Una corte della Corea del Sud ha emesso un mandato di arresto nei confronti dell’ex first lady Kim Keon Hee, che è stata arrestata. Kim è accusata di corruzione, manipolazione del mercato e ingerenza elettorale. Kim è la moglie dell’ex presidente Yoon Suk Yeol, che si trova in carcere con le accuse di insurrezione e tradimento per avere provato a implementare la legge marziale nel Paese. Al momento dell’emissione del mandato, la donna si trovava in via preventiva presso il Centro di Detenzione Meridionale di Seul, nella zona sud-occidentale di Seul. Con il suo arresto, Kim e Yoon diventano la prima coppia presidenziale a venire arrestati contemporaneamente.
Il lato oscuro delle infradito di gomma
L’infradito, o flip-flop, unisce un po’ tutti. Almeno nei mesi estivi, la tipica ciabatta in gomma avvicina gli esseri umani delle parti più disparate del globo con quel suo stile pratico che tanto ricorda i surfisti. Popolarissime anche per i prezzi popolari a cui si trovano molti modelli, ma allo stesso tempo adorate anche dai ricchi che ricercano uno stile casual e portate in passarella da diversa stilisti di grido (e nei negozi più chic con cartellini che possono arrivare a marcare 600 euro). Uno stile da spiaggia che si adatta anche in città, che va d’accordo con i costumi e anche con abiti più strutturati, meglio se accompagnati da una borsa importante. Quello con cui non vanno d’accordo, però, è l’ambiente: queste coloratissime icone estive nascondono svariati lati oscuri. E anche sulla salute, alla lunga, ci sono diverse controversie.
Storia di una ciabatta

Le infradito non sono certo un’invenzione dei tempi moderni. La storia di queste calzature risale a migliaia di anni fa, addirittura nell’antico Egitto. Le prime si hanno intorno al 4000 a.C., dove si indossavano comunemente sandali realizzati in papiro e foglie di palma. Uomini con indosso questi sandali compaiono persino su manufatti reali egizi, a dimostrazione dell’importanza sociale e simbolica di queste semplici calzature. Apparvero poi nell’antica Grecia, a Roma e in gran parte dell’Asia, reinterpretate con l’uso dei materiali locali: papiro in Egitto, legno in India, paglia di riso in Cina e Giappone, foglie di yucca in Messico e pelli di animali in Africa. Le differenze erano anche strutturali: mentre gli antichi greci indossavano la cinghia tra il primo e il secondo dito del piede, i romani optarono per il secondo e il terzo dito, mentre i mesopotamici usavano il separatore tra il terzo e il quarto.
Ad influenzare la forma moderna di queste calzature, però, sono stati due sandali tradizionali giapponesi: gli Zori piatti in paglia e i Geta rialzati in legno. Gli zori somigliano molto agli odierni sandali da spiaggia e sono diventati, nel tempo, un articolo di uso quotidiano in Giappone. L’esportazione vera e propria si deve ai soldati americani di stanza in Giappone durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, che riportarono in patria lo stile zori. Questi sandali, leggeri, economici e facili da indossare, apparvero presto nei negozi e diedero inizio a una tendenza globale.
Il vero boom si ebbe tra gli anni cinquanta e sessanta, periodo in cui le aziende occidentali, valutato il potenziale e la popolarità, iniziarono la produzione in serie di infradito di gomma. Associate spesso allo stile da spiaggia degli spensierati surfisti californiani, divennero subito icone di un certo tipo di moda estiva e di una vita rilassata. Anche il nome “flip flop” arriva nello stesso periodo, derivazione onomatopeica del suono che i sandali producono quando si cammina (soprattutto se bagnati), adottato in primis negli Stati Uniti e in Gran Bretagna.
Oggi le infradito sono realizzate in gomma, schiuma, pelle, sughero o plastica e vengono indossate ovunque. Marchi come il brasiliano Havaianas hanno contribuito a renderle popolari in tutto il mondo, con infinite varianti di stile e decorazioni. Le infradito sono e rimangono un simbolo di comfort, libertà e stile casual, indossate da miliardi di persone e continuamente reinventate da stilisti e case di moda.
Plastica, sostanze chimiche e danni ambientali
Pratiche, convenienti, comode, ma con un certo impatto ambientale. Le Infradito non sono così innocue come sembrano. Il loro apporto all’inquinamento non è trascurabile, dovuto principalmente sia ai materiali sia alle pratiche di smaltimento, che causano danni alla fauna selvatica e alla salute umana.
A partire dalla loro “esplosione”, la produzione di massa di queste calzature è realizzata in plastica sintetica, (poliuretano, PVC o EVA), tutti polimeri derivati dal petrolio che non sono biodegradabili. Anzi, persistono nelle discariche e negli oceani per centinaia di anni, decomponendosi in microplastiche che contribuiscono all’inquinamento degli oceani e minacciano la vita marina. Anche il loro processo produttivo non è del tutto innocuo: consuma risorse petrolifere ed emette gas serra, utilizza sostanze chimiche spesso tossiche che possono diffondersi nell’ambiente, influendo sugli ecosistemi.
Ed è proprio su questi che si ha l’impatto maggiore: come spesso succede, le infradito scartate e gettate anche dopo pochi utilizzi (magari una stagione sola o una singola vacanza) finiscono sulle spiagge con il rischio di essere ingerite da animali marini, causando soffocamento, fame o avvelenamento. Le sostanze chimiche disperse in fase di scomposizione, oltre che danneggiare fauna e ambiente, rischiano di arrivare agli esseri umani se entrano nella catena alimentare. Non è raro osservare intere spiagge in alcune regioni dell’Africa orientale totalmente ricoperte di flip flop, dove questi fiumi di plastica formato ciabatta si infilano nei corsi d’acqua, ostruendoli, uccidendo la flora e inibendo i cicli riproduttivi degli animali.
I pericoli per la salute umana

I rischi per la salute arrivano anche per l’uomo. Sostanze chimiche e tossine, come coloranti e ritardanti di fiamma, possono rappresentare un rischio sia per chi queste calzature le produce sia per gli utenti finali. Chimica, ma anche fisica: molti podologi avvertono che le infradito offrono pochissimo supporto plantare o ammortizzazione, aumentando il rischio di lesioni a piedi, caviglie e ginocchia. L’uso prolungato può portare a problemi come fascite plantare e tendinite, soprattutto in quei modelli progettati per la loro estetica più che per la funzionalità ergonomica. Ma alla Moda poco importa: sull’altare dello stile, la salute è più che sacrificabile!
E le infradito continuano ad essere le calzature più usate, con miliardi di pezzi venduti ogni anno, soprattutto nei paesi in via di sviluppo per via del loro prezzo di base assolutamente economico. Un prezzo basso che, come sempre, viene pagato da una filiera sfruttata con manodopera sottopagata e in condizioni di lavoro al limite del rischio.
Le alternative possibili
Per contrastare questo fenomeno, sono già in commercio alternative in materiali biodegradabili o riciclati, con un impatto notevolmente inferiore. Si passa da quelle realizzate in gomma naturale al 100%, biodegradabile e priva di plastiche nocive, proveniente da coltivazioni di gomma etiche (ad esempio, coltivazioni dello Sri Lanka che rispettano il commercio equo e solidale) a quelle in plastica riciclata, come quella oceanica, o le infradito scartate o il PVC riciclato, fino ad alcune varianti realizzate con materiali vegetali e rinnovabili, integrati con suole in sughero o pneumatici riciclati per un assorbimento degli urti e un’ammortizzazione naturali. Diverse sono prodotte in maniera etica con produzioni locali per una filiera più sostenibile.
Alcune aziende poi, si sono impegnate con programmi di riciclo per recuperare le loro infradito in gomma naturale per chiudere il ciclo dei rifiuti, promuovendo la moda circolare ma anche sostenendo progetti di upcycling. L’Organizzazione non governativa Ocean Sole, ad esempio, pulisce le spiagge e ricicla gli scarti delle infradito trasformandoli in opere d’arte, calzature, giocattoli, contribuendo a creare posti di lavoro ed opportunità economiche.
Nonostante i lati oscuri siano sempre più noti, le infradito sono state largamente viste sulle passerelle e promosse da celebrità e influencer, a dimostrazione di quanto la moda finga di tenere alla sostenibilità mentre nella pratica continua per la sua strada lastricata di rifiuti.
Vaccini: il governo rende plurale il Comitato Consultivo, media e virostar insorgono
Con un decreto firmato il 5 agosto, il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha nominato i nuovi componenti del Gruppo tecnico consultivo nazionale sulle vaccinazioni (NITAG), che dovrebbe supportare le politiche vaccinali nazionali con raccomandazioni basate su evidenze scientifiche e valutazioni indipendenti. L’incarico di vertice passa a Roberto Parrella, presidente della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali. Riguardo ai ventidue membri del Comitato, a far discutere sono due nomi in particolare, che segnano una novità rispetto al passato, avendo difeso posizioni critiche nei confronti dei vaccini, compresi quelli contro il Covid. I due profili che hanno innescato un’aspra polemica sono quelli di Paolo Bellavite, ex docente di Patologia Generale all’università di Verona e di Eugenio Serravalle, specialista in Pediatria preventiva e Neonatologia, presidente dell’associazione dell’Associazione di studi e informazione sulla salute (Assis). Con attacchi durissimi, sia di colleghi che a mezzo stampa, sulla presenza di due “no vax” nel Comitato, mentre nessuna eco hanno avuto altre nomine che mostrano come Schillaci abbia aperto le porte del NITAG a esponenti che sono diretta espressione dell’industria farmaceutica.
La cornice mediatica, costruita chirurgicamente, ha innescato una sorta di macchina del fango: le opinioni dei due medici vengono presentate come “antiscientifiche”, mentre il racconto punta tutto sull’indignazione, la levata di scudi dell’opposizione e la reazione stizzita della “comunità scientifica”. Tra etichette diffamatorie di “no vax” e “terrapiattisti”, petizioni lampo e pressioni su Schillaci per spingerlo a revocare le nomine e le dimissioni di Francesca Russo, dirigente del Veneto, con un ultimatum al ministro: “O loro o me”. Una sorta di maccartismo, in cui il confronto si trasforma in tribunale virtuale e il dibattito scientifico in una gogna pubblica. Ironia della sorte, il prestigio scientifico di Bellavite, misurato internazionalmente attraverso il suo punteggio H-Index (l’indice che classifica i ricercatori in base alle pubblicazioni effettuate e alle citazioni dei loro lavori scientifici), che è di 51, è nettamente superiore a quello di diverse virostar come Roberto Burioni (fermo a 38) e Fabrizio Pregliasco (che ha 29 punti). Tuttavia, invece di analizzare il merito della produzione scientifica di Bellavite, è stata suonata la tromba dell’ennesima caccia alle streghe, con titoli a effetto che tuonano in merito al rischio dell’insinuarsi strisciante delle “pseudoscienze nelle istituzioni”, e articoli del calibro: “Schillaci senza vergogna nomina gli idoli dei no-vax nel comitato per le politiche vaccinali” (Il Domani).
A guidare le proteste è il Patto Trasversale per la Scienza, promosso da Guido Silvestri e Roberto Burioni, che ha lanciato una petizione per chiedere la revoca delle nomine su Change.org che, in pochi giorni, ha raccolto oltre 14 mila firme.
Quella messa in atto è la tecnica che negli studi sui media viene definita character assassination (distruzione della reputazione), con l’utilizzo di tecniche di manipolazione per screditare i due medici “eretici”, in modo da dipingerli come dei mezzi stregoni, etichettati dall’opposizione a “ultrà no vax” e ridotti dai quotidiani a “due esperti di omeopatia schierati al fianco dei gruppi no vax più rumorosi”.
Qual è la loro colpa? Aver espresso critiche e richieste di prudenza durante la gestione della pandemia e sulle vaccinazioni pediatriche anti-Covid. Già nel 2021, Bellavite aveva messo in dubbio la relazione tra rischi e benefici, parlando dei vaccini contro il Covid-19 nella trasmissione diMartedì su La7 («Chi ha paura del vaccino ha ragione, in un certo senso, perché mancavano informazioni su rischi e benefici»). Anche Serravalle ha sollevato questioni etiche e scientifiche riguardo alla moltiplicazione dei vaccini pediatrici, arrivando a paventare un tema tabù, ossia, una possibile correlazione con alcuni casi di autismo, senza però superare mai il limite della riflessione critica. Proprio Serravalle, con una decennale esperienza sul campo, ha deciso di adottare il principio di cautela, ricordando che «I vaccini possono causare reazioni avverse anche gravi» e che «Come tutti i farmaci non sono esenti da effetti collaterali». In un contesto sano, ciò dovrebbe alimentare un dibattito basato su dati, non essere motivo di esclusione. Invece, la prudenza metodologica viene impacchettata dentro il frame “no vax”, sinonimo di pericolo pubblico.
E, mentre si demonizza chi esprime un pensiero scientifico non omologato, si adotta il doppio standard e si chiude un occhio su possibili conflitti di interesse di altri membri del comitato legati a industrie farmaceutiche, come Emanuele Montomoli, ordinario di igiene presso l’Università degli Studi di Siena, fondatore, presidente (non con funzione esecutiva) e direttore scientifico di VisMederi, un’azienda biotecnologica che si occupa di sviluppo clinico di vaccini e di progetti nell’ambito delle malattie infettive emergenti, in collaborazione con le più importanti aziende farmaceutiche internazionali.
Siria, scontri tra Forze Democratiche Siriane ed esercito
L’agenzia di stampa statale siriana Sana ha riportato di scontri tra le Forze Democratiche Siriane (SDF), coalizione a guida curda, e l’esercito regolare. Secondo fonti del ministero della Difesa, gli scontri sarebbero avvenuti ad Aleppo, e un soldato dell’esercito sarebbe rimasto ucciso. I combattimenti si inseriscono all’interno di un contesto di aumento delle tensioni tra le SDF e il governo centrale. A marzo, le parti avevano raggiunto un accordo per unirsi all’esercito del Paese, che tuttavia non è ancora stato implementato. In questi giorni era previsto un incontro a Parigi tra i rappresentanti di SDF e di Damasco, ma il governo ha annunciato di avere ritirato la propria partecipazione.
L’ipotesi di pace in Ucraina spaventa le aziende di armi: cala anche Leonardo SPA
La prospettiva di una soluzione pacifica al conflitto russo-ucraino, sostenuta dagli Stati Uniti, sta mettendo sotto pressione il settore della difesa europeo. L’incontro tra Trump e Putin in Alaska, previsto per venerdì, alimenta le speculazioni su una possibile soluzione di pace, con conseguenti timori tra gli investitori del comparto. Dall’annuncio dell’incontro, le azioni dell’azienda italiana Leonardo, a maggioranza statale, sono scese di oltre l’8%. In Europa, anche Thales, BAE Systems e Rheinmetall segnano ribassi significativi. Nonostante il rallentamento del flusso di ordini, tuttavia, il mercato resta volatile, con la crescente tensione in Medio Oriente che continua a influenzare il settore.
Dopo l’annuncio dell’incontro tra Trump e Putin rilasciato lo scorso giovedì 7 agosto, tutte le maggiori aziende europee delle armi sono calate a picco. Il 7 agosto, Leonardo aveva aperto con 49,28€ per azione, per scendere a 46,49€ nell’arco di sole due ore dopo l’annuncio, con una variazione pari al -5,66%. Dopo il picco al ribasso, raggiunto alle 13, a fine giornata l’azienda è risalita leggermente a 47,03€, chiudendo così il primo giorno dopo l’annuncio del Cremlino a -4,56%. Oggi, scattato il quinto giorno dall’annuncio, ha aperto a 45,11 €, segnando un calo dell’8,46% rispetto all’apertura di giovedì scorso. Gli investitori dell’azienda italiana non sono gli unici a nutrire timori per una soluzione pacifica alla guerra in Ucraina. La francese Thales ha segnato un calo del 2,28% nella sola giornata dell’annuncio, e a oggi i suoi titoli valgono il 3,34% in meno; il 7 agosto, la multinazionale britannica BAE Systems aveva perso il 4,25%, e negli ultimi quattro giorni ha registrato un calo del 6,97%. Giovedì scorso, Rheinmetall, la maggiore azienda tedesca delle armi, era calata del 3,9%, e oggi registra un calo dell’11,02% rispetto all’apertura del medesimo giorno. Tiene, a suo modo, l’azienda di diritto europeo Airbus Group (a partecipazione olandese, francese, tedesca e spagnola), che dal 7 agosto ha registrato un calo dell’1,56%.
Il calo generalizzato registrato dalle maggiori aziende europee delle armi negli ultimi cinque giorni costituisce una delle maggiori tendenze al ribasso dall’inizio dell’anno. Tutte le aziende citate, comunque, risultano in piena crescita: a marzo, gli annunci militaristi dei leader sulla necessità di un piano per riarmare l’Europa hanno esaltato le aziende di armi in borsa; qualche giorno dopo, Leonardo ha rivisto le stime di crescita al rialzo e ha distribuito dividendi raddoppiati. Dall’inizio dell’anno, l’azienda italiana è cresciuta del 76,36%, Thales è cresciuta del 67,37%, BAE Systems del 49,2%, e Rheinmetall ha registrato un incremento pari al 158,52%.
Taranto, ambientalisti ricorrono al TAR contro l’AIA concessa all’ex Ilva
Le associazioni ambientaliste Peacelink e Giustizia per Taranto hanno presentato un ricorso al Tar contro l’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) concessa lo scorso mese all’ex Ilva, che consente l’uso del carbone per altri 12 anni. «È inaccettabile», ha dichiarato Alessandro Marescotti di Peacelink, sottolineando che molte realtà locali si sono associate all’iniziativa. A tal fine è stata avviata una raccolta fondi, che in poche ore ha superato i 5.000 euro. Le associazioni chiedono il fermo delle emissioni pericolose e propongono un piano di riqualificazione per i lavoratori in esubero, stimando un costo di 500 milioni l’anno, inferiore alle perdite aziendali.
Spagna, in atto decine di incendi: un morto e 7mila evacuati
In Spagna, decine di incendi boschivi stanno devastando varie aree del Paese, con un morto e centinaia di chilometri quadrati bruciati. Circa 7mila persone sono state evacuate, tra cui 3.700 nella Castiglia e León, 2.000 a Cadice e 180 a nord di Madrid. Un incendio scoppiato a Tres Cantos ha ucciso un uomo, mentre le fiamme hanno distrutto 10 km². Le condizioni climatiche, come il caldo intenso, la siccità e i venti forti, hanno alimentato gli incendi in corso in Galizia, Andalusia, Castiglia e León e Castiglia-La Mancha. Interventi aerei e di terra sono in atto.









