sabato 25 Ottobre 2025
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Il Parlamento iraniano approva il partenariato strategico con la Russia

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Il Parlamento iraniano ha ratificato un accordo di partenariato strategico della durata di vent’anni con la Russia, segnando un ulteriore rafforzamento dei legami tra i due Paesi. Lìo hanno riferito i media statali iraniani. L’intesa, firmata il 17 gennaio dai presidenti Vladimir Putin e Masoud Pezeshkian, punta a consolidare la cooperazione bilaterale, con un focus particolare sulla collaborazione in ambito militare e tecnico-difensivo. Il Parlamento russo aveva già approvato il testo dell’accordo lo scorso aprile. Sebbene il patto non preveda una clausola di difesa reciproca, stabilisce che Mosca e Teheran lavoreranno insieme per affrontare minacce militari comuni, rafforzeranno la cooperazione tecnico-militare e parteciperanno a esercitazioni congiunte.

L’UE approva “Safe”: fino a 150 miliardi in prestiti per il riarmo

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Gli ambasciatori dell’Unione Europea hanno dato il via libera al fondo SAFE da 150 miliardi, uno dei due punti fondamentali del piano di riarmo avanzato da Ursula von der Leyen. L’approvazione del Comitato dei rappresentanti permanenti, noto come Coreper, è arrivata ieri, e apre la strada all’approvazione definitiva da parte del Consiglio dell’Unione Europea, che è composto dai ministri degli Stati membri competenti per materia. Il fondo SAFE prevede la raccolta di una somma fino a 150 miliardi di euro sui mercati, che sarebbero erogati sotto forma di prestiti diretti agli Stati che ne farebbero richiesta e contempla l’avvio di procedure d’appalto comuni e semplificate.

L’obiettivo principale del SAFE è sostenere appalti congiunti tra gli Stati membri, incentivando la cooperazione industriale nel settore della difesa. I prestiti saranno erogati agli Stati che ne faranno richiesta sulla base di piani nazionali. L’ok definitivo al regolamento è atteso per il 27 maggio, quando i ministri dei Ventisette dovrebbero adottare formalmente il testo. Una volta pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’UE, il provvedimento entrerà immediatamente in vigore. Il piano SAFE si articola in due categorie principali di spese ammissibili: la prima riguarda munizioni, missili, sistemi di artiglieria e capacità di combattimento terrestre, inclusi droni e sistemi anti-drone; la seconda comprende difesa aerea e missilistica, capacità navali, trasporto aereo strategico, sistemi spaziali e tecnologie basate sull’intelligenza artificiale.

Uno dei punti più delicati della trattativa ha riguardato i criteri di ammissibilità dei progetti, in particolare la questione del cosiddetto Buy European. Il compromesso raggiunto prevede che almeno il 65% del valore di ogni progetto finanziato debba provenire da aziende del settore della difesa situate nell’UE, in Ucraina o in un Paese dello Spazio economico europeo o dell’Associazione europea di libero scambio. La quota di componenti provenienti da Paesi terzi non potrà superare il 35%, a meno che non si tratti di subappalti inferiori al 15% del valore complessivo. In questo quadro, l’Unione ha aperto anche alla partecipazione di Paesi terzi selezionati, tra cui l’Ucraina e il Regno Unito. Un accordo bilaterale siglato con Londra consente ora alle imprese britanniche di accedere agli appalti di difesa europea, segnando un “reset” nelle relazioni tra Bruxelles e Downing Street, come lo ha definito il premier britannico Keir Starmer.

L’accordo sul fondo SAFE è stato trovato nella cornice dei lavori sul piano ReArm, che lo scorso marzo ha ottenuto il via libera del Consiglio Europeo e il sostegno della maggioranza dell’Europarlamento. Oltre all’istituzione del fondo da 150 miliardi di euro destinato a fornire prestiti agli Stati UE per finanziare progetti nel settore della difesa, esso prevede che i Paesi membri possano incrementare in modo significativo la spesa militare senza essere soggetti ai vincoli imposti dal Patto di stabilità e crescita, consentendo di generare fino a 650 miliardi di euro di investimenti nei prossimi quattro anni. Inoltre, il piano apre alla possibilità di utilizzare il bilancio dell’Unione Europea per stimolare investimenti militari, puntando altresì a coinvolgere il settore privato nella produzione e nello sviluppo di tecnologie per la difesa. Nelle settimane successive, otto sigle pacifiste hanno lanciato l’appello “Stop ReArm Europe”, denunciando che il piano di riarmo europeo «andrà solo a beneficio dei produttori di armi in Europa, negli Stati Uniti e altrove».

Bolivia: Morales escluso dalle prossime presidenziali

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Il periodo di registrazione per i candidati alle elezioni presidenziali della Bolivia, previste per agosto, è ufficialmente scaduto, segnando la fine del tentativo dell’ex presidente Evo Morales di correre per un quarto mandato. L’ufficiale esclusione di Morales dalle elezioni arriva dopo una decisione della Corte Costituzionale, che la scorsa settimana aveva ribadito il limite di due mandati presidenziali consecutivi, escludendo di fatto l’ex presidente dalla corsa. Morales, che ha guidato il Paese dal 2006 al 2019 come primo presidente indigeno della Bolivia, ha contestato l’esclusione. I suoi sostenitori hanno organizzato proteste e blocchi stradali in diverse aree del Paese.

Poco, male e senza darle voce: come i media italiani parlano dell’Africa

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Appena 590 articoli pubblicati in un anno sui principali quotidiani italiani, in oltre due casi su tre solo quando si trattava di notizie che servivano a parlare di questioni italiane, come gli arrivi dei migranti o il piano Mattei. Nel resto casi, quelli in cui si parla di Africa per dare effettivamente notizie relative a fatti che accadono nel continente, ci sono due regole: gli articoli riguardano sempre guerre o terrorismo e a parlare non ci sono mai analisti o protagonisti africani. La media peggiora ulteriormente quando si passa alla TV: nei talk show e nei programmi di approfondimento televisivo si fornisce in media una notizia proveniente dall’Africa ogni 70 ore di trasmissione. Questa la fotografia dell’informazione in Italia sul continente africano scattata dal rapporto Africa mediata promosso da Amref Italia e a cura dell’Osservatorio di Pavia.

Per quanto riguarda la carta stampata sono stati presi a campione sei fra i principali quotidiani: Il Giornale, Avvenire, Corriere della Sera, Il Fatto Quotidiano, La Repubblica e La Stampa. Sono stati considerati tutti gli articoli sull’Africa e sui diversi Paesi africani, classificati come Africa “là”, e quelli che fanno riferimento alla migrazione africana, a eventi in cui sono coinvolte persone africane o afrodiscendenti, classificati come Africa “qui”. In linea generale nel dossier si vede una diminuzione drastica dell’attenzione mediatica verso il continente africano, con il passaggio da 1.171 notizie pubblicate nel 2023 alle 590 del 2024, con un calo del 50%. Andando nel particolare il report mostra come sui giornali analizzati la maggioranza delle notizie, il 77%, riguardano l’Africa in relazione al contesto italiano, concentrandosi prevalentemente sul tema migratorio. Il 23 % delle notizie sono invece riferite al contesto africano, con il focus principale sui conflitti e il terrorismo. Sulle prime pagine dei giornali complessivamente il primo tema connesso all’Africa è quello delle migrazioni, un articolo su due affronta questo tema.

Passando alla rappresentazione del continente africano sui media televisivi sono stati presi in esame i notiziari di prima serata di sette reti: Rai 1, 2 e 3, Mediaset e La7, insieme a due canali di all-news SkyTg24 e Rainews. Il report mostra come la situazione non differisca dalla carta stampata, mostrando la progressiva riduzione delle notizie in contesto africano e un aumento di quelle riguardanti l’Africa “qui” che coprono il 73,4% dell’agenda sull’Africa. I temi maggiormente trattati anche in questo caso vedono le migrazioni al primo posto, con il 34,3% delle notizie. Subito dietro al tema migratorio, con il 29,2 %, troviamo la cronaca: notizie di reati o atti criminali con protagoniste persone africane. A seguire con il 26,6% si trovano i temi politici come il Piano Mattei, la questione della cittadinanza e i vertici tra la Premier Meloni e i Capi di Stato africani. Quindi in tutti e tre i casi le tematiche africane “qui” vengono presentate o in tono emergenziale, migrazioni e cronaca, o in tono paternalistico con il Piano Mattei: «aiutiamoli a casa loro».  Per quanto riguarda invece le notizie dell’Africa “là” la tematica maggiormente toccata è quella di guerre e terrorismo, che occupa il 37% della copertura mediatica, ma che raggiunge il 66% nelle emittenti all-news. Nei programmi televisivi di informazione e infotainment, su 61.320 ore di programmazione analizzate, i riferimenti all’Africa sono solo 869, quindi in media una notizia ogni 70 ore di programmazione. Anche in questo caso come nelle due analisi precedenti i temi dell’Africa “qui” sono maggioritari occupando l’81% dello spazio concesso al continente. 

Una novità di questa sesta edizione di Africa Mediata è la rilevazione della presenza di voci africane nei programmi televisivi. Infatti siamo abituati a farci spiegare da esperti italiani ed europei come le cose funzionano in un continente a cui non apparteniamo, non dando mai, o molto poco, la possibilità di parlare ai diretti interessati. Una dinamica che si inserisce nel solito filone paternalistico se non smaccatamente coloniale per il quale: se bisogna parlare di cose serie non possono farlo i “selvaggi” ma noi uomini “civilizzati”. Il report mette in mostra come su 587 puntate analizzate di 16 programmi ci siano state 5.098 apparizioni di ospiti di varia nazionalità, ma solo l’1,2% riconducibili a persone africane o afrodiscendenti. I temi maggiormente trattati con ospiti africani accentuano lo scontro e la diversità che si muove sempre sulla falsa riga di “selvaggi” e “civilizzati” e quindi con il 32,2% si attesta al primo posto il tema della condizione femminile nell’Islam, seguito da infibulazione, criminalità e immigrazione. 

Di Africa, insomma, sui media si parla molto poco e molto male, agganciandosi sempre a stereotipi come quello di un continente che viene raccontato solo come vittima (del terrorismo, della fame, delle guerre) e mai come protagonista. Eppure stiamo parlando di un continente che ha un interscambio commerciale con l’Italia da 56,6 miliardi, con la bilancia commerciale che vede 38 miliardi di importazioni da paesi africani e 19,6 miliardi di esportazioni. E si tratta di un continente da cui si stanno muovendo moltissime cose a livello politico, tra nazionalizzazioni, lotta ai resti del colonialismo, e protagonismo a livello internazionale come nel caso del Sudafrica che, praticamente da solo, è riuscito a portare Israele davanti alla Corte di giustizia internazionale con l’accusa di genocidio. Questioni delle quali su L’Indipendente continueremo a parlare.

Israele circonda gli ultimi ospedali di Gaza e spara contro i diplomatici europei

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Sullo sfondo della nuova operazione militare Carri di Gedeone, il Governatorato di Nord Gaza sta venendo preso di mira con sempre maggiore intensità. Da giorni, infatti, gli ultimi due ospedali operativi nel nord risultano circondati dalle forze israeliane: si tratta dell’ospedale indonesiano di Beit Lahiya e dell’ospedale di Al Awda di Jabaliya, ormai incapaci di ospitare nuovi pazienti a causa dei continui attacchi. Un terzo centro, l’ospedale Kamal Adwan, sempre situato a Beit Lahiya, è stato costretto a chiudere a causa della presenza di truppe israeliane e droni militari nelle immediate vicinanze. Nel frattempo, a Jenin, in Cisgiordania, le forze israeliane hanno aperto il fuoco contro una delegazione di diplomatici di Paesi arabi ed europei durante una visita promossa dall’autorità palestinese al campo profughi. Non sono stati registrati feriti, ma l’incidente è stato condannato da parte di numerosi Paesi.

La situazione degli ospedali nella Striscia di Gaza si aggrava ogni giorno di più. L’assedio all’ospedale indonesiano è stato lanciato nella sera di domenica 18 maggio, mentre dentro la struttura si trovavano ancora 55 persone. Oltre all’incursione terrestre, l’esercito israeliano ha preso di mira l’ospedale con colpi di artiglieria. Durante l’assedio, il cancello e il cortile dell’ospedale sono stati distrutti, e l’elettricità è stata interrotta; parte dei pazienti dell’ospedale, poco meno di 50, sono stati trasferiti presso l’ospedale di Kamal Adwan. Lo stesso giorno, le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno accerchiato e colpito l’ospedale di Al Awda con colpi di artiglieria e di quadricotteri. Da quanto riporta il ministero della Sanità, nella sola notte tra domenica e lunedì sono stati lanciati almeno 10 attacchi aerei nei pressi della struttura, in seguito a cui ampie aree dell’ospedale sono state distrutte.

Martedì, mentre continuavano gli assedi e le operazioni di demolizione in entrambi gli ospedali, le IDF hanno guardato anche all’ospedale di Kamal Adwan, colpendolo con droni, colpi di artiglieria e fucilate. Accerchiati dalle truppe israeliane, i 18 medici all’interno della struttura sono stati costretti a evacuare a bordo delle ambulanze, che sono state bersagliate dal fuoco israeliano. I pazienti arrivati pochi giorni prima dall’ospedale indonesiano sono così stati trasferiti nuovamente, questa volta verso l’ospedale di Al Awda. Ieri, mentre l’aviazione continuava a prendere di mira generatori elettrici e serbatoi di carburante, è arrivato l’annuncio ufficiale della dismissione degli ospedali di Kamal Adwan e indonesiano – che risulta ancora sotto assedio. Nel frattempo, è continuato anche l’assedio dell’ospedale di Al Awda, che si è fatto man mano sempre più stringente: ieri i colpi di artiglieria hanno raggiunto il terzo piano della struttura, mentre oggi i veicoli pesanti hanno preso di mira il cortile, il reparto di chirurgia e il magazzino con dentro i medicinali.

Con gli attacchi e gli assedi ai maggiori ospedali del nord, sembra che in questo momento il Governatorato di Nord Gaza sia sprovvisto di strutture sanitarie aperte a ospitare nuovi pazienti; incerta, invece, la situazione degli ospedali da campo. In generale, il Governatorato di Nord Gaza, e nello specifico Beit Lahiya, è una delle aree più prese di mira dalla nuova operazione Carri di Gedeone, annunciata lo scorso venerdì e lanciata domenica. L’altro Governatorato su cui si sta concentrando l’operazione è quello di Khan Younis, a sud, dove gli ospedali stanno subendo analoghi attacchi. Gli assedi alle strutture di Nord Gaza, infatti, si sono svolti in parallelo agli intensi attacchi sull’ospedale da campo kuwaitiano e l’ospedale europeo di Khan Younis, a oggi fuori servizio.

Mentre nella Striscia gli attacchi continuano a intensificarsi, le aggressioni si aggravano anche in Cisgiordania. Oggi l’assedio alla città di Jenin è entrato nel 122esimo giorno consecutivo. In tutto il campo, proseguono le operazioni militari, gli arresti, le evacuazioni, i disboscamenti e le demolizioni: in totale, almeno 600 case sono state completamente demolite e la maggior parte delle altre ha subito danni parziali. Israele ha scavato e costruito circa 15 strade all’interno del campo, la cui superficie è inferiore a mezzo chilometro quadrato, e ha completamente distrutto le infrastrutture del campo, oltre ad aver spazzato via il 60% delle infrastrutture della città. Da quanto denunciano i palestinesi, insomma, lo scopo israeliano sarebbe quello di cambiare la conformazione della città nell’ottica di una parziale annessione.

Ieri, inoltre, l’Autorità Palestinese aveva organizzato una visita diplomatica con rappresentanti di una trentina di Paesi, tra cui l’Italia, per fare toccare con mano la criticità della situazione in cui si trova Jenin. Durante la visita, le IDF hanno sparato colpi di artiglieria come avvertimento, fermando il convoglio. Tra interviste in radio e post sui social, l’esercito ha rilasciato almeno due versioni diverse sostenendo prima che i diplomatici stessero deviando dal percorso prestabilito, poi che i militari non sapessero che il gruppo era formato da diplomatici. L’azione dei soldati israeliani ha scatenato una ondata di condanna globale: il ministro degli Esteri Tajani ha convocato l’ambasciatore israeliano per chiedere spiegazioni, mentre Spagna, Francia e l’Alta Rappresentante per gli affari esteri dell’UE Kaja Kallas hanno criticato la condotta israeliana.

Australia, inondazioni devastano città rurali: almeno due morti

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Nelle ultime 48 ore inondazioni improvvise hanno colpito la costa sudorientale dell’Australia, uccidendo due persone e isolando decine di migliaia di residenti. Le aree più colpite sono le regioni di Hunter e Mid North Coast, nel Nuovo Galles del Sud, dove si attendono ulteriori forti piogge. Un uomo di 63 anni e uno di 30 sono stati trovati morti, mentre tre persone risultano disperse. Le autorità hanno emesso 140 avvisi di inondazione e chiesto a 50mila persone di prepararsi a evacuare. Oltre 100 scuole sono state chiuse e migliaia di abitazioni sono rimaste senza elettricità.

Washington, uccisi due membri dell’ambasciata israeliana

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Nella notte tra ieri e oggi, giovedì 22 maggio, due dipendenti dello staff dell’ambasciata israeliana a Washington sono stati uccisi da un aggressore a colpi d’arma da fuoco. La notizia è stata data dalla segretaria alla Sicurezza interna degli Stati Uniti, Kristi Noem, che ha spiegato che l’attacco è avvenuto nei pressi del Capital Jewish Museum. La capa del Metropolitan Police Department Pamela Smith ha affermato che il colpevole sarebbe un uomo di 30 anni di Chicago (Illinois) già sotto custodia, che avrebbe confessato e riferito il luogo dove avrebbe gettato la pistola, in seguito rinvenuta dalla polizia. Durante l’arresto, sostiene Smith, il sospetto avrebbe urlato «Palestina Libera».

Il Burkina Faso ha inaugurato il Mausoleo dedicato a Thomas Sankara

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A Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, è stato inaugurato ufficialmente il mausoleo dedicato a Thomas Sankara, il leader rivoluzionario ucciso in un colpo di Stato appoggiato dagli Stati Uniti il 15 ottobre 1987. Insieme a lui, persero la vita dodici suoi collaboratori, che «caddero per l’ideale di dignità, libertà, integrità e sovranità», come sottolineato dal primo ministro Rimtalba Ouédraogo. Ideali che hanno segnato profondamente la storia del Paese e continuano a ispirare movimenti panafricani in tutto il continente. La cerimonia si è tenuta il 17 maggio, una data simbolica che coincid...

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Polonia: estesa la sospensione di richieste d’asilo dalla Bielorussia

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La Polonia ha prolungato la sospensione delle richieste d’asilo di persone migranti provenienti dalla Bielorussia. La legge era stata adottata lo scorso marzo e consente alle autorità polacche di il diritto di asilo dei migranti che arrivano nel Paese passando dalla Bielorussia. La norma era stata varata per contrastare quello che Varsavia ritiene un tentativo da parte di Minsk di destabilizzare il Paese, favorendo l’immigrazione irregolare. La proroga avrà efficacia immediata e durerà 70 giorni.

Cosa contiene il “Trattato pandemico globale” approvato dall’OMS

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Via libera dopo tre anni di trattative al Trattato pandemico globale, un accordo giuridicamente vincolante adottato ai sensi dell’Articolo 19 della Costituzione dell’OMS, approvato il 20 maggio 2025 dall’Assemblea Mondiale della Sanità, riunita per la sua 78ª sessione. Con 124 voti favorevoli, 11 astensioni (tra cui l’Italia che ha sottolineato l’importanza della sovranità nazionale) e nessun voto contrario (ma un quarto dei Paesi membri, 46 su 193, non ha partecipato allo scrutinio in Commissione) l’accordo (qui la versione preliminare), è stato negoziato in risposta alle lezioni apprese dura...

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