venerdì 4 Luglio 2025
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Un fisico italiano avrebbe risolto il paradosso dei viaggi nel tempo

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I viaggi nel tempo sono stati a lungo liquidati come impossibili ma, secondo il lavoro di un fisico italiano, la classica argomentazione basata sui paradossi logici che tali viaggi comporterebbero potrebbe dover essere rivalutata, almeno in teoria. È quanto emerge dallo studio condotto da Lorenzo Gavassino, della Vanderbilt University, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Classical and Quantum Gravity. Secondo le tesi del ricercatore, fenomeni come il paradosso del nonno e altre contraddizioni temporali sarebbero impediti automaticamente dalle leggi della fisica quantistica, le quali renderebbero i viaggi nel tempo teoricamente possibili. Tuttavia, Gavassino ha precisato che alla base della sua proposta vi sono concetti ed idee fisiche coerenti con la relatività generale di Einstein ma che ad oggi rimangono solo ipotesi vista l’assenza di prove dirette a riguardo, anche se questo ed ulteriori studi sul tema potrebbero aiutare a svelare le peculiarità dei sistemi fisici complessi: «Anche se i viaggi nel tempo non dovessero mai diventare realtà, esplorarne le basi teoriche può aprire nuove porte nella comprensione dell’universo e del tempo stesso», ha concluso il ricercatore.

L’idea di viaggiare nel tempo affascina l’umanità da sempre, ma è stata spesso considerata impossibile proprio per i paradossi che potrebbe creare. Il paradosso del nonno è uno degli esempi più noti: se tornassi indietro e impedissi ai tuoi nonni di incontrarsi, come potresti esistere per tornare indietro? La teoria della relatività generale di Einstein, tuttavia, lascia uno spiraglio: esisterebbero curve chiuse nello spazio-tempo, chiamate CTC (curve chiuse simili al tempo), che potrebbero permettere di viaggiare nel passato. L’esistenza di queste curve e l’apporto delle leggi della quantistica e della termodinamica, secondo la teoria di Gavassino, potrebbero evitare tutti i problemi logici di paradossi simili.

Secondo lo studio, infatti, l’errore starebbe nel pensare che le leggi della termodinamica, inerenti a energia, calore ed entropia – ovvero la misura del disordine – funzionino sempre allo stesso modo, cosa che non accadrebbe per esempio quando lo spazio-tempo disegna una curva nei pressi di un buco nero, riuscendo a creare le condizioni potenziali per un loop temporale. In particolare, in un universo con curve chiuse simili al tempo, le leggi della fisica dovrebbero automaticamente creare coerenza, e ciò significherebbe che paradossi come quello del nonno non dovrebbero accadere perché la natura impedirebbe che accadano. L’entropia, che normalmente aumenta, su queste curve potrebbe diminuire, invertendo fenomeni come l’invecchiamento e persino cancellando i ricordi di un viaggiatore del tempo. Questo significherebbe che eventi considerati irreversibili, come la morte, potrebbero non essere permanenti su una CTC. «La maggior parte dei fisici e dei filosofi del passato ha sostenuto che se il viaggio nel tempo esiste, la natura troverà sempre un modo per prevenire situazioni contraddittorie. È stato introdotto un “principio di autoconsistenza”, suggerendo che tutto dovrebbe allinearsi per creare una storia logicamente coerente. Il mio lavoro fornisce la prima rigorosa derivazione di questo principio di autoconsistenza direttamente dalla fisica consolidata. In particolare, ho applicato il framework standard della meccanica quantistica, senza postulati aggiuntivi o ipotesi controverse, e ho dimostrato che l’autoconsistenza della storia deriva naturalmente dalle leggi quantistiche», ha aggiunto Gavassino.

Tuttavia, nonostante le scoperte offrano un quadro teorico potenzialmente avvincente per i viaggi nel tempo, rimane il dubbio sull’esistenza delle curve chiuse simili al tempo, visto che le teorie di moltissimi fisici – tra cui quelle Stephen Hawking – sono scettiche a riguardo. Infatti, le leggi della fisica potrebbero impedire ai loop temporali di formarsi, in quanto potrebbe comportare che lo spazio-tempo diventi singolare o si rompa appena prima che si possa stabilire un loop. In tutti i casi, Gavassino ha sottolineato che la ricerca sul tema potrebbe risultare preziosa per ampliare i confini della nostra comprensione e svelare i segreti di alcuni sistemi fisici complessi: «Ciò che trovo interessante di questo argomento è il modo in cui ci costringe a riflettere sul ruolo dell’entropia nella generazione della nostra esperienza dell’universo, che è probabilmente il mio argomento preferito in tutta la fisica», ha concluso il ricercatore.

[di Roberto Demaio]

Gaza, altri raid: “Morti in 62 in un giorno”

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Mentre la stampa internazionale informa che Tel Aviv e Hamas sembrerebbero essere vicini ad un accordo di cessate il fuoco, non si sono ancora fermati i bombardamenti israeliani nella Striscia: in sole 24 ore sono morte 62 persone – la maggior parte civili in zone residenziali – di cui 33 solo dall’alba di oggi. Lo riferiscono le agenzie di stampa locali e i reporter di Al Jazeera, i quali aggiungono che nelle ultime ore i raid hanno interrotto l’elettricità in un ospedale indonesiano nel nord di Gaza, colpito la scuola Al-Farabi e ucciso tre persone nel campo profughi Shati a Gaza.

La produzione industriale italiana è in calo per il ventiduesimo mese consecutivo

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L’ISTAT ha pubblicato gli ultimi dati disponibili sulla produzione italiana, mostrando come la crisi del settore non abbia fine – nonostante gli annunci propagandistici del governo. I dati di novembre 2024 sulla produzione industriale vedono un progresso mensile dello 0,3% e confermano il trend negativo su base annua, facendo proseguire un declino che va avanti dall’inizio di febbraio 2023. Nonostante la crescita di alcuni settori, il profondo rosso di altri, come la produzione automobilistica, fa si che la crisi del complesso industriale italiano non si arresti. Il comparto produttivo automotive si colloca nel contesto di una produzione industriale italiana complessiva ancora in flessione a novembre 2024 rispetto ai livelli dello stesso mese dell’anno precedente, mentre chiude i primi undici mesi del 2024 a -3,2% rispetto allo stesso periodo del 2023.

Analizzando i dati nel dettaglio, emergono dinamiche contrastanti tra i diversi settori industriali. Rispetto al mese precedente si osservano incrementi significativi per l’energia (+1,6%), i beni di consumo (+0,9%) e i beni intermedi (+0,3%). Al contrario, i beni strumentali registrano una flessione dello 0,6%, segnalando difficoltà in un comparto cruciale per gli investimenti e l’innovazione. Su base annua si conferma la crescita dell’energia (+4,3%) e dei beni di consumo (+2,6%), ma crollano i beni intermedi (-2,5%) così come i beni strumentali (-4,9%). Nello specifico dei settori industriali, la fornitura di energia elettrica, gas e vapore segna un incremento tendenziale del +7,6%, seguita dalla produzione di prodotti farmaceutici (+5,1%) e dalle industrie alimentari, bevande e tabacco (+4,5%). Tuttavia, questi settori da soli non bastano a bilanciare il quadro complessivo, in quanto tra i settori in maggiore difficoltà si registrano cali spaventosi. Le flessioni più marcate sono nella fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-15,5%), nella produzione di mezzi di trasporto (-13,8%) e nella fabbricazione di macchinari e attrezzature (-6,2%). Il settore che mette a segno i numeri peggiori è però quello delle auto, con una produzione in caduta libera del 37,5% su base mensile. Secondo i dati preliminari di ANFIA (Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica), la produzione domestica delle sole autovetture a novembre 2024 ammonta a circa 23 mila unità, in calo del 50,4% rispetto a novembre 2023. Nel cumulato degli undici mesi, invece, sono state prodotte oltre 295mila autovetture, in diminuzione del 42,3% rispetto al periodo gennaio-novembre 2023.

Una variabile esterna di peso sulla diminuzione della produzione industriale italiana, tanto nell’automotive quanto nel suo complesso, è la crisi economica tedesca, uno dei nostri maggior partner commerciali. Le grosse difficoltà che quest’ultima sta registrando, con dati negativi come non se ne vedevano dal 2020, anno di inizio dell’emergenza pandemica, si ripercuotono anche sulla nostra economia. Le motivazioni sono diverse e quasi tutte legate alla situazione di incertezza geopolitica soprattutto legata al conflitto russo-ucraino, tra sanzioni che hanno avuto un effetto boomerang e costo dell’energia in netto aumento, facendo schizzare in alto il costo di produzione e quindi anche dei prezzi, con una conseguente contrazione della domanda instaurando una spirale negativa.

Questi dati rappresentano più che un campanello d’allarme per il sistema economico italiano. La debolezza della produzione industriale potrebbe avere ripercussioni significative sull’occupazione e sulla crescita economica complessiva a lungo termine.

[di Michele Manfrin]

La NATO schiera navi e aerei nel mar Baltico per difendere i cavi sottomarini

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La NATO ha annunciato il lancio di una nuova missione per proteggere i cavi sottomarini nella regione del Mar Baltico, in risposta a una serie di incidenti che hanno alimentato preoccupazioni relative a possibili sabotaggi e attività di spionaggio da parte della Russia. A dare la notizia è stato lo stesso segretario generale dell’Alleanza Atlantica, Mark Rutte, che ha spiegato che la missione, denominata Baltic Sentry (Sentinella del Baltico), impiegherà fregate, aerei da pattugliamento marittimo e una flotta di droni navali per garantire «una sorveglianza e una deterrenza più efficaci». Nel presentare l’operazione, Rutte ha sottolineato che oltre il 95% del traffico internet globale è protetto tramite cavi sottomarini. A far scattare la missione è stata una serie di incidenti che hanno aumentato i timori sulla sicurezza, di cui la Russia risulta la prima sospettata dall’Alleanza Atlantica. Il 26 dicembre la polizia e le guardie di frontiera finlandesi sono salite a bordo di una nave, la Eagle S, collegata alla Russia, mentre indagavano sul danneggiamento di un cavo elettrico del Mar Baltico e di diversi cavi internet.

L’annuncio del lancio della missione Sentinella del Baltico  è arrivato ieri, martedì 14 gennaio, in occasione di una conferenza stampa tenutasi dopo un vertice della NATO a Helsinki, in Finlandia. Durante l’incontro, Mark Rutte ha annunciato «il lancio di una nuova attività militare da parte della NATO» con lo scopo di rafforzare la protezione delle infrastrutture critiche. L’operazione sarà guidata dall’Allied Joint Force Command Brunssum (JFCBS) per conto dell’ACO, il Comando alleato delle operazioni, responsabile della pianificazione e dell’esecuzione di tutte le operazioni della NATO. A partecipare alla missione sarà anche il Comando marittimo alleato (MARCOM), e il Centro marittimo della NATO per la sicurezza delle infrastrutture sottomarine critiche (NMCSCUI), un centro di networking e conoscenza con sede presso MARCOM, che «assisterà l’ACO e gli alleati della NATO nel prendere decisioni e nel coordinare le azioni relative alla protezione e alla risposta delle infrastrutture sottomarine critiche».

«Baltic Sentry rafforzerà la presenza militare della NATO nel Mar Baltico e migliorerà la capacità degli alleati di rispondere ad atti destabilizzanti», si legge nel comunicato stampa dell’Alleanza Atlantica. Sentinella del Baltico coinvolgerà diversi mezzi, tra cui aerei da pattugliamento marittimo e fregate; il Segretario generale ha inoltre annunciato lo spiegamento di nuove tecnologie, tra cui rientra una flotta di droni navali, e ha sottolineato che la NATO lavorerà con gli alleati e con le stesse industrie per integrare le risorse di sorveglianza nazionale, per «migliorare la capacità di proteggere le infrastrutture sottomarine critiche» e, «se necessario», per rispondere. Dalle parole di Rutte, sembrerebbe che la NATO voglia adottare un approccio molto più intransigente: «I capitani delle navi», ha dichiarato il Segretario generale, «devono comprendere che potenziali minacce alle nostre infrastrutture avranno conseguenze, tra cui possibili imbarchi, sequestri e arresti».

In seguito agli incontri, i Paesi dell’Alleanza coinvolti nella missione (Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Lettonia, Lituania, Polonia e Svezia) hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui denunciano le attività di sabotaggio nel Baltico e promuovono la loro repressione, anche mediante «partenariati rafforzati con il settore privato, in particolare con gli operatori delle infrastrutture e le società tecnologiche all’avanguardia». Nella dichiarazione, i Paesi annunciano che stanno lavorando alla firma di un memorandum e che si muoveranno per rafforzare la catena di approvvigionamento delle risorse e per potenziare le misure di sicurezza fisica e informatica. Il comunicato si concentra anche sulla cosiddetta flotta fantasma russa, l’insieme di navi accusate di essere utilizzate dalla Russia per aggirare le sanzioni sul commercio di idrocarburi, «che rappresenta una minaccia particolare per la sicurezza marittima e ambientale nella regione del Mar Baltico e nel mondo».

La scelta di avviare una missione di «protezione delle infrastrutture critiche» nel Baltico arriva in risposta al danneggiamento di quattro cavi sottomarini che collegano l’Estonia e la Finlandia, avvenuto lo scorso 25 dicembre. In seguito all’incidente, la polizia finlandese ha accusato la Eagle S, una petroliera accusata di far parte della flotta fantasma russa, di aver condotto un atto di sabotaggio deliberato, sequestrando la nave il giorno dopo l’incidente. Secondo le indagini finlandesi, la petroliera russa avrebbe trascinato la propria ancora sul fondale per danneggiare i cavi; oggi, due cavi sono stati riparati, mentre il collegamento elettrico Estlink 2 risulta ancora danneggiato. Un analogo incidente era avvenuto a metà novembre, e le indagini avevano coinvolto una nave cinese.

[di Dario Lucisano]

Sudafrica, 78 minatori morti dopo un assedio della polizia

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Sta salendo rapidamente il numero di minatori rimasti intrappolati nel sottosuolo per mesi a causa di un assedio della polizia. I soccorritori sudafricani hanno finora recuperato 78 corpi e salvato 166 persone, ma altre centinaia di uomini sono ancora bloccati a 2 km nel sottosuolo. Gli uomini risultano bloccati da novembre, quando la polizia aveva tagliato le corde utilizzate dai minatori per accedere alla miniera, e bloccato le forniture di cibo e acqua, perché lavoravano senza licenza. A dicembre, dopo numerose critiche, una sentenza di tribunale ha autorizzato i volontari a inviare aiuti essenziali per i minatori illegali e da tre giorni sono iniziate le operazioni di salvataggio.

Gli incendi in California e il classismo dei media dominanti

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Los Angeles brucia da una settimana, e i grandi media italiani stanno iniziando, molto timidamente, a notare che a venire investite dalle fiamme non sono solo le case delle grandi star di Hollywood, ma anche – e soprattutto – quelle della cosiddetta “gente comune”. Buona parte di Altadena è stata inghiottita dall’Eaton Fire, e i soccorsi sarebbero arrivati ben più tardi che nei quartieri esclusivi della città del cinema. In tutta la contea, molte delle case colpite non sono coperte da clausole anti-incendio; in generale, gli incendi hanno devastato un’area grande quanto San Francisco, uccidendo 24 persone, causando 150.000 sfollati e provocando 150 miliardi di dollari di danni, di cui al massimo un 40% risulterebbe coperto da assicurazioni. Lo stesso popolo statunitense sta iniziando a sottolineare l’ipocrisia dietro questo doppio standard: il pompiere privato assunto dalla star del cinema è un operatore in meno dove c’è davvero bisogno; una delle diverse ville dell’imprenditore losangelino non è comparabile all’unica casa con il mutuo in sospeso dell’ordinario cittadino.

L’incendio di Los Angeles è scoppiato nella mattina di martedì 7 gennaio, attorno alle 10:30 (ora locale). Secondo il Los Angeles Times, tutto sarebbe partito dalla località di Skull Rock, a nord di Sunset Boulevard, a Pacific Palisades, quartiere esclusivo di Los Angeles situato a nord-ovest della città e sede di ville multimilionarie, da cui prende nome uno dei roghi (il Palisades Fire). Da lì, le fiamme si sono estese in tutta Los Angeles e nella vicina Contea di Ventura, causando sei diversi incendi, di cui tre ancora attivi. L’incendio di Palisades, il più esteso dei vari, è contenuto al 14%, ha bruciato più di 23.700 acri (circa 9.500 ettari) e oltre 5.300 strutture all’interno e intorno a Pacific Palisades, e ha ucciso almeno otto persone. Le fiamme dell’incendio di Eaton, sul lato est della città, vicino a Pasadena, risultano contenute al 33%. Il rogo ha ucciso almeno 16 persone, bruciato 14.117 acri (5.710 ettari) e distrutto oltre 7.000 strutture. L’Hurst Fire, a nord, infine, è praticamente estinto e ha bruciato 799 acri (320 ettari). Le stime dei danni continuano a crescere: Accuweather parla di una cifra che varia dai 135 ai 150 miliardi di dollari. Quando la cifra ammontava a 50 miliardi, JP Morgan aveva stimato che circa 20 miliardi sarebbero stati coperti dalle assicurazioni, ma per ora sembra assente un’analoga stima sulla nuova cifra ipotizzata da Accuweather.

Sin dall’inizio degli incendi, i media di tutto il mondo hanno riportato la notizia concentrandosi sulle case dei grandi attori e imprenditori hollywoodiani colpite dalle fiamme, spendendo, di contro, ben poche parole per quelle centinaia di migliaia di cittadini che, con la casa, hanno perso tutto. Dopo tutto, è dal 2020 che, proprio a causa degli incendi, il settore assicurativo della Contea vive una crisi senza precedenti. I frequenti incidenti hanno fatto lievitare i prezzi delle polizze anti-incendio, e in tanti sono stati costretti a rinunciarvi. Nella maggior parte dei casi, però, a tagliare i premi sono state direttamente le assicurazioni, come nel caso del gruppo State Farm, che l’anno scorso ha annunciato il taglio di 72.000 polizze. In totale, tra il 2020 e il 2022, nella sola Contea di Los Angeles, riporta CNN citando il Dipartimento delle assicurazioni della California, non sono state rinnovate 531.000 assicurazioni sulla casa.

Questo è uno dei motivi per cui sul web sta iniziando a emergere un sentimento di generale fastidio – e in taluni casi odio – nei confronti delle persone più privilegiate. Questa sorta di “effetto Mangione”, seppur moderato, è direzionato verso tutte quelle celebrità e personalità abbienti che il pubblico ritiene in una certa misura responsabili degli incendi. Un articolo del Daily Mail riporta la rabbia degli utenti dei social nei confronti di coloro che – prima degli incendi – hanno violato le regole sul consumo dell’acqua per irrigare i propri giardini. Altri puntano il dito contro la famiglia Resnick, magnati dell’agricoltura proprietari dell’azienda Wonderful Pistachios, che secondo lo stesso Daily Mail «consuma più acqua di intere città, anche se i vigili del fuoco di Los Angeles non riescono a estrapolarne una goccia dagli idranti che costeggiano le strade». Contro di loro è stato lanciato un movimento di boicottaggio, mentre l’azienda ha smentito le accuse.

I Resnick sono criticati anche per i loro presunti rapporti con la politica, e specialmente con i democratici, accusati anch’essi di essere responsabili degli incendi a causa delle politiche di gestione dell’acqua e dei tagli ai dipartimenti di vigili del fuoco. Il moto di odio sta prendendo di mira anche coloro che si possono permettere pompieri privati: tutto è iniziato con un post sul social X pubblicato (e poi cancellato) da Keith Wasserman, in cui l’imprenditore scriveva che avrebbe pagato «qualsiasi somma di denaro» per assumere squadre private di vigili del fuoco che dedicassero i loro sforzi a domare le fiamme del proprio quartiere. Questa ondata di critiche si è acuita ancora di più con la notizia che i prezzi di listino per il servizio erogato dai pompieri privati sarebbero aumentati, e con l’annuncio che lo Stato della California avrebbe dispiegato prigionieri per rinforzare il contenimento delle fiamme, pagandoli un dollaro all’ora.

Con il passare dei giorni, la rabbia si sta sempre più generalizzando, stanno sorgendo battute sul fatto che stiano bruciando ville con piscina, e stanno spuntando meme su Hollywood in fiamme. Questa rabbia amara è spinta tra le altre cose anche da denunce da parte dei cittadini di Altadena, località a nord di Pasadena tra le più colpite dagli incendi, che hanno denunciato un’iniqua distribuzione dei vigili del fuoco, che si concentrerebbe proprio nelle aree più ricche della Contea. Il presunto doppio standard statunitense sta venendo rimarcato anche con espliciti riferimenti a Gaza, mettendo in parallelo la copertura mediatica degli eventi: l’ultima settimana di distruzione che ha vissuto Los Angeles è quello che la Palestina subisce da quindici mesi, ma a quanto pare, lamentano gli utenti, se non si tratta di VIP non interessa a nessuno.

[di Dario Lucisano]

Lo Stato vuole che i No TAV paghino le spese per la repressione della Val di Susa

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Quasi 7 milioni di euro. È questa l’impressionante cifra che la Presidenza del Consiglio, insieme ai Ministeri dell’Interno e della Difesa, ha richiesto come risarcimento ai 28 imputati nel maxiprocesso contro i membri del centro sociale torinese Askatasuna e il movimento No TAV. Secondo l’Avvocatura dello Stato, i 28 dovrebbero sobbarcarsi con 250.000 euro a testa il conto complessivo delle spese sostenute dalle istituzioni per fronteggiare le manifestazioni che, tra il 2020 e il 2021, hanno infiammato la Valle di Susa e, in alcune occasioni, anche la città di Torino. A dicembre, i pm avevano chiesto per gli imputati un totale di 88 anni di carcere. Tra le accuse, per molti di loro, anche quella di associazione a delinquere.

Nella memoria consegnata ieri dai legali dell’Avvocatura distrettuale al processo che sta ricostruendo le presunte responsabilità degli attivisti per alcuni scontri con le forze dell’ordine avvenuti in Piemonte si elencano costi dettagliati: 4,1 milioni solo per il ripristino dell’ordine pubblico, con 205.988 agenti schierati nel 2020 e 266.451 l’anno successivo; a questi si aggiungono 135 mila euro per straordinari, 86 mila per l’assistenza agli agenti feriti, 40 mila per i veicoli di servizio danneggiati e 3 milioni per danni non patrimoniali, come l’eco mediatica negativa e la lesione al prestigio delle istituzioni. Accanto alle richieste dello Stato, vi è poi quella di TELT, la società incaricata della costruzione del Tav Torino-Lione, che attraverso il proprio legale ha chiesto un risarcimento di 1 milione di euro per i danni subiti dai cantieri, spesso oggetto di sabotaggi e incursioni. Dal canto suo, la Procura di Torino punta il dito contro un presunto «comitato ristretto» all’interno di Askatasuna, accusato di orchestrare e dirigere le azioni violente sotto il vessillo del movimento No TAV. L’impostazione accusatoria dipinge un quadro in cui la violenza è sistematica e organizzata per destabilizzare l’ordine pubblico e acquisire consenso politico. La difesa, però, non ci sta. L’avvocato Claudio Novaro ha criticato duramente l’impianto della Procura, definendolo un «teorema accusatorio che vuole negare la politicità dell’agire degli imputati, relegando la storia dei movimenti a espressioni deliquenziali, complotti criminali e nient’altro». Un altro elemento critico è il cosiddetto “danno non patrimoniale”, che include aspetti difficilmente quantificabili, come l’impatto mediatico delle proteste e il presunto danno alla credibilità delle istituzioni. Per molti osservatori, questa parte della richiesta rischia di trasformarsi in un monito generalizzato contro chi osa protestare, legittimando un principio per cui chi manifesta deve pagare non solo per eventuali danni materiali, ma anche per i costi delle operazioni di polizia.

Lo scorso dicembre, durante la requisitoria del processo, la Procura di Torino ha chiesto condanne a ottantotto anni di carcere complessivi per 28 persone, con pene da 1 a 7 anni. Tra gli imputati, 16 si trovano ad affrontare l’accusa più grave, ovvero quella di associazione a delinquere: due in quanto ideatori della presunta associazione, sei in quanto promotori e altri 8 come partecipanti Molti dei militanti di Askatasuna coinvolti sono infatti anche membri del Movimento No TAV, realtà di resistenza tra le più tenaci e organizzate in Italia, che da decenni lotta contro la devastazione del territorio della Val di Susa dovuto alla costruzione della grande opera. Le accuse si basano su intercettazioni raccolte tra il 2019 e il 2021, utilizzate, secondo gli attivisti, in maniera «completamente decontestualizzata». Inizialmente, la Procura aveva ipotizzato il reato di associazione a delinquere con finalità eversive, uno dei più gravi del nostro ordinamento. In base a ciò, venne richiesto lo sgombero del centro sociale Askatasuna e di vari altri edifici occupati a Torino, nonchè di tutti i presidi No TAV in Val di Susa. L’accusa iniziale è stata tuttavia rigettata dal giudice dell’udienza preliminare e successivamente riformulata in associazione a delinquere.

[di Stefano Baudino]

Corea del Sud, il presidente Yoon è stato arrestato

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Il presidente sudcoreano Yoon Suk Yeol è stato arrestato dalle autorità, diventando così il primo presidente in carica nella storia del Paese a essere arrestato. L’arresto arriva dopo il tentativo di imporre la legge marziale lo scorso 3 dicembre, per il quale il presidente è sotto impeachment, procedimento attualmente in analisi presso la Corte Costituzionale. Il mandato di arresto è stato emesso sulla base delle accuse di insurrezione, tradimento e abuso di potere, e ha seguito la mancata risposta di Yoon alle convocazioni per gli interrogatori. Dopo un fallito tentativo di arresto, il presidente è stato fermato nelle prime ore di oggi.

In Perù sono state scoperte 27 nuove specie animali

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Ventisette specie animali precedentemente sconosciute sono state scoperte in una foresta tropicale in Perù. A stupire, più che i ritrovamenti, è il fatto che essi siano avvenuti in una zona remota ma, allo stesso tempo, popolata: si tratta dell'Alto Mayo, regione nota per la sua biodiversità. Essa è coperta da una foresta pluviale tropicale, che fornisce rifugio a molti animali in via di estinzione. A condurre lo studio è stata una squadra di ricercatori dell'organizzazione ambientalista Conservation International. Il team è partito due anni fa e ha trascorso sei settimane documentando la pres...

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Il Mali ha iniziato a sequestrare l’oro alle multinazionali straniere

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L’azienda di estrazione mineraria Barrick Gold, la seconda più importante al mondo, ha dovuto interrompere le operazioni di estrazione dell’oro dal complesso minerario di Loulo-Gounkoto, in Mali, dopo che il governo ha sequestrato provvisoriamente le scorte estratte dal sito e le ha messe sotto custodia in una banca locale. La decisione è giunta in quanto il governo ritiene che l’azienda non stia rispettando i termini di un contratto che prevede una redistribuzione più equa delle ricchezze estratte dalla cava per tutte le parti in gioco.

La disputa tra Mali e Barrick ha inizio vari mesi fa. Nell’autunno scorso, il ministero delle Miniere e il ministero delle Finanze del Mali avevano accusato l’azienda di non rispettare i termini di un accordo siglato con il governo, finalizzato a raggiungere una più equa redistribuzione delle ricchezze derivanti dallo sfruttamento delle risorse minerarie del Paese. Tra i termini previsti, vi era un aumento della quota statale dei benefici economici generati dal complesso minerario di Loulo-Gounkoto. Il nuovo codice minerario approvato dalla giunta golpista di Assimi Goïta, in carica dal 2021, ha infatti aumentato la quota massima per gli investitori statali e locali sulle miniere dal 20% al 35%. Barrick ha dichiarato di aver effettuato verso il goveno un pagamento di 50 miliardi di CFA (85 milioni di dollari) all’inizio di ottobre, il quale non ha evidentemente soddisfatto il governo maliano. Secondo quanto sarebbe stato riferito a Reuters dai dipendenti di Barrick impiegati nella miniera, infatti, il valore complessivo dello stock di Loulo-Gounkoto, pari a 4 tonnellate metriche, è di circa 380 milioni di dollari. E se da un lato le riserve di Loulo-Gounkoto rappresentano circa un settimo della produzione d’oro stimata da Barrick per il 2025, queste costituiscono l’80% delle esportazioni del Mali nel 2023.

Nel settembre dello scorso anno, inoltre, le autorità maliane avevano arrestato e detenuto quattro dipendenti dell’azienda, mentre l’11 gennaio scorso, secondo quanto riferito dai dipendenti a Reuters, il governo ha iniziato ad applicare l’ordine provvisorio di sequestro delle scorte d’oro presenti nel sito. In una comunicazione di oggi (14 gennaio), Barrick ha infine annunciato la sospensione temporanea delle operazioni nel sito. Il governo, riferisce l’azienda, ha spostato le scorte di oro dalla miniera a una banca di custodia, impedendo fisicamente la spedizione e la vendita del materiale. «Barrick rimane impegnata in un rapporto costruttivo con il goveno maliano e con tutte le parti interessate per trovare una soluzione amichevole che garantisca la sostenibilità a lungo termine del complesso minerario di Loulo-Gounkoto e il suo contributo vitale all’economia e alle comunità del Mali» si legge nella nota odierna dell’azienda.

Quella con Barrick Gold non è l’unica controversia di questo genere tra il governo del Mali e le compagnie minerarie che operano nel settore. Nel novembre dello scorso anno, l’australiana Resolute Mining ha dovuto pagare 160 milioni di dollari al governo maliano per porre fine a una disputa fiscale. Pochi giorni prima, Bamako aveva arrestato tre dipendenti dell’azienda con l’accusa di falsificazione e danneggiamento di proprietà pubblica e con l’obiettivo di spingere Resolute Mining a pagare la cifra richiesta.

La progressiva riappropriazione delle risorse minerarie da parte del Mali, tramite politiche di nazionalizzazione, è solo una delle mosse proposte dall’amministrazione di Goïta da quando è salito al potere con il golpe del 2021. Burkina Faso e Niger, due Stati della fascia del Sahel, hanno prontamente seguito le orme del Mali e, nel novembre 2023, i tre Paesi hanno costituito l’Alleanza del Sahel (AES), della quale Goïta è presidente. L’obiettivo dichiarato dell’AES è «rivendicare la nostra sovranità nazionale» e costituire «un’alternativa a qualsiasi gruppo regionale artificiale, costruendo una comunità libera dal controllo di potenze straniere». Anche il Niger, d’altro canto, ha manifestato l’intenzione di nazionalizzare le proprie riserve di oro, petrolio e uranio, mentre il Burkina Faso ha fatto lo stesso con le proprie scorte di oro. I tre Paesi dell’AES, inoltre, stanno progettando la creazione di una nuova moneta comune regionale anticoloniale, che sostituisca il franco CFA muovendo un passo decisivo verso il recupero della sovranità nazionale e la decolonizzazione.

[di Valeria Casolaro]