domenica 7 Settembre 2025
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Capoeira, il ritmo eterno della resistenza anticoloniale

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Due jogadores, accovacciati ai piedi del berimbau, ascoltano il canto del mestre che, oltre a suonare lo strumento, intona una ladainha. Intorno, disposte in cerchio, varie persone rispondono in coro alle sue incitazioni. Quando il mestre affonda leggermente verso il centro la punta del berimbau, ha inizio il jogo. In questo cerchio, chiamato roda, risiede l’essenza della capoeira. 

Nonostante vi siano dubbi sulle origini, la capoeira è strettamente legata alla storia dello schiavismo che ha interessato le coste centrorientali dell’Africa e la colonia portoghese in Brasile, nel periodo compreso tra il XVI secolo e il 1888, anno in cui in Brasile fu formalmente abolita la schiavitù.

Osservando un jogo (letteralmente “gioco”) di capoeira, ci si può inizialmente chiedere se si tratti di una lotta, una danza o un rito: la risposta risiede nelle origini controverse di questo elemento centrale della cultura brasiliana. Una delle teorie racconta che gli schiavi, impiegati nelle piantagioni, si allenassero per difendersi dalle violenze dei colonizzatori, camuffando le tecniche di lotta sotto forma di danza, probabilmente ispirata alle tradizioni dei loro Paesi d’origine. Un’altra ipotesi sostiene invece che la capoeira sia nata nei quilombos, comunità di liberti, con l’obiettivo di preservare culti e pratiche ancestrali. La sintesi di queste esigenze ha dato origine a forme di attacco e difesa, intervallate dal movimento base della capoeira: la ginga, un passo terzinato utile a mantenere l’equilibrio. Il termine, che sembra derivare da un dialetto bantu parlato in Angola, significa “ondeggiare, ballare, giocare”, e dalla capoeira è entrato anche in altri ambiti sportivi, come nel calcio, con la celebre ginga di Pelé. 

Praticata ovunque, dagli spazi chiusi delle academias ai luoghi aperti come piazze e spiagge, la capoeira, pur avendo perso la sua funzione originaria di difesa, conserva una ritualità profonda, legata alla spiritualità e alla memoria storica brasiliana. Ogni jogo comincia con un canto commemorativo, la ladainha (letteralmente “litania”), intonato solitamente dal mestre o dal jogador più esperto. In questo canto si raccontano episodi di vita e aspetti della capoeira, con frequenti omaggi ai maestri che nel tempo ne hanno garantito la trasmissione. Al termine della ladainha, la bateria (insieme di strumenti a percussione) cambia ritmo e il jogo entra nel vivo. I due contendenti iniziano lo scambio con calci, schivate, sgambetti e movimenti acrobatici come verticali, (ruote con le gambe piegate) e salti. Durante il jogo, il berimbau può indicare ai giocatori di fermarsi per lasciare spazio ad altri. 

Tra gli elementi fondamentali della capoeira c’è senza dubbio la musica. La bateria, che dà il ritmo al jogo, include strumenti della tradizione afrobrasiliana: atabaque, pandeiro, agogô e reco-reco accompagnano il berimbau, uno strumento a corda simile a un arco, composto da un fusto di bambù, una corda metallica e una cassa acustica ricavata da una zucca essiccata. Il ritmo, generalmente terzinato, regola l’intensità dello scambio, alternando fasi più lente a momenti più dinamici. 

Il canto, simile al blues per il suo schema a botta e risposta tra solista e coro, racconta la sofferenza dello schiavismo, la nostalgia per le terre d’origine e la devozione verso la capoeira. Con l’abolizione della schiavitù, la capoeira – allora associata a bande criminali – fu vietata nel 1890, restando in clandestinità fino agli anni Trenta del XX secolo. A svolgere un ruolo centrale nella sua riscoperta fu Mestre Bimba, che cercò di liberarla dagli stereotipi criminali fondando la Luta Regional da Bahia (nota anche come Capoeira Regional), una forma di capoeira più acrobatica e priva di ritualità. Nel 1942, per evitare che si perdesse il legame storico e culturale, Mestre Pastinha fondò invece la Capoeira Angola, una versione più lenta e cadenzata, ispirata alle forme tradizionali del jogo in epoca coloniale. 

«La capoeira non si fonda sul colpo, bensì sulla possibilità di questo», spiega Mestre Gil Maciel durante una roda nella sua scuola di Barcellona. L’essenza del jogo risiede nella capacità di rivelare l’intenzione di colpire senza farlo, esponendo i punti deboli dell’avversario e dando spazio alla strategia più che al contatto. Anche per questo, chi gioca indossa abiti bianchi: simbolo della propria abilità nello schivare i colpi e della purezza di un’arte che non prevede violenza intenzionale. Nella roda si concentra l’eredità del sacrificio della tratta schiavista, la resistenza di chi nella danza nascondeva la propria difesa e il ricordo di coloro che, anche attraverso la capoeira, hanno lottato per la dignità di un intero popolo.

La Birmania ha graziato quasi 5.000 detenuti

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In occasione dell’apertura dell’anno birmano, la giunta militare del Paese ha liberato 4.893 detenuti. Tra di essi, sostengono la giunta e i gruppi per i diritti umani presenti sul posto, sono presenti anche 22 detenuti politici e 13 stranieri, che verranno rimpatriati. La giunta ha anche affermato che la pena per gli altri prigionieri sarebbe stata ridotta di un sesto, ad eccezione di coloro che avevano commesso reati gravi quali associazione a delinquere e terrorismo, omicidio e stupro.

PD, M5S e AVS hanno presentato una mozione per il riconoscimento della Palestina

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Il campo progressista si ricompatta sul conflitto israelo-palestinese, presentando una mozione unitaria sui massacri in atto a Gaza. Lo hanno annunciato martedì in conferenza stampa la leader del PD Elly Schlein, il presidente del M5S Giuseppe Conte e i leader di AVS Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, chiedendo al governo di riconoscere lo Stato di Palestina e impegnarsi per il cessate il fuoco nella Striscia, nonché a promuovere sanzioni contro Israele per le ripetute violazioni del diritto internazionale e a sospendere le autorizzazioni di vendita di armi allo Stato Ebraico. I leader firmatari hanno chiesto anche alle altre forze politiche di unirsi a loro per una «iniziativa doverosa», dal momento che a Gaza si sta verificando «un crimine contro l’umanità» e in ballo ci sono i «diritti di donne, bambini e di un intero popolo».

Nello specifico, il testo della mozione impegna il governo a «riconoscere la Palestina quale Stato democratico e sovrano entro i confini del 1967 e con Gerusalemme quale capitale condivisa, che conviva in pace, sicurezza e prosperità accanto allo Stato di Israele», con l’obiettivo di «preservare nell’ambito del rilancio del Processo di Pace la prospettiva dei “due popoli, due Stati”», oltre a promuovere «il riconoscimento dello Stato di Palestina da parte dell’Unione europea, nel rispetto del diritto alla sicurezza dello Stato di Israele». Si invita inoltre l’esecutivo a sostenere in ogni sede internazionale e multilaterale qualsiasi iniziativa «volta a esigere il rispetto immediato del cessate il fuoco, la liberazione incondizionata degli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas, la protezione della popolazione civile di Gaza e la fine delle violenze nei territori palestinesi occupati, la fornitura di aiuti umanitari continui, rapidi, sicuri e senza restrizioni all’interno della Striscia, il rispetto della tregua in Libano scongiurando il rischio di futuri attacchi da parte di Hezbollah», nonché «il pieno rispetto del diritto internazionale umanitario». Si richiede poi di sostenere il cosiddetto “Piano Arabo” «per la ricostruzione e la futura amministrazione di Gaza anche alla luce del favore di larga parte della comunità internazionale, assicurando il pieno coinvolgimento delle forze democratiche e della società civile palestinese».

Inoltre, la mozione invita il governo a «sospendere urgentemente, ove in essere, le autorizzazioni di vendita di armi allo Stato di Israele concesse anteriormente alla dichiarazione dello stato di guerra dell’8 ottobre 2023» e a «provvedere all’immediata sospensione dell’importazione degli armamenti dallo Stato di Israele», ma anche «a sostenere in sede europea l’adozione di sanzioni nei confronti del Governo israeliano per la sistematica violazione del diritto internazionale e del diritto internazionale umanitario e nei confronti dei coloni responsabili delle violenze in Cisgiordania» e a «esigere la tutela dell’incolumità della popolazione civile della Cisgiordania, richiedendo che lo Stato di Israele cessi ogni operazione militare, l’occupazione militare illegale di tali territori e l’illegale creazione e sostegno di insediamenti israeliani». In ultimo, si richiede di «proporre azioni efficaci contro le violazioni del diritto internazionale e umanitario da parte del Governo di Israele, inclusa la sospensione dell’accordo di associazione EU-Israel», a «dare piena attuazione ai mandati di arresto emessi dalla Corte Penale Internazionale» e a «sostenere, in tutti i consessi europei ed internazionali, la legittimità della Corte Penale Internazionale», mettendo in atto «ogni iniziativa politica e diplomatica per scongiurare attacchi alla sua operatività e ribadire la necessità della Corte come strumento cardine della giustizia internazionale».

In conferenza stampa, Elly Schlein ha parlato della mozione come di un’iniziativa atta a «riaccendere i fari su Gaza, che è ripiombata nel silenzio», presentando uno scenario di morte rispetto a cui «non si può tacere». «È necessario tenere accesi i riflettori di tutta la comunità politica italiana e internazionale – ha dichiarato il presidente del M5S Giuseppe Conte –. Quello che accade a Gaza è un crimine contro umanità. Non è un effetto collaterale di un’azione di guerra ma è un sistematico sterminio». «A Gaza non c’è più nulla: mentre scrivevamo questa mozione, arrivava la notizia dell’attacco all’ultimo ospedale funzionante – ha detto Nicola Fratoianni -. Basta silenzi e parole di circostanza». Gli ha fatto eco Angelo Bonelli, che ha chiesto «una risposta forte, anche con un’iniziativa europea».

L’OMS ha annunciato l’intesa sul nuovo piano pandemico globale

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Dopo un anno di trattative, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha annunciato il raggiungimento di un’intesa per il trattato sulle pandemie, il quale regolerebbe il piano di azione globale nel caso di una futura crisi sanitaria pandemica di scala mondiale. L’accordo richiederebbe ai Paesi di aumentare la sorveglianza delle minacce di livello pandemico, di condividere i dati su diagnosi, vaccini e farmaci e di rafforzare i sistemi sanitari nazionali. Il documento, giuridicamente vincolante, rafforza la centralità dell’OMS nella gestione delle ipotetiche crisi sanitarie e prevede il trasferimento volontario delle tecnologie e delle scoperte necessarie per la creazione di prodotti sanitari. Il testo verrà discusso in occasione della 68° Assemblea Mondiale della Sanità, che si svolgerà il 19 maggio prossimo. Gli Stati Uniti di Trump, usciti dall’OMS, non saranno parte dell’accordo e non saranno quindi vincolati.

Nel dicembre 2021, al culmine della pandemia di COVID-19, gli Stati membri dell’OMS hanno istituito l’Organismo Negoziale Intergovernativo (INB) per redigere, ai sensi della Costituzione dell’OMS, una convenzione, un accordo o un altro strumento internazionale che rafforzasse la prevenzione, la preparazione e la risposta alle pandemie. Dopo 13 cicli formali di incontri, l’INB ha finalizzato ieri, a Ginevra (Svizzera), una proposta per il piano pandemico. Se non sorgessero problematiche da dover sbrogliare, il 19 maggio si potrebbe già passare alla votazione. L’OMS ha assicurato che la proposta afferma la sovranità dei Paesi nell’affrontare le questioni di salute pubblica all’interno dei loro confini e che in nessun caso l’Organizzazione potrà imporre agli Stati di intraprendere azioni specifiche – come vietare o accettare viaggiatori, imporre mandati di vaccinazione, misure terapeutiche e diagnostiche o attuare lockdown. Altresì, è evidente, volendo anche prevenire le pandemie, o prenderle sul nascere, con tale accordo si stabilisce un’intelaiatura di un sistema di scala mondiale sempre all’opera.

Secondo quanto riporta Reuters, l’articolo 9 della proposta di trattato pandemico richiede ai governi di stabilire politiche nazionali per le condizioni di accesso negli accordi di ricerca e sviluppo e di garantire che i farmaci, le terapie e i vaccini legati alla pandemia siano accessibili a livello globale. L’articolo 11 invece, seguendo i principi di condivisione ed equità richiamati nell’accordo, riguarda il trasferimento tecnologico, ovvero la condivisione di conoscenze, competenze e capacità di produzione – cosa non avvenuta durante il Covid-19, con i Paesi in via di sviluppo che sono stati tagliati fuori. A questo dovrebbe contribuire il Sistema di Accesso ai Patogeni e Condivisione dei Benefici (PABS), una nuova piattaforma che consente la rapida condivisione tra Stati e aziende farmaceutiche dei dati sui patogeni, consentendo alle seconde di essere costantemente aggiornate sui necessari prodotti da fabbricare nell’ambito di una eventuale pandemia. Sempre secondo il principio di condivisione ed equità, il testo chiede ai produttori di mettere rapidamente a disposizione dell’OMS il 20% di prodotti sanitari utili nel caso di pandemia, inclusa una soglia minima del 10% sotto forma di donazioni. Tutto il resto dovrebbe essere “riservato a prezzi accessibili” all’agenzia sanitaria delle Nazioni Unite.

Ad essere vincolati a tali programmi sono solamente gli Stati: per i produttori farmaceutici, infatti, tale vincolo non sussiste – compresi per quelli con sede in Paesi al di fuori dell’OMS. Questi vi aderiscono infatti su base volontaria, fattore che inficia così il principio di equità e condivisione, salvaguardando invece gli interessi delle aziende. In caso di pandemia, queste potranno infatti decidere quale sia la linea per loro più conveniente da mantenere. Secondo l’accordo, “equità e condivisione” si manifesterebbero anche con la facilitazione del trasferimento del know-how verso i Paesi in via di sviluppo, di tecnologia e licenze, così da incoraggiare una produzione locale e una distribuzione mondiale più equa dei prodotti sanitari. A sostegno di questo viene prevista una Rete globale per una catena di approvvigionamento dei prodotti sanitari – correlati ad una possibile pandemia – tale da garantire un accesso equo, tempestivo e conveniente a tutti i Paesi del mondo.

I negoziatori statunitensi non hanno fatto parte delle discussioni finali di quest’anno, dal momento che il presidente Donald Trump ha annunciato la sua decisione di ritirarsi dall’Organizzazione. Anche il settore farmaceutico è nella lista di quei settori che Trump vuole tornino a produrre negli Stati Uniti. Fuori dall’OMS, gli Stati Uniti non saranno vincolati dal patto. Le farmaceutiche statunitensi potranno invece decidere di partecipare al programma dell’OMS a seconda della propria convenienza – come previsto per tutte le case farmaceutiche.

Gaza, attacchi israeliani a campi per sfollati: almeno 25 morti

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Almeno 25 palestinesi sono rimasti uccisi a causa di due attacchi israeliani vicino a Khan Younis. Lo ha riportato la Protezione civile palestinese, affermando che la maggior parte delle vittime sono donne e bambini. Nello specifico, 16 persone sono state uccise e 23 ferite in seguito all’attacco diretto di due missili israeliani su alcune tende che ospitavano famiglie sfollate nella zona di Al-Mawasi, mentre un secondo raid contro una tenda per sfollati ha provocato la morte di sette persone e ne ha ferite 13 a Beit Lahia, nella Striscia di Gaza settentrionale.

Gli scienziati di Cambridge hanno scoperto possibili forme di vita a 124 anni luce dalla Terra

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A circa 124 anni luce dalla Terra è stata scoperta quella che gli scienziati ritengono la più grande prova che al di fuori del nostro sistema solare esistano firme biologiche: è quanto dettagliato in un nuovo studio scientifico guidato da ricercatori dell’Università di Cambridge, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica The Astrophysical Journal Letters. Analizzando i dati del telescopio spaziale James Webb, gli autori hanno rilevato nell’atmosfera dell’esopianeta K2-18b la presenza di due molecole che sulla terra sono prodotte esclusivamente da organismi viventi. Si tratta di osservazioni che, secondo quanto pubblicato nel nuovo studio, hanno raggiunto una significatività statistica tale per cui la probabilità che siano avvenute per caso è dello 0,3%. «È stata una realizzazione incredibile vedere i risultati emergere e rimanere coerenti nonostante le ampie analisi indipendenti e i test di robustezza. Il segnale è arrivato forte e chiaro», commentano i coautori, sottolineando d’altra parte che, nonostante si tratti per loro della prova più forte raccolta finora, serviranno ulteriori analisi per raggiungere una significatività statistica che permetta di confermare definitivamente il risultato.

Spettro di trasmissione dell’esopianeta K2-18b ottenuto tramite lo spettrografo MIRI del JWST. Credit: A. Smith, N. Madhusudhan

Le molecole rilevate sono il dimetil solfuro (DMS) e il dimetil disolfuro (DMDS). Si tratta di composti a base di zolfo che, sulla Terra, vengono generati da forme di vita come il fitoplancton marino. Per questo motivo, spiegano gli esperti, sono considerate “biofirme”, ovvero indizi potenzialmente attribuibili all’attività biologica. Anche per questo motivo, infatti, negli ultimi anni l’interesse per queste molecole è aumentato, soprattutto in relazione ai cosiddetti “pianeti Hycean”, ovvero mondi coperti da oceani sotto un’atmosfera ricca di idrogeno che, secondo alcuni modelli teorici, potrebbero ospitare condizioni favorevoli alla vita. Tra questi, è stato analizzato proprio K2-18b, che si trova a 124 anni luce dalla Terra, nella costellazione del Leone, ha una massa 8,6 volte quella terrestre e un diametro 2,6 volte superiore. Si tratta di un esopianeta che orbita nella zona abitabile della sua stella – una nana rossa – e che in passato aveva già permesso ai ricercatori di rilevare tracce di metano e anidride carbonica nella sua atmosfera. Le nuove analisi, invece, sono state rese possibili grazie a un particolare strumento del telescopio James Webb – il cosiddetto MIRI, sensibile al medio infrarosso – che ha fornito una linea di prova indipendente e più solida rispetto alle precedenti, basate sugli strumenti NIRISS e NIRSpec. «Un altro segnale, più debole, suggeriva la possibilità che su K2-18b stesse accadendo qualcos’altro. Non sapevamo con certezza se il segnale visto l’ultima volta fosse dovuto al DMS, ma anche solo un accenno di ciò era abbastanza interessante da spingerci a dare un’altra occhiata con il JWST usando uno strumento diverso», ha commentato il professor Nikku Madhusudhan dell’Istituto di Astronomia di Cambridge, che ha guidato la ricerca.

Nonostante le evidenze raccolte in precedenza avessero solo suggerito la presenza di tali molecole, il nuovo strumento ha fornito quindi una chiara prova che il segnale osservato è significativamente compatibile con la presenza di una o entrambe, che hanno mostrato caratteristiche spettrali sovrapposte. Ciò significa che i due composti assorbono luce nelle stesse lunghezze d’onda o in intervalli molto simili dello spettro elettromagnetico, un po’ come due strumenti simili che suonano la stessa nota nello stesso momento. «È stata una realizzazione incredibile vedere i risultati emergere e rimanere coerenti nonostante le ampie analisi indipendenti e i test di robustezza», ha commentato il coautore Måns Holmberg – ricercatore presso lo Space Telescope Science Institute di Baltimora – aggiungendo che le concentrazioni rilevate sono di circa dieci parti per milione, ovvero migliaia di volte superiori a quelle rilevate sulla Terra. «Precedenti studi teorici avevano previsto che alti livelli di gas solforosi come DMS e DMDS fossero possibili sui pianeti Hycean. E ora li abbiamo osservati, in linea con quanto previsto. Considerando tutto ciò che sappiamo di questo pianeta, un mondo Hycean con un oceano brulicante di vita è lo scenario che meglio si adatta ai dati in nostro possesso», continua Madhusudhan, avvertendo però che nonostante la significatività statistica rilevata – tre sigma, ovvero una probabilità dello 0,3% che sia avvenuto per caso – per raggiungere la soglia che renderebbe il risultato scientificamente assodato servirà spingere tale quota a cinque sigma, ovvero una probabilità di casualità inferiore allo 0,00006%. In tutti i casi, concludono i coautori, ad oggi si tratta della prova più rilevante di possibile attività biologica al di fuori del nostro sistema solare.

Maltempo, allerta rossa in Piemonte con frane e piene

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Prosegue l’allerta meteo a Torino e in provincia dopo una notte di piogge intense: il Po è in crescita, con l’area dei Murazzi chiusa, e si prevedono ulteriori aumenti a valle per il contributo degli affluenti. Frane e piene hanno bloccato diverse strade nel Canavese e Pinerolese. Arpa Piemonte segnala «rischio rosso» in valli Sesia, Cervo, Chiusella, Orco, Lanzo, Sangone e bassa Valsusa, e «arancione» in altre zone. Il presidente Cirio annuncia 4 centri provinciali, con oltre 1.000 volontari mobilitati per fronteggiare emergenze, invitando alla prudenza. Chiusa anche la A5 tra Quincinetto e Ivrea, poi riaperta parzialmente.

L’industria alimentare reintroduce l’olio di palma, cercando di non farsi notare

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Negli ultimi anni la scritta «senza olio di palma» è diventata una delle più diffuse sugli scaffali dei supermercati e nelle pubblicità. Come forse ricorderete nel 2014 ci fu una intensa campagna mediatica contro questo grasso, da parte di associazioni ambientaliste e dei consumatori, che coinvolse diversi Stati europei e che portò ad un risultato spettacolare: la stragrande maggioranza delle aziende alimentari abbandonò l’olio di palma e lo sostituì con altri oli vegetali. L’unica assenza di rilievo fu la Ferrero, che ancora oggi utilizza questo grasso per la Nutella e decine di altri prodotti. 

La produzione di olio di palma è responsabile infatti di una deforestazione significativa in Malesia e Indonesia (e di recente anche in Africa) e contribuisce alla scomparsa di alcune specie animali come gli oranghi (la loro popolazione è diminuita di oltre il 90% in un secolo sull’isola di Sumatra dove si è diffusa la piantagione dell’olio di palma). Lolio di palma ha inoltre sollevato molte preoccupazioni per la salute collettiva anche da parte di enti che si occupano della salute pubblica, come l’OMS, la FAO e l’EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare). Queste hanno infatti sottolineato a più riprese la necessità di limitare, da parte dell’industria, l’utilizzo di questo grasso nei prodotti alimentari (quali merendine, biscotti, cornetti e brioches, salse pronte, gelati, piatti pronti, torte confezionate ecc.) e nelle fritture della ristorazione collettiva (mense, ristoranti). Il motivo è soprattutto quello che la raffinazione dell’olio di palma messo in atto dall’industria porta allo sviluppo di contaminanti tossici e cancerogeni, come gli esteri degli acidi grassi (GE) e il glicidolo (sostanze che si ritrovano anche nella panatura dei bastoncini di pesce di cui abbiamo parlato qualche giorno fa).

In conseguenza di tutto ciò, l’olio di palma fu quasi del tutto abbandonato nel 2018 dall’industria alimentare e sostituito in prevalenza con olio di girasole e di colza. Tuttavia, nel 2022 c’è stata una ripresa dell’impiego di questo grasso da parte delle aziende. Il motivo: lo scoppio della guerra in Ucraina. In sostanza, dal 2022 ad oggi l’olio di palma è tornato piano piano nelle nostre tavole per colpa dei rincari folli dell’olio di girasole. Il rincaro è dovuto al fatto che l’Ucraina detiene il 60% della produzione e il 75% dell’export mondiale, essendo il principale coltivatore di girasoli al mondo, come dichiarato da Assitol, l’associazione italiana dell’industria olearia. Le difficoltà create dalla guerra per le esportazioni dell’olio dall’Ucraina, hanno determinato la crisi di questa materia prima e il conseguente rialzo dei prezzi del 66%. 

La deroga del Governo italiano 

l’Ucraina detiene il 60% della produzione e il 75% dell’export mondiale di olio di girasole, essendo il principale coltivatore di girasoli al mondo

A quel punto le industrie alimentari hanno smesso di utilizzare l’olio di girasole e si sono subito fiondate sull’olio di palma e su altri oli vegetali, chiedendo anche al Governo, in Italia, una deroga temporanea affinché esse potessero riportare sulle etichette dei prodotti una dicitura generica di «oli vegetali» per poter utilizzare vari tipi di olio al posto di quello di girasole, in particolare quello di palma. E ottenendo infatti già a Marzo 2022 una deroga dal Ministero dello Sviluppo Economico, che ha dato il via libera all’operazione. Ma nel frattempo i prezzi dell’olio di girasole sono tornati al loro valore di partenza e l’emergenza è quindi rientrata. Anche perché in realtà l’Ucraina, nonostante la guerra, è riuscita a garantire l’esportazione puntando oltre al trasporto via mare, anche su quello ferroviario e su gomma e i prezzi si sono progressivamente sgonfiati dall’estate dell’anno scorso allineandosi ai livelli precedenti la guerra. Pertanto adesso sarebbe opportuno che l’industria sospendesse l’uso dell’olio di palma e tornasse ad usare quello di girasole, per logica. Non bisogna dimenticare infatti, oltre al devastante impatto ambientale dell’olio di palma, anche i timori che esso fa sorgere da tempo per la salute delle persone. Si sappia che per quanto riguarda la problematica ambientale l’Italia ha addirittura vietato l’impiego di olio di palma e olio di soia per la produzione di biocarburanti e di elettricità a partire dal 1 gennaio 2023, grazie ad una petizione parlamentare per iniziativa di Legambiente.

I timori inerenti la salute

Al di là di aspetti economici, commerciali e ambientali, comunque importanti, bisogna parlare di questa ripresa e reimpiego dell’olio di palma in numerosi prodotti alimentari soprattutto per il fatto che quest’olio comporta degli aspetti di pericolosità per la salute dei consumatori. Infatti esso ha un contenuto di sostanze nocive, che si formano durante i processi di raffinazione, dieci volte superiore rispetto a quello degli altri oli vegetali raffinati, e in particolare dell’olio di girasole. La pericolosità e nocività di queste sostanze è attestata dal parere ufficiale congiunto degli esperti dell’OMS e della FAO, oltre che dal parere tecnico-scientifico di EFSA, l’autorità europea per la sicurezza alimentare, secondo la quale, alla data di emissione del parere, non erano solo i lattanti a rischiare un’esposizione eccessiva ai contaminanti tossici dell’olio di palma GE e 3-MCPD, ma anche bambini e adolescenti consumatori di grandi quantità di dolci confezionati, snack e biscotti. Vorrei ricordare infatti che l’olio di palma si aggiungeva da anni anche nelle formulazioni di latte artificiale in polvere per neonati, prima di essere sostituito da olio di girasole, di colza e di cocco.

Prodotti che contengono ancora olio di palma

Alla data odierna ci sono ancora diversi prodotti alimentari in commercio che impiegano questo olio. Possiamo citare alcuni risotti pronti, gelati in biscotto, snack da aperitivo, creme spalmabili alla nocciola, salse da condimento e sughi pronti. Ora non resta altro da fare che aspettare e vedere se le aziende alimentari torneranno ad un comportamento più responsabile nei confronti dei consumatori e dell’ambiente (almeno nelle intenzioni e all’apparenza) come fu nel 2018 quando abbandonarono spontaneamente l’uso di questo grasso. Il tempo ci mostrerà le vere intenzioni dell’industria e le sue scelte, se saranno a favore della collettività o del loro mero interesse economico. Segnalo infatti che l’olio di palma è un grasso che consente all’industria maggiori profitti rispetto a quello di girasole o al burro, infatti costa 3-4 volte meno di questi altri grassi.

Israele getta la maschera: l’occupazione di Gaza sarà permanente

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La politica di Israele a Gaza è «chiara e inequivocabile»: è il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, a gettare la maschera su quello che era ormai evidente e sotto gli occhi di tutti. E questa consiste di alcuni punti fondamentali: occupare in maniera permanente la Striscia e bloccare tutti gli aiuti umanitari alla popolazione, proseguendo nel mentre con bombardamenti ininterrotti. Con il pretesto di creare una «zona cuscinetto» tra i palestinesi e gli insediamenti israeliani illegali, l’IDF (Israel Defence Forces, l’esercito israeliano) «non abbandonerà le zone bonificate e conquistate». Allo stesso tempo, al fine di esercitare pressioni su Hamas, verranno bloccati tutti gli aiuti umanitari, mentre saranno condotti «attacchi continui contro i terroristi di Hamas e le infrastrutture terroristiche».

Come per Libano e Siria, dunque, l’esercito israeliano non abbandonerà le zone della Striscia di Gaza attualmente occupate. La dichiarazione è una prima ammissione pubblica esplicita delle politiche israeliane, ma è qualcosa di largamente atteso da tempo, che rientra negli obiettivi di Israele sin dall’inizio dell’aggressione contro Gaza. Come svelato pochi giorni fa dal quotidiano Haaretz, che aveva pubblicato i progetti fino ad ora rimasti segreti del governo di Netanyahu, il 16% dell’enclave sarà infatti destinato a diventare una «zona cuscinetto», nella quale le case dei palestinesi (o quel che ne rimane) saranno completamente rase al suolo e sarà vietato del tutto il ritorno dei legittimi proprietari. Contemporaneamente, sarà creato un corridoio, situato nel mezzo della Striscia, che permetterà a Israele di «controllare il traffico sulle strade strategiche, che sono al centro dei negoziati con Hamas».

L’occupazione permanente della Striscia rientrava poi nel piano presentato da Netanyahu a pochi mesi dall’inizio dell’aggressione militare contro Gaza ed è stato sostanzialmente riconfermato nella proposta di “pace” avanzata da Israele alla fine dello scorso anno. Ancora prima che Trump avanzasse i propri progetti di ricostruzione della Striscia per renderla la «Riviera del Medio Oriente», poi, l’ufficio del primo ministro israeliano aveva reso pubblico un progetto avvenieristico, nel quale si ipotizzava di rendere la Striscia un futuristico hub commerciale. Il piano di occupazione gode inoltre del pieno appoggio dell’alleato numero uno di Israele, ovvero gli Stati Uniti: era stato proprio il presidente statunitense Trump a dichiarare, qualche settimana fa, che «I palestinesi non avranno il diritto al ritorno nelle proprie case».

A questa ammissione il ministro della Difesa Katz ne aggiunge un’altra, resa nella maniera più esplicita possibile proprio per spazzare via ulteriori dubbi sulle intenzioni israeliane. «Impedire l’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza è uno dei principali strumenti di pressione, che impedisce ad Hamas di usare questa misura contro la popolazione, oltre alle altre misure che Israele sta adottando» ha dichiarato senza mezzi termini, aggiungendo, a scanso di equivoci, che «nella realtà attuale, nessuno è disposto a portare aiuti umanitari a Gaza e nessuno si prepara a far entrare alcun tipo di aiuto».

Da quando Israele ha deliberatamente violato e fatto decadere il cessate il fuoco, nella Striscia la popolazione è tornata a soffrire la fame e la sete a livelli allarmanti. Secondo gli ultimi aggiornamenti delle Nazioni Unite, il 91% della popolazione di Gaza, ovvero 1,95 milioni di persone, si trova in una situazione di carenza di cibo e acqua. Questo in un contesto dove oltre l’80% dei terreni coltivabili è stato distrutto, insieme al 55% dei sistemi di irrigazione, insieme al 75% delle navi da pesca, mentre il 95% del bestiame è morto. A questo si aggiunge il fatto che l’accesso all’acqua potabile non è garantito nel 91% delle case, che viene associato anche a un grave rischio di contrarre malattie gravi. Due terzi della della popolazione di Gaza riceve meno di 6 litri di acqua al giorno per bere e cucinare.

Il deliberato utilizzo dell’affamamento della popolazione come strumento di guerra e di pressione costituisce un crimine di guerra, ai sensi del diritto internazionale al quale Israele dovrebbe, in teoria, sottostare. Come già spiegato in passato da varie ONG per la tutela dei diritti umani, oltre che da esperti ed organizzazioni internazionali, privare la popolazione delle risorse necessarie per la sopravvivenza e violare gli obblighi imposti dalla Corte dell’Aja in merito all’invio di aiuto ai civili sono decisioni che dovrebbero – almeno in teoria – costare pesanti sanzioni a Israele. Il segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha dichiarato che, in quanto «potenza occupante», Israele ha «obblighi inequivocabili» derivanti dal diritto internazionale, in particolare in materia di diritti umani e umanitari – dei quali il blocco degli aiuti umanitari costituisce una grave violazione. Nel frattempo, «ai punti di attraversamento, si accumulano cibo, medicine e rifornimenti per ripari, e attrezzature vitali restano bloccate».

Nelle frattempo, almeno 35 persone sono state uccise ieri negli attacchi israeliani sulla Striscia, portando così il numero dei civili assassinati nel corso dell’aggressione (che dura ormai ininterrottamente da 18 mesi) a oltre 51 mila secondo il ministero della Sanità di Gaza, mentre superano i 116 mila i feriti. L’ufficio stampa del governo di Gaza, citato da Al Jazeera, sostiene invece che il conteggio reale delle vittime ammonti ad almeno 61.700, tenuto conto del fatto che è improbabile che le migliaia di persone ancora schiacciate sotto le macerie vengano ritrovate vive.

California, causa contro i dazi di Trump

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La California ha intentato una causa per bloccare i dazi doganali imposti dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. A portare avanti la causa è stato il governatore democratico Gavin Newsom, che accusa Trump di aver fatto un uso illegittimo dell’International Emergency Economic Powers Act nell’imporre le tariffe a vari Paesi del mondo. Nel frattempo, Trump ha aumentato i propri dazi sui prodotti cinesi al 245%, mentre la Cina ha detto che non ha intenzione di rispondere al «gioco dei numeri» degli Stati Uniti.