lunedì 7 Luglio 2025
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Le immagini rivelano: Ramy Elgaml fu speronato dai carabinieri

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I video dell’inseguimento tra tre volanti dei carabinieri e il motorino guidato da Fares Bouzidi, sul quale viaggiava Ramy Elgaml, avvenuto nella notte tra il 23 e il 24 novembre 2024 a Milano, sembrerebbero non lasciare spazio a ulteriori dubbi. L’impatto tra la volante e il motorino c’è stato e potrebbe essere stato proprio quello ad aver causato la caduta del mezzo e quindi la morte di Ramy. A dimostrarlo, oltre alle immagini, sarebbero anche alcuni ciuffi del giubbotto di Ramy rimasti incastrati nella targa della volante. Le immagini contrastano con le dichiarazioni degli agenti messe a verbale subito dopo i fatti, secondo le quali non vi sarebbe stato alcun impatto: lo scooter sarebbe caduto da solo. Gli agenti avrebbero anzi dichiarato di aver intrapreso ogni misura necessaria per evitare lo scontro con il motorino. Dall’audio del video emerge invece come per l’intera durata dell’inseguimento i carabinieri abbiano ripetutamente invocato la caduta del mezzo e che fossero consapevoli che, durante la fuga, Ramy avesse perso il casco. Le immagini dimostrano anche la presenza sul luogo dell’incidente del testimone che sostiene di aver filmato l’intera scena. Immediatamente dopo lo schianto l’uomo, che accusa i carabinieri di averlo costretto ad eliminare il video, viene avvicinato da due agenti.

«Vaff… non è caduto»: con queste parole si aprono le immagini della dash cam di una delle tre volanti lanciatesi all’inseguimento del motorino con a bordo i due giovani. Il commento arriva dopo un primo contatto del mezzo dei carabinieri con il motorino, che non cade e prosegue la sua fuga. I commenti simili saranno diversi («Chiudilo, chiudilo, chiudilo che cade!», «Noooo, mer… non è caduto»). Gli agenti si accorgono anche immediatamente che, nel corso dell’inseguimento, Ramy ha perso il casco: «Ha perso il casco!» urla uno di loro. L’impatto avviene ad un incrocio in via Ripamonti, venti minuti e otto chilometri dopo l’inizio dell’inseguimento. Le immagini sono riprese da una telecamera posta proprio sull’incrocio: lo scooter sembra girare leggermente a sinistra, la volante dei carabinieri gli va dietro. Subito dopo il motorino cade e scivola per alcuni metri, seguito dalla volante, fino a schiantarsi contro il muro. Ramy perderà la vita poco dopo.

«Via Quaranta/Ortles, sono caduti» riferisce una comunicazione, seguita dal commento di un carabiniere: «Bene». Quando la terza volante giunge sul posto, la dash cam riprende il momento esatto in cui due agenti si dirigono verso il testimone presente sulla scena, che alza le mani in alto. Successivamente, l’uomo riferirà di aver ripreso la scena per intero, ma che i carabinieri gli hanno imposto di cancellare il video. Secondo la sua testimonianza, che coincide con quella di Fares Bouzidi, sarebbe stato l’impatto con la volante a causare la caduta del mezzo. A rendere evidente l’impatto sarebbe inoltre un dettaglio, reso noto da alcuni media: un ciuffo della pelliccia del giaccone di Ramy rimasto incastrato nella targa dei carabinieri.

La dinamica raccontata chiaramente dal video, che gli inquirenti stanno esaminando, contrasta con le dichiarazioni degli agenti di aver adottato ogni misura necessaria a tentare di «non occorrere nella collisione». Al momento, il carabiniere alla guida dell’auto e Fares Bouzidi sono indagati per omicidio stradale. Altri due carabinieri sono indagati per falso, frode processuale e depistaggio, proprio perchè dai verbali non risulta alcun accenno allo scontro con il mezzo e per le accuse del testimone di aver imposto la cancellazione delle prove video sul proprio telefono. Saranno gli inquirenti ad esaminare le immagini e determinare con certezza quello che sembra evidente: a uccidere Ramy Elgaml potrebbe essere stato lo speronamento da parte degli agenti.

[di Valeria Casolaro]

Raid israeliani, in poche ore decine di morti, tra cui bambini

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Circa trenta persone sono state uccise questa mattina nella striscia di Gaza da attacchi israeliani. Lo riporta Al Jazeera, la quale aggiunge che sono stati effettuati bombardamenti nella zona di Al Mawasi – a Khan Yunis – che hanno provocato 20 vittime e altri nella Striscia che ne hanno provocato almeno altre nove. Inoltre, citando un governatore nella Cisgiordania settentrionale, l’emittente ha riportato che gli attacchi che secondo l’esercito israeliano dovevano aver ucciso tre combattenti palestinesi a Tammun, in realtà avrebbero provocato la morte di un uomo di 23 anni e due bambini, di otto e dieci anni.

Il MAGA di Trump: annessioni territoriali, più soldi dagli europei e “inferno” su Gaza

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Make America Great Again, assieme al suo acronimo MAGA, è lo slogan che più identifica il neo-presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che ha avuto un riverbero ed è stato apprezzato anche da alcuni dei Paesi europei al di qua dell’Oceano Atlantico. Del significato che si cela dietro queste parole abbiamo avuto un assaggio ieri, martedì 7 gennaio, in occasione della prima conferenza stampa da presidente di Trump, tenutasi dopo la proclamazione ufficiale del Congresso di Washington, a meno di due settimane dal passaggio di consegne finale. Rendere il Paese nuovamente grande significa fare tutto quello che si vuole, dimostrando senza sconti di essere ancora la prima potenza mondiale: trivelle a tutto spiano, ripresa del Canale di Panama, conquista della Groenlandia, investimenti in armi, inferno su Gaza. Sono questi alcuni dei temi con cui Trump ha voluto inaugurare il 2025. E se qualcuno ha qualcosa da ridire, ben venga il ricorso a minacce, se non addirittura l’uso diretto della forza.

I temi toccati da Trump in occasione della sua prima conferenza stampa da presidente ufficialmente eletto sono diversi, ma sono stati tutti trattati sotto l’insegna di quel motto che tanto lo ha reso celebre nel corso degli anni: gli Stati Uniti devono essere resi grandi, nell’ottica di un’espansione economica e territoriale in chiave suprematista. In primo luogo, Trump ha discusso di questioni interne e del recente stop alle trivellazioni deciso da Biden, rilanciando la propria politica di estrazione petrolifera sotto lo slogan drill, baby, drill. La decisione di Biden va «ribaltata immediatamente», per recuperare quei possibili «50mila miliardi» che il Paese potrebbe guadagnare dalle concessioni su quelle acque. Trump ha anche detto che la sua amministrazione eliminerà «rapidamente l’Electric car mandate», una norma che aumenta notevolmente il numero di veicoli elettrici che i produttori di automobili devono assemblare e che i concessionari devono vendere.

Dopo aver trattato delle prossime politiche energetiche e ambientali statunitensi, Trump ha ampliato il discorso sulle questioni interne, concentrandosi sul tema degli investimenti. È proprio riguardo a tale argomento che il tycoon ha citato il Canale di Panama: «Quello che è successo con il Canale di Panama è una disgrazia», ha detto Trump. «Glielo abbiamo dato per un dollaro e loro non ci hanno trattato correttamente: fanno pagare le nostre navi più di quanto facciano pagare le navi degli altri Paesi». Sul Canale di Panama è tornato in occasione di una domanda da parte di un giornalista, che gli ha chiesto rassicurazioni sulle modalità con cui intende assumere il controllo di questo e della Groenlandia, e se fosse possibile escludere l’ipotesi di interventi militari. La risposta di Trump è secca e istintiva: «No», ha affermato. «Potrebbe essere necessario fare qualcosa», ha aggiunto vagamente in un secondo momento, perché il canale garantirebbe «sicurezza economica» al Paese. Come per il Canale di Panama, anche per la Groenlandia: rispondendo a un’altra domanda, il presidente ha detto che gli USA «hanno bisogno della Groenlandia per questioni di sicurezza nazionale», perché i suoi mari sarebbero continuamente solcati da navi russe e cinesi. E se la Danimarca non si decide a smuovere le trattative, «la tasseremo a livelli elevati».

Riguardo ai rapporti con i Paesi della regione, Trump ha discusso anche di Canada e Messico, sostenendo che gli Stati Uniti finanziano in maniera eccessiva i due Paesi e che, per tale motivo, il suo governo intende introdurre nuove tariffe sui loro prodotti in entrata. Il Messico, in particolare, è «in una situazione difficile, nelle mani dei cartelli»; gli Stati Uniti svolgerebbero inoltre «la maggior parte del lavoro» nel Golfo del Messico, motivo per cui «annunceremo molto presto che cambieremo il nome del Golfo del Messico in Golfo di America». Sul Canada, invece, Trump ha sottolineato ripetutamente che «gli USA vi indirizzano centinaia di miliardi di dollari all’anno» in sostegno militare e che la difesa del Paese sarebbe praticamente tutta nelle mani di Washington. Un giornalista gli ha chiesto se le sue intenzioni di fare diventare il Paese il 51esimo Stato della federazione fossero serie e se vagliasse l’ipotesi, come per Panama e Groenlandia, di impiegare la forza per costringere il vicino ad accettare. «No, coercizione economica», ha risposto Trump.

In materia di esteri, il tycoon si è espresso anche sull’Alleanza Atlantica, sostenendo che grazie alla sua postura, contrariamente a quanto sostengono i suoi detrattori, ha «salvato la NATO». I Paesi non pagano, «anche se se lo possono permettere», ha affermato. Minacciando di non difenderli se non avessero rivolto più denaro all’Alleanza, Trump sostiene di avere spinto i Paesi a collaborare. È proprio in questa occasione che il presidente si è lasciato andare, sostenendo che i Paesi europei dovrebbero spendere ben più del 2% del proprio PIL quando si tratta di Alleanza Atlantica. «Ritengo che la spesa dovrebbe essere al 5%», ha affermato Trump riferendosi agli alleati, perché quelli che hanno bisogno di difesa sono gli europei.

Parlando di Medio Oriente, infine, il presidente ha fatto riferimento alla situazione in Siria, sostenendo senza giri di parole che dietro la conquista di Damasco ci sia la Turchia: «Guardate cosa è successo in Siria. La Russia era indebolita, l’Iran era indebolito, ed Erdogan è una persona molto intelligente. Ha mandato lì la sua gente con forme diverse e nomi diversi, e loro sono entrati e hanno preso il controllo; è così che stanno le cose». Ha poi invitato a parlare Steve Witkff, l’inviato speciale per il Medio Oriente recentemente nominato dall’amministrazione Trump, che ha fornito un breve aggiornamento sulla trattativa per gli ostaggi. «Non voglio rovinare le trattative», ha detto Trump, «mi limiterò a dichiarare questo: se entro il mio insediamento gli ostaggi non saranno rientrati a casa, ci sarà l’Inferno in Medio Oriente».

[di Dario Lucisano]

Cecilia Sala è stata rilasciata

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La giornalista italiana Cecilia Sala, in carcere in Iran da circa tre settimane, è stata liberata e, in questo momento, si trova su un volo per l’Italia. La notizia proviene dalla presidenza del Consiglio, che ha comunicato la scarcerazione della giornalista ai media. Sala era stata arrestata lo scorso 19 dicembre nella sua camera d’albergo a Teheran. La notizia della sua cattura è stata diffusa il 27 dicembre e, qualche giorno dopo, l’Iran ha dichiarato che la giornalista era accusata di avere «violato le leggi della Repubblica Islamica».

Un rapporto ONU denuncia la restrizione delle libertà religiose in Ucraina

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Con la fine del 2024, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) ha pubblicato un rapporto sulla situazione dei diritti umani in Ucraina, denunciando limitazioni alla libertà di culto e religiosa da parte dell’amministrazione di Kiev. Il 23 settembre 2024 sono entrate in vigore delle modifiche legali relative alle organizzazioni religiose, che colpiscono in particolar modo la Chiesa Ortodossa Russa: secondo l’ONU, i nuovi emendamenti «invocano la “sicurezza nazionale (o pubblica)” come motivo di limitazione della libertà di religione o di credo» e «stabiliscono restrizioni sproporzionate alla libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo». Il ministero degli Esteri dell’Ucraina ha rigettato le «false accuse» dell’OHCHR, sostenendo che esse «distorcono la realtà». «Sottolineiamo ancora una volta che la legge menzionata nel rapporto non prevede la proibizione di nessuna delle chiese esistenti in Ucraina», continua il comunicato, malgrado la legge in questione scriva esplicitamente che «le attività della Chiesa Ortodossa russa in Ucraina sono vietate».

Il rapporto dell’OHCHR sulla situazione dei diritti umani in Ucraina è stato pubblicato lo scorso 31 dicembre, e riguarda il periodo che va dall’1 settembre al 30 novembre 2024. Nel documento, l’Ufficio umanitario denuncia il ricorso a «criteri vaghi» quali quello di «sicurezza nazionale» o di «ripetuta diffusione di propaganda» da parte delle «persone autorizzate» di una organizzazione religiosa, per limitare il diritto di culto. «Queste disposizioni possono comportare la responsabilità di intere comunità religiose per la condotta di individui specifici», scrive l’OHCHR. «Inoltre, la formulazione troppo ampia e ambigua potrebbe mettere in pericolo il diritto alla libertà di espressione». L’Ufficio sottolinea anche come l’appello a presunti motivi di sicurezza nazionale come motivo di limitazione della libertà di religione o di credo e la libertà di associazione religiosa non è ammissibile ai sensi del Patto internazionale sui diritti civili e diritti politici e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

L’Ucraina ha respinto le accuse dell’OHCHR, sostenendo che «la legge impedisce solo la subordinazione delle organizzazioni religiose presenti in Ucraina ai centri dirigenti situati in uno Stato che ha effettuato o sta effettuando un’aggressione armata contro l’Ucraina e/o ha temporaneamente occupato parte del suo territorio, nonché alle organizzazioni religiose che sostengono l’aggressione armata contro l’Ucraina». La legge in questione è la n. 3894-IX, approvata il 20 agosto 2024 ed entrata in vigore circa un mese dopo. La norma «definisce le specificità delle attività delle organizzazioni religiose straniere in Ucraina», mantenendo «l’obiettivo di proteggere la sicurezza nazionale e pubblica, i diritti umani e le libertà». Essa getta i principi organizzativi del funzionamento delle organizzazioni religiose straniere, definendole e determinando quando e a che condizioni esse possano svolgere attività su suolo ucraino. Il criterio generale individuato dai legislatori è che «le organizzazioni religiose straniere possono svolgere attività in Ucraina, a condizione che le loro attività non danneggino la sicurezza nazionale o pubblica, la protezione dell’ordine pubblico, la salute, la morale, i diritti e le libertà di altre persone». Il criterio della sicurezza è dunque presente, esattamente come denunciato dall’ONU.

Sulla base del principio generale, la legge vieta le attività a tutte quelle organizzazioni religiose che «si trovano in uno Stato di cui è riconosciuto che ha effettuato o sta effettuando un’aggressione armata contro l’Ucraina e/o occupa temporaneamente parte del territorio dell’Ucraina» – contenuto citato direttamente dal ministero degli Esteri ucraino – e a quelle che «sostengono direttamente o indirettamente (anche attraverso discorsi pubblici di leader o altri organi di gestione) l’aggressione armata contro l’Ucraina». L’articolo 3 vieta poi in maniera diretta le attività della Chiesa Ortodossa Russa: «Considerando che la Chiesa Ortodossa Russa è un’estensione ideologica del regime dello Stato aggressore, complice dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità commessi in nome della Federazione Russa e dell’ideologia della “Pace russa”, le attività della Chiesa ortodossa russa in Ucraina sono vietate».

La legge, inoltre, estende il divieto a tutte le organizzazioni religiose – anche ucraine – associate a un’istituzione bandita ai sensi della stessa legge, e alle organizzazioni religiose associate a quelle associate alle istituzioni bandite. Questo di fatto consentirebbe, scrive l’OHCHR, «lo scioglimento di molte organizzazioni religiose interconnesse senza una valutazione individuale caso per caso». La norma, infine, impone agli enti statali di annullare tutti i contratti di locazione di proprietà dell’organizzazione religiosa, anche prima che un tribunale abbia preso una decisione sullo scioglimento dell’organizzazione religiosa. «Dal momento che lo Stato possiede e affitta edifici ecclesiastici storici in tutta l’Ucraina», denuncia l’OHCHR, ciò potrebbe risultare nella negazione dell’accesso ai siti ecclesiastici da parte dell’amministrazione centrale. È dopo tutto il governo a concedere e stabilire le possibili deroghe alla legge, elargibili solo a singoli individui e per non precisati «motivi comprovati». Sebbene insomma sia vero, come sostenuto da Kiev, che la legge vieta le attività delle organizzazioni religiose subordinate a un’autorità statale nemica, è altrettanto vero quanto affermato dall’ONU, ossia che essa impone la chiusura delle attività di istituzioni religiose per la condotta di singoli individui, sulla base di criteri quali quello della sicurezza e di una non meglio definita propaganda non riconosciuti come validi dalle leggi internazionali.

[di Dario Lucisano]

Liguria, vittoria dei movimenti: la regione dice No al rigassificatore

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Il Consiglio regionale della Liguria ha votato all’unanimità contro il trasferimento della nave rigassificatrice Golar Tundra dal porto di Piombino alle acque di Vado Ligure, vicino Savona. Con una mozione bipartisan, maggioranza e opposizione hanno infatti trovato un’intesa, sancendo un netto “no” al progetto promosso da SNAM – che detiene la proprietà del rigassificatore – in cui si prevedeva l’installazione dell’impianto a circa quattro chilometri dalla costa entro il 2026. Il centro-destra, che fino a pochi mesi fa sosteneva appieno il progetto, ha fatto dunque marcia indietro. E mentre l’ex governatore Toti – dimessosi lo scorso luglio dalla sua carica dopo 80 giorni di arresti domiciliari nell’ambito dell’inchiesta sulla corruzione in Liguria – attacca la decisione del Consiglio, i comitati possono cantare vittoria, vedendo premiata una lunga e complicata battaglia.

La mozione, frutto della sintesi tra le proposte dei consiglieri Angelo Vaccarezza (Forza Italia) e Roberto Arboscello (Partito Democratico), impegna il presidente Marco Bucci e la sua giunta a tradurre in atti concreti la contrarietà al rigassificatore, esprimendo tali posizioni nelle sedi competenti al fine di bloccare l’iter progettuale. Questo risultato rappresenta una inedita convergenza politica, testimoniata dai 30 voti favorevoli degli altrettanti consiglieri presenti in aula. Unica assenza significativa è stata quella di Andrea Orlando, ex candidato presidente del centrosinistra, assente dall’aula per motivi personali.
Negli ultimi due anni si è sviluppata una vasta opposizione al progetto del rigassificatore in Liguria, che ha coinvolto sindaci, migliaia di cittadini e numerose associazioni ambientaliste, tra cui Greenpeace e WWF. Molteplici le ragioni alla base del “no”: da un lato, l’allarme sull’impatto ambientale e paesaggistico; dall’altro, il timore che l’infrastruttura possa compromettere l’economia turistica e marittima della zona. La presenza di un rigassificatore solleva interrogativi tra la popolazione anche sul fronte della sicurezza, per il possibile rischio incidenti. Parallelamente, molti attivisti sostengono che l’attenzione debba spostarsi verso l’adozione di fonti energetiche rinnovabili, anziché continuare a puntare su combustibili fossili come il gas naturale, che resta comunque un fattore aggravante per il cambiamento climatico.

Secondo Roberto Arboscello, vicepresidente del Consiglio regionale, il« vero vincitore di questa vicenda è il territorio unito che si è speso un anno e mezzo per una battaglia giusta». Sul fronte opposto, l’ex presidente della Regione Giovanni Toti ha accusato la maggioranza di aver cambiato posizione per opportunismo politico e paventando potenziali ripercussioni economiche negative. «Un miliardo e mezzo di euro in più. Tanto pagheranno le imprese italiane l’aumento del gas! Aspetto trepidante le proteste contro il caro bollette di chi manifesta contro rigassificatori, pale eoliche, dighe! Se protestare producesse calore, saremmo imbattibili!», ha scritto in un tweet. Il presidente Bucci ha però minimizzato, affermando che «se la Regione dice di no, il progetto non ha senso». La vittoria dei movimenti locali rappresenta un momento cruciale per la politica regionale, ma la partita non è ancora chiusa. L’ultima parola spetta al governo nazionale. Per ora, la Liguria ha lanciato un segnale chiaro: la tutela del territorio e l’unità dei cittadini possono prevalere sugli interessi economici di breve termine.

[di Stefano Baudino]

Incendio a Los Angeles, 30.000 evacuati

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Nella tarda mattinata di ieri, a Los Angeles, è scoppiato un vasto incendio che ha devastato le colline della città e costretto le autorità a evacuare circa 30.000 persone. L’incendio, divampato nel quartiere esclusivo di Pacific Palisades, situato a nord-ovest della città e sede di ville multimilionarie, si è rapidamente allargato, raddoppiando la propria estensione e finendo per coinvolgere un’area di 2.921 acri (circa 1.200 ettari). Il rogo ha causato lo scoppio di altri due incendi e, secondo quanto comunicato dai vigili del fuoco, ha ferito diverse persone, alcune con ustioni al viso e alle mani. Ancora ignote le cause dell’incendio.

L’Europa ha finalmente vietato il Bisfenolo A nei contenitori alimentari

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A partire dal 20 gennaio 2025, l'Unione Europea introdurrà un divieto totale sull'uso del Bisfenolo A (BPA) nei materiali e imballaggi a contatto con gli alimenti. Una decisione presa dalla Commissione Europea per proteggere la salute dei consumatori, in risposta ai rischi potenzialmente gravi che la sostanza chimica può comportare. Il BPA è un composto chimico ampiamente utilizzato nella produzione di plastica e resine, ed è stato per anni impiegato in oggetti di uso quotidiano, come lattine per alimenti e bevande, bottiglie di plastica riutilizzabili, e attrezzi da cucina. Inoltre, è present...

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Sudan, sanzioni USA alle forze di supporto rapide: “è genocidio”

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Gli USA hanno stabilito che i membri delle Forze di Supporto Rapido del Sudan (RSF) e le milizie alleate stanno commettendo un genocidio e hanno imposto sanzioni al leader del gruppo. La mossa degli USA arriva nel mezzo di un tentativo da parte delle RSF di affermarsi come alternativa al governo regolare, mentre il gruppo cerca di espandere il proprio territorio oltre la circa metà del Paese attualmente sotto il suo controllo. La guerra civile in Sudan è scoppiata il 15 aprile 2023. In questo ultimo anno e mezzo di conflitto sono state uccise decine di migliaia di persone e milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie case.

Zuckerberg ha annunciato la fine del fact-checking su Facebook e Instagram

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Nelle applicazioni gestite da Meta sono stati commessi troppi errori, i quali hanno portato a troppa censura e ad una limitazione eccessiva della libertà di parola. A dichiararlo è l’amministratore delegato Mark Zuckerberg, il quale ha dettagliato tutte le novità in arrivo in un comunicato pubblicato sul sito ufficiale dell’azienda. L’imprenditore ha affermato che, in risposta alla pressione sociale e soprattutto politica per moderare i contenuti negli ultimi anni allo scopo di combattere la disinformazione, tale approccio è andato oltre, «censurando troppi contenuti» e «rinchiudendo troppe persone nella prigione di Facebook». Per questi motivi, è stato annunciato che verrà terminato il programma di fact-checking associato a terze parti preferendo piuttosto un sistema di “Note della Community” simile a quello di X, verrà «consentita più libertà di parola» e verranno sviluppati «approcci personalizzati» per i contenuti politici, in modo che vengano promossi solo per le persone che desiderano vederne di più sul loro profilo. Il provvedimento segna una svolta sostanziale rispetto alle misure adottate nell’ultimo decennio ed in particolare rispetto alle controversie con Donald Trump, viste le recenti donazioni simboliche effettuate al tycoon e l’inserimento dell’imprenditore vicino alle sue posizioni Dana White nel Consiglio di Amministrazione di Meta.

«Torneremo alle nostre radici concentrandoci nel ridurre gli errori degli algoritmi, semplificare le nostre linee guida e ripristinare la libertà di espressione nelle nostre piattaforme»: si apre così il video del CEO di Meta Mark Zuckerberg, il quale ha dettagliato tutte le novità che saranno implementate. In primo luogo, «ci libereremo dei fact-checkers e li rimpiazzeremo con le Note della Community simili a X, partendo dagli Stati Uniti», ha spiegato, aggiungendo che dopo l’elezione di Trump nel 2016 i fact-checkers si sono dimostrati «troppo politicamente orientati, distruggendo più fiducia di quanta ne avessero creata». Nel frattempo, prosegue il comunicato, troppi contenuti sono finiti “in stato di verifica” e in shadowban – ovvero in uno stato di restrizione che causa distribuzione limitata agli utenti – nonostante si riferissero a discorsi e dibattiti politici legittimi e perciò, visto il successo di tale approccio su X, la strategia verrà cambiata. In secondo luogo, saranno semplificate le linee guida, le quali non subiranno più l’effetto di una serie di restrizioni che venivano applicate a temi come l’immigrazione e il “genere”. «Ciò che è iniziato come un movimento per essere più inclusivi è stato progressivamente usato per censurare opinioni e persone con idee differenti, e ciò è andato troppo oltre», ha commentato Zuckerberg. Inoltre, l’azienda si impegnerà per rimediare agli errori che hanno portato alla maggior parte di “censura illegittima”, sviluppando filtri che siano concentrati maggiormente sui contenuti illegali o che costituiscano “violazioni di elevata gravità”, permettendo al contempo che i contenuti più moderati vengano prima esaminati attentamente, prima di qualsiasi azione. Infine, verrà ristabilita la priorità ai “contenuti civici” e verrà sviluppato un approccio personalizzato per i contenuti politici. In particolare, sarà annullata la promozione di post riguardanti la politica consentendo agli utenti maggiore personalizzazione di ciò che verrà loro presentato e la creazione di community “sane e positive”.

I nuovi provvedimenti annunciati sembrano delineare una vera e propria svolta, che si è resa sempre più netta negli ultimi mesi tramite l’ammissione di pressioni della Casa Bianca per censurare i contenuti sul Covid e, in particolare, dopo i risultati delle elezioni statunitensi. Se infatti durante le elezioni del 2020 c’è stata un’intensa attività di moderazione e blocco dei contenuti da parte delle big tech – culminata con la sospensione a tempo indeterminato di Trump da Facebook – tali azioni sembrano tutt’altro che simili a quelle intraprese per nei mesi scorsi, che hanno portato persino alla donazione simbolica di un milione di dollari per sostenere la raccolta fondi inaugurale della presidenza del tycoon. Inoltre, Zuckerberg ha reso noto l’ingresso di tre nuovi membri nel Consiglio di Amministrazione, e tra questi figura l’imprenditore Dana White, di posizioni vicine a quelle di Trump.

[di Roberto Demaio]