giovedì 11 Settembre 2025
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L’ex direttore dell’Ilva dovrà risarcire decine di residenti del quartiere Tamburi

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Con una sentenza destinata a fare giurisprudenza, la Corte di Cassazione ha condannato il direttore dell’ex Ilva di Taranto a risarcire 31 cittadini del quartiere Tamburi a causa dell’emissione delle polveri di carbone che hanno impedito loro di godere appieno delle proprie case e hanno provocato uno scadimento della loro qualità di vita. Per la prima volta, una sentenza definitiva ha dunque ammesso le responsabilità manageriali della gestione dello stabilimento rispetto ai risarcimenti richiesti dagli abitanti del rione, che si trova nelle immediate vicinanze dell’impianto siderurgico. Luigi Capogrosso, in qualità di gestore dell’impianto, aveva infatti una posizione di garanzia e avrebbe dovuto adottare tutte le misure necessarie per prevenire la diffusione delle polveri, che avevano superato i limiti consentiti per 35 volte l’anno, dall’autunno 2009 al luglio 2012.

La decisione della Suprema Corte arriva al termine di un lungo iter giudiziario iniziato più di dieci anni fa, quando un gruppo di residenti del quartiere Tamburi ha intentato causa contro l’Ilva. Le sentenze di primo e secondo grado avevano già riconosciuto il diritto dei residenti al risarcimento, sottolineando come l’inquinamento prodotto dall’impianto siderurgico avesse determinato una significativa riduzione del valore immobiliare e un grave disagio per gli abitanti della zona, attraverso l’imbrattamento delle facciate e la limitata possibilità di aprire porte e finestre. Ora la Cassazione conferma questa impostazione e ribadisce la responsabilità diretta dell’ex direttore dello stabilimento. Il suo tentativo di attribuire la responsabilità alla società che gestiva l’Ilva è stato respinto dalla Suprema Corte, che ha evidenziato come l’azione risarcitoria non fosse rivolta contro l’azienda in sé, ma contro il comportamento omissivo del direttore, la cui condotta ha avuto conseguenze dirette sui cittadini. La Cassazione ha quantificato il danno patito dai residenti in una perdita pari al 5% del valore degli immobili. Una cifra che sarà ora determinata dalla corte territoriale competente, chiamata a ricalcolare l’entità del risarcimento.

Nonostante la vittoria legale, resta l’incognita sull’effettiva erogazione del risarcimento. Il problema principale è che l’ex direttore Capogrosso non disporrebbe di beni aggredibili per far fronte al pagamento. Questo significa che, sebbene la giustizia abbia riconosciuto il loro diritto, i cittadini potrebbero non ricevere le somme spettanti. L’avvocato Filippo Condemi, che ha difeso gli abitanti del rione Tamburi, ha espresso soddisfazione per la sentenza, ma anche amarezza per le difficoltà nel rendere concreto il risarcimento. «Questa decisione rappresenta un importante riconoscimento del diritto dei cittadini a vivere in un ambiente salubre e a godere pienamente della propria casa. Tuttavia, il tempo della giustizia ha giocato a favore di chi ha cercato di sottrarsi alle proprie responsabilità. Il rischio è che, pur avendo ragione, gli abitanti del quartiere non vedano mai un euro».

L’annosa questione dei risarcimenti era tornata alla ribalta lo scorso dicembre, quando la Corte d’Assise d’Appello di Taranto ha stabilito che le famiglie del quartiere Tamburi – inizialmente indennizzate con cinquemila euro ciascuna – sono chiamate a restituire l’intera somma ai fratelli Riva, ex proprietari del gruppo industriale. Il risarcimento era stato concesso come provvisionale, un anticipo in attesa della sentenza definitiva del processo “Ambiente svenduto”, in cui i Riva erano imputati per disastro ambientale. Tuttavia, lo scorso settembre, la Corte d’Assise d’Appello ha annullato la sentenza di primo grado, ritenendo che l’imparzialità del giudizio fosse compromessa dalla presenza di due magistrati onorari che rivestivano il ruolo di parte lesa.

Nel mentre, governo e sindacati discutono del futuro della società. Sono giorni determinati per il futuro dello stabilimento, dal momento che la partita per l’acquisizione dell’ex Ilva è vicina alla conclusione, con il termine fissato a domani. Baku Steel, insieme ad Azerbaigian Investment Company e Socar, sembra essere in pole position, anche se il Ministero delle Imprese mantiene il riserbo per evitare possibili ricorsi. Si ipotizza il coinvolgimento di Cassa Depositi e Prestiti, Sace e Invitalia, segno che Baku potrebbe necessitare di supporto pubblico. I sindacati spingono per una forte presenza statale e la massima occupazione. Il governo assicura la volontà di rendere Taranto il primo impianto siderurgico europeo completamente green. Nella seconda metà di marzo inizieranno le verifiche sulle offerte, mentre il negoziato esclusivo e il controllo antitrust dovrebbero concludersi entro giugno.

[di Stefano Baudino]

Mutonia, l’utopia cyberpunk nel cuore della Romagna

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Nel cuore del dibattito sulla sostenibilità ambientale e sulla lotta al consumismo, il riciclo si impone come una risposta concreta e creativa. Riutilizzare materiali di scarto non è solo un atto ecologico, ma anche una presa di posizione contro un modello di produzione e consumo che divora rapidamente le risorse del pianeta. Un principio teoricamente condiviso, ma che nella pratica fatica a tradursi in abitudini reali, persino tra chi si definisce attento al tema. Basta osservare con quanta facilità scartiamo e sostituiamo oggetti ancora utilizzabili, magari solo leggermente danneggiati, sedotti dall’ennesima versione aggiornata e scintillante (ogni riferimento a smartphone con fotocamere sempre più performanti e televisori ultrapiatti è assolutamente intenzionale). In questo contesto, in un piccolo paesino della Romagna, c’è una comunità che da decenni rappresenta un esperimento unico, un microcosmo in cui l’arte e l’autoproduzione diventano strumenti di resistenza e trasformazione: il suo nome è Mutonia.

Quello di Mutonia è un universo nato 35 anni fa a Santarcangelo di Romagna, comune in provincia di Rimini, noto per ospitare un importante festival di teatro contemporaneo e che, nella sua veste più punk, è diventato la capitale italiana della Mutoid Waste Company, movimento nato a Londra a metà degli anni Ottanta. Nella cava che costeggia il fiume Marecchia, dal 1991 vivono artisti e artigiani provenienti da tutto il mondo, che sperimentano un vero modello di rigenerazione urbana e che, mischiando creatività e cultura del riuso, hanno creato un museo a cielo aperto, oggi anche meta di visitatori, appassionati e curiosi.

Abbiamo visitato Mutonia dopo la sentenza del Consiglio di Stato arrivata il 29 gennaio scorso, che vuole costringere gli abitanti a demolire le loro costruzioni. Sarebbe l’amara conclusione di una vicenda processuale iniziata 20 anni fa con la denuncia di un vicino di casa che, nonostante la solidarietà di tutti, a cominciare dagli abitanti di Santarcangelo, sembra ora minacciare seriamente la sopravvivenza della comunità.

Un laboratorio a cielo aperto

Mutonia dista una manciata di chilometri dal centro della città: si prende una stradina che punta verso i campi, poi costeggia il fiume Marecchia e infine arriva all’ingresso del villaggio. Visto da fuori, la prima impressione è quella di un’enorme discarica. In realtà, addentrandosi prima lungo la via principale e poi nei sentieri laterali, che passano accanto a costruzioni di ogni genere, si scopre di essere in mezzo a un gigantesco laboratorio a cielo aperto, dove i rifiuti vengono trasformati in opere d’arte, ma non solo: anche in oggetti di uso comune per le necessità quotidiane.

Succede quindi di osservare, chiuso dentro un recinto, un toro sputafuoco, un enorme mostro meccanico il cui cuore è costituito dal motore di una Citroën 2 cavalli, che il proprietario cavalca come un mezzo di trasporto: «Si chiama Larry», ci spiega Lyle.

Lyle “Doghead” Rowell, uno degli abitanti storici di Mutonia [foto di Fulvio Zappatore]
Lyle “Doghead” Rowell è uno degli abitanti storici di Mutonia. La sua casa è la prima che si incontra appena varcato il cancello, anche se più che una casa assomiglia a un parco divertimenti per sfasciacarrozze. Ovunque ci sono carcasse di metallo, lamiere di automobili, cavi e tubi intrecciati e saldati tra loro, che creano strutture caotiche e allo stesso tempo armoniose, rovinate dal tempo ma che sembrano proiettate verso il futuro. Un futuro cyberpunk, simile a quello dei film di Mad Max. Di fianco alla porta d’ingresso: una grande gabbia in acciaio con dentro un robot che si agita tra le sbarre in cerca di libertà. Sul tetto della casa: una torre bianca le cui ali di ferro si muovono in alto e in basso come a voler spiccare il volo. Lyle ha costruito tutto recuperando rottami dalle discariche e dai robivecchi. Le sue sculture, come la sua casa, sono interamente riciclate. 

È canadese e ha 61 anni: «Sono arrivato 30 anni fa con un pulman e un rimorchio pieno di sculture e ho iniziato a lavorare con la gente che era già qui – spiega Lyle – mi sono trovato subito bene non solo con gli altri Mutoidi ma anche con i cittadini di Santarcangelo, che ci hanno subito accolto».

Tra gli ultimi arrivati c’è invece Davide, che è venuto a vivere qui con la sua compagna e le sue due bambine. A fianco alla loro casa c’è un camion con un enorme rimorchio dipinto di verde con la scritta in giallo «Cinéma du Désert». «È un cinema itinerante alimentato ad energia solare – spiega Davide – Durante la bella stagione andiamo in giro per il mondo proiettando film in luoghi dove di solito non arrivano. La prima volta l’abbiamo fatto a Timbuktu».

La Mutoid Waste Company, sperimentando un vero modello di rigenerazione urbana, creatività e cultura del riuso, ha creato un museo a cielo aperto, oggi anche meta di visitatori, appassionati e curiosi [foto di Fulvio Zappatore]
In inverno invece fanno base qui a Mutonia: «La Romagna in generale è un posto molto accogliente, c’è una bella filosofia del vivi e lascia vivere. Mutonia è un posto dove si produce arte partendo dagli scarti della società e per noi, che viviamo in 22 metri quadrati con 400 litri d’acqua alla settimana e alimentandoci con l’energia solare è proprio il posto ideale».

Le battaglie legali 

La convivenza tra i Mutoidi e la città non è stata sempre priva di ostacoli. Nel 2013 un vicino di casa presentò un ricorso al TAR denunciando la presunta abusività delle strutture del campo. L’amministrazione inizialmente dispose la demolizione di parte dell’insediamento, ma in seguito avviò un progetto di riqualificazione, che trasformò Mutonia in un parco artistico riconosciuto dalla Soprintendenza per i Beni Culturali.

[foto di Fulvio Zappatore]
Ora davanti al cancello di ingresso c’è un cartello che indica gli orari per le visite. Chi vuole può entrare e farsi un giro ammirando le sculture, in uno scenario che cambia velocemente, seguendo l’ispirazione artistica dei suoi abitanti. Negli anni, Mutonia si è integrata nel tessuto cittadino di Santarcangelo, diventando parte della sua identità. «La Romagna è Sangiovese, formaggio di fossa e Mutonia», racconta Andy Macfarlane, scozzese di nascita e presidente dell’associazione Mutoid, sottolineando il profondo legame con la comunità locale.

Ora, però, una nuova minaccia pende sulla sopravvivenza di Mutonia. Nel 2021, il vicino di casa si è appellato al Consiglio di Stato, che il 29 gennaio 2024 ha ribaltato la sentenza del TAR che aveva accolto le ragioni degli artisti, stabilendo che la sanatoria ottenuta tramite il piano urbanistico era illegittima. Secondo i giudici, le strutture andavano demolite prima di qualsiasi riqualificazione: «Se l’ordinanza fosse messa in atto, vorrebbe dire distruggere tutto quello che abbiamo costruito in 35 anni – spiega Lyle – comprese le nostre case. A quel punto sarebbe impossibile ricostruire. Sarebbe la fine di Mutonia».

[foto di Fulvio Zappatore]
Di fronte al rischio di sgombero, l’intera comunità di Santarcangelo si è mobilitata. Il sindaco Filippo Sacchetti ha ribadito l’impegno dell’amministrazione per trovare una soluzione giuridica che permetta agli artisti di rimanere: «Mutonia non è un’ospite della nostra città, ma una delle sue anime – ha dichiarato – Il nostro obiettivo è fare in modo che possa restare dov’è».

La sentenza del Consiglio di Stato ha però complicato molto le cose. Pochi giorni fa il consiglio comunale di Santarcangelo si è runito e ha votato un ordine del giorno a sostegno della comunità di Mutonia, anche se ancora non è chiaro come si intenda procedere per salvare il campo. Tra le ipotesi ci sono quelle più pratiche, come rivedere ancora un volta il piano urbanistico, fino a quelle più ambizione come un ricorso alla Corte di giustizia Europea. Intanto però il tempo stringe.

«Se si tratterà di raccogliere soldi e pagare, troveremo un modo», conclude Andy. «Ma questa è casa nostra, e faremo tutto il possibile per restare».

[testo e immagini di Fulvio Zappatore]

Siria, raid israeliano a Damasco: almeno 1 morto

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L’esercito israeliano ha annunciato di aver condotto un attacco aereo nella capitale siriana, Damasco, prendendo di mira obiettivi «terroristici» affiliati al movimento per il Jihad Islamico in Palestina. Secondo quanto comunica l’Osservatorio siriano per i diritti umani, almeno una persona sarebbe morta. Non è del tutto chiaro quale fosse l’obiettivo preciso del raid, ma stando a quanto avrebbero comunicato due fonti di sicurezza siriane all’agenzia di stampa Reuters, sembra che l’intento fosse colpire una persona palestinese. Il portavoce della Jihad Islamica, Muhammad al-Haj Musa, ha smentito che l’edificio preso di mira fosse un centro di comando, scrivendo su Telegram che si trattava di una casa vuota.

Il “democratico” Trudeau ha lasciato le carceri canadesi piene di prigionieri indigeni

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Nel giugno 2015, a pochi mesi dalle elezioni federali che hanno visto la vittoria del Partito Liberale di Trudeau, la Commissione per la Verità e la Riconciliazione (TRC) canadese ha pubblicato 94 inviti all’azione, nei quali si invitava il governo a lavorare per rimediare ai danni arrecati dal colonialismo alle popolazioni native locali. Da allora, il governo di Trudeau ha fatto grandi promesse, tra le quali quella di mettere in pratica i principi della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti delle popolazioni indigene e di avviare un’inchiesta sulle decine di donne e ragazze native scomparse o assassinate. A dieci anni dall’inizio del suo mandato, tuttavia, i risultati sono ben diversi, con le carceri del Paese riempitesi di detenuti provenienti da gruppi delle popolazioni originarie.

Trudeau ha ripetutamente detto che non c’è relazione «più importante per il Canada del rapporto con i popoli indigeni». Il passo più grande è stato probabilmente compiuto nel 2021, dopo la scoperta di 751 tombe non segnate di bambini indigeni presso la Kamloops Indian Residential School di Marieval, nella provincia canadese del Saskatchewan, conosciuta anche come “Grayson”. Allora, Trudeau provò a scusarsi per le passate politiche del governo federale sul benessere dei bambini e sulle scuole residenziali (le cosiddette “boarding school”), oltre ad impugnare 147 avvisi sull’acqua potabile a lungo termine nelle comunità indigene. Nell’aprile 2024, il governo ha impegnato un totale di circa 9 miliardi di dollari in cinque anni per le iniziative indigene, dei quali 2,9 solamente per l’anno fiscale 2024-25. In tale contesto, tuttavia, è stato lasciato da parte un settore che si trova in una situazione alquanto grave: quello giudiziario-carcerario. La popolazione indigena, infatti, ha visto negli ultimi anni aumentare vistosamente la percentuale dei suoi detenuti rispetto alla popolazione totale del Paese.

Secondo quanto riportato dal ministero della Giustizia canadese, gli indigeni, che oggi costituiscono il 5% della popolazione totale canadese, rappresentano circa un terzo dei detenuti federali, rispetto a poco più di un quinto del 2015. Proprio come i tassi di incarcerazione, gli ordini di supervisione a lungo termine sono molto più elevati per la popolazione indigena, rappresentando oltre un terzo di questi mandati giudiziari. Secondo avvocati e attivisti, questo dipende dal fatto che i nativi sono percepiti come soggetti più pericolosi a causa dell’elevato tasso di povertà, instabilità e disabilità di vario genere non trattate esistenti all’interno delle loro comunità, oltre che per il razzismo radicato nella società canadese. Secondo i dati del servizio correzionale, gli indigeni sono i soggetti che violano maggiormente le condizioni degli ordini di supervisione a lungo termine, fattore che li espone a un maggior rischio di tornare in prigione. Una persona che violi un ordine di supervisione può infatti essere rispedita in carcere per 90 giorni, se il suo ufficiale di libertà vigilata ritiene che rappresenti un «rischio ingestibile» per la comunità. A sottolineare la disparità giudiziaria su base razziale vi è anche il fatto che, secondo le statistiche, è più probabile che agli indigeni venga negata la cauzione e, in caso di condanna, che siano detenuti in unità di massima sicurezza. Questo comporta un accesso limitato ai programmi di riabilitazione, i quali costituiscono spesso un prerequisito per ottenere la libertà vigilata.

Per comprendere appieno la sovra-rappresentazione delle popolazioni indigene nel sistema di giustizia penale, è necessario considerare il contesto in cui è andato verificandosi nel corso di tutti questi anni di storia coloniale, con un settore sociale spesso molto debole e frammentato con complessi problemi psico-sociali legati a salute mentale e uso di sostanze, povertà, mancanza di abitazione, violenza e traumi individuali e intergenerazionali. Ora che il suo mandato è giunto al termine, è chiaro come, nonostante le buone intenzioni sbandierate in sede di campagna elettorale, il governo di Trudeau abbia lasciato dietro di sé una situazione peggiore di quella che ha trovato, con un sistema giudiziario penale che si accanisce sempre più sulla popolazione indigena.

[Michele Manfrin]

Bologna, indagati per corruzione ex vertici di Conad

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La Procura di Bologna e la Guardia di Finanza hanno effettuato un sequestro di oltre 36 milioni e indagato nove persone per corruzione tra privati e autoriciclaggio nell’ambito dell’acquisizione dei negozi del gruppo francese Auchan da parte di Conad. Fra loro figurano l’ex ad di Conad Francesco Pugliese e l’ex direttore finanziario Mauro Bosio, i quali – secondo quanto attestato dai pm – avrebbero costituito una fiduciaria per ricevere false consulenze da parte di imprenditori. La denuncia è partita da due cooperative di dettaglianti associate e Conad risulta parte lesa nel procedimento.

Leonardo SPA alza le stime di crescita e regala maxi dividendi grazie alle armi

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I venti di guerra e di riarmo fanno bene a Leonardo, colosso italiano della Difesa, che ha chiuso il 2024 con profitti record e un ambizioso piano di espansione globale. L’azienda ha infatti registrato un utile netto di 1,159 miliardi di euro, segnando un incremento del 63% rispetto all’anno precedente, mentre il dividendo 2025 è raddoppiato a 0,52 euro per azione. Lo ha reso noto il Consiglio di Amministrazione, approvando i Risultati 2024 e la Guidance 2025, in cui ha registrato un risultato netto ordinario che si attesta a 786 milioni (+3,7%), sostenuto dal miglioramento dell’utile operativo. Il piano 2025-2029 prevede ordini per 26,2 miliardi e ricavi a 24 miliardi entro il 2029.

Nello specifico, gli ordini di Leonardo sono saliti a 20,9 miliardi (+12,2%), i ricavi a 17,8 miliardi (+11,1%) e l’EBITA a 1,525 miliardi (+12,9%). Il Free Operating Cash Flow cresce del 26,7%, riducendo il debito a 1,795 miliardi (-22,7%). L’azienda beneficia della crescente domanda globale di sistemi di difesa e delle opportunità offerte dal piano europeo Rearm Eu, che prevede investimenti per 800 miliardi nel settore. Il titolo in Borsa ha guadagnato il 70% dall’inizio dell’anno, con un incremento del 2,4% nella seduta successiva alla pubblicazione dei dati, poi ridimensionato all’1,3%. Nel frattempo, gli azionisti festeggiano il maxi dividendo: la decisione si inserisce in una strategia di valorizzazione per gli investitori, sostenuta da un forte miglioramento della posizione finanziaria. Leonardo sta progressivamente consolidando il proprio ruolo nel comparto militare con alleanze chiave. Tra i progetti più importanti, il caccia di nuova generazione con BAE e Jaiec, il carro armato europeo con Rheinmetall e la collaborazione con Baykar per lo sviluppo di droni militari. Parallelamente, si punta a rafforzare il settore spaziale con una potenziale joint venture con Airbus e Thales per una nuova costellazione di satelliti europei, parte del Progetto Bromo.

Anche il 2023 era stato chiuso da Leonardo con risultati record, registrando ordini sopra le previsioni a 17,9 miliardi di euro (+3,8%) e ricavi per un ammontare di 15,3 miliardi (+3,9% rispetto al 2022). Il boom degli affari di Leonardo è trainato dalla crescente domanda di armamenti alimentata dai conflitti che hanno segnato questa fase storica, tra cui l’invasione russa dell’Ucraina e l’offensiva israeliana su Gaza. L’importante ruolo delle armi “Made in Italy” a Gaza è stato evidenziato dagli stessi israeliani, che hanno dichiarato al sito specializzato Israel Defense che i missili che hanno colpito la Striscia provenivano anche da cannoni fabbricati in Italia e venduti a Tel Aviv. Un dato citato anche dall’Osservatorio sulle armi nei porti europei e mediterranei The Weapon Watch, che ha pubblicamente smentito l’azienda, dopo che quest’ultima aveva affermato che l’esercito israeliano non stesse utilizzando mezzi di sua produzione nella carneficina di Gaza.

Il recente rialzo in borsa ha coinvolto le aziende del settore della Difesa di molti Stati europei. In seguito alle dichiarazioni rese a inizio marzo dalla presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen e di altri leader internazionali sulla necessità di un massiccio riarmo del Vecchio Continente – poi effettivamente sfociate nell’approvazione del piano ReArm da parte del Consiglio Europeo e dell’Eurocamera nel giro di pochi giorni – i titoli delle principali aziende del comparto hanno fatto segnare aumenti record. Leonardo ha registrato un’impennata a Piazza Affari (+16,6%), seguita da Iveco Group (+3,9%), mentre la tedesca Rheinmetall ha segnato un aumento del 14%, confermando una crescita del 61% da inizio anno. Anche altre big della difesa, come BAE Systems, Thales e Saab, hanno registrato forti incrementi.

[di Stefano Baudino]

Bologna: assolto il medico che curò il Covid disobbedendo a “tachipirina e vigile attesa”

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Curava i pazienti con gravi complicazioni abbandonati dal medico di base al protocollo “Tachipirina e vigile attesa”, inoltre non era vaccinato e per tale motivo è stato segnalato da un collega all’Ordine. Ha persino dovuto affrontare un processo per esercizio abusivo della professione, ma dopo tre anni è stato assolto: è la storia del dott. Fabio Milani, medico bolognese che durante la pandemia visitava e curava i pazienti casa per casa, consigliando e prescrivendo vitamine e medicinali come antibiotici e cortisone. Nel 2021, dopo essere stato sospeso dall’ASL per non essersi sottoposto alle iniezioni anti Covid, ha assistito una famiglia positiva a tampone che aveva sviluppato polmonite, la quale dichiarava di sentirsi completamente abbandonata dal loro medico curante, che si atteneva alla raccomandazione ministeriale di “tachipirina e vigile attesa”. Dopo la visita, Milani è stato denunciato dallo stesso collega che aveva rifiutato la visita domiciliare, ma il processo si è concluso con assoluzione piena in quanto per il tribunale il fatto non sussiste. «Sono stati cinque anni durissimi. Ma rifarei tutto: il nostro dovere è curare», ha dichiarato Fabio Milani. «Ringrazio il dottore perché mi ha salvato la vita. Tengo ancora la sua ricetta in memoria di un uomo buono», commenta in esclusiva per L’Indipendente una paziente curata dal dottore in quel periodo.

La storia del dottor Milani – classe 1955, laureato in medicina a Firenze e attualmente curante a Bologna – si inserisce nel contesto più ampio delle scelte sanitarie adottate durante la pandemia e delle conseguenze per chi vi si opponeva. La strategia ufficiale imposta dal Ministero della Salute prevedeva il protocollo “tachipirina e vigile attesa”, che in diversi casi però – secondo numerose segnalazioni – ha portato a un peggioramento delle condizioni dei pazienti. Parallelamente, i medici che sceglievano di adottare terapie alternative venivano spesso segnalati, sospesi e sottoposti a procedimenti disciplinari o giudiziari. Nel caso di Milani, il Decreto Legge 44/2021 stabiliva la sospensione dei sanitari non vaccinati, anche se d’altra parte non vietava loro di esercitare la professione.

Tali contraddizioni sono emerse col caso di Milani, che racconta la sua storia in esclusiva per L’Indipendente: «Decisi di non sottopormi alla vaccinazione e per questo ricevetti a luglio 2021 una segnalazione dall’Asl che mi sospendeva dalle attività inerenti al rischio di diffusione del virus». Una definizione però piuttosto generica e soprattutto non vincolante. «Quasi nella totalità dei casi i pazienti, anche quelli più gravi, venivano trattati secondo il protocollo “tachipirina e vigile attesa”. La cosa peggiore è che il medico curante si rifiutava di visitarli e tale pratica e piuttosto diffusa anche oggi, visto che ricevo decine di segnalazioni di pazienti che mi raccontano di essere abbandonati e costretti ancora ad eseguire tamponi», continua Milani. Il caso inizia ufficialmente a dicembre del 2021, quando viene contattato da una donna di Bologna con sintomi Covid, la cui famiglia si trova nella stessa situazione. Secondo quanto riportato, il loro medico curante si rifiutò di visitarli, consigliando solo tachipirina e attesa. Milani si recò quindi a casa loro riscontrando una polmonite in atto in tutti e tre i pazienti, e decise quindi di prescrivere antibiotici e cortisone. Pochi giorni dopo, la famiglia chiese una nuova ricetta al medico curante che, venuto a sapere della visita di Milani, ha deciso di segnalarlo all’Ordine con l’accusa di esercizio abusivo della professione.

«La denuncia è stata ridicola: il collega si è rifiutato di visitare i pazienti e questo è scritto anche nei verbali dei Nas. All’ennesima richiesta di aiuto ha risposto che non sarebbe andato a visitarli “neanche morto”. Per questo ho deciso di aiutarli. Il collega si è documentato sulla mia presunta sospensione su Google e non sull’ordine, dove si leggeva che ero ancora perfettamente in regola», ha spiegato Milani, commentando anche così il comportamento dei medici di base in quel periodo: «Si sono comportati in maniera assolutamente antiscientifica e contro il giuramento che tutti noi del settore abbiamo fatto. È inspiegabile il fatto di consigliare come unico metodo di contrasto “tachipirina e vigile attesa” e farmaci (i vaccini) che ancora non conoscevamo sufficientemente. C’erano tre categorie: quelli che non avevano studiato, quelli che hanno seguito i soldi e quelli che volevano evitare ritorsioni dall’Ordine. In tutti i casi non possono essere chiamati medici». Tali pratiche sono state confermate anche da Mariapia F., 73enne particolarmente sensibile ai disturbi respiratori risultata poi positiva al Covid, abbandonata alla vigile attesa dal medico di base e curata dal dottor Milani, che aveva riscontrato una polmonite: «Io e mio marito abbiamo seguito quanto riferito dal nostro medico ma passavano i giorni senza alcun miglioramento. Per questo abbiamo chiamato Milani che ci ha prescritto cortisone e vitamine. Tengo ancora conservata la sua ricetta in memoria di un uomo umile e buono. Il dottore mi ha salvato la vita», dichiara in esclusiva per L’Indipendente.

[di Roberto Demaio]

Argentina, proteste dei pensionati: cariche e 100 arresti

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Ieri a Buenos Aires si è tenuta una manifestazione in solidarietà con i pensionati, a cui hanno partecipato anche migliaia di tifosi di calcio e sindacalisti. I dimostranti hanno protestato contro il governo di Milei, l’alto costo della vita e i tagli alle pensioni. Fin dall’inizio della manifestazione si sono registrati scontri, con pensionati e ultras che hanno provato a raggiungere simbolicamente la piazza del Parlamento, venendo caricati dalla polizia, che ha fatto uso di idranti, proiettili di gomma e gas lacrimogeni per disperdere la folla. Secondo quanto riportato dai quotidiani e dalle emittenti nazionali, sarebbero state arrestate almeno 100 persone; almeno 15 i feriti.

Inizia la battaglia dei dazi USA-UE: Italia e Germania le economie più colpite

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La Commissione Europea ha reagito ai dazi Usa del 25% su acciaio e alluminio con contromisure da 26 miliardi di euro. Dal 1° aprile scatteranno infatti dazi su prodotti americani per 8 miliardi, che si applicheranno a diverse tipologie di prodotti, quali barche, motociclette e liquori. A metà aprile – previa consultazione con Paesi membri e azionisti – seguiranno ulteriori tariffe su beni industriali e agricoli per altri 18 miliardi. In generale, l’UE mira a colpire settori chiave negli USA senza danneggiarsi troppo, prendendo prevalentemente di mira gli Stati repubblicani. La presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen, si è comunque detta aperta al dialogo: se Washington accetterà di negoziare, le misure potrebbero essere revocate al fine di evitare una guerra commerciale con Washington.

I dazi europei sui prodotti statunitensi sono stati annunciati ieri, mercoledì 12 marzo, dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e dal Commissario europeo per il commercio e la sicurezza economica, Maroš Šefčovič. «Le tariffe sono tasse», ha detto von der Leyen, condannando l’iniziativa statunitense. «Sono dannose per le aziende e peggio per i consumatori. Portano incertezza all’economia». von der Leyen ha definito le contromisure europee «forti ma proporzionate»: si stima che il valore dei dazi statunitensi si attesti attorno ai 28 miliardi di dollari (25,75 miliardi di euro), e per tale motivo l’UE ha annunciato dazi da un valore stimato di 26 miliardi. Šefčovič ha spiegato che in primo luogo la Commissione farà scadere la sospensione delle contromisure del 2018 e del 2020 contro gli Stati Uniti, in vigore fino al 31 marzo. Queste ultime erano state pensate in risposta ai dazi USA sull’alluminio, e colpivano una gamma di prodotti vasta e simbolica, tra cui figuravano bourbon, jeans, motociclette Harley Davidson, burro d’arachidi, tabacco, e prodotti agricoli di vario tipo.

A partire da oggi, inoltre, inizieranno le consultazioni con azionisti e parti chiamate in causa per concordare la seconda tornata di dazi. I colloqui si concluderanno il 26 marzo e i nuovi dazi verranno introdotti a partire dal 13 aprile. La Commissione ha condiviso una lista di possibili prodotti che potrebbero venire coinvolti, ma non è ancora chiaro esattamente quali verranno colpiti. Anche in questo caso, tuttavia, sembra che a venire presi di mira saranno beni dal valore simbolico e politico: si tratta per esempio dei prodotti di punta di certi Stati repubblicani, in primo luogo quelli agricoli e da allevamento, come i semi di soia della Louisiana, la carne del Nebraska e del Kansas, ma anche di prodotti industriali come acciaio, alluminio, tessuti, articoli di pelletteria, elettrodomestici, utensili per la casa, materie plastiche e prodotti in legno.

Gli USA non hanno preso bene la risposta europea. «Non ci faremo più maltrattare sul commercio» ha detto Trump ricevendo il premier irlandese Micheál Martin. Trump ha poi paventato possibili nuovi dazi sul settore automobilistico, e dichiarato che gli Stati Uniti «vinceranno la battaglia commerciale con Bruxelles». Anche l’inviato per il commercio USA Jamieson Greer ha criticato la scelta europea, dicendo che «la sua azione punitiva ignora completamente gli imperativi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti».

L’annuncio di von der Leyen è arrivato il giorno dell’entrata in vigore dei dazi USA verso l’UE, e analoghe contromisure sono state adottate da quasi tutti i Paesi colpiti più direttamente. In Europa sembra che i Paesi che verranno più colpiti dalle misure statunitensi saranno Germania e Italia. A dirlo è stato il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta in occasione del 31° Congresso ASSIOM FOREX, ma la sua posizione su Roma è condivisa anche dal ministro dell’economia Giorgetti. Il Belpaese, di preciso, verrebbe colpito tanto direttamente quanto indirettamente. Secondo un’analisi di Nomisma per CIA – Agricoltori Italiani tra i prodotti più danneggiati vi sarebbero quelli del settore agroalimentare, tra cui il pecorino romano, vini, prosecco, olio, aceto, e sidro Made in Italy. A rischio anche acciaio, auto, e prodotti di moda. Secondo Panetta, inoltre, i dazi USA potrebbero «spingere gli esportatori cinesi a cercare nuovi mercati per compensare il calo delle vendite sul mercato americano», causando un effetto indiretto sulle imprese italiane e europee.

[di Dario Lucisano]

Campi Flegrei, terremoto 4,4: un ferito

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Nella notte, c’è stato un terremoto nella zona dei Campi Flegrei, vicino a Napoli. Di preciso, l’epicentro del terremoto, di magnitudo 4,4, si trovava a Pozzuoli e l’ipocentro a una profondità di 2 chilometri; la scossa è avvenuta attorno all’1:30 e ha causato lievi danni a diversi edifici, da cui sono caduti calcinacci che si sono abbattuti sulle strade e sulle macchine. Il terremoto è stato sentito in diverse zone della Campania, costringendo le persone a riversarsi in strada, ma i danni maggiori si sono registrati a Pozzuoli e a Bagnoli. A Bagnoli l’unica persona ferita: una donna che ha riportato lievi escoriazioni a causa del crollo di un controsoffitto.