martedì 28 Ottobre 2025
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I disegni delle aziende per sostituire l’IA ai dipendenti non stanno andando come previsto

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Da quando è esploso il fenomeno dell’intelligenza artificiale generativa, l’azienda fintech Klarna e l’edutech Duolingo hanno annunciato in pompa magna l’intenzione di trasformarsi in realtà “AI first”, puntando a sostituire progressivamente dipendenti e collaboratori umani con agenti chatbot. A differenza di molte altre imprese, le due entità commerciali non hanno cercato di adottare un profilo basso: al contrario, hanno posto questa scelta al centro della loro comunicazione, scommettendo apertamente sul successo di una filiera lavorativa semiautomatizzata. Ambo le aziende hanno poi deciso di...

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Sardegna: respinto il ricorso di Todde contro l’ordinanza di decadenza

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Il Tribunale di Cagliari ha respinto il ricorso di Alessandra Todde contro l’ordinanza che imponeva la sua decadenza da presidente regionale. La presidente ha annunciato che presenterà ricorso contro la sentenza. In ogni caso, prima della sua eventuale decadenza, dovrebbe esprimersi il Consiglio regionale. L’ordinanza di decadenza nei confronti della presidente Todde è stata emessa a gennaio dal Collegio regionale di garanzia elettorale, che le aveva contestato delle irregolarità nel rendiconto delle spese per la campagna elettorale. A inizio luglio, inoltre, si attende la pronuncia della Corte Costituzionale, che deve stabilire se la legge nazionale sulla decadenza dei governatori è valida anche per le regioni a statuto speciale.

L’autorità europea del farmaco vuole che siano sviluppati nuovi vaccini contro il Covid

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In un’Europa che ha voltato pagina sulla pandemia, l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) torna a spingere per l’aggiornamento dei vaccini anti-Covid. La motivazione? L’emergere di una nuova variante del virus, denominata LP.8.1 che, secondo l’Emergency Task Force (ETF) dell’ente regolatorio, differisce in modo sostanziale dalla precedente famiglia JN.1, bersaglio degli ultimi vaccini aggiornati. In una nota ufficiale, l’EMA ha dichiarato che aggiornare i vaccini per colpire la nuova variante LP.8.1«contribuirà a mantenere l’efficacia dei vaccini» in linea «con la continua evoluzione del virus SARS-CoV-2».

Questa raccomandazione arriva in un momento in cui l’opinione pubblica è stanca, diffidente e – soprattutto – ampiamente disinteressata a una nuova campagna vaccinale. Se negli Stati Uniti Robert Kennedy jr. ha tolto il vaccino contro il Covid da quelli raccomandati per i bambini “in buona salute” e le donne in gravidanza, per rimettere in discussione il ruolo dominante dell’industria farmaceutica nelle politiche pubbliche di salute, in Europa si va nella direzione opposta, segnalando però un evidente controsenso: con la fine dell’emergenza Covid, gli europei hanno da tempo scelto di non vaccinarsi. Il paradosso è lampante: mentre la realtà sociale e sanitaria mostra una conclamata avversione verso ulteriori richiami vaccinali, l’apparato regolatorio europeo continua a insistere su un aggiornamento sistematico dei vaccini, con investimenti miliardari e logiche industriali che non possono che riproporre interrogativi sulle reali priorità e sui conflitti di interesse (ricordiamo il caso Pfizergate). Eppure, la crisi è ormai alle spalle, gli ospedali non sono in emergenza, le restrizioni sono un lontano ricordo e, fattore non irrilevante, inizia a cedere il muro di gomma sugli effetti avversi dei vaccini anti-Covid: parlare degli effetti collaterali non è più un tabù.

A sottolineare il divario tra istituzioni e cittadini ci sono i dati ufficiali, e il caso italiano è emblematico. Come avevamo accertato in questo articolo, tra l’agosto 2024 e il gennaio 2025, nonostante le raccomandazioni del Ministero della Salute, l’Italia ha registrato una copertura vaccinale contro il Covid ben al di sotto della media europea: ferma all’1% tra le persone over 60 e al 5,8% tra gli ultraottantenni. Ad attestarlo è il nuovo rapporto del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) che, analizzando i dati inerenti al nostro Paese, mostra numeri drammaticamente distanti dai picchi pandemici del 2021-2022 e ben al di sotto della media europea, con l’Italia che oggi evidenzia percentuali simili a quelle dell’Europa dell’Est, storicamente più scettica verso le vaccinazioni.

Il flop della quinta dose (per non parlare delle successive) e il rifiuto italiano – e in generale europeo – sono figli di svariati fattori, in primis della sfiducia accumulata negli ultimi anni. Dopo una gestione pandemica che ha visto oscillare le posizioni istituzionali, modificare le raccomandazioni in corsa, adottare misure draconiane basate sul ricatto, imporre obblighi spesso percepiti come insensati, inutili e autoritari, oggi le persone non rispondono più agli appelli alla “responsabilità collettiva”. Il senso d’urgenza è evaporato e l’opacità di molte decisioni pubbliche è diventata il carburante dello scetticismo.

Come se non bastassero i dati a parlare chiaro, negli ultimi due anni sono numerose le inchieste che hanno mostrato lo spreco ingente di vaccini a causa della sovrastima delle dosi e della scadenza degli stessi farmaci. L’UE e l’Italia hanno, infatti, acquistato dosi in eccesso rispetto al fabbisogno, anche a causa di clausole contrattuali rigide con aziende come Pfizer, che obbligavano all’acquisto di quantità prefissate (es. 450 milioni di dosi per l’UE nel 2023, di cui 61,1 milioni per l’Italia). Molte dosi sono rimaste inutilizzate a causa della diminuzione della domanda (es. il rifiuto delle vaccinazioni booster) e sono scadute. Secondo un’analisi di Politico Europe (dicembre 2023), i Paesi dell’UE hanno sprecato almeno 215 milioni di dosi di vaccino anti-Covid, per un valore stimato di circa 4 miliardi di euro per i contribuenti. Questo dato è probabilmente sottostimato, poiché alcuni Paesi, come la Francia, non hanno fornito informazioni complete. L’Italia ha acquistato oltre 380 milioni di dosi per un costo di circa 4,4 miliardi di euro, di cui una parte significativa è rimasta inutilizzata.

Da tempo, i dati raccontano che la politica sull’acquisto dei vaccini anti-Covid è stata fallimentare. Secondo La Stampa, sempre nel 2023 si stimava che l’Italia avesse sprecato circa 173 milioni di dosi, con un costo approssimativo di 3 miliardi di euro, considerando i prezzi delle dosi Pfizer (16-19 euro) e Moderna (circa 22 euro). Sempre Politico Europe indicava come l’Italia avesse scartato circa 49 milioni di dosi, equivalenti a 0,83 dosi per persona. Nonostante questa débâcle economica e organizzativa, che evidenzia una frattura crescente tra governance sanitaria e opinione pubblica, l’EMA continua a raccomandare aggiornamenti vaccinali, insinuando il dubbio legittimo sul peso che Big Pharma esercita sulle decisioni politiche e regolatorie in Europa. Non è un segreto che il settore farmaceutico abbia beneficiato in modo straordinario dalla pandemia. I finanziamenti pubblici hanno, infatti, avuto un ruolo cruciale nello sviluppo dei vaccini, ma il controllo limitato su prezzi e distribuzione ha favorito i profitti delle aziende farmaceutiche. La realtà dei numeri, la sfiducia dei cittadini e l’evidenza degli sprechi suggeriscono che sia arrivato il momento di ripensare radicalmente il rapporto tra sanità pubblica e industria farmaceutica.

Come le banche e la finanza nutrono la guerra: intervista a Giorgio Beretta

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Dietro il commercio internazionale di armamenti si nasconde il ruolo spesso sottovalutato delle banche. Molti istituti finanziari italiani continuano infatti a sostenere l’esportazione dei sistemi militari verso Paesi coinvolti in conflitti o con gravi violazioni dei diritti umani. Per fare luce su questo intreccio tra finanza e industria bellica, abbiamo intervistato Giorgio Beretta, uno dei massimi esperti del settore. Analista per l’Osservatorio OPAL di Brescia e della Campagna di pressione alle “banche armate”, Beretta analizza da anni il flusso di denaro che alimenta il mercato delle armi, pubblicando studi su diversi quotidiani e riviste nazionali.

Cosa si nasconde dietro il termine “banche armate” e quale ruolo giocano nel commercio delle armi? 

Le “banche armate” sono quegli istituti di credito che finanziano, direttamente o indirettamente, l’industria militare. Ciò può avvenire tramite prestiti alle aziende produttrici di armamenti, servizi per l’export di armi o la gestione di operazioni finanziarie connesse alla produzione militare. In generale, si tratta di banche che, in modi diversi, sostengono economicamente il settore degli armamenti.

Qual è il peso economico di questi finanziamenti per le banche? Si tratta di cifre rilevanti nei loro bilanci?

L’esposizione delle banche italiane nella produzione di armamenti e di sistemi militari è in realtà limitata se la confrontiamo con l’entità di tutte le operazioni che svolgono per finanziare altri tipi di produzioni a uso civile. Sebbene possano sicuramente guadagnare parecchio nella intermediazione per l’esportazione di armamenti, i servizi alla produzione e all’export di armi non rappresentano un settore economicamente rilevante né strategico per gli istituti di credito. L’ultima relazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze che riporta i dati ufficiali riporta operazioni bancarie relative alle esportazioni di armamenti italiani per un valore totale di circa 4 miliardi di euro, una cifra alquanto limitata se consideriamo che i soli pagamenti digitali in Italia nei primi sei mesi del 2024 hanno superato i 223 miliardi di euro. Proprio per questo motivo, trattandosi di un settore non così rilevante per l’operatività degli istituti di credito, potrebbero impegnarsi per definire direttive più rigorose e trasparenti per tutto questo settore.

Ci sono legami tra banche e governi nella produzione e nella vendita di armamenti?

Ci sono e sono numerosi perché tutti i governi ritengono necessario approvvigionarsi di armamenti. In Italia l’acquisto di armi da aziende italiane o estere viene finanziato attraverso la Legge di Bilancio, dunque non ha particolare necessità di linee di credito private. Altra questione, invece, è lo sviluppo di determinati sistemi di armamento. Pensiamo al nuovo Tempest-GCAP, il cacciabombardiere supersonico di sesta generazione che l’Italia sta sviluppando insieme alla Gran Bretagna e al Giappone, oppure ai nuovi veicoli cingolati da combattimento per la fanteria Lynx KF-41, sviluppati dalla Rheinmetall insieme alla Leonardo. Per questo tipo di produzioni specifiche, che coinvolgono l’Italia e anche altri Paesi non tanto nella fase di ideazione e progettazione iniziale, ma soprattutto in quella di produzione, intervengono richieste di finanziamento anche agli istituti di credito.

L’opinione pubblica è sufficientemente consapevole del ruolo delle banche nel settore militare?

Di certo possiamo dire che, dagli anni 2000, in particolare la Campagna di pressione alle “banche armate” promossa dalle riviste Missione Oggi, Mosaico di pace e Nigrizia ha inteso sensibilizzare l’opinione pubblica e i correntisti su questo problema. La Campagna ha ottenuto importanti risultati, avendo indotto la maggior parte degli istituti di credito italiani a dotarsi di direttive restrittive per quanto concerne i servizi di finanziamento all’industria militare e, in particolare, i servizi per le operazioni di esportazioni di armamenti. Va segnalato che i maggiori gruppi di credito italiani – in modo particolare Unicredit e Intesa Sanpaolo proprio a seguito delle iniziative dalla Campagna hanno deciso di limitare i servizi alle esportazioni di armamenti solo ai Paesi della NATO e dell’UE. Escludendo, dunque, tutti gli altri Paesi. Eventuali operazioni assunte in deroga devono comunque essere comunicate e rese pubbliche. E questo è un fatto molto importante. 

Ci sono banche che, al contrario, hanno resistito a queste pressioni?

Alcune banche estere presenti in Italia, come Deutsche Bank, BNP Paribas, Barclays Banke Commerzbank, non hanno adottato direttive restrittive, così come diverse banche italiane di minor rilevanza. Penso, ad esempio, alla Banca Popolare di Sondrio che nell’ultimo anno, per quanto concerne le esportazioni di armamenti italiani, ha riportato operazioni per 357 milioni di euro che rappresentano quasi un decimo del valore delle operazioni svolte da tutte le banche in questo settore. C’è poi la Banca Valsabbina, che nell’ultimo anno ha riportato valori oltre i 62 milioni di euro, che negli scorsi anni ha contribuito alla produzione ed esportazione all’Arabia Saudita di circa 20mila bombe della classe MK 80, impiegate dall’aeronautica militare saudita in bombardamenti che hanno devastato centri abitati in Yemen. Per essere una piccola banca di provincia, parliamo di un ruolo non certo marginale.

Come si è mossa negli anni la politica italiana su questo tema?

Negli ultimi anni, la Relazione governativa ha subìto modifiche che ne hanno ridotto la trasparenza, in particolare nella sezione curata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Due interventi hanno sottratto informazioni cruciali. Il primo risale al 2008, quando il governo Berlusconi IV eliminò senza spiegazioni tutte le informazioni di dettaglio che permettevano di collegare le operazioni autorizzate alle banche con le aziende, le tipologie di armamenti e soprattutto i Paesi destinatari. Il secondo avvenne nel 2013, quando il MEF decise, con un’interpretazione arbitraria del Decreto legislativo n. 105/2012, di includere solo gli “Importi Segnalati” anziché quelli autorizzati, rendendo quasi impossibile correlare le transazioni bancarie con l’esportazione di armamenti. Di conseguenza, mentre fino al 2007 era possibile conoscere dettagli cruciali sulle operazioni bancarie legate all’export di armi, oggi queste informazioni non sono più accessibili. Adesso, con l’annunciata modifica che è già passata al Senato, vogliono direttamente far sparire tutto l’elenco delle banche operative nel settore dell’export militare. È il colpo finale. 

Quanto incide il fenomeno delle “porte girevoli” tra politica e industria militare? 

Il caso più evidente riguarda l’AIAD (Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza), considerata la “Confindustria” dell’industria militare. Attualmente, essa è presieduta da Giuseppe Cossiga (figlio dell’ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, ndr) già sottosegretario di Stato del Ministero della Difesa. L’attuale ministro della Difesa, Guido Crosetto, nel 2014 venne nominato presidente dell’AIAD e anche senior advisor di Leonardo, il tutto dopo aver ricoperto – dal 2008 al 2011 – la carica di sottosegretario alla Difesa all’interno del quarto governo Berlusconi. Lì si verificò il primo, vero, conflitto di interessi.

Chi sta spingendo per ridurre la trasparenza sulle banche attive nel commercio di armamenti? 

La volontà di cancellare l’elenco delle banche attive nel commercio di armamenti, quindi l’elenco delle cosiddette “banche armate” dalla relazione annuale della Presidenza del Consiglio, nasce dalla forte e reiterata pressione dell’AIAD. Non sono tanto le banche a chiedere di cancellare quell’elenco, perché gli istituti di credito ci tengono a differenziarsi potendo rendere noto all’opinione pubblica di avere adottato direttive restrittive. È invece soprattutto l’AIAD, che mal sopporta restrizioni e soprattutto la trasparenza in questo settore, a fare pressioni affinché lo Stato cancelli o riduca al minimo l’informazione in questo settore. E, dietro l’AIAD, c’è ovviamente Leonardo, il colosso della difesa italiana. 

Polonia: l’UE approva l’utilizzo di fondi Covid per la difesa

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L’Unione Europea ha approvato la richiesta polacca di reindirizzare parte dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza post-Covid verso il settore della difesa. Di preciso, la Polonia aveva ottenuto circa 60 miliardi di finanziamenti per il PNRR, di cui cui 25,3 miliardi in sovvenzioni. Bruxelles ha autorizzato la Polonia a impiegare 6 miliardi di questi ultimi, originariamente destinati a politiche ambientali, nel settore della difesa: la Polonia potrà così promuovere «il finanziamento dell’espansione della capacità industriale, dello sviluppo tecnologico dei prodotti per la difesa, nonché degli investimenti che hanno finalità sia civili che militari, come le infrastrutture di trasporto», ha spiegato il portavoce della Commissione.

L’Italia raddoppierà la produzione di missili nei prossimi due anni

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L’industria italiana che produce missili «aumenterà quest’anno la produzione del 40% e il prossimo anno del 100%». A dichiararlo è stato il ministro della Difesa Guido Crosetto, il quale ha sottolineato che il prossimo anno il consorzio europeo che produce i missili per il sistema Samp/T – avanzato sistema antiaereo progettato da Italia e Francia – raddoppierà la produzione. Rivendicando la «coerenza» del governo Meloni nel sostegno a Kiev, Crosetto ha fatto sapere che «le prime consegne arriveranno tra un anno, un anno e mezzo». Nelle stesse ore, dal Consiglio dell’Unione Europea è arrivato il via libero definitivo a SAFE, primo tassello del piano di riarmo dell’Europa, con 150 miliardi destinati al settore militare.

L’annuncio del ministro Crosetto è arrivato in occasione di un’intervista al programma di informazione Quarta Repubblica, lunedì 26 maggio. Nel corso dell’intervista, Crosetto ha parlato dei progetti attivi e futuri nel settore della difesa italiano. Il ministro ha affermato che l’Italia ha «bisogno di avere, a parte i militari di carriera, delle professionalità e dei tecnici» di cui «normalmente» non dispone, come nel caso di «esperti di intelligenza artificiale», e che si sta muovendo per chiamarli. L’Italia, tuttavia, non avrebbe bisogno solo di nuovi tecnici, ma anche di altri militari: «Ci sono dei progetti che ho chiesto allo Stato Maggiore della Difesa e che poi saranno discussi in Parlamento», ha infatti detto Crosetto, «che diano la possibilità di aumentare le forze armate».

Riguardo alla produzione di armi, il ministro ha spiegato che l’Italia aumenterà la propria produzione di missili SAMP/T, che hanno un peso specifico rilevante nei contributi italiani all’Ucraina. Il sistema SAMP/T è il più avanzato sistema di difesa anti-aereo del nostro Paese ed è sviluppato dal consorzio europeo Eurosam, formato da MBDA Italia, MBDA Francia e dalla francese Thales. MBDA è il principale gruppo europeo costruttore di missili e tecnologie per la difesa nel settore aeronautico, e risulta controllato dai gruppi Airbus Group (37,5%), BAE Systems (37,5%) e Leonardo (25%).

Parallelamente alle dichiarazioni di Crosetto, è arrivato un annuncio del segretario generale della NATO, Mark Rutte, che ha affermato che entro il 2032 il contributo europeo e canadese all’Alleanza toccherà il 70% delle spese. Ieri, invece, i ministri dell’Unione Europea hanno approvato in via definitiva l’istituzione del fondo SAFE, uno dei due tasselli fondamentali nel piano di riarmo di Ursula von der Leyen. Il fondo prevede la raccolta di una somma fino a 150 miliardi di euro sui mercati, che sarebbero erogati sotto forma di prestiti diretti agli Stati che ne farebbero richiesta, e contempla l’avvio di procedure d’appalto comuni e semplificate. Assieme al fondo SAFE, il piano von der Leyen invita gli Stati membri a presentare una domanda di sospensione del Patto di Stabilità per aumentare la spesa per la difesa fino all’1,5% del prodotto interno lordo annuo per quattro anni, somma che, sostiene von der Leyen, potrebbe generare fino a 650 miliardi di euro nel prossimo quadriennio. Per ora, sono già 16 i Paesi ad aver chiesto una deroga al Patto di Stabilità per aumentare le proprie spese per la difesa.

Francia: un controverso rapporto dimostra le pressioni della Nestlé sulla politica

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In Francia è scoppiato uno scandalo che rischia di scuotere la politica francese. Secondo un’inchiesta parlamentare sulle pratiche dei produttori di acqua in bottiglia, condotta tra il dicembre 2024 e il maggio 2025, avrebbe mostrato come l’azienda Nestlé abbia utilizzato tecniche di filtrazione dell’acqua illegali, per poi piegare la volontà politica ai suoi interessi imponendo una microfiltrazione più blanda, con soglia inferiore ai limiti di legge. Tali pratiche, avvenute con la connivenza della politica, potrebbero mettere in serio pericolo la salute dei consumatori, eppure le autorità non hanno intrapreso alcuna azione legale.

A denunciare quanto accaduto è stata la Commissione d’inchiesta del Senato francese, presieduta da Laurent Burgoa, che ha adottato un rapporto del senatore Alexandre Ouizille. Sono state 73 le audizioni di ministri, membri di gabinetti ministeriali, direttori dell’amministrazione, dirigenti aziendali, prefetti e servizi statali a livello locale, direttori di agenzie sanitarie regionali, nonché ricercatori e associazioni avvenute nel corso di sei mesi. Lo scandalo del trattamento delle acque minerali naturali con metodi non autorizzati è iniziato alla fine del 2019 con la segnalazione di un dipendente di Sources Alma, che commercializza i marchi Vichy Célestins, St-Yorre, Cristaline, Thonon e Châteldon. Un’indagine del Servizio Investigativo Nazionale (SNE) della Direzione Generale per la Concorrenza, il Consumo e la Repressione delle Frodi (DGCCRF) ha poi evidenziato l’utilizzo, da parte di diversi produttori, di microfiltrazioni inferiori alla soglia di 0,8 micron, considerata dalle autorità come soglia limite per evitare impatti sulla composizione dell’acqua. Il 31 agosto 2021, Nestlé Waters ha incontrato l’ufficio del ministro delegato per l’Industria, Agnès Pannier-Runacher, alla presenza della DGCCRF. Muriel Liénau, CEO di Nestlé Waters, ha riconosciuto l’utilizzo di filtri a carbone attivo e trattamenti ultravioletti, ovvero misure di disinfezione severamente vietate, nei suoi stabilimenti nelle regioni dei Vosgi e del Gard (Vittel, Hépar, Contrex, Perrier). Durante questo incontro, Nestlé Waters ha sostenuto, senza mostrare prove, che tali trattamenti non avrebbero influito sulla sicurezza alimentare o sulla composizione dell’acqua.

Nonostante la confessione della frode e i possibili danni sanitari a danno dei consumatori rappresentata dalla disinfezione dell’acqua con pratiche illegali, le autorità non hanno intrapreso alcuna azione legale in merito a queste rivelazioni. Il 14 ottobre 2021 è stata presa la decisione di deferire la questione all’Ispettorato Generale degli Affari Sociali (IGAS). L’indagine è stata avviata il 19 novembre 2021, mentre le aziende sanitarie regionali non sono state informate fino al 28 gennaio 2022. Già il 31 agosto 2021, i membri del settore e i gabinetti della DGCCRF erano stati informati dell’utilizzo da parte di Nestlé di trattamenti vietati che avrebbero potuto comportare la qualifica penale di frode. Le segnalazioni del fatto sono state tre. La prima, dell’ottobre 2022, da parte del direttore generale dell’ARS Grand Est. Le altre due tardive e solo dopo l’istituzione della commissione d’inchiesta: una da parte della DGCCRF il 19 febbraio 2025, l’altra del direttore generale dell’ARS Occitanie, del 18 aprile 2025, ovvero quasi 4 anni dopo le rivelazioni del 31 agosto 2021.

Nel suo rapporto, la commissione d’inchiesta si chiede perché la DGCCRF non abbia fatto uso dei suoi poteri amministrativi per porre fine alla massiccia frode di Nestlé ai danni dei consumatori già nel 2021. Dal 31 agosto 2021, Nestlé Waters ha adottato un atteggiamento transazionale, ponendo esplicitamente l’autorizzazione della microfiltrazione a 0,2 micron come condizione per l’interruzione dei trattamenti illegali che stava già compiendo, attraverso quello che viene definito un “piano di trasformazione”. Nestlé, grazie alla sua azione di lobbying, ha fatto adeguare la legge alla propria prassi e ai suoi interessi, in una logica completamente distorta rispetto a quella che dovrebbe essere la relazione tra lo Stato che definisce lo standard e il produttore che lo applica.

La decisione di autorizzare la microfiltrazione al di sotto della soglia di 0,8 micron è stata presa ai massimi livelli di governo. Facendo seguito alle decisioni prese dall’ufficio del primo ministro Elisabeth Borne, ma apparentemente senza che lei ne fosse informata, la consultazione interministeriale virtuale (CID) del febbraio 2023 ha implicitamente ma chiaramente convalidato la filtrazione a 0,2 micron. Dai documenti raccolti dalla commissione d’inchiesta, e resi disponibili ai cittadini, si conclude che la Presidenza della Repubblica sapeva, almeno dal 2022, che Nestlé aveva frodato per anni ed era consapevole che ciò creava una distorsione della concorrenza con altre società, nonché era a conoscenza della contaminazione batteriologica e persino virologica presente in alcuni siti di Nestlé.

Insomma, ancora una volta le multinazionali, in questo caso Nestlé (che non è nuova a comportamenti del genere, con scandali già scoppiati in passato su diversi prodotti dalla società o da sue controllate), pongono la politica al proprio servizio e secondo i dettami del profitto a discapito dei consumatori e della salute dei cittadini.

Gaza: USA e Israele trasformano anche la distribuzione di aiuti in violenze sui civili

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Come ampiamente previsto dall’ONU, la prima giornata di distribuzione di aiuti alla popolazione di Gaza, organizzata da Israele e Stati Uniti, è stata un disastro. La distribuzione è avvenuta tramite soli tre punti di consegna, affidati alla ONG americana Gaza Humanitarian Foundation (GHF): qui, gli addetti alla sicurezza hanno prima sparato per disperdere la folla, poi ammesso di aver perso il controllo della situazione. Da quasi tre mesi, infatti, Israele sfiancava i civili vietando l’ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia, per poi autorizzare l’entrata di una «quantità base». Con l’operazione sono stati distribuiti appena 8 mila pacchi di cibo, il tutto mentre 400 camion di aiuti dell’ONU rimangono bloccati al valico di Rafah, su ordine di Tel Aviv – a dimostrazione del fatto che la situazione umanitaria è l’ultima delle preoccupazioni israeliane. Nel mentre, 29 bambini e anziani sono morti di fame nel giro di 48 ore.

I tre punti di distribuzione si trovano tutti nel sud della Striscia di Gaza, nella zona di Rafah, fatto che rende l’operazione – dal punto di vista umanitario del tutto inutile – più verosimilmente un tentativo di spingere i palestinesi residenti nel nord a spostarsi sperando di trovare il cibo, con il risultato di liberare il terreno alle mire di occupazione di Israele. Sarebbero almeno tre i palestinesi uccisi dopo che l’esercito ha aperto il fuoco sui civili affamati durante le operazioni di distribuzione, oltre a 46 feriti e 7 dispersi, secondo quanto riferito dalle autorità di Gaza, citate da Al Jazeera. Stati Uniti, Israele e GHF hanno negato quanto accaduto, continuando invece a lodare la buona riuscita dell’iniziativa e accusando l’ONU di non star collaborando con la distribuzione degli aiuti. Il Dipartimento di Stato americano ha difeso le operazioni, minimizzando quanto accaduto: «non discuterò del gossip o di chi ha sparato contro chi, se sia stato Hamas o no» ha dichiarato la portavoce Tammy Bruce, «ciò che è vero è che gli aiuti e il cibo stanno entrando a Gaza su larga scala, con 8 mila pacchi consegnati».

L’esercito israeliano (IDF), che si sta occupando della distribuzione insieme alla COGAT (Coordinamento delle Attività Governative nei Territori di Giudea e Samaria e nella Striscia di Gaza, unità del ministero della Difesa israeliano), riferisce dal canto suo che le operazioni di ieri sono andate a buon fine e che le Nazioni Unite si stanno rifiutando di collaborare con le operazioni, oltre che di diffondere «informazioni false e inesatte sulle difficoltà della popolazione civile». Secondo il primo ministro israeliano Netanyahu, infatti, pur riconoscendo che la situazione è sfuggita al controllo per qualche secondo, ha negato l’esistenza di una qualche forma di carestia a Gaza: «dall’inizio della guerra ad ora non si è vista una sola persona emaciata», ha dichiarato.

Critiche alla gestione della distribuzione di aiuti, dopo quasi tre mesi in cui la popolazione è stata affamata in maniera intenzionale da Israele, sono giunte da pressochè tutte le organizzazioni umanitarie internazionali. L’Ufficio di coordinamento degli aiuti umanitari delle Nazioni Unite (OCHA) ha definito l’operazione come «largamente insufficiente», oltre che «una distrazione da ciò che è effettivamente necessario, ovvero la riapertura di tutti i valichi a Gaza, un ambiente sicuro all’intero di Gaza e una facilitazione delle autorizzazioni e delle approvazioni finali di tutte le forniture di emergenza che abbiamo appena fuori il confine». Il portavoce delle Nazioni Unite ha inoltre sottolineato come l’agenzia disponga di un piano dettagliato per effettuare queste operazioni, appoggiato dagli Stati membri e perfettamente funzionante sul piano operativo, in grado di distribuire gli aiuti su larga scala – al contrario di quanto accaduto con SRS, azienda privata. Il Programma Alimentare Mondiale (PAM) dell’ONU ha riferito di avere una rete perfettamente funzionante di distribuzione e circa trecento camion di aiuti fermi al valico di Kerem Shalom, mentre anche l’UNRWA (l’Agenzia ONU per i rifugiati palestinesi) ha dichiarato che nessuno dei rifornimenti contenuti negli oltre tremila camion pronti a entrare nella Striscia, contenenti medicinali e alimenti, è stato consegnato – nonostante sia l’unica a disporre di infrastrutture, mezzi, veicoli e personale per effettuare una distribuzione efficace e capillare.

L’utilizzo di fame come arma di guerra da parte di Israele non è solo evidente nel blocco degli aiuti portato avanti per tre mesi, ma anche nella fatto che oltre il 95% del terreno coltivabile di Gaza è ormai inutilizzabile a causa dei bombardamenti. A ciò si aggiunge la mancanza di acqua potabile, principalmente dovuta ai tagli all’energia elettrica operati da Israele, fondamentale per l’idratazione ma anche per l’igiene. Le Nazioni Unite hanno stimato (dati di marzo 2025) che circa 1,8 milioni di persone hanno urgente bisogno di acqua pulita e potabile.

Proteste a Panama: dichiarato lo stato di emergenza

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Il governo panamense ha dichiarato lo stato di emergenza a Bocas del Toro in risposta allo sciopero dei lavoratori della multinazionale Chiquita che ormai da un mese investe la provincia. La misura è stata approvata dal Consiglio dei Ministri e prevede l’istituzione di una Commissione apposita per affrontare la situazione. I lavoratori hanno iniziato lo sciopero lo scorso 28 aprile per protestare contro una nuova legge sulle pensioni. Col tempo, le proteste hanno coinvolto diversi settori della popolazione, e hanno visto i lavoratori disertare i campi e organizzare blocchi stradali. In risposta, la multinazionale Chiquita ha annunciato il licenziamento di migliaia di braccianti.

La Corte UE ha confermato il divieto di pesca a strascico nelle aree marine protette

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La Corte di giustizia dell’Unione europea ha confermato l’obbligo, per gli Stati membri, di tutelare le aree marine protette da pratiche di pesca distruttive, come lo strascico. La sentenza respinge il ricorso presentato da un’associazione di pescatori tedesca contro le misure di conservazione adottate in alcune aree del Mare del Nord. Secondo la Corte, vietare tecniche dannose in zone ecologicamente sensibili è pienamente conforme al diritto comunitario e rientra nelle responsabilità degli Stati. Il verdetto stabilisce che gli Stati membri sono tenuti a prendere iniziative efficaci per tutela...

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