lunedì 7 Luglio 2025
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La storia di Ahmed: così si muore, a 17 anni, nella Palestina occupata

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NABLUS, PALESTINA OCCUPATA – Sono centinaia le persone che si sono radunate ieri, 6 gennaio, per rendere omaggio a Moataz Ahmed Abdul Wahab Madani, il diciassettenne ucciso con un proiettile al petto durante un’incursione israeliana nel campo profughi di Askar Al-Jadeed alla vigilia dell’epifania. Almeno sei i feriti da arma da fuoco e decine gli arresti nella stessa giornata, durante la quale i militari israeliani hanno effettuato raid sia nella città vecchia che nei due campi profughi di Nablus, lanciando lacrimogeni, bombe stordenti e sparando proiettili.

Il corteo funebre è arrabbiato e avanza veloce lungo le strade che dal centro di Nablus conducono al campo profughi dove il giovane viveva. I partecipanti gridano slogan contro l’occupazione e invocano Allah, accompagnando il corpo alla casa della famiglia per un ultimo saluto. Lì, decine di donne si stringono intorno alla madre e alla sorella. Tutti si zittiscono mentre, per alcuni minuti, riecheggiano solo i pianti e la disperazione della famiglia dell’ennesimo palestinese ucciso da Israele.

Le grida di dolore risuonano lungo la stretta via di quel campo, costruito nel 1950, che oggi ospita quasi 25.000 discendenti dei profughi della Nakba, l’esodo palestinese seguito alla fondazione di Israele.

Sale così a 839 il bilancio totale dei morti in Cisgiordania dal 7 ottobre 2023, inclusi 173 bambini, secondo i dati raccolti dall’International Middle East Media Center (IMEC) l’IMEMC. È il bilancio più grave mai registrato nella storia dei Territori occupati. Circa 7.000 i feriti in 14 mesi, 10.300 le persone arrestate.

La marcia funebre riprende, accompagnata da spari in aria per rendere omaggio a quello che tutti chiamano il nuovo martire della lotta di liberazione. La resistenza armata si manifesta: alcuni giovani armati di M-16 esprimono solidarietà alla famiglia di Ahmed con raffiche di mitra. Il corpo del ragazzo, avvolto in una bandiera palestinese, viene portato fino alla moschea, dove il corteo si ferma per una preghiera. All’esterno, alcuni studenti della sua scuola srotolano uno striscione in suo onore: “L’amministrazione della scuola Maohamad Ameen Alsaadi piange l’eroe martire Motaz Ahmad Madani, uno degli studenti dell’11° anno della sezione letteraria”.

Ahmad è la 95ª vittima della città, dopo che Nablus aveva appena finito di piangere il diciottenne Muhammad Medhat Amin Amer, ucciso sabato 4 gennaio durante un’altra incursione nel campo profughi di Balata. Quattro delle nove persone ferite restano in “condizioni critiche” a seguito di quel raid, durante il quale anche alle ambulanze è stato impedito di soccorrere i feriti.

Non si fermano, ma aumentano gli attacchi dei militari di Tel Aviv in tutta la Cisgiordania, dove ogni giorno si registrano nuovi morti, feriti e arresti in quella che è, a tutti gli effetti, una guerra a “bassa intensità” che Israele porta avanti in modo parallelo al genocidio in corso sui palestinesi che vivono a Gaza.

Dal 7 ottobre è in crescita anche il numero di violenze commesse dai coloni israeliani contro la popolazione palestinese, specialmente nelle aree limitrofe agli insediamenti illegali e nelle regioni intorno a Hebron e nella Valle del Giordano. Qui gli attacchi sono quotidiani e includono demolizioni di case, minacce, furti di bestiame e sabotaggi delle infrastrutture palestinesi. I circa 700.000 coloni sono stati ampiamente armati da Tel Aviv dopo il 7 ottobre, in una strategia che sembra perseguire una vera e propria pulizia etnica anche in Cisgiordania.

Riprendono gli slogan e i cori. Il corteo funebre ricomincia il suo cammino verso il cimitero del campo profughi. Nell’aria rimane la rabbia e il dolore per l’ennesimo figlio del campo ucciso.

[testo e immagini di Moira Amargi, corrispondente dalla Palestina]

Corea del Sud, nuovo mandato d’arresto per Yoon Suk Yeol

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L’agenzia anticorruzione della Corea del Sud ha dichiarato alla stampa locale di aver ricevuto da parte di un tribunale un nuovo mandato d’arresto per il presidente Yoon Suk Yeol, sotto impeachment, dopo il blocco del precedente da parte del servizio di sicurezza presidenziale. Yoon è accusato di aver tentato di imporre la legge marziale il 3 dicembre per uscire dall’impasse dell’esecutivo, scatenando la peggiore crisi politica del paese negli ultimi decenni. Da allora, ha rifiutato tre interrogatori. Gli investigatori hanno 48 ore per confermare il mandato o saranno costretti a rilasciarlo, anche se la durata del mandato non è stata ancora divulgata.

È stato identificato il “vulcano misterioso” che eruttò e raffreddò la Terra nel 1831

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L’eruzione vulcanica avvenuta nel 1831 che fu tanto potente da abbassare le temperature globali, ha finalmente trovato il suo “colpevole”: è il vulcano Zavaritskii, situato sulle remote isole Curili tra Russia e Giappone. A rivelarlo sono le analisi condotte da un team internazionale di scienziati, i quali hanno dettagliato le caratteristiche dei loro risultati all’interno di un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS). Gli autori hanno spiegato che la ricerca, realizzata tramite carote di ghiaccio, indagini geochimiche e modelli computerizzati, non solo ha risolto un mistero scientifico durato decenni, ma farebbe soprattutto luce sull’impatto climatico dell’evento, evidenziando anche i “rischi nascosti” rappresentati da vulcani in aree isolate. «Non abbiamo una vera e propria comunità internazionale coordinata che si metta in moto quando accadrà il prossimo grande evento. È qualcosa a cui dobbiamo pensare sia come scienziati che come società», ha commentato il dott. William Hutchison, coautore e ricercatore presso la School of Earth and Environmental Sciences presso l’Università di St. Andrews nel Regno Unito.

Gli scienziati hanno spiegato che l’eruzione, avvenuta nel 1831, si colloca in uno dei periodi più freddi degli ultimi 10.000 anni, l’ultima fase della Piccola Era Glaciale. Il vulcano espulse enormi quantità di biossido di zolfo nella stratosfera, causando un raffreddamento che colpì l’intero emisfero settentrionale ma, nonostante l’anno dell’evento fosse noto, la posizione del vulcano era rimasta sconosciuta fino ad ora. Per risolvere l’enigma, i ricercatori hanno prelevato carote di ghiaccio in Groenlandia e analizzato i depositi di zolfo e cenere risalenti a quel periodo, scoprendo che l’emisfero settentrionale aveva subito un impatto molto maggiore rispetto all’Antartide. La correlazione con i dati geochimici, poi, ha portato a identificare Zavaritskii come il responsabile, vulcano che era inattivo dall’800 avanti Cristo. In particolare, sono stati confrontati isotopi di zolfo, frammenti di vetro vulcanico e cenere con campioni provenienti da diverse regioni vulcaniche. La datazione radiocarbonica dei depositi di cenere sull’isola di Simushir ha confermato che l’eruzione di Zavaritskii risale a meno di 300 anni fa, mentre la caldera del vulcano, formatasi durante quell’evento catastrofico, suggerisce un volume eruttivo tale da sconvolgere il clima globale.

«Questa eruzione ha avuto impatti climatici globali, ma è stata erroneamente attribuita ad un vulcano tropicale per un lungo periodo di tempo. La ricerca ora mostra che l’eruzione ha avuto luogo sulle isole Curili, non ai tropici», ha commentato il dott. Stefan Brönnimann, responsabile dell’unità di climatologia presso l’Università di Berna in Svizzera non coinvolto nella ricerca. Secondo il team dei coautori, inoltre, l’evento avrebbe contribuito al fallimento dei raccolti e avrebbe incrementato la crisi delle carestie globali, aggravando le difficoltà in India, Giappone ed Europa. «Sono ancora sorpreso che un’eruzione di queste dimensioni non sia stata segnalata. Forse ci sono resoconti di caduta di cenere o fenomeni atmosferici verificatisi nel 1831 che risiedono in un angolo polveroso di una biblioteca in Russia o in Giappone. Il lavoro di follow-up per approfondire questi registri mi entusiasma davvero», ha aggiunto Hutchison, il quale ha poi concluso affermando che gli obiettivi futuri saranno capire in che misura «queste carestie siano state causate dal raffreddamento del clima vulcanico o da altri fattori socio-politici» e lavorare per predire gli eventi futuri: «Non abbiamo una vera e propria comunità internazionale coordinata che si metta in moto quando accadrà il prossimo grande evento. È qualcosa a cui dobbiamo pensare sia come scienziati che come società».

[di Roberto Demaio]

Frammentata, ingiusta e in peggioramento: Lancet analizza la sanità italiana

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La rivista internazionale di medicina The Lancet, nel suo ultimo numero, ha tracciato un quadro impietoso del sistema sanitario italiano, evidenziandone la grande frammentarietà e inefficienza. Un editoriale firmato da Pooja Jha, direttrice di Lancet Regional Health-Europe, ha infatti denunciato l’assenza di un sistema unificato per la gestione e la condivisione dei dati sanitari, inquadrando tale lacuna come uno dei maggiori ostacoli alla modernizzazione e all’equità del Servizio Sanitario Nazionale. Nell’articolo si attesta che il mancato coordinamento tra le Regioni costa più di 3 miliardi ogni anno, evidenziando inoltre come il fascicolo sanitario elettronico, potenziale strumento di unificazione, resti inapplicato. Secondo la rivista, poi, la riforma dell’autonomia differenziata rischia di aggravare le disparità tra Regioni del Centro-Nord, che garantiscono livelli essenziali di assistenza, e quelle del Sud, già in grande difficoltà.

The Lancet sottolinea che l’Italia sconta la forte autonomia delle sue 20 regioni, che operano in modo indipendente, adottando tecnologie e politiche differenti. Ha così origine una frammentazione che ostacola la condivisione di referti medici, obbligando i pazienti a ripetere esami quando si spostano tra strutture o regioni, con un costo stimato di 3,3 miliardi di euro annui. La rivista evidenzia come l’emergenza Covid abbia reso evidenti queste falle: molte strutture sanitarie, specialmente nel Sud, si affidavano a sistemi obsoleti o addirittura alla raccolta manuale dei dati, compromettendo una risposta coordinata alla pandemia. Esempi emblematici sono i tempi biblici per l’implementazione del fascicolo sanitario elettronico in Calabria o l’assenza di registri tumori aggiornati. Nel complesso, solo il 42% delle strutture italiane dispone di un sistema informatico integrato per tutti i dipartimenti. Il divario tra Nord e Sud è un altro tema centrale nell’analisi della rivista. Le sette regioni attualmente in piano di rientro sanitario – Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Puglia e Sicilia – si trovano tutte al Centro-Sud, segno di una sanità in difficoltà cronica. Questo quadro porta molti pazienti meridionali a migrare verso le strutture del Nord, fenomeno noto come “viaggi della speranza”. Tuttavia, l’assenza di strumenti per trasferire i dati sanitari rende ancora più complessa la gestione di questi pazienti, che spesso vengono presi in carico senza una storia clinica completa, con inevitabili ritardi nei trattamenti e duplicazioni di esami.

La rivista considera inoltre l’autonomia differenziata un potenziale detonatore per ulteriori disuguaglianze. La riforma, se approvata, decentralizzerebbe infatti ulteriormente la governance sanitaria, aggravando la frammentazione e le disparità tra le regioni. «Invece di promuovere la raccolta e la condivisione armonizzata dei dati, questa legge rischia di approfondire le disuguaglianze, ritardare i trattamenti e ostacolare i progressi», avverte l’articolo. L’armonizzazione legislativa a livello nazionale è considerata essenziale per creare una rete unificata di dati sanitari, capace di supportare l’interoperabilità, la telemedicina e la digitalizzazione del SSN. La rivista mette in luce che le inefficienze del sistema sanitario del nostro Paese si ripercuotono anche sulla ricerca scientifica. La mancanza di una piattaforma centralizzata costringe i ricercatori a richiedere autorizzazioni ai comitati etici e di privacy di ogni singola istituzione, con un processo lungo e spesso arbitrario. Dal 2009, la percentuale di studi autorizzati sul totale è scesa al 15%, una tendenza che mette a rischio il ruolo dell’Italia nella ricerca medica internazionale.

Recentemente, a lanciare l’allarme sul pessimo stato di salute del Servizio Sanitario Nazionale era stato un report della Ragioneria generale dello Stato, in cui è stato reso noto che, nel 2023, la spesa sanitaria privata in Italia ha superato i 43 miliardi di euro, con un incremento del 7% rispetto al 2022 e del 24% rispetto al 2019 Parallelamente, la spesa sanitaria pubblica è cresciuta solo del 2% rispetto al 2022 e del 13,6% rispetto al 2019, raggiungendo i 132,8 miliardi di euro. La prova plastica di come, nonostante le rassicurazioni dei tanti governi che si sono succeduti negli ultimi anni, gli investimenti nella sanità pubblica non siano affatto sufficienti a garantire il mantenimento degli standard di assistenza, costringendo sempre più spesso i cittadini ad aprire il portafogli per ottenere visite e cure.

[di Stefano Baudino]

Onu, aumentano le morti ad Haiti, “oltre mille in più rispetto al 2023”

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Oltre 5.600 persone sono state uccise ad Haiti nel 2024, ovvero 1.000 in più rispetto all’anno precedente. A rivelarlo è l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (Ohchr), il quale sottolinea l’impatto determinante delle gang criminali, principale motore delle “violazioni dei diritti umani e della corruzione”. Sono stati documentati inoltre 315 linciaggi di membri di organizzazioni criminali e persone associate e 281 casi di presunte esecuzioni sommarie. «Queste cifre da sole non possono spiegare gli orrori assoluti che vengono perpetrati ad Haiti, ma mostrano la violenza implacabile a cui la gente è sottoposta», ha sottolineato l’Alto Commissario Volker Türk nel comunicato.

Francia, è morto a 96 anni Jean-Marie Le Pen

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È morto all’età di 96 anni il politico francese Jean-Marie Le Pen, ex leader e fondatore della forza politica di estrema destra Front National, da cui era stato espulso nel 2015. Era il padre di Marine Le Pen, che ora guida il partito. La notizia è stata riferita dalla famiglia del politico ad Afp. Le Pen è l’uomo che ha rivoluzionato l’estrema destra francese, portandola a livelli di consenso mai raggiunti prima. Nel 2002 arrivò al ballottaggio per le elezioni presidenziali, dove fu battuto da da Jacques Chirac. Complessivamente è stato candidato cinque volte per l’Eliseo, ricoprendo vari incarichi a livello nazionale e in seno all’Europarlamento.

Kedumim: palestinesi uccidono tre coloni israeliani, da Tel Aviv s’invoca la “soluzione Gaza”

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Tre israeliani sono stati uccisi e altri otto feriti in un attacco a colpi di arma da fuoco nei pressi dell’insediamento illegale di Kedumim, in Cisgiordania. Secondo i media israeliani, almeno due uomini armati palestinesi hanno aperto il fuoco contro automobili e un autobus di coloni, per poi fuggire dalla scena. Le vittime – due donne e un investigatore di polizia – risiedevano tutte nell’insediamento illegale di Ariel, sempre in Cisgiordania. In seguito all’attacco, il ministro delle Finanze israeliano, Bezalel Smotrich, esponente del Partito Sionista Religioso, ha invocato una pulizia etnica in Cisgiordania: «Al-Funduk, Nablus e Jenin devono assomigliare a Jabalia», ha dichiarato, riferendosi all’area di Gaza settentrionale devastata dalle forze israeliane e priva di aiuti umanitari da settimane.

«Il nemico deve sapere che non ci sarà sicurezza per lui finché il nostro popolo non sarà al sicuro», ha dichiarato Abu Obeida, portavoce delle Brigate Qassam (il braccio armato del partito palestinese Hamas), in un comunicato. Subito dopo l’attacco, il nord della Cisgiordania è stato sottoposto a blocchi stradali e chiusure ai checkpoint da parte dei soldati israeliani. Nablus è rimasta isolata per ore, mentre diversi raid militari hanno colpito città della regione.

Secondo l’agenzia WAFA, si sono verificati numerosi attacchi da parte di coloni israeliani contro proprietà palestinesi. Lunedì notte, coloni hanno incendiato un veicolo nel villaggio di Hajja e attaccato abitazioni a Fara’ata. Altri coloni hanno preso di mira Turmus Ayya, incendiando un capannone agricolo, mentre a Tuqu’, nel sud-est di Gerusalemme, alcuni gruppi hanno lanciato pietre contro veicoli palestinesi in movimento. Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha promesso di catturare i responsabili. «Troveremo gli assassini e li consegneremo alla giustizia, insieme a chiunque li abbia aiutati», «nessuno sarà risparmiato», ha aggiunto il premier sul cui capo pende un mandato di arresto della Corte Penale Internazionale per crimini di guerra.

Le colonie israeliane sono insediamenti civili costruiti da Israele nei territori palestinesi occupati, principalmente in Cisgiordania e Gerusalemme Est, ma anche sulle alture del Golan. Attualmente, si stima che ci siano oltre 200 insediamenti ufficiali, più decine di avamposti illegali persino secondo la legge israeliana, dove vivono circa 700.000 coloni israeliani. Dal 1967, la costruzione di colonie è aumentata costantemente, con un’accelerazione negli ultimi anni. Solo nel 2023, il governo israeliano ha approvato migliaia di nuove unità abitative, consolidando la presenza israeliana in aree strategiche della Cisgiordania.

Questi insediamenti sono considerati illegali secondo il diritto internazionale, in violazione della Quarta Convenzione di Ginevra, che proibisce il trasferimento di popolazioni civili nei territori occupati. Numerose risoluzioni ONU, tra cui la Risoluzione 2334 del 2016, hanno condannato le colonie, chiedendone il completo smantellamento. Tuttavia, Israele continua ad espandere questi insediamenti, il cui scopo politico è anche quello di rendere impossibile la nascita di uno Stato palestinese attraverso la disintegrazione della continuità territoriale del territorio.

[di Moira Amargi, corrispondente dalla Palestina]

USA, tempesta invernale: 5 morti e traffico aereo in tilt

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Sono almeno 5 le vittime della prima grande tempesta invernale che ha colpito gli Stati Uniti centrali e orientali. Secondo le autorità, i morti sono stati causati da incidenti legati alle terribili condizioni nel Missouri e nel Kansas. Abbondanti nevicate hanno colpito Delaware, Maryland, Virginia e il distretto di Columbia. Si prevedono per oggi temperature in picchiata fino a -18 gradi, con forti raffiche di vento. Sono stati cancellati circa 2.300 voli e altre migliaia hanno subìto ritardi. Quasi 200mila persone, la maggior parte delle quali in Virginia, sono al momento senza elettricità. Aumentano gli incidenti stradali e sempre più scuole decidono di chiudere.

I BRICS si allargano: entra l’Indonesia, quarto stato più popoloso al mondo

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A pochi giorni dall’acquisizione dello stato di partner, il ministero degli Esteri indonesiano ha annunciato l’entrata a pieno titolo nel blocco BRICS, il raggruppamento di quelle che una volta venivano definite economie emergenti, che sfida l’egemonia statunitense. Con i suoi oltre 280 milioni di abitanti e il suo PIL di circa 1.500 miliardi, l’Indonesia è il quarto Paese più popoloso al mondo e la maggiore economia del sud-est asiatico. Il titolo di membro BRICS permette al Paese di partecipare agli incontri e ai processi decisionali del gruppo e garantisce a Giacarta il diritto di voto. Oltre all’Indonesia, fanno parte del gruppo Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran.

La notizia che l’Indonesia entrerà a far parte del blocco BRICS è stata data dalla presidenza brasiliana di turno, iniziata con l’avvio del nuovo anno. A inizio anno, la Russia, Paese presidente di turno uscente, aveva annunciato l’acquisizione del neo-istituito stato di partner BRICS per Bielorussia, Bolivia, Cuba, Kazakistan, Malesia, Thailandia, Uganda, Uzbekistan e per la stessa Indonesia. Lo statuto di partner è stato introdotto nell’ultimo vertice del gruppo, tenutosi a Kazan, in Russia, e prevede la collaborazione su progetti specifici, accordi economici o cooperazione su temi di interesse comune, e la possibilità di essere invitati ai summit, senza tuttavia potere decisionale e di voto. Con l’entrata a pieno titolo nell’alleanza, l’Indonesia potrà partecipare a tutti gli incontri e alle decisioni del gruppo, acquisendo il diritto di voto. I progetti di scambio, inoltre, non saranno più limitati a singoli accordi economici, ma saranno ampliati a una cooperazione su scala più larga.

«Essendo un Paese con un’economia in crescita e diversificata, l’Indonesia è impegnata a contribuire attivamente all’agenda dei BRICS, incoraggiando la resilienza economica, la cooperazione tecnologica, lo sviluppo sostenibile e il superamento delle sfide globali come il cambiamento climatico, la sicurezza alimentare e la salute pubblica», ha dichiarato il ministero degli Esteri di Giacarta. «I BRICS rappresentano un’importante piattaforma per l’Indonesia per rafforzare la cooperazione Sud-Sud, garantendo che le voci e le aspirazioni dei Paesi del Sud del mondo siano ascoltate e rappresentate nel processo decisionale globale», continua la nota. L’adesione dell’Indonesia conferma la linea di diversificazione delle alleanze che fa da fondamento al blocco BRICS, e sembra rilanciare la volontà di promuovere una maggiore rappresentanza dei Paesi definiti “in via di sviluppo” espressa dal gruppo. L’Indonesia è infatti il primo Paese del sud-est asiatico a entrare come membro a pieno titolo dell’alleanza, area geografica di cui rappresenta la maggiore potenza economica. Il Paese è inoltre stabilmente nelle prime posizioni della classifica mondiale per PIL.

[di Dario Lucisano]

Alghero è senz’acqua potabile da sei mesi: scoppia la protesta dei cittadini

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Da sei mesi, i 450 abitanti della borgata Maristella di Alghero vivono senza accesso ad acqua potabile. L’ordinanza sindacale che vieta l’uso dell’acqua per scopi alimentari risale a giugno 2024 e ha aggravato un problema già ricorrente. Al contempo, il servizio autobotte di Abbanoa, il Gestore Unico del Servizio Idrico Integrato nell’area, non è sufficiente a risolvere il problema, lasciando spesso i cittadini senza acqua, soprattutto durante le festività, e penalizzando anziani e persone con problemi di salute. Il comitato di borgata, guidato da Tonina Desogos, ha dialogato con l’amministrazione comunale e i tecnici, convocando un’assemblea generale per sollecitare risposte concrete e risolvere un disagio sempre più insostenibile.

La borgata di Maristella, frazione di Alghero, nella provincia sarda di Sassari, è senza acqua da oltre sei mesi, ma l’erogazione del servizio, tra interruzioni e precedenti ordinanze, prosegue da ben più tempo. Visti i continui disagi e la totale assenza di un servizio indispensabile, il Comitato di Borgata ha convocato un’assemblea generale per l’11 gennaio, invitando i residenti, gli amministratori comunali, i responsabili di Abbanoa, l’ente che gestisce il servizio idrico, e la stampa. L’ultimo stop al consumo di acqua per fini alimentari, infatti, risale al 24 giugno 2024, e sanciva «il divieto di utilizzo dell’acqua di rete quale bevanda e per la preparazione degli alimenti. Le medesime acque possono essere utilizzate per tutti gli usi igienici, compresa l’igiene personale». L’ordinanza sindacale del 24 giugno comunicava il risultato delle analisi della ASL sui prelievi di acqua di Abbanoa e constatava la «non conformità a quanto previsto dal D.Lgs. 18/23 per il parametro chimico Nitriti in ragione di 0,59 mg/l presso il punto di prelievo in Loc». Da allora, la piccola frazione del comune di Alghero si è vista privata senza sconti del servizio di erogazione di acqua potabile.

Per ovviare al problema, Abbanoa ha messo a disposizione una cisterna, situata nella zona del campo sportivo, per rifornire i cittadini di acqua potabile. I disagi, però, non si sono mai risolti. Il servizio dell’autobotte è infatti disponibile solo in determinate fasce orarie, spesso coincidenti con gli orari di lavoro degli abitanti, viene talvolta interrotto, e manca di tutelare i cittadini più in difficoltà, come anziani e persone con problemi di salute, che, denuncia il Comitato di Borgata, «per ovvi motivi non possono raggiungere il posto dove staziona l’autobotte né tanto meno caricarsi di peso eccessivo». A settembre, i cittadini avevano addirittura segnalato la scarsa frequenza con cui veniva cambiata l’acqua della cisterna e notato l’assenza di operatori a custodire l’autobotte, circostanza che avrebbe permesso agli animali selvatici di bere dalla stessa acqua destinata ai residenti.

[di Dario Lucisano]