzare che le correnti oceaniche possano svolgere un ruolo chiave nel trasporto di sostanze nutritive.

Inoltre, la spedizione ha anche raccolto dati potenzialmente cruciali sulla dinamica della calotta glaciale, contribuendo a migliorare le proiezioni sul futuro innalzamento del livello del mare.

«La perdita di ghiaccio dalla calotta glaciale antartica è un fattore importante per l’innalzamento del livello del mare in tutto il mondo. Il nostro lavoro è fondamentale per fornire un contesto a lungo termine di questi recenti cambiamenti, migliorando la nostra capacità di fare proiezioni di cambiamenti futuri, proiezioni che possono informare politiche attuabili. Faremo senza dubbio nuove scoperte mentre continuiamo ad analizzare questi dati vitali», ha commentato Sasha Montelli, co-capo scienziato della spedizione dell’University College di Londra (UCL), Regno Unito, e Schmidt Science Fellow del 2019.

Nonostante la portata della spedizione, tuttavia, appare probabile che i risultati ottenuti dovranno essere confermati da ulteriori analisi e ricerche sul campo, vista la loro importanza nel contesto degli studi biologici e climatici.

Tutte le foto e i contenuti multimediali della spedizione possono essere consultati a questo link

Sisma in Birmania, sale bilancio dei morti: sono oltre 3mila

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Torna ad aggravarsi il bilancio delle vittime del sisma che venerdì scorso ha colpito la Birmania. Il numero dei morti è salito a 3.085, con 4.715 feriti e 341 dispersi, ha reso noto la giunta al potere nel Paese. Nel frattempo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha segnalato un rischio crescente di colera e di altre malattie nelle aree più colpite, come Mandalay, Sagaing e la capitale Naypyitaw, predisponendo aiuti umanitari per un valore di 1 milione di dollari, tra cui sacchi per cadaveri. Il pericolo è ulteriormente aggravato a causa dei danni subiti da circa la metà delle strutture sanitarie nelle zone colpite.

Orban riceve con tutti gli onori il criminale di guerra Netanyahu: Bruxelles rimane muta

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Oggi il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha steso il tappeto rosso per accogliere, con tutti gli onori del caso, il proprio omologo israeliano Benjamin Netanyahu, violando il mandato d’arresto internazionale emesso dalla Corte Penale Internazionale. Poco dopo il suo arrivo, il portavoce del governo ungherese ha annunciato che il Paese si ritirerà dalla CPI, confermando le voci che giravano da giorni sui media ungheresi. Il tutto avviene nel pieno silenzio di quelle stesse istituzioni europee che hanno ripetutamente condannato, e talvolta sanzionato, Orbán per le più disparate questioni, accusandolo di violare lo stato di diritto: il 17 luglio 2024, il Parlamento europeo approvava una risoluzione per condannare una visita di Orbán a Putin, giudicandola come una «palese violazione dei trattati dell’UE». Oggi, invece, nessuno commenta la violazione delle leggi internazionali e di un mandato di cattura da parte di un’istituzione di giustizia che tutti i Paesi europei, e ancora per poco anche la stessa Ungheria, riconoscono.

Netanyahu è arrivato in Ungheria su invito dello stesso Orbán. È atterrato ieri notte attorno alle 2:30 e si fermerà nel Paese per quattro giorni. Ieri è stato accolto sulla pista dell’aeroporto dal ministro della Difesa Kristof Szalay-Bobrovniczky e oggi, attorno alle 10, è stato ricevuto da Orbán. Qualche minuto dopo è arrivato l’annuncio di Zoltán Kovács, portavoce governativo. Kovács, nello specifico, annuncia che «il processo di ritiro inizierà giovedì, in linea con gli obblighi giuridici costituzionali e internazionali dell’Ungheria». Questo significa che, teoricamente, l’Ungheria non solo doveva arrestare Netanyahu al suo arrivo, ma che sarebbe ancora tenuta a farlo. Contro la decisione di Orbán di invitare Netanyahu si sono schierate diverse organizzazioni internazionali, nonché la stessa Corte, che ha ricordato al primo ministro ungherese che i mandati d’arresto internazionali, almeno in teoria, sono vincolanti. Quando venne emanato lo scorso novembre, Orbán aveva annunciato che non avrebbe arrestato Netanyahu, invitandolo a Budapest, annuncio a cui si sono accodati in molti. Nonostante ciò, questa risulta essere la prima visita di Netanyahu a un Paese firmatario dello Statuto di Roma, con cui venne istituita la stessa CPI e di cui l’Ungheria risulta una delle fondatrici.

Mentre Netanyahu viene accolto in aperta violazione del diritto internazionale, in patria i suoi alleati di governo si danno da fare per ampliare il progetto di occupazione coloniale di Israele. Il 1° aprile, Israel Katz e Bezalel Smotrich, rispettivamente ministro della Difesa e ministro delle Finanze israeliani, hanno visitato la Cisgiordania assieme ad altri alti funzionari del Paese, rilasciando una dichiarazione congiunta in cui annunciano apertamente la loro intenzione di occupare l’intera area e cacciare i palestinesi dalla zona. «Il governo israeliano sta lavorando per sviluppare insediamenti in Giudea e Samaria [ndr. il nome israeliano per la Cisgiordania] e non permetterà la dilagante costruzione araba illegale, che è diventata una piaga dello Stato negli ultimi decenni», si legge nel comunicato. La Cisgiordania è definita «culla della nostra patria, la terra della Bibbia», e i ministri scrivono che gli israeliani «sono qui per restare». Si rovesciano, insomma, le prospettive: sono i palestinesi che si «impadroniscono dei territori di Giudea e Samaria danneggiando l’insediamento ebraico», e non, come sancito svariate volte dall’ONU e da organizzazioni internazionali, viceversa.

Nel frattempo, l’esercito israeliano ha ampliato l’operazione terrestre a Gaza. L’attacco è su larga scala e coinvolge ampie aree del Governatorato di Rafah, all’estremo sud della Striscia, quello di Khan Younis, che confina con Rafah, diverse aree centrali della Striscia e le zone di confine nel Governatorato di Nord Gaza. Lo scopo dichiarato è quello di «catturare un vasto territorio» da aggiungere alle zone cuscinetto nella Striscia, si legge in un comunicato di Katz. Secondo i media israeliani, l’obiettivo sarebbe annettere parte del territorio e creare un corridoio aggiuntivo tra Rafah e Khan Younis, il cosiddetto corridoio di Morag, per isolare Rafah. Il piano non si discosta da quello annunciato da Netanyahu, che propone di prendere in mano la gestione della Striscia e portare avanti il progetto di deportazione dei palestinesi promosso da Trump.

Continuano intanto anche i bombardamenti. Dall’alba di stamattina Israele ha ucciso almeno 41 persone in tutta la Striscia, attaccando anche cliniche e aree umanitarie, come successo a Jabaliya. In totale, dall’escalation del 7 ottobre, l’esercito israeliano ha ucciso direttamente almeno 50.423 persone, anche se il numero totale dei morti potrebbe superare le centinaia di migliaia, come sostenuto da un articolo della rivista scientifica The Lancet e da una lettera di medici volontari nella Striscia. Dalla ripresa delle aggressioni su larga scala del 18 marzo, invece, Israele ha ucciso almeno 1.066 persone.

I dazi di Trump: colpiti oltre cento Paesi, anche “i ladri europei” nel mirino

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Dopo mesi di attese, annunci e minacce, ieri è andato in scena quello che Trump ha definito Liberation Day (Giorno della Liberazione), in cui il presidente degli Stati Uniti ha illustrato i dazi rivolti a quasi tutti i Paesi del mondo. Gli occhi dei Paesi europei si sono concentrati sulla voce relativa all’Unione Europea, che, secondo Trump, «truffa» gli Stati Uniti, e per tale motivo sarà oggetto di una tariffa del 20% su tutti i prodotti esportati nel Paese. La tariffa base valida per tutti gli Stati è del 10%, ma per alcuni i dazi saranno molto più elevati, come nel caso della Cina, a cui Trump ha imposto dazi del 34%. In generale, le tariffe arriveranno fino al 50%. La misura è pensata per rispondere alle tariffe che gli altri Paesi impongono agli Stati Uniti, tanto che Trump ha preferito parlare di «dazi reciproci». L’UE, per ora, ha offerto una risposta molto vaga, dicendo di essere «pronta a rispondere», ma lanciando un possibile tavolo di negoziazioni.

I dazi di Trump sono arrivati dopo settimane di annunci generici, che hanno gettato nel panico i mercati globali. La misura impone una tariffa base del 10% per quasi tutti i Paesi del mondo, ad eccezione di una manciata di Stati africani (come Burkina Faso, Eritrea e Repubblica Centrafricana), di piccoli Paesi come Andorra e, soprattutto, della Russia, che tuttavia è già soggetta a sanzioni e dazi mirati. In aggiunta, Trump ha dichiarato che, almeno per ora, le misure non colpiranno Canada e Messico, anch’essi già colpiti da tariffe mirate. La tariffa del 10% entrerà in vigore il 5 aprile, e si applicherà a tutti i prodotti importati dagli Stati Uniti, escludendo quelli già soggetti a dazi, sia generalizzati che specifici per Paese. A livello globale, restano in vigore i dazi del 25% su acciaio e alluminio, nonché sulle automobili; verso maggio dovrebbero entrare in vigore ulteriori tariffe del 25% sulle componenti del settore automotive.

All’Unione Europea è stata imposta una tariffa generalizzata del 20% su tutti i prodotti. Essa, come quella destinata ai Paesi a cui verrà applicata una tariffa superiore a quella standard del 10%, entrerà in vigore il 9 aprile. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha commentato la misura poche ore dopo l’annuncio di Trump, mentre si trovava a Samarcanda, in Uzbekistan, dicendo in modo molto generico che l’Europa è pronta a rispondere, ma anche a negoziare. In precedenza, l’UE aveva già risposto all’annuncio di dazi su acciaio e alluminio, applicando una tariffa sui medesimi prodotti provenienti dagli Stati Uniti, entrata in vigore il 1° aprile. Nel corso del mese di marzo, i funzionari dell’Unione hanno condotto delle riunioni con azionisti e parti chiamate in causa per concordare una possibile seconda tornata di dazi. Anche la premier Meloni si è espressa sulla scelta di Trump, giudicandola «sbagliata», ma predicando moderazione e dialogo: «L’introduzione da parte degli USA di dazi verso l’Unione Europea è una misura che considero sbagliata e che non conviene a nessuna delle parti. Faremo tutto quello che possiamo per lavorare a un accordo con gli Stati Uniti, con l’obiettivo di scongiurare una guerra commerciale che inevitabilmente indebolirebbe l’Occidente a favore di altri attori globali. In ogni caso, come sempre, agiremo nell’interesse dell’Italia e della sua economia, anche confrontandoci con gli altri partner europei», recita il comunicato del governo, riportato integralmente.

La Cina ha chiesto agli Stati Uniti di rivedere le tariffe, minacciando risposte. In generale, la risposta all’annuncio di Trump è stata di condanna, condita da richieste di dialogo e minacce di ritorsione. Negli ultimi mesi, Trump ha usato i dazi come strumento politico per spingere i Paesi a negoziare, tanto che in alcune occasioni li ha annunciati per poi ritirarli nel giro di poche ore. Non è da escludere che anche a questa tornata vengano rivisti in base alla reazione dei Paesi. Intanto, anche i mercati hanno reagito agli annunci. Il dollaro è calato rispetto alle altre valute, mentre i mercati azionari asiatici sono crollati rapidamente. Tutti i più importanti indici giapponesi sono scesi di almeno un punto percentuale, i titoli dei gruppi di estrazione mineraria australiani hanno perso tra il 2% e il 3%, e anche i futures sulle azioni statunitensi sono diminuiti. La borsa di Milano è aperta in calo.

Haiti, protesta dei cittadini contro la presenza di bande armate

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Ieri a Port-au-Prince, capitale di Haiti, migliaia di cittadini sono scesi in piazza per protestare contro la presenza delle bande armate che da mesi hanno preso il controllo della città e contro l’incapacità del governo di contenerle. Gli abitanti hanno riempito le strade della capitale esibendo striscioni e foglie di palma. Nel corso della protesta si sono verificati spari di arma da fuoco, che hanno costretto la folla a fuggire. La protesta arriva pochi giorni dopo un’evasione di massa dalla prigione nella città centrale di Mirebalais.